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Full text of "Crestomazia italiana : cioè scelta di luoghi insigni, o per sentimento o per locuzione, raccolti dagli scritti italiani di autori eccellenti di ogni secolo"

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CRESTOMAZIA ITALIANA 


CIOÈ 


SCELTA DI LUOGHI INSIGNI 


PER SENTIMENTO PER LOCUZIONE 

BAGGOL TI DAGLI SGRITTi ITALIANI 

DI AUTORI ECCELLENTI DI OGNI SECOLO 

DA 

GULCOnO LEOPARDI 

KUOYA EDIZIONE El^NDATA ED ACCRESCIUTA 

PER OURA 

DI BRUTO FABRICATORE 


PARIE SECONDA 

GEESTOMAZIA POSTICA 



IN NAPOLI 

bALLA STAMPERIA DEL VAGLIO 
1866 


Le ragioni che ci mossero a rifornir qua e là di ag- 
giunte la prima parte di questa Crestomazia , yalsera 
egualmente , e più , a consigliarci di fare il medesima 
alla seconda , che a quella ora segue. Anzi tanto piii 
; fummo a ciò spinti, che già ne aveva in parte col suo 
esempio preceduto il primo editor milanese. Alla scelta^ 
dunque, del Leopardi, che terminava con gli autori del 
secolo decimotlavo e pochi cessati di vivere al principio 
del decimonono , noi abbiamo specialmente aggiunti 
lutti gli altri migliori fioriti nella prima metà di quest'ut- 
limo secolo , e parecchi altresì del decimoterzo e deci- 
moquarto. Ne, in quanto a questi ultimi, ci ha ritenuto 
l'opinione dello slesso Leopardi, il quale nella sua pre* 
fazione scrivea : che de* più antichi , fuori di Dante e 
del Petrarca^ ... quantunque si trovino rime^ non si tro^ 
vi poesia. Dappoiché, se per la prosa una simile affer- 
mazione può dirsi che non abbia buon fondamento , 
veruno per fermo ella non ne ha per la poesia, o che la 
cosa astrattamente voglia considerarsi, o nel fatto par- 
ticolare della nostra letteratura ; e solo e da condonare 
al tempo in che il Leopardi scriveva. L'autorità dentanti 
valorosi, e del Leopardi medesimo in più maturo senno 
ed età, i quali appresso diversamente ne han pensato e 
scritto, dispensa noi dal dirne qui di vantaggio.^E, senza 
piii , raccomandiamo novellamente a' prudenti e savii 
maestri il presente libro. 

B. Fàbeicatore. 


AI LETTORI 


i Nella prefazione della Crestomazia italiana di prosa, 
il compilatore propose di fare una Crestomazia poetica 
con quei medesimi ordini e in quella stessa forma , la 
quale non era d'invenzione sua, ma tenuta in tutti i mi- 
gliori libri di tal genere pubblicati in lingua francese, 
inglese ed altre, e approvata per buona dal consenso 
dei letterali di quelle nazioni. Postosi all'opera, conob- 
be che là cosa non poteva appena convenire al caso no- 
stro; perche il porgere distribuite per classi le impres- 
sioni poetiche, gli parve primieramente impossibile, e 
I poi di pessimo effetto se si fosse potuto fare. Per questa 
[ ragione, in cambio deirordine delle materie, ha segui- 
to quello dei tempi: ordine non contrario aireffetto poe- 
tico, ed utile, come è manifesto, alla cognizione storica 
della poesia nazionale. 

Di Dante e del Petrarca , del Furioso e delle Satire 
dell'Ariosto, della Gerusalemme e dell' Aminla del Tas- 
so, del Pastor Fido, del Giprno del Parini, non ha tolto 
cosa alcuna; perchè ha creduto, prima, che a voler co- 
noscere la poesia nostra, è necessario che quelle opere 
si leggano tutte intiere; poi , che il farle in pezzi , o il 
dire questo è il meglio che hanno. ^ sia un profanarle. 

L'^oPAEDi, Crestomazia, li. 1 


n AI LETTORI 

E generalmente da tragedie o drammi di ogni sorta , 
non ha credulo che si potesse prender nulla, che, posto 
fuori del luogo suo, ediv;sodaI corpo dell'opera, stesse 
hene. Ne meno ha preso nulla da traduzioni , per non 
allargar troppo il campo. Finalmente si è astenuto dal- 
le cose di autori viventi (*). 

Dell'altra moltitudine che abbiamo di versi , quasi 
infinita, ha scelto ciò che gli e riuscito o più elegante, 
o anche più filosofico, e, in fine,piu bello; incomincian- 
do dagli autori del secolo decimoquinto , e non prima ; 
perche de'più antichi, fuori di Dante e del Petrarca, 
crede egli, e crederanno forse tutti, che quantunque si 
trovino rime, non si trovi poesia. 

Sarà poco meno che superfluo V avvertire i giovani 
italiani e gli stranieri, che nei passi che qui si propon- 
gono di poeti o di verseggiatori di questo secolo e della 
seconda metà del decimottavo , cerchino sentimenti e 
pensieri filosofici, ed ancora invenzioni e spirito poeti- 
co, ma non esempio di buona lingua, ne anche di buo- 
no stile. 

Dell'oggetto e dell'uso delle noterelle poste appiè del- 
le pagine , si e detto nella prefazione dell'altra Cresto- 
mazia. 

(•) Per questa ragione iì Compilatore erasi astenuto dall' inserire in 
questa Scelta alcuna cosa del Monti. Ma, avendo la morte con dolore u- 
niversale tolto ai vivi quel sommo [K)eta prima che la stampa fosse com- 
piuta, ne parve che sarebbe stata una grave mancanza il non fare raccol- 
ta anche dei più bei fiori della sua musa , e principalmente di quelli che 
fiapevansi essere stati da lui prediletti. Della scelta di questi preziosi fiori 
noi andiamo debitori ad un amico del Monti medesimo^ zelantissimo del- 
la sua gloria; e vogliamo sperare che ogni animo gentile ne rimarrà sod- 
disfatto {Nota degli Editori fnilan€$i.). 


SECOLO XIII E XIV. 


1. A Maria Vergine. 

Donna ' del cielo, gloriosa madre 
Del buon Gesù, la cui sacrata morte, 
Per liberarci da le inferaal porte, 
Tolse V error del primo nostro padre; 

Risgnarda Amorcon saette aspre e quadre 
A che strazio n'adduce ed a qual sorte ; 
Madre pietosa, a noi cara consorte ', 
Ritràne dal seguir sue turbe e squadre. 

Infondi in me di quel divino amore , 
Cht tira l*alma nostra al primo loco. 
Sì ch*ìo disciolga l'amoroso nodo. 

Cotal rimedio ha questo aspro furore , 
Tal acqua suole spegner questo foco , 
Come d'asse si trae chiodo con chiodo. 

Fra Guittone, 

2. EèìUo ed Amore . 

Ballatetta ^ dolente , 
• • Va* mostrando il mio pianto, 

■ Che di dolor mi cuopre tutto quanto. 

\^ Tu te n*andraì in prima a quella gioja, 
'> « Per cui Fiorenza luce , ed è pregiata ; 
£ quetamente, che non le sia noja, 

- La prega che t* ascolti,- o sconsolata : 

■ 'Poi le dirai affannala 

\ Come m'ha tutto infranto 

- II tristo bando, che mi colse al canto. ^ 

S*ella si volge verso te pietosa 
,L Ad ascoltar le pene che tu porti, 
* 1 raendo guai dolente e vergognosa , 

Lei ^ pingicome gli occhi roia^son morti 
l'.Per li gran colpi e fòrti 

Che ricevetter tanto [canto. 

P^Da' suoi nel mìo partir , eh* or piango in 

Poi fa'si ch'entri ne la mente a Guido ', 

* Signora* ^ Partecipe della stessa sorte. 
' dim. di ballata, spec'e di poesia. 
4 Mi prese a tradimento. 5 A lei. ^ Miei* 
^ Guido GaTalcanti, anùco dei poeta. 


Perch'egli è sol colui che vede Amore, 
E mostrali lo spirito, che un strido 
Mettrae ' d'angoscia dei disfatto core. 
£ se vedrà '1 dolore 
Che'l distrugge, io mi vanto 
Ched ei ne sospìrrà ' di pietà alquanto. 

G. Alfhni, 

3. Manifestazioni di amore. 

Perch'io no ^ spero di tornar giammai, 

Ballatetta, in Toscana, 

Va' tu leggiera e piana 

Dritta a la donna mia , 

Che, per sua cortesia, 

Ti farà molto onore. 

Tu porterai novelle de' sospiri. 

Piene di doglia e di molta paura ; 

Ma guarda che persona non ti miri, 

Che sia nimica di gentil natura : 
Che certo per la mia disaventura 
Tn saresti contesa *, 
Tanto da lei ripresa 
Che mi sarebbe angoscia : 
Dopo la morte poscia 
Pianto e novel dolore. 

Tu senti» Ballatetta, che la morte 
Mi stringe sì, che vita m'abbandona; 
E senti come'! cor si sbatte forte 
Per quel che ciascun spirito * ragiona. 
Tant*è distrutta già la mia persona, 
Ch'io non posso soiFrice : 
Se tu mi vuoi servire , 
Mena l'anima tcco, 
( Molto di ciò ten preco ) 
Quando uscirà del core. 

Deh, Ballatetta, a la tua a mista fé 
Quest'anima, che triema, raccomandò : 
Menala teco ne la sua piatate * 

' Metterà* a Sospirerà. 

3 Non. 4 Impedita. 5 Affato» 

* piotate, pietà; voce antka. 


4 CI\ESrOMAZIA POETICA. 

A quella bella donna, a cui ti mando : 

Deb, Ballatetta, dille sospirando 

Quando le sei presente : 

Questa vostra servente 

Vien per istar con vui', 

Partita da colui, 

Che fu servo d'Amore. 

Tu, voce sbigottita e deboletta , 
Ch' esci piangendo de Io cor dolente, 
Con l'anima, e con questa Balla tetta, 
Va' ragionando de la strutta mente. 
Voi troverete una donna piacente 
Di sì dolce intelletto , 


5. In morte della sua donna. 


Che vi sarà diletto 
Starle davanti ognora. 
Anima, e tu l'adora 
Sempre nel suo volere. 


4. Affanni amorosi. 

Gli occhi di quella gentil forosetta 
Hanno distretta — si la mente mia, 
Ch'altro non chiama che lei, ne disia. 

Ella mi fiere sì, quand'io la guardo, 
Ch'i'sento Io sospir tremar nel core ; 
Esce da gli occhi suoi, là ond'io ardo, ® 
XJn gentiletto spirilo d'Amore , 
Lo quale è pieno di tanto valore , 
Che, quando giugne, l'anima va via, 
Come colei che sofFrir noi pnria. 

Io sento poi gir fuor gli miei sospiri , 
Quando la mente di lei mi ragiona; 
E veggio piover per l'aer martiri. 
Che struggon di dolor la mìa persona. 
Sì che ciascuna virtù m'abbandona 
In guisa , ch'io non so là ov'io mi sia : 
Sol par che morte m'aggia in sua balia. 

Sì mi sento disfatto , che mercede 
Già non ardisco nel pensier chiamare : 


La forte e nova mia disavventura 
M'ha disfatto nel cuore 
Ogni dolce pensier , eh' i' avea, d'Amcrc . 

Disfatta m'ha già tanto de la vita. 
Che la gentil piace voi donna mia 
Da l'anima distrutta s'è partita ; 
Sì ch'io non veggio là, dov'ella sia: 
Non è rimasa in me tanta balia, 
Ch'io de lo suo valore 
Possa comprender ne la mente fiore. * 

Vien che m'uccide unsi gentil pensiero, 
Che par che dica, ch'io mai non la veggia ; 
Questo tormento dispietato e fiero. 
Che struggendo m'incende e m'amareggia 
Guido Cavalcanti» Trovar non posso a cui pietate chicggia . 

Mercè di quel Signore ® 
Che gira la fortuna del dolore. 

Pien d'ogni angoscia in loco di paur.i 
Lo spirito del cor dolente giace 
Per la fortuna, che di me non cura, 
C'ha volta morte dov'assai mi spiace : 
E dà speranza, eh' è stata fallace. 
Nel tempo che si more , 
INI' ha fatto perder dilettevoli ore. 

Parole mie disfatte e paurose, 
Dove dì gir vi piace , ve n'andate , 
Ma sempre sospirando e vergognose 
Lo nome de la mia donna chiamate: 
Io pur rimango in tanta avversitate , 
Che qual mira di forc 
Vede la morte sotto '1 mio colore. 

G* Cavalcanti^ 


6. Atti e parole di Beatrice. 

Ne gli occhi porta la mia donna Amore; 
Per che si fa gentil ciò ch'ella mira : 


Ch'i' trovo Amor, che dice: ella si vede Ov'ella passa, ogni uom v^;r lei si gira, 
Tanto gentil, che non può immaginare E cui saluta fa tremar lo core. 


Ch'uom d'esto mondo l'ardisca mirare, 
Che non convegna lui tremare in pria: 
Ed io, s'i'la guardassi, nemorria. 
Ballata, quando tu sarai presente 
A gentil donna, so che tu dirai 
De la mia angoscia dolorosamente 


Sicché, bassando il viso, tulio smuore, 
E d'ogni suo difetto allor sospira : i 

Fuggon dinanzi a lei superbia ed ira: 
Ajulalcmi , donne, a farle onore. 

Ogni dolcezza, ogni pensiero umile 
Nasce nel core a chi parlar la sente : 
Di': quegli, che mi manda avoi,trae guai: Und'c beato chi prima la vide. 
Perocché dice, che non spera mai Quel ch'ella par quand'un poco sorrid»;, 

Trovar pietà di tanta cortesia, Non si può dìcer 3, né tener a mente , 

Ch'a la sua donna faccia compagnia. Sì è nuovo miracolo gentile. 

G, Caycitcanti. Dante J/ii^hhrì. 

* Voi, 2 Pc' quaH ce, ' Nulli, " Amore. ' Dire. 


1 


SECOLO XIII E XIV. r^ 

7. Effetti di veder Beatrice. 10. In morte di fieatriee. 

Tanto gentile e tanto onesta pare ' Gli occhi dolenti per pietà del core 

La donna mia, quand' ella altrui safuta , Hanno di lagrimar sofferta pena, 

Ch*ogni lingua divien tremando muta , Sì che per vinti son rimasi ornai . 

E gli occhi non ardiscon di guardare. Ora s* io voglio sfogar lo dolore , 

Ella sen va, sentendosi laudare , Che a poco a poco a la morte mi mena , 

Benignamente d'umiltà vestuta; Conveoemi parlar traendo guai. 

E par che sia una cosa venuta E perchè mi ricorda eh* io parlai 

Di cielo in terra a miracol mostrare. De la mia donna, mentre che vivia ^, 

Mostrasi sì piacente a chi la mira , Donne gentili, volentiercon vui®, 

Che dà per gli occhi una dolcezza al core. Non vo' parlare altrui, 

Che intender non la può chi non la prova. Se non a cor gentil ch'n donna sia ; 

E par che de la sua labbia * si muova E dicerò di lei, piangendo, pui 

Uno spirto soave e pien d'amore , Che se n' è gita in cicl subitamente, 

Che va dicendo' a 1* anima: sospira. Ed ha lascialo Amor meco dolente. 

Dante, Ita n' è Beatrice in Paltò cielo, 

8. Morte di Beatrice, Nel reame ove gli angeli hanno pace , 

E sta con loro ; e voi, donnc^ ha lasciate. 

Deh, peregrini, che pensosi andate Non la ci tolse qualità di gelo, 

Forse di cosa che non v*è presente, Ne di calor, sì come V altre face; 

Venite voi di sì lontana gente, Ma sola fu sua gran benignitate. 

Come a la vista voi ne dimostrate? Che luce de la sua umilitate 

Che non piangete , quando voi passale Passò li cieli con tanta virlule, 

Per lo suo mezzo la città dolente. Che fé maravigliar l' eterno Sire , 

Come quelle persone, che niente Sì che dolce desire 

Par che intendesser la sua gravitate. Lo giunse di chiamar tanta salute; 

Se voi restate per volere udire , E fella di quagginso a se venire ; 

Certo lo core ne* sospir mi dice , Perchè vedea eh' està vita nojosa 

Che lagrimando n* uscirete pui ^. Non era d'-gna di sì gentil cosa. 

Ella ha perduto la sua Beatrice ; Partissi de la sua bella persona 

E le parole, eh' uom di lei può dire, Piena di grazia l'anima gentile. 

Hanno virtù di far pianger altrui. Ed èssi ^ gloriosa in loco degno. 

Dante. Chi non la piange, quando ne ragiona, 

9. Al/a sua donna. Core ha di pietra sì malvagio e vUe, 

Ch'entrar non vi può spirito benegno ^. 

Deh, Nuvoletta, che in ombra d'Amore Non è di cor villan sì alto ingegno, 

Negli occhi miei di subito apparisti. Che possa immaginar di lei alquanto. 

Abbi pietà del cor che tu feristi , E però non gli vien di pianger voglia.- 

Che spera in te, e desiando muore. Ma n' ha tristizia e doglia 

Tu, Nuvoletta, in forma più che umana , D» sospirare e di morir di pianto. 

Foco mettesti dentro a la mia mente E 3' ogni consolar l' anima spoglia, 

Col tuo parlar eh' ancide , Chi vede nel pensiero alcuna volta 

Poi con atto di spirito cocente Qual ella fu, e com'ella n'è tolta. 
Creasti speme, che'n parte mi sana. Dauuomi angoscia li sospiri forte. 

Laddove tu mi ride , Quando il pensiero ne la mente grave 

Deh non guardare perchè a lei mi fide. Mi reca quella che m'ha il cor diviso: 

Ma drizza gli occhi al gran disio che m'arde: E spesse fiate, pensando la morte, 

Che mille donne già, per esser tarde, Me ne viene un desio tanto soave. 

Sentito han pena de l'altrui dolore. Che mi tramuta lo color nel viso. 

Dante, Quando l' immaginar mi tien ben fiso , 
' Appare» ^ Faccia, aspetto, s Poi, ' Viveva^ * Voi. 3 Sì è. 4 Bcnigoo. 


i 


^* CRESTOMAZIA. POETICA 

iugncmi tanta pena in ogni parte , Eri beata, e con le sette donne ^ ■ 

t|h* i' mi riscuoto per dolor ch'io sento; Ora ti veggio ignuda dì tai gonne: 

ii si fatto divento, Vestita di dolor, piena di vizi ; 

Che da le genti vergogna mi parte : Fuori i leai Fabrizi ; 

Poscia piangendo sol nel mio lamento Superba, vile, nemica di pace. 

Chiamo Beatrice ; e dico: Or seHu morta! O disnorata te ! specchio di parte , 

K mentre ch'io la chiamo mi conforta. Poiché se* aggiunta a Marte, 

Pianger di doglia e sospirar d'angoscia Punisci in A.ntenòra ^ qual verace 

Mi strugge il core ovunque sol mi trovo , Non segue Tasta del vedovo giglio '; 

S\ che ne incrcscerebbe a chi U vedesse. E a que*che t'amanpiù, più fai malpiglio . 
E qual è stata la mia vita, poscia Dirada in te le maligne radici ^ 

Che la mia donna andò nel secol novo^ De* figli non pietosa, 

i^ingua non è che dicer lo sapesse: C* hanno fatto il tuo fior sudicio e vano , 

'^- però, donne mie, perch*io volesse ', E vogli le virtù sien vincitrici ; 

"^uu vi saprei ben dicer quel ch*io sono; Sì che la fé nascosa 

il mi fa travagliar 1* acerba vita; Rcsurga con giustizia e spada in mano. 

La quale è sì invilita) [bandono, Segui le luci di Giustiniano, 

Che ognitiom par che mi dica: Io t* ab- E le focose tue mal giuste leggi 

Vedendo la mia labbia tramortita. Con descrizion correggi, 

Ma qual ch'io sia, la mia donna sei vede, Sì che le laudi *1 mondo e'I divin regno : 

Ed io ne spero ancor da lei mercede. Poi de le tue ricchezze onora e fregia 

Pietosa mia canzone, or va' piangendo; Qual figtiuol te più pregia, 

£ ritrova le donne e le donzelle. Non recando a*tuoi ben chi non è degno; 

A cui le tue sorelle ' Sì che prudenza ed ogni sua sorella 

Erano usate di portar letizia; Abbi tu teco; e tu non lor rubella. 
K tu, che sei figliuola di tristizia. Serena e gloriosa in su la ruota 

Vattene sconsolata a star con elle. D*ogni beata essenza, 

Dante, (Se questo fai) regnerai onorata : 

E 'l nome eccelso tuo , che mal si nota , 

iì. A Firenze, Potrà* poi dir , Fiorenza. 

Dacché V aifezion t*avrà ornata, 

patria, degna di trionfai fama, Felice 1* alma che in te fia creata ! 
De* magnanimi madre, [monta : Ogni potenza e loda in te fia degna; 
Più che in tua suora ', in te dolor sor- Sarai del mondo insegna. 
Qual è de* figli tuoi che in onor t' ama, Ma, se non muti a la tua nave guida. 
Sentendo l*opre ladre Maggior tempesta con fortunal morte 
Che in te si fanno, con dolore ha onta. Attendi per tua sorte , 
Ahi ! quanto in te la iniqua gente è pronta ^^^ ^® passate tue piene di strida. 
A sempre congregarsi a la tua morte, Eleggi omai, se la fraterna pace 
Con luci bieche e torte, Fa più per te, o '1 star lupa rapace. 
Falso per vero al popol tuo mostrando. "^u te n'andrai, canzone, ardina e fera, 
Alza iicor de*sommersi; il sangue accendi; Poiché ti guida Amore, 
Su i traditori scendi Dentro la terra mia, cui doglio e piango ; 
Nel tuo giudicio; sì che in te laudando E troverai de* buon, la cui lumiera 
Si posi quella grazia che ti sgrida, Non dà nullo splendore. 
Ne la quale ogni ben surge e s'annida. ^^ stan sommersi, e lor virtù nel fango. 

Tu felice regnavi al tempo bello, Grida: Surgete su, che per voi clango. 

Quando le tue rede ^ Prendete V armi, ed esaltate quella ; 

Voller che le virtù fussin colonne : Che stentando viv* ella ; 

Madre di loda e di salute ostello , ,- .....ir j- r I 

r^^ ««,« „«:•« C^A^ ' I^« «e*^te ▼»'*" teologaU e cardinali. f 

Con pura unita fede a ^^^^^ d'inferno ove Dante finge pani ti i 

1 Volessi. ^ Le al ire, canzoni. > Roma, i traditori della patria. \ 
4 Eredi; cioè ùgiijfiot^ icittadiai« 3 losegfnadel comune di Firenze. 

I 


SECOLO XIII E XIV. 7 

E la divoran Capaneo * e Crasso, Tal che la-rimembranza me n'occide , 

Aglauro, Simoa mago, il falso Greco, E fa sì grande schiera di dolore 
E jNIacometto cieco, Dentro a la mente, che l* anima stride 

Che tien Giu<;urla e Faraone al passo. Sol perchè morte mai «on la divide 
Poi ti rivolgi a'ciltadin suoi giusti,^ Da me, come diviso 

Pregando sì ch'ella sempre s'angusti. Mi trovo dal bel viso 

Dante. E d'ogni stalo allegro, [negro. 

Pel gran contrario eh' è tra '1 hiana) e '1 

12. Giudizio tra'l Poeta ed Amore, Quando per gentil atto di salate ' r 

Vèr bella donna levo gli occhi alquanto , 
Mille dubbi in un Hi, mille querele, Sì tutta si disvia la mia virtute 
Al tribunal de l'alta imperatrice •, Che dentro ritener non posso il pianto, 

Amor contro me forma irato, e dice; Memhrando di madonna, a cui son tanto 

Giudica chi di noi sia più fedele. Lontan di vedi;r lei. 

Questi, sol mia cagion, spiega le vele () dolenti occhi miei. 
Di fama ai mondo ove saria 'n felice. Non morite di doglia? 

Ami d'ogni mio mal sei la radice, Sì per vostro voler, par ch'Amor voglia. 

Dico ; e provai già di tuo dolce il fele. Amor, la mia ventura è troppo cruda , 

Ed egÙ : Ahi falso servo fuggitivo l E ciò che 'ncontran gli occhi più m' at- 
£ questo il merto che mi rendi, ingrato, ^ [trbta; 

Dandoti una a cui 'a terra egual non era? Dunque mercè, che la tua man li chiuda, 

Che vai, seguo, se tosto me n'hai privo? Da e* ho perduto l'amorosa vista; 
Io no, risponde. Ed ella: Asì gran piato , E quando vita per morte s'acquista 
Gonvien più tempo a dar sentenza vera. Gli è giojoso il morire. 

Cina da Pistoj'a, Tu sai dove de gire 

Lo spirto mio da poi, 
13. Jn morte di Selvaggia* e sai quanti pietà s' ara ^ di noi . 

Amor, ad esser micidial pietoso 
La dolce vista e *\ bel guardo soave T' invita il mio tormento : 
De' più begli occhi che si vider mai, Secondo e' ho talento 

Ch* i' ho perduto, mi fa parer grave Dammi di morte gioja. 
La vita sì, ch'io yo traendo guai, Sì che lo spirto almcn torni a Pistoja. 

E'n vece di pensier leggiadri e gai, Cino da Pistoja. 

Ch' aver solea, d'amore, 

Porto disii nel core 14. .4 Maria Tergine. 

Che nati son di morte, 
Per la partita che mi duol sì forte. [so Q regina de gli angioli, o Maùa, 

Ohimè! deh perchè. Amor, al primo pas- Ch' adorni '1 cicl co' tuoi lieti sembianti , 
Non mi feristi sì ch'io fussi morto ? E stella in mar dirizzi i naviganti 

Perchè non dipartisti da me, lasso, A porto e segno di diritta via ; 

Lo spirito angoscioso ched * io porto? per la gloria ove sei, Vergine pia. 

Amor, al mio dolor non è conforto : Ti prego guardi a' miei miseri pianti ; 

Anù, quanto più guardo, Increscali di me, tòmmi davanti 

Al sospirar più ardo; L' insidie di colui che mi travia '. 

Trovandomi partuto * Io spero in te ed ho sempre sperato : 

Da quc' begli occhi ov'io t'ho già veduto. Vagliami il lungo amore e riverente 
Io vho veduto inque'begli occhi, Amore, £1 * qual ti porto ed ho sempre portatt». 
' SoUo il nome di Gapaueo sUntenJala Su- Dirizza il mio cammin; fammi possente 
perbia, di Crasso l'Avarizia, di Aglauro Tln- j)- divenire * ancor dal destro lato 
vidia, di Simoa Mago la simonia^ e fig. la ven- jj j ^^^ YmMxioX fra la beata gente, 
dita d« nublici umcii, del falso greco Si aoae ° » ' 

U Frode, di MaookcUo Io Scisma, di Faraone eùccacci9. 

rOslinatexza, di Giacarta la Perfidia. » Per salutare. * S*avrà. ^ Cioè Amore. 

* La Ba^ooe. ' Che. ^ Partito^ divisò, 4 U, 5 Venire* 


SECOLO DECIMOQUINTO 


I. A una fanciulla. E cominciò a parer buona fanciulla, 

SCHERZO ^ pregar quel, che si faccia più basso; 

Che molto del suo canto si trastulla. 

Madonna se ne vien da la fontana, Jl g^ill^ sempliciotto in basso scende. 

Contro l'usanza, con vuoto Torcetto; Allor la volpe altra malizia prende: 

E ristoro non porta a questo petto E dice: e' par che tu sia cosi fioco: 

Ne con Tacqua, ne con la vista umana. 1* ^o' insegnarti cantar meglio assai: 

ch'ella ha visto la biscia ruana Quest'è, che tu chiudessi gli occhi un poco: 

Strisciar per l'erba in su quel vialetto; Cedrai che buona voce tu farai. 

O che il can la persegue, o ch'ha sospetto -^ 6*''o parve che fusse un bel giuoco; 

Che stiavi dentro in guato la befana. Gran mercè, disse, che insegnato m'hai: 

Vien qua, Renzuola, vienne; che vedrai ^ chiuse gli occhi, e cominciò a cantaro, 

Una fontana, e due, e quante vuoi: Perche la volpe lo stesse ascoltare. 

Ne dal padre severo avrai rampogna. Cantando questo semplice animale 

Ecco che stillan gli occhi tutti e duoi. ^^^ g^i occhi chiusi,come i matti fannr. 

Cogline tanto quanto ti bisogna ; La volpe, come falsa e micidiale, 

E più crudel che sei, più ne trarrai. Tosto lo prese, sotto questo inganno , 

Brunelleschi. (^ ^^^^ poi mangiarsel sanza^ sale ). 
Cosi interviene a que'che poco sanno. 

II. Sopra Amore. Pulci, Morgante, cauto IX, 

L'Amor m'ha fattociero; e nonha tanto ^^* Lodi della vita mercan fesca. 
Di carità, che mi conduca in via: 

Mi lassa per dispetto in mia balia, I^» varii luoghi, a ponente e levante, 

E dice; or va, tu che presumi tanto. Tornati ricchi ne la patria siamo, 

Ed io,perchèmi sento in forze alquanto, Dove mostrar vogliamo 

E stimo di trovar chi man mi dia, Quanto sia degna cosa esser mercante. 

Vado: ma poi non so dove mi sia; Chi cercato ha la Francia e chi Lamagna, 

Tal che mi fermo dritto sur un canto. Chi Fiandra ed Ungheria, 

Allora Amore, che mi sta guatando, Chi qua l'Italia, e qualcun la Turchia , 

Mi mostra per disprezzo e mi ostenta, E tutti con fatica e mercanzia, 


E mi va canzonando in alto metro. Giustamente arricchiti, 



Leonello d'Este. H mondo e guadagnare? 

E qual maggior piacere^ 
III. La volpe e il gallo. Che poi saper di più cose parlare, 

„ . ,. ^ , , Venir in patria, e i poveri aiutare? 

nmgraziam la fortuna, 
Andandosi la volpe un giorno a spasso E il ciel sì liberale. 
Tutta affamata, senza trovar nulla, Senza il qual mai s'acquista cosa alcuna. 

Un gallo vide insu'n un * alber grasso*: Se voi sapeste la grazia e l'onore 
' la sa un. ■ Grasso, cioè grosso. * Sen«a« 


SECOLO DECIMOQUINTO 9 

Ch*han per tutto i mercanti; Star con Toche a filar sotto una balza. 

Massime noi, che il fiore Poliziano, Stanze per la giostra del magoiOco 

Siam poi di fede e d' ingegno fra tanti; Giuliano de'Medici, libro l. 

Voi partireste adesso tutti quanti. 

Ma bisogna fuggire V. Caccia di fiere. 

Ogni pravo costume, 

£ in piume non pensar mai d^arricchirc. Zefiro già, di bei fioretti adorno^ 

O nobil Fiorentini, o alti ingegni , Avea da'monti tolta ogni pruina; 
Che co' vostri consigli, Avea fatto al suo nido già ritorno 

Tanti principi e regni La stanca rondinella peregrina; 

Salvaste già d'infiniti perigli, Bisonava la selva intomo intorno 

Mandate a far più sperti i vostri figli, Soavemente a V óra mattutina; 
Più ricchi, e di più fama ; £ Tingegnosa pecchia, al primo albore. 

Che r oro e la virtù Giva predando or uno or altro fiore. 

Dan piùstatoe favor chePuomnon brama. L'ardito Ginlio,al giorno ancoraacerbo^, 

Che utile o piacer v' è, giovinetti, AUor eh' al tufo torna la civetta. 

All'ozio esservi dati ? Fatto frenare il còrridor superbo, 

£ con mille dispetti Verso la selva con sua gente eletta 

Per sì vii prezzo a bottega legati ? Prese il cammino; e, sotto buon riserbo, 

Ma quel eh' è peggio ancora esser tornati Seguìa de'fedei^ can la schiera stretta, 
A inebbriarsi, a i giochi, Di ciò che fa mestieri a caccia adorni, 

A vii donne viziose ; Con archi e lacci e spiedi e dardi e corni . 

Tutte cose da uomini dappochi ^? Già cirondato avea la lieta schiera 

Lorenzo de' Medici. Il follo bosco; e già, cou grave orrore. 

Del suo covil si destava ogni fiera: 

IV. Spettacoli della campagna» Givan seguendo i bracchi '1 lungo odore: 

Ogni varco da lacci e can chiuso era: 

Quanto e più dolce, quanto è più sicuro Di stormir, d'abbajar cresce il romore; 
Seguir le fere fuggitive in caccia, Di fischi e bussi tutto il bosco suona; 

Fra boschi antichi, fuor di fossa o muro, Del rimbombar de' corni il ciel rintrona. 
£ spiar lor covil per lunga traccia ! Con tal romor, qualor l'aer discorda, 

Veder la valle, e '1 colle, e l' aer puro, Di Giove il foco d'alta nube piomba; 
L'erbe, i fior, l'acqua viva, chiara eghiae- Con tal tumulto, onde la gente assorda, 

[eia; Da l'alte cataratte il Nil rimbomba; 
Udir gli augei svernar, rimbombar l'onde, Con tal orror, del latin sangue ingorda, 
£ dolce al vento mormorar le fronde ! Sonò Megera la tartarea tromba. 

Quanto giova a mirar pender da un'erta Qual animai di stizza par si roda, 
Le capre, e pascer questo e quel virgulto; Qual serra al ventre la tremante coda. 
£ '1 montanaro a l'ombra più conserta Spargesi tutta la bella compagna ', 

Destar la sua zampogna e'I verso ioculto: Altri a le reti, altri a la via più stretta. 
Veder la terra di pomi coperta. Chi serbain coppia i can, chi li scompagna. 

Ogni arbor da' suo' frutti quasi occulto: Chi già il suo ammette, chi'l richiama e al- 
Veder cozzar monton, vacche mugghiare, [Ietta; 

£ le biade ondeggiar come fa il mare ! Chispronailbuondestrìerperlacampagna, 

Or de le pecorelle il rozzo mastro Chi l'adirata fera armato aspetta. 
Si vede a la sua torma aprir la sbarra: Chi si sta sopra un ramo a buon riguardo. 
Poi quando muove lor col suo vincastro, Chihainman lo spiede, e chi s'acconcia il 
Dolce è a notar come a ciascuna garra *. [dardo. 

Or si vede il villan domar col rastro Già le setole arriccia, e ar ruota i denti 

Le dure zolle, or maneggiar la marra; 11 porco entro il burron; già d' ima grotta 
£ la coQtadinella scinta e scalza Spunta giù il cavriol; già i vecchi armenti 

X dappochi QcUtppocOy ài poco conto. * Nuovo. Appeaa fatto. 8 Fedeli. 

* Garrisca. 3 Compagnia. 


io CRESTOMAZIA POETICA 

De'cervi van pei pian fuggendo in frotta: Diventa Febo in Tessaglia an pasforey 

Timer grioganni de le volpi haspeoti; E 'n picciola capanna si ripone 

Le lepri al primo assalto vanno in rotta; Colui ch'a tutto *1 mondo dà spleiidorei 

Di sua tana, stordita, esce ogni belva: Né gli giova a sanar sue piaghe aceiiM, 

L'astuto lupo vie più si rioselva; Perchè ' conosca le virtù de l'erbe. 

£, rinselvato, le sagaci nare * Poi segue Dafne; e*nsembiansa si lagna. 

Del picciol br&cco pur teme il meschino; Come dicesse: o ninfa, non ten gire; 

Ma il cervo par del veltro paventare; Ferma il pie, ninfa, sopra la campagnai^ 

De 'lacci *1 porco, o del fi£ro mastino. Ch'io non ti seguo per farti morire: ' 

Vedesi lieto or qua or là volare Così cerva leon, cosi lupo agna, 

Fuor d'ogni schiera il gio van pellegrino *; Ciascuno il suo nemico suol fuggire: 

Pel folto bosco il fier cavai mette ale; Ma perchè fuggi, o donna del mio core, 

£ trista fa qual fera Giulio- assale. Cui ^ di seguirli àjiol cagione amore ? 

Qual il centaur per la nevosa selva Da l'altra parte la bella Arianna 

Di Pelio o d'£mo va feroce in caccia, Con le sorde acque di Teseo si dole. 

Da le lor tane predando ogni belva, £ de l'aura, e del sonno, che la inganna; 

Or l'orso uccide, or ri tioa minaccia; Di paura tremando come sole ^ 

Quanto è più ardita fera, più s'inselva; Per picciol ventolin palustre canna. 

Il sangue a tutte dentro al cor s'agghiaccia. Par che in atto abbia impresse tai parole: 

Lasciva trema,egli cede ogni pianta: [ta. Ogni iìera di te meno è crudele; 

Gliarboriabbatteosveglie^,oramischian- Ognun te più mi saria fedele. Cno 

Ah quanto a mirar Giulio è fiera cosa! Vien,sopra un carro d'edera e di pampì- 

Rompe la via dove più il bosco è folto, Coperto,Bacco;il qual duo tigri guidano: 

Per trar di macchia la bestia crucciosa; £ con lui par che l'alta rena stampino 

Con verde ramo intorno al capo avvolto, Satiri e Bacche; e con voci alte gridano. 

Con la chioma arruffata e polverosa. Quel siyedeondeggiar,queiparch'inciam- 
E d' onesto sudor bagnato il volto. [pino, 

Poliziano, ivi. Quelcon un cembal bee,quei parche ridano: 

Qua 1 fa d'un corno, e qua 1 de le man ciotola; 

VI. Favole effigiate da Vulcano sulle Qual ha preso una ninfa, e qual si rotola. 

porte della reggia di Venere. Sopra l'asin Silen,di ber sempre avide, 

Con vene grosse, nere, e di mosto amide, 

... . . Inun formoso e bianco tauro Marcido sembra, sonnacchioso e gravido, 

Si vede Giove per amor converso, Le luci ha di vin rosso, enfiate e fumide. 

Portarne il dolce suo ricco tesauro; L'ardite ninfe l'asinel suo pavido 

E lei volger il viso al lito perso, Pungon col tirso; ed eicon le man tumide 

In atto paventosa; e i be' crin d'auro A'crin s'appiglia; e, mentre si l'attiuano, 

Scherzan nel petto, per lo vento avverso; Casca nel collo; e i satiri lo rizzano. 
La vesta ondeggia, e indietro fa ritorno : Quasi in un tratto vista, amata e UÀU 

L'una man tien al dorso,e l'altra al corno. Dal fiero Pluto, Proserpina pare 

Le ignude piante a sé ristrette accoglie, Sopra un gran carro;e la sua chioma sciolta 

Quasi temendo il mar, che non le bagne*^. A' zefiri amorosi ventilare. 

Tale, atteggiata di paure e doglie. La bianca vesta, in un bel grembo accolta, 

Par chiami invan le sue dolci compagne: Sembra i colti fioretti giù versare. 

Le quali, assise tra fioretti e foglie, Si percuote ella il petto, ein vista piagne. 

Dolenti Europa ciascheduna piagne: Or la madre chiamando, or 1« compagne. 
Europa, sona il lito, Europa, riedi. Posa giù del leone il fiero spoglio 

il toro nota, e talor bacia i piedi. Ercole, e veste femminina gonna,* 

Fassi Nettuno un lanoso montone. Colui che *1 mondo da grave cordoglio 

Fassi un torvo giovenco, per amore; Avea scampato; ed or serve una donna: 

Fassi un cavallo il padre di Chirone: £ può soffrir d'Amor l'indegno orgoglio 

• Nari. 2 Raro, Eccellente. ^hi con gli omer già fece alcielcoUmnaj 

^ Svelle* -i Bagai. ' Che. a Uad a cui» s Suole* 


SECOLO DECIMOQUINTO 1 1 

£ quella man con che era a tenere uso Quando Ippolita ride onesta e pura, 
La clava poderosa , or torce un fuso. £' par che si spalanchi il paradiso : ^ 

Gli omer setosi a Polifemo ingombrano Gli angioli al canto suo, senza dimorò*/ 
L'arribiI chiomeyenel gran petto cascano; Scendon tutti dal cielo a coro a coro. 
£ fresche ghiande l' aspre tempie adom< Y non ardisco gli occhi alto levare, 

[brano. Donna, per rimirar rostra adornezza ; . 
Presso a sé par sue perore che pascano: Ch* i* non son degno di tal donna amare, 
Né a costui dal cor già mai disgombrano Né d*esser servo a sì alta bellezza : 
Li dolci acerbi lai che d'amor nascano *; Ma, se deguaste un pò* basso mirare, 
Anzi, tutto di pianto edolormac^ro, E fare ingiuria a la vostra grandezza, 

Seggiain un fròido sasso»appie d'un acero. Vedreste questo servo si fedele, 

l>a l'una e Taitra orecchia unarcoface' Che forse gli sareste men crudele. 
Il ciglio irsuto, lunga ben sei spanne: Che maraviglia è s* io soo fatto vago 

Largo sotto là fronte il naso giace; D'un sì bel canto, e s'io ne sono ingordo? 

Pajon di schiuma biancheggiar le zanne. Costei farebbe innamorare un drago, 
Tra' piedi ha il cane; e sotto il braccio tacp Un bavalischio ', anzi un aspido sordo. 
Una zampogna ben di cento canne; 1' mi calai: ed or la pena pago ; 

E guardai! mar, ch'ondeggia; e alpestre ' Ch' i'mi trovo impauiato,comenn tordo. 
Par canti, e mova le lanose gote; [note Ognun fugge costei quand'ella ride : 

E dica ch'ella è bianca più che il latte; Col canto piglia, e poi col riso uccide, [ra; 
Ma più superba assai ch'uua vitella; Pietà,donna,per Dio;deh non più guer- 

E che molte ghirlande le ha già fatte; Non più guerra, per Dio,ch*i'mi t'arrendo: 
E serbale una cerva molto bella; l' sun quasi che morto, i' giaccio iu terra. 

Un orsacchin, che già col can combatte ; Vinto mi chiamo, e più non mi difendo : 
E che per lei si macera e flagella. Legami, e in qualprigion tu vuoi,mi serra; 

E che ha gran voglia di saper notare, Che maggior gloria ti farò vìvendo : 
Per andare a trovarla infin nel mare. Se temi eh' io non fugga, fa un nodo 

Duo formosi delfini un carro tirano: De la tua treccia, e legami a tuo modo. 
Sovr'esso è Galatea, che 'l fren corregge: Io arei ' già un' orsa a pietà mossa ; 
E quei notando parimente spirano. E tu pur dura a tante mie parole. 

Ruotasi attorno più lasciva gregge: [no; Che arai * tu fatto poi che ne la fossa 
Qual le salse onaesputa,e quai s'aggira- Vedrai sepolto il tuo servo fedele ? 
Qoal parcheperamorgiuochie vanegge^. Ecco la vita, ecco la carne e l' ossa : 
La bella ninfa con le suore fide Che vuoi tu far di me, donna crudele ? 

Di sì rozzo cantar vezzosa ride. È questo il guiderdon de le mie pene ? 

Intorno al bel lavor serpeggia acanto, Dunque m'uccidi perch' io ti vo'bene? 
Di rose e mirti e lieti fior contesto ; Costei per certo è la più bella cosa 

Con varii auge! sì fatti, che il lor canto Che'n tutto 'l mondo mai vedesse il sole; 
Pare adir ne gli orecchi manifesto. Lieta, vaga, gentil, dolce, vezzosa, 

Né d'altro si pregiò Vulcan mai tanto ; Piena di rose, piena di viole, 
Nè'l vero stesso ha più del ver che questo: Cortese, saggia, onesta, graziosa, 
£ quanto l'arte intra se non comprende, Benigna in vista, in atto ed in parole : 
La mente, immaginando; chiaro intende. Così spegne costei tutte le belle, 

Poliziano, ivi. Come il lume del sol tutte le ste|Ie. 

Gli occhi mi cadder giù tristi e dolenti, 
VII. Alla sua donna, Ippolita Leon-' Com' io vidi levarsi in alto il sole ; 

dna. La lingua morta m'addiacciò fra' denti, 

E non potè formar le sue parole ; 

Chi vuol veder lo sforzo di natura, Tutti mi furon tolti ì sentimenti 
Venga a veder questo leggiadro viso Da chi m'uccide e sana quand' e' vuole ; 
D' Ippolita, che '1 cor co gli occhi fura; E mille volte il cor mi disse in vano : 
Contempli ilsuo parlar, contempli il riso. » Dimora. Indugio. « Basilisco, 

^Hucoao. > Fa, ' jUpestri. -♦ Vaneggi. ' Avrei. 4- Avrai. 


4S 


CRESTOMAZIA POETICA 


Fatti un po' innanzi, e toccagli la mano. 

Per mille volte ben trovata sia, 
Ippolita gentil, caro mio bene, 
Viva speranza, dolce vita mia : 
Deh guarda quel che a rivederti viene : 
Deb fagli udir la tua dolce armonia ; 
Dà questo refrigerio a le sue pene : 
Se '1 tuo bel canto gii farai sentire, 
Allora allor contento è di morire. 

Solevan già col canto le sirene 
Fare annegar nel mare i naviganti ; 
Ma Ippolita mia cantando tiene 
Sempre nel foco i miserelli amanti. 
Solo un rimedio trovo a le mìe pene : 
Cbe un* altra volta Ippolita ricanti. 
Col canto m*ha ferito, e poi sanalo ; 
Col canto niorlo, e poi risuscilalo. 

lo mi sento passare insin ne 1' ossa 
Ogni accento, ogni nota , ogni parola : 
E par che d*altro,pas(!er non mi possa ; 
Ch'ogni piacer questo piacer m'imbola . 
E crederei, s' io fossi entro la fossa, 
Risuscitare al suon di vostra gola ; 
Crederei, quand'i'fussi ne l'inferno. 
Sentendo voi, volar nel regno eterno. 

Voi vedete ch'io guardo questa e quella; 
E forse ancor n'avete un po' di sdegno: 
Ma non possa io veder mai sole o stella. 
S'io non ho tutte l'altre donne a sdegno: 
Voi sola a gli occhi miei parete bella, 
Piena di grazia e piena d'alto ingegno : 
Abbiatene di questo mille carte ^ : 
Ma, per coprire il vero, uso quest'arte. 
Poliziano, StrambolU. 

16. Amante disperato. 

La non vuol esser più mia , 
La non vuol la tradì torà : 
L'è disposta alfin ch'io mora 
Per amore e gelosia. 

La non vuol esser più mìa. 
La mi dice : Va' con Dio ; 
eh' io t' ho posto omai in oblio , 
Ne accettarti mai potria. 

La non vuol esser più mia. 
La mi vuol per uomo morto; 
Ne giammai le feci torto. 
Guarda mo che scortesia ! 

La non vuol esser più mia ; 
La non vuol che più la segua; 
La m' ha rotto pace e tregua 
^ Certezza. Sicurlà . 


Con gran scorno e villania. 

La non vuol esser più mia. 
lo mi trovo in tanto affanno , 
Che d'aver sempre il malanno 
lo mi credo in vita mia. 

La non vuol esser più mia : 
Ma un conforto sol m' è dato , 
Che fedel sarò chiamato ; 
Sarai tu spietata e ria. 

Poliziano, 

Vili. La fortuna. 

Porta la polve il vento in su le torre ^; 
£, benché m alto sia, polve si stima: 
Poi presto presto con furor ricorre, 
E la riporta in terra, ov'era prima. 
Così questa fortuna ognor discorre : 
Ora t'abbassa, ed or ti porta in cima. 

Serafino dall'Aquila, Strambollì. 

17. Mor gante e Margutte 
in un'osteria. 

Arcsti tu da mangiare e da bere? 
L* oste rispose: E' ci ha da godere... 
E' e' è avanzato un grosso e bel capffone. 
Disse Margutte: Oh! nonfiaun boccone. 

Qui si conviene avere altre vivande ; 
Noi siamo usati di far buona cera^: 
Non vedi tu costui, com'egli è grande? 
Cotesta è una pillola di pera. 
Rispose l'oste: Mangi delle ghiande: 
Che vuoi tu eh' io provegga or eh* egli è 
E cominciò a parlar superbamente, [sera? 
Tal che Morgante non fu paziente. 

Cominciai col battaglio a bastonare; 
L' oste gridava, e non gli parca giuoco. 
Disse Margutte: Lascia un poco stare , 
Io vo'per casa cercare ogni loco ; 
Io vidi dianzi un bufol drento ^ entrare : 
E' ti bisogna fare, oste, gran foco , 
E che tu intenda a un fischiar di zufolo, 
Poi in qualche modo arrostire quel bufolo. 

Il fuoco per paura si fé tosto ; 
Margutte spicca d.i sala una stanga : 
L'oste borbotta , e Margutte ha risposto; 
Tu vai cercando il battaglio t' infranga: 
A voler far quell' animale arrosto. 
Che vuoi tu tórre, un manico di vanga? 
Lascia ordinare a me, se vuoi, il convito» 

« Torri. * Mangiar laulamento, 

3 Dcatro. 


SECOLO DECIMOQUINTO 


45 


E finalmente il bufo! fu arrostito. 

Non creder con la pelle scorticata ; 
E' lo sparò nel corpo solamente. 
Parca di casa più che la granata : 
Comanda e grida, e per tutto risente : 
Un' asse molto lunga ha ritrovata, 
Apparccchiolla fuor subitamente; 
E vino e carne e del pan vi ponea, 
Perchè Morgante in casa non capea. 

Quivi mangiorno' le reliquie tutte 
Del bufolo, e tre stala di pan o piue, 
E bevvono a bigonce ; e poi Margutte 
Disse a quell'oste : Dimmi, aresti tue 
Da darci del formaggio o delle fruite? 
Che questa è stata poca roba a due ; 
s' altra cosa tu ci hai da vantaggio. 
Or udirete come andò il formaggio. 

L' oste una forma di cacio trovòe. 
Ch'era sei libbre o poro più o meno ; 


Morgante, poiché molto ebbe mangiato. 
Disse a quell'oste: A. dormire n'andremo, 
E domattina, com' io sono usato 
Sempre a cammino, insieme conteremo,. 
£ d'ogni cosa ben sarai pagato, 
Per modo che d'accordo resteremo. 
E l'oste disse, a suo modo pagasse, 
Che gli parca mil l'anni se n'andasse. 
Pulci, Morgante., e. XVIII, st. 


i5o. 


iS. Bellezze della sua donna- 


Chi non ha visto ancora il gentil viso 
Che solo in terra si pareggia al sole, 
E l'accorte sembianze al mondo sole, 
E l'atto dal mortai tanto diviso; 

Chi non vide fiorir quel vago riso 
Che germina di rose e di viole. 
Chi non udì le an^^eliche parole 


Un canestretto di mele arrecòe [pieno. Che suonan armonia di paradiso ; 


D'un quarto o manco , e non era anche 
Quando Mar^utte ogni cosa guardòe , 
Disse a quell' oste : Bestia senza freno , 
Ancor s'ara il battaglio adoperare ^ , 
S'altro non credi trovar da mangiare. 

È questo compagnon da fare a once? 
Aspetta, tanto ch'io torni, un miccino, 
E servi intanto qui con le bigonce ; 
Falche non tnanchi al gigante del vino , 
Che non ti racconciasse l'ossa sconce, 
1* fo per casa come il topolin.) : 
Vedrai s'io so ritrovare ogni cosa, 
E s' io farò venir qui roba a josa . 

Fece la cerca per tufta la casa 
Margutte, e spezza e sconficca ogni cassa, 
E rompe e guasta masserizie e vasa; 
Ciò che trovava, ogni cosa fracassa, 
Ch* una pentola sol non v' è rimasa. 
Di cacio e frutte raguna una massa , 
E portala a Morgante in un gran sacco, 
E cominciorno a rimangiare a macco. 

V oste co' servi impauriti sono , 
Ed a servire attcndon tutti quanti,* 
E*dice fra se stesso: sarà buono 
Non ricettar mai più simil briganti. 
E' pagheranno domattina al siiono 
Di quel battaglio, e saranno contanti : 
Hanno mangiato tanto, ch'in un mese 
Non mangerà tutto questo paese. 
'Mangiarono. * Tu. 

•* AJ a.l(>i'orjre. 


(^hì mai non vide sfavillar quel guardo 
Che, come strai di foco, il lato manco 
Sovente incende e mette finmme al core ; 

E chi non vide il volger dolce e tardo 
Del soave splendor tra il nero e il bianco, 
Non sa né sente quel che vaglia Amore. 

Bofardo, 

id. La Formica. 

Andando la formica a la ventura, 
Giimse dov' era un teschio di cavallo. 
Il qual le parve, senza verun fallo. 
Un palazzo real con belle mura. 

E quanto più cercava sua misura. 
Sì gli parca più chiaro che cristallo, 
E sì diceva: Egli è più bello stallo. 
Che al mondo mai trovasse creatura. 

Ma pur, quando si fu molto aggirata, 
Di mangiare le venne gran disio, 
E, non trovando, ella si fu turbala ; 

E diceva: Egli è pur meglio che io 
Ritorni al buco dove sono usata, 
Che morte aver; però ne vo'con Dio. 

Così voglio dir io : 
La stanza e bella, avendoci vivanda ; 
xMa qui non è', s' alcun non ce ne manda. 
^ ' Burchiello. 

' NvQ C'^ n'c. 


10 


CRESTOiMAZIA POETICA 


A fuggir il caler del sole ardente : 
Come fa un'ombra folta uè la strada ; 
Che par che inviti a riposar sott*essa 
) peregrini aifaticati e stanchi. 


Si riveston di foglie a primavera 
I boschi, ignudi nel tempo nevoso ; 
L'autunno Tuva fa matura e nera, 
E ogni arbor da novelli frutti ascoso 


Se poi nel mezzo stagna un'acqua pigra, Il mio duol mai non muta le sue tempre, 


corre mormoi'ando un dolce rivo, 
l'on salici a traverso, o rami d'olmo, 
O sassi grondi e spessi : acciocché l'api 
Fossan posarvi sopra, e spiegar l' ali 
Umide, ed asciugarle al sole estivo, 
S' elle per avventura ivi lardando, 
Fosser oagnate da celeste pioggia, 
O tuffate da i venti in mezzo l' onde. 
lo l* ho vedute a' miei dì mille volte 
Su le spoglie di rose e di viole 
( Di cui zeffiro spesso il rivo infiora ) 
Affisse bere, e solcar l'acqua intanto 
L* ondanti foglie : che ti par vedere 


E sono le mie pene acerbe sempre. 

Ma i giorni oscuri diverrian sereni, 
Se pietà ti pungesse il core un poco. 
Allor sariano i boschi e i fonti ameni. 
Se meco fussi, o ninfa, in questo loco : 
Andrian di dolce latte i fiumi pieni, 
Se amor per me il tuo cor ponesse in foco; 
E sì sonori i versi miei sariano, 
Che invidia Orfeo e Lino ancor n'ariano ^ . 

Corrimi adunque in braccio, o Galatea; 
Né ti sdegnar de' boschi, o d'esser mia. 
Vener ne' boschi accompagnar solea 
Il suo amante, e lì spesso si addormia : 


Nocchieri andar sopra i)archettc in mare. I^^i Luna, eh' è su in elei sì bella Dea, 

Intorno del ben culto e chiuso campo Un pastorello per amor seguia ; 

Lieta fiorisca l'odorata persa, E venne a lui nel bosco a una fontana, 

E l' appio verde, e l'umile serpillo, Perche donolle un vel di bianca lana. 

Che con mille radici attorte e crespe Di bianca lana i mi^i greggi coperti 

Sen va carpon vestendo il terren d'erba; Sono, come tu stessa veder puoi ; 


E la melissa, ch'odor sempre esala ; 
La mammola, l'origano, ed il timo, 
Che natura creò per fare il mele. 
Né t* incresca ad ognor l'arida sete 
A le madri gentil de le viole 
Spegner con le fredd' acque del bel rio. 

liucellaiy Api. 

XIIL Invito a Galatea. 


E ( benché maggior dono assai tu merli. 
Che non agnelle, capre, vacche o buoi ) 
L'armento e'I gregi;emio, per compiacerti, 
Il cane e l'asinel, tutti s:)n tuoi, 
E quanti frutti son per queste selve, 
E quanti augelli insieme, e quante belve. 

Un canestro di pomi l'ho già collo ; 
Un altro poi di prune e sorbe insieme : 
E pur or di palombi un nido ho tolto, 
Cheancor la madre in cima a l'olmo geme. 
Un capriol li serbo, che disciolto 
Tra gli agnelli sen va, ne del can teme i» 
Due tazze poi d'oliva, al torno fatte 
Da quel buon mastro, arai ^ piene di latte. 

Ecco le ninfe qui, eh' una corona 
Ti tessono di rose e d'altri fiori : 
Odi la selva e '1 monte che risuona 
Di fistole e sampogne di pastori : 


Ben mi raccorda quando lungo il rio 
Ti vidi prima andar Cogliendo fiori, 
Che mi dicesti : o caro Jola mio. 
Tu sei più bello tra tutti ì pastori ; 
E sol come tu fai, cantar desio ; 
Che i sassi col cantar par che innamori. 
Poi mi ponesti una ghirlanda in testa , 
Che di ligustri e rose era contesta. 

Oimè, allor mi traesti il cor del petto, Di fior la terra lieta s'incorona, 
E teco nel portasti, e teco or l' hai. E sparger s'apparecchia dolci odori. 

Ma, poi che si mi nieghi il dolce aspetto, Dfh vieni ornai : che null'altro ci resta 
Che debbo far, se non sempre trar guai ? Se non goder l'età fiorita in festa. 
D'ombrose selve più non ho diletto. Si spogliano i serpanti la Vecchiezza , 

Di vivi fonti prati, né arò * mai ; E rinnovan la scorza insieme e gli anni ; 

Non so più maneggiarla marra o'I rastro. Ma fugge e non ritorna la bellezza 
Né parmi de l'armento esser più mastro. In noi per arte alcuna o nu )vi panni, [za. 

Le fiere a i boschi pur tornan la sera, Mentre dunque sci tal,ch'ognun t'apprei- 
Dove di sua fatica hanno riposo j Deh vieni a ristorar tanti miei danni : 

*Avrò. * A velano, Avrebbero. 2 ^yraki. 


SEGOLO OEGIBIOSESTO 


17 


1 teinpo, ma in van, ti pentirai 
ramata graiia a me non dai. 
è, eh' io vedo pur mover le frondi, 
) ramminar per questa selva, 
la bella ninfa, ornai rispondi ; 
son r amante tuo, non fera belva, 
perchè mi fuggi e ti nascondi, 
imida cerva si rinselva ? 

Castiglione, 

Giuliano de' Medici , duca di 
ìours, defontOf alla moglie Fi- 
rta di Savoja. 

ma eletta, che nel mondo folle 
d^orror, sì saggiamente quelle 
[e, membra belle 
che beo Tallo disegno adempì 
de gli elementi e de le stelle, 
leggiadramente ornar ti volle 
>gni donna molle, 
z a piegar ne li viùi empi, 
>. aver da te lucidi esempi, 
i regal delizie, in verde elade, 
ito d'ogni mal secolo infetto, 
esser può d'un nodo saldo e stretto 
mma castità somma beltade ; 
ante contrade, 
vien per grazia e per virtute, 
*edel salute 

(da ; il tuo fcdel, caro consorte, 
levò di braccio a iniqua morte, 
uà a te ; che quel tanto quieto, 
:do, e, al tuo parer, felice tanto 
in travaglio e in pianto 
sottosopra ed in miseria volto : 
giusta e benigna ; se non quanto 
mi il suon di tue querele drieto 
ria far non lieto, 
»gni affetto rio non fosse tolto 
ui, dove è tutto il ben raccolto : 
al sentendo tu di mille parti 
già spento il tuo dolor sarebbe : 
lando me come so ch'ami, debbe 
più che '1 tuo gaudio rallegrarli : 
più ch'ai ritrarti 
la le mondane aspre fortune, 
ta che comune 

la fruir meco in perpetua gioja , 
d'ogni timor che più si moja. 
li pur, senza volgerti, la via ' 
auto hai sin qui sì drittamente : 
cielo e a le contente 

•soPÀADi, CrestQmaisiQ, II. 


Anime altra non è che meglio torni. 

Di me t* incresca ; ma non altrimenle 

Che, s'io vivessi ancor, t' incresceria 

D'una partita mia, 

Che tu avessi a seguir fra pochi giorni. 

£ se qualche e qnalch'anno anco soggi orni 

Col tuo mortai a patir caldo e verno, 

Lo dèi * stimar per un momento breve 

Verso quest'altro ( che mai non riceve 

I^è termine ne fin) vìver eterno. 

Volga fortuna il perno 

De la sua rota, in che i mortali aggira; 

Tu quel che acquisti mira; 

Da la tua via non declinando i passi, 

£ quel che a perder hai se tu la lassi. 

Non abbia forza il ritrovar di spine 
. £ di sassi impedito il stretto calle 
Al santo monte per cui al ciel tu poggi 2- 
Sì ch'a l'infida mal sicura valle 
Che ti rimane a dietro il pie declioe ^. 
Le piagge, e le vicine 
Ombre soavi d'alberi e di poggi, 
Non t'allettino sì che tu v'alloggi. 
Che se noja e fatica fra gli sterpi 
Senti al salir de la poco erta roccia, 
Non v'hai da temer altro che ti uoccia 
(Se forse il fragil vel non vi discerpi); 
Ma velenosi serpi. 

De le verdi, vermiglie e bianche e azzurre 
Campagne per condurre 
A crude! morte con insidiosi 
Morsi, tra'fiori e Perba stanno ascosi. 

La nera gonna, il mesto e scuro velo. 
Il letto vedovil, l'esserti priva 
Di dolci risi, e schiva 
Fatta di giuochi e d'ogni lieta vista. 
Non ti spiact'iano sì che ancor cattiva 
Vada del mondo, e'I fervor torni in gelo, 
Ch' hai di salir al cielo: 
Si che fermar, ti veggia pigra e trista. 
Che questo abito incolto ora t'acquista, 
Con questa noja e questo breve danno, 
Tesor, che d'aver dubbio che t'involi 
Tempo, quantunque in tanta fretta voli, 
Unqita non hai, ne di Fortuna inganno. 
O misero chi un anno 
Di falsi gaudii,oquattro osci, più prezza, 
Che l'eterna allegrezza, 
Vera e stabil, che mai speranza tema 

1 Devi. 

2 Filiberta^ dopo la morte del nkarilo , sì 
era ridotta io un monastero. 

* JDedifli. 


1 


m CRCSTOMAZU POETICA. 

altra aifetto non accresce o i^cema! Oietro al desìr, che come serpe annoda^ 
Questo non dico già perchè d* alcuno Di guadagni la loda [vitti 


IrVeuo a i de&iri in te bisogno cieda; 

Che da nuov*ultra teda 

Si) eoa ifuant*odio e quant*orror ti scosti: 

Ma dic(»l perrhè godo che proceda 

Cimic coaviensi, e cornee più opportuno 

Ver salir qui, ciascuno 

'luo passo; e che * tu sappia quanto costi 

Il meritarci i ricchi primi posti. 

Non godo meo, che a gl*ineffabil pregi 

f n<K «n»»! <««<« <•«• v>a<r<vì/v nh'in ^at^lr^x «krinr 


Che*! padre e gli avi e i tuoi maggiori in- 
Si guadagnar con Tarme a i gran conflitti. 

Ariosto, canzone III. 

XV. Ritratto delV amata. 

Chiòme d'argento fine, irte, ed attorie 
Senz*arte intorno ad un bel viso d'oro; 
Fronte crespa, u'* mirando, io mi Scoloro^ 


Che avrai qua SU, veggio ch'in terra ancora Dove spunta i suoi strali Amoree Morte; 


Arrogi un ornamento, che più onora 

Che Toro e l'ostro e li gemmati fregi: 

Le pomoe e i culti regi 

Sì riverir non ti faranno, come 

Di costanza il bel nome, 

£ fede e castità: tanto più caro, 


Occhi di perle vaghi, luci torte 
Da ogni obbietto disuguale a loro; 
Ciglia di neve; e quelle ond'io m'accoro 
Dita e man dolcemente grosse e corte; 

Labbra di latte; bocca ampia, celeste; 
Denti d'ebano, rari e pellegrini; 


Quanto esser suol più in bella donna raro. Inaudita, ineffabile armonia; 


Questo più onor che scender da l'augusta 
Stirpe d'antichi Ottoni, stimar dèi ; 
Di ciò più illustre sei, 
Che d'esser de'sublimi, incliti e santi 
Filippi nata, ed Ami ed Amidei, 
Che, fra Tarme d'Italia, e la robusta, 
Spesso a'vicini ingiusta. 
Feroce Gallia, hanno tanl'anoi e tanti 
Tenuti sotto il lor giogo costanti 
Con eli Ailobrogi i popoli de TAlpe; 
E di lor nomi le contrade piene 
Dal Nilo al Boristeue, 
£ da l'estremo Idaspe al mar di Calpe. 
Di più gaudio ti palpe * 

Questa tua propria e yera laude il core, Sendo, si fece quasi cittadino. 
Che di veder al fiore E tolse moglie, e s'accasò in Bibbiena, 

De'gigli d'oro, e al santo regno , assunto Ch'una terra è sopr'Arno, molto amena. 


Costumi alteri e gravi; a voi, divini 
Servi d'Amor , palese fo che queste 
Son le bellezze de la donna mia. 

Bemi, 

XVI. Il Berni racconta gli accidenti 
della sua vita , e descrive la sua 
natura» 

Qui era, non so come, capitato 
Un certo buon compagno fiorentino. 
Fu fiorentino e nobii; benché nato 
Fusse il padre e nutrito in Casentino: 
Dove il padre di lui gran tempo stato 


Chi di sangue e d'amor ti sia congiunto. 
Non poca gloria è che cognata e figlia 
Il Leon beatissimo ' ti dica, 
Che fa l'Asia e l'antica 
Babilonia tremar, sempre che rugge; 
E che già l'Afro in Etiopia aprica, 
Col gregge e colla pallida famiglia , 
Di passar si consiglia; 
E forse Arabia e tutto Egitto fugge 
Verso ove il Nilo al gran cader remugge. 
Ma da corone e manti e scettri e seggi, 
Per stretta affinità, luce non hai 
Da sperar che li rai 
Del chiaro Sol di tue virtù pareggi. 
Sol perchè non vaneggi 

' E perchè. * ral| i. 


3 il |iaj[>u Leone decimo fratello di Gtaliincf ne del Boccaccio 


Costui, ch'io dico, a Lamporecchio nao- 

Ch'c famoso Castel per quel Masetto *; x 
Poi fu condotto in Fiorenza, ove giacque 
Fin a diciannove anni poveretto: 
A Roma andò di poi, come a Dio piacque, 
Pieu di molta speranza e di concetto 
D'un certo suo parente cardinale, 
Che non gli fece mai ne ben ne male. 
Morto lui ^stette con un :>uo nipote: 
Dal qual trattato fu come dal zio: 
Onde le bolge trovandosi vote, 
Di mutar cibo gli venne disio; 
E sendo allor le laude molto note 

» Ove. 

a Mas<nto-da Lamporecchio^ nel Pccamcro- 


SEGOLO DECLMOSESTO 19 

he Serviva al Virario di Dio 1 anto era da lo scriver slraccb e morto; 

Sì i membri e i sensi aveva strutti ed arsif 
Che non sapeva in più tranquillo porto 
Da così tempestoso mar ritrarsi. 


oficiò che chiaman Datario, 

a star con loiper secretarlo. 

teva il pover uom di saper fare 


esercizio; e non nesapea straccio: Né più conforme antidoto e conforto 


30 non potè mai contentare. 
ttott uscì mai di quello impaccio: 
t peggio facea, più avea da fare: 

sempre in seno e sotto il braccio, 
e innanzi, di lettere un fastello; 
'èva, e stillavasi il cervello. 

tutto ciò viveva allegramente, 
[ troppo pensoso o tristo stava. 
sai oen voluto da la gente; 
I signor di corte ognun Tamava: 

faceto, e capitoli a mente 
ili e d^angnìlle recitava, 

altre sue magre poede, 
a tenute strane bizzarrie, 
forte collerico e sdegnoso, 
ingua e del cor libero e sciolto; 
I avaro, non ambizioso; 
lele ed amorevol molto, 
amici amator miracoloso: 
rche ehi in odio aveva tolto 

a guerra finita e mortale: 


Dar a tante fatiche, che lo starsi. 

Che starsi in letto, e non far mai niente, 

£ così il corpo rifare e la mente. 

Quella diceva eh* era la più bella 
Arte, il più bel mestier che si facesse: 
11 letto er'una veste, una gonnella 
Ad ognun bnona che se la mettesse: 
Poteva un larga e stretta e lunga avella ', 
Crespa e schietta, secondo ohe volesse: 
Quando un la sera si spogliava i panni, 
Lasciava in sul forzier tutti gli affanni. 
Berrii, Orlaodo iaoamoralo, canto LXVU» 

XVII. Contro gV ipocriti. 


Questo mostrar di non si contentare 
De la vita comunemente buona, 
£ voler far tra gli altri il singolare , 
Subito scanda]ezza la persona : 
£ fa tutto il liuto discordare 
pronto era amar* ch*a voler male. Quando una corda con l'altre non suona. 
:rsona era grande,magro e schietto: ^ di questo strafar convien che sia 
; e sottil le gambe forte aveva: . Cagione o fraude o superbia o pazzia. 
ìo grande; e '1 viso largo; e stretto La santità comincia da le mani , 
;io che le ciglia divideva: Non da la bocca o dal viso o da' paoni. . 

o rocchio aveva, azzurro e netto : Siate benigni , mansueti , umani , 


»a folta quasi il nascondeva, 
esse portata; ma il padrone 
con le barbe aspra quistione. 
nn di servitù già mai si dolse, 
ne fu nimico di costui, 
a consumarlo il diavol tolse: 
: il tenne fortuna in forza altrui. 


Pietosi a Taltrui colpe, a gli altrui danni. 
Non hanno a far le maschere i Cristiani: 
Chi non mostra quel ch'è, va con inganni, 
£ non entra per l' uscio ne l' ovile , 
Anzi è nn ladro, un traditor sottile. 
Questi son quella sorta di ribaldi 
A* quali il nostro Iddio tanto odio porta , 


i che comandargli il padroa volse*, £ con tra chi ^ par sol che si riscaldi: 
-i_ . 1. .^1 - 1 . Ogni altro error con pietà sopporta. 

O agghiacciati dentro, e di fuor caldi ; 
In .sepolcri dipioti, gente morta; 
Non attendete a quel che sta di fuori, 
Ma prima riformate i vostri cuori. 
Levate via la superbia , e la sete 
De l' oro , e la profonda ambizione , 
£ Podio che, da quella mossi , avete 
A chi dove vorreste non vi pone. 
Se fate A>sì dentro , non arete * 
Fatica a riformarvi le personel 
Che quando la radice via si toglie , 
' Averla, • Coi. » Avrete. 


servirlo venne voglia a lui: 
far da se, non comandato; 
I gli comandava, era spacciato. 
e, musiche, feste, suoni e halli, 
, nessuna sorte di piacere 
il mOTea. Piacevangli i cavalli 
ma si pasceva del vedere; 
•do non avea da comperalli '. 
suo sommo bene era in jacere 
[iongo, disteso; e *1 suo diletto 
i far mai nulla, e starsi in letto. 

marie. » VoU«. 
pcrarli. 


20 CRESTOMAZIA POETICA 

Getta Tarbor da se tutte foglie. Di quelle bestie che mordon coloro 

Benii, Oliando innammorato^ canto XX. Che fanno yoi pazzie da spiritati , 

£ chiamansi in vulgar tarantolati ; 

XVill. L'uomo descritto come E bisogna trovare un che, sonando 

piccolo mondo. Un pezzo,trovi un siion ch'ai morso ' piac- 

[ria^ 

Colui che pose nome piccol mondo Sul qual ballando, e nel ballar sudando, 

A l'uomo, ebbe d*ìugegno un rido dono: Colui da sé la fiera peste caccia. 

Che, da Tesser in fuor ', com*€gli, tondo, Chi questo e quello andasse stuzzicando 

Tutte l'altre faccende in esso sono. Con qualche cosa che gli satisfaccia , 

Ha del largo , del lungo , del profondo , La vena e la miniera troverebbe , 

Pel mediocre , del tristo e del buono : £ gli studii d* ognun conoscerebbe. 

Tutterle qualità de gli elementi Bemì^ Orlando innamoralo, canto Xtfi' 
Produce, piogge e nevi e nebbie e venti. 

Si rannugola spesso e rasserena: XIX. Sopra l'effetto che fa negli UO' 

La terra sua. or sì or no fa fruito ; mini ben nati il racconto delle a- 

Perch'eirè dove grassa e dove rena, zioni nobili e virtuose» 
Or ha troppo del molle or de l' asciutto. 

Torrenti e fosse d^ acqua e fiumi mena , Quando la tromba a l'aspra orrenda festa 

Che fanno 'l corso loro or bello or brutto : De Tarmi suona, e sveglia il crudo gioco,- 

Questi potrian chiamarsi gli appetiti , Il buon corsier , superbo alza la testa , 

Che sempre van , perchè sono infiniti, Levato in piedi; e sbuffa fumo e foco : 

£ son da le due ripe raffrenati : Gli orecchi e i crini squassa;e zappa e pesta. 

Vergogna e T una, e Taltra è la ragione : £ salta in qua c'n là , né trova loco. 

Le quai quando trapassan, son gonfiati , Traendo calci a chi se gli avvicina : 

E non han ne cervel ne discrezione : Ciò che trova fracassa, urta e rovina. 

Quando corron quieti , chiari e grati , Tal ad ogni atto degno e signorile 

Sono appetiti de le cose buone. Che scriva prosa o canti poesia , 

Que* venti , piogge , nevi, giorni e notti S'allegra il cor magnanimo e gentile 

Indovinate voi , che siete dotti. Ch' amico di virtù , di gloria sia ; 

Tra gli elementi , la disgrazia vuole E manifesta il cor alto e virile 

Che de la terra noi più parte abbiamo; Pel viso fuor quel che dentro diàa. 

£ che siccome è quella al cielo e al sole , Berni, Orlando innamorato, canto LUI, 
Così noi anche sottoposti siamo : 

In essa or quel pianeta or questo snoie XX. Alla città di Roma, 
Produr quel che miniere noi chiamiamo *, 

£ questa rosa è in noi per ecccllenzia Degna nutrice de le chiare genti, 

In numero , in grandezza , in differenzia. Ch*a dì men foschi trionfar del mondo; 

Chi crederà eh' ognun le sue miniere Albergo già di Dio fido e giocondo. 

Abbia de T oro e de gli altri metalli , Or di lagrime triste e di lamenti; 

Fin al salnitro? e pur son cose vere: Come posso udir io le tue dolenti 

Ma la fatica è a saper trovalii '. Voci, e mirar, senza dolor profondo. 

Chi si diletta d' ozio , chi d'averp ; Il sommo imperio tuo caduto al fondo, 

Di lettere uno , un altro di cavalli ; Tante tue pompe e tanti pregi spenti? 

Piace a q uesto il cantare, a quello il suono: Tal, così ancella, maestà riserbi, 

£ queste le miniere nostre sono. E sì dentro al mio cor suona il tuo nome, 

Le qnai , secondo che son più o meno Che i tuoi sparsi "vestigi inchino e adoro. 

Degne,hannopiù del piombo epiù de Toro. Che fu a vederti in tanti onor superba 

Un che sappia conoscere il terreno , Seder reina e incoronata d'oro 

È mo atto a scoprir questo tesoro. Le gloriose venerabil chiome! 

Come in Puglia si fa centra al veleno Guidiceiow, 

* Eccettualo Tessere. 

* Trovarli I 'Al morsicalo. 


SECOLO DECIMOSESTO 


21 


Velocità del tempo; caducità 
umana, 

ado miro la terra ornata e bella 
e vaghi ed odorati fiori ; 
me nel ciel luce ogni stella , 
lendono in lei varii colorì; 
1 fiera solitaria e snella , 
da naturai istinto , fuori 
chi uscendo e de V antiche grotte, 
cando il compagno giorno e notte; 
lando miro le vestite piante 
he* fiori e di novelle fronde; 
li uccelli le diverse e tante 
ci tontar dolci e gioconde , 
;rato romor ogni sonante 
bagnar le sue fiorite sponde ; 
i di se invaghita la natura, 
1 mirar la bella sua fattura ; 
I fra me pensando : quanto è breve 
nostra mortai misera vita ! 
imi tutta piena era di neve 
piaggia, or si verde e si fiorita ; 
aer turbato, oscuro e greve 
ezza del ciel era impedita ; 
te fiere vaghe ed amorose 
sole fra monti e boschi ascose, 
'udivan cantar dolci concenti 
:enere piante i vaghi augelli : 
I soffiar de* più rabbiosi venti 
Tan sec'he queste, e muti quelli : 
ggion fermar i più correnti 
dal ghiaccio, e* piccioli ruscelli : 
ito ora si mostra e bello e allegro, 
* la stagion languido ed egro. 
si fugge il tempo : e col fuggire 
ta gli anni e *1 viver nostro insieme, 
loi, colpa del Ciel, di più fiorire, 
{ueste faran, manca la speme : 
on d'altro mai che di morire^ 
sangue nati o di vii seme : 
ufo può donar benigna sorte^ 
srso di noi pietosa morte. 

Vittoria Colonna. 

. Vittoria Colonna al marito 
morto. 

icchi,chegiàmifur benigni tanto, 
ira a i miei, eh* al pianto 
sì larga e sì continua uscita : 
ime mutati son da quelli 


Che ti ^olean parer già così belli. 

L* infinita, ineffabile bellezza 
Che sempre miri in ciel, non ti distorni 
Che gli occhi a me non torni ; 
A me, cui già mirando ti credesti 
Di spender ben tutte le notti e i giorni. 
£ se '1 levarli a la superna altezza 
Ti leva ogni vaghezza 
Di quanto mai qua giù più caro avesti, 
La pietà almen cortese mi ti presti, 
Ch' in terra unqua non fu da te lontana: 
Ed ora io n*ho d*aver più chiaro segno ; 
Quando nel divin regno, 
Dove senza me sei, n'è la fontana. 
S'amor non può, dunque pietà ti pieghi 
D^inchinar il bel guardo a li miei preghi. 

Io sono,ioson ben dessa. Or vedi come 
IVrha cangiata il dolor fiero ed atroce ; 
Ch' a fatica la voce 
Può di me dar la conoscenza vera, 
f^ssa, ch*al tuo partir, parti veloce 
Da le guance, da gli occhi e da le chiome 
Questa, a cui davi nome 
Tu di beltate : ed io n'andava altera : 
Che melcr^dea, poiché in tal pregio t'era. 
Ch'ella da me partisse allora, ed anco 
Non tornasse mai più , non mi dà noja ; 
Poi che tu, a cui sol gioja 
Di lei dar intendea, mi venne manco. 
Non voglio, no, s'anch' iojion vengo dove 
Tu sei, che questo ed altro ben mi giove *. 

Come possibil è, quando sovviemme ^ 
Del bel guardo soave ad ora ad ora, 
Che spento ha sì breve ora, 
Ond'è quel dolce e lieto riso estinto ; 
Che mille volte non sia morta o muora ? 
' Vitloria Colonna, 

XXIIL Lodi della bellezza. 

Molte son le virtù : ne si ritrova 
Ch'uom o donna già mai tutte l'avesse ; 
Anzi son cosa inusitata e nuova 
Una di tante, e due *n un'alma impresse. 
Donne mie, questa è tal,ch'einon si trova 
Cosa che senza lei piacer potesse. 
Scevra da l'altre una virtù si prezza; 
Ma che piacque già mai senza beUezza? 

Volete voi veder, donne, il valore 
Ch'a questa sua diletta ha dato Dio ?. 
Di tutti gli altri ben ch'agogna uà core, 

X Giovi. 

» Sovvieumi. Mi sovviene. 


22 CRESTOMAZIA POETICA 

Venato il posseder, sazio è il desio ; CVor rinnovi or rivestaor pianti or cattgt, 

Di costei d'or in or cresce l'ardore, Por secondo il bisogao,or vigne or friitU>. 

Come per pioggia tempestosa rio : Alamanni, Goltiwsioae, lihn L 

Che dopo il vostro bel l'anima altera 

Noto bel cerca ; e 'n ciel trovarlo spera. XXV. La vita dell* agricoltore,.. 1/9 
Qual è giogo più dolce e più soave stato del popolo italiano nel^èéoìè 

Di quel cValta bellezza a l'alme pone ? decimosesto. Lodi della Frat%€iaiì 

L'esser vinto ad ogni uom suol parer grave .= '; 

Di ricchezza, di forza e di ragione ; beato colui che in pace vive 

Costei sola non par che'l vinto aggra.ve^; De i lieti campi, suoi proprio cultore : ^ 
Anzi acuto divien di gloria sprone ; A cui, stando lontan da l'altre genti, < 

£ fa lieti obbedir gli animi alteri. La giustissima terra il cibo apporta; 

Più-ch'oro posseder, gemme ed imperi. E sicuro il suo ben si gode in seno ! 
Lodovico Martelli, Lode delle donne. Se ricca compagnia non liai d'intorno 

Di jg[emme e d'ostro, uè le case ornate 
XXIV. Esortazione alV agricoltore Di legni peregrin, di ^tatue e d'oro; 
perchè s'industrii di migliorare lo Né le muraglie tue coperte e tinte 
stato del suo terreno. Di pregiati cobr, di veste aurate, 

Opre chiare e sotti l di Perso e d'Indo; ■ 

Il pio cultor non deve solo Se *1 letto genial di regie spoglie 

Sostener quello in pie, ch'il padre o l'avo K di sì bel lavor non aggia * il fregio 
De le fatiche sue ' gli ha dato in sorte ; Da far tutta arrestar la gente ignara; 
Mafar^col bene oprar ,che d'anno in anno Se non spegni la sete, e toi ' la fame ^ 
Cresca il patrio terren di nuovi frutti, Con vasi antichi, in cui dubbioso sembri 
Quando 1 albergo umìl di tìgli abbonda. Tra bellezza e valor chi vada innante; - 
Né veggia, oimè. tra pecorelle e buoi Se le soglie non hai dentro e di fuore 
La figlia errar dopo il vigesimo anno, Di chi parte e chi vien calcate e cinte; 
Senza ancor d* Imeneo gustar i doni, Ne mille vani onor ti scorgi intorno; 
Discinta e scalza, e di vergogna piena Sicuro almen nel poverello albergo, 
Fuggir piangendo per boschetti e prati Che di legni vicin del natio bosco. 
L'antica compagnia, che in pari etade E di semplici pietre ivi entro accolte, 
Già si sente chiamar consorte e madre : T'hai di tua propria man fondato e strutto, 
ISt i miseri figlìuoi, pasciuti un tempo Con la famiglia pia t'adagi e dormi. 
Pur largamente nel paterno ostello, 'i'u non temi d'altrui forze né inganni, 

JE di quel sol che ne i suoi campi accolse Se non del lupo: eia tua guardia è il cane; 
Dolci e nativi ; in tenerella etade. Il cui fedel amor non cede a prezzo. 

Di peregrin maestro ^ impio flagello Quando ti svegli a l'appariir de l'alba. 

Sentir, la madre pia chiamando indarno, Non trovi fuor chi le novelle apporte ' 
A le fonti menando, a i verdi prati Di mille a i tuoi desir contrarli eiiettii 

Le non sue * gregge; e le cipolle e l'erba. Ne, camminando o stando, a te conviene 
Lassi, mangiar, vedendo in mano a i figli A l'altrui satisfar più ch'ai tuo core. 
Del suo nuovo signor formaggio e latte : Or sopra il verde prato, or sotto il bosco, 
Siccome oggi addi vien tra i colli tòschi Or ne l'erboso colle, or lungo il rio, 
De i miseri cultor ; non già lor colpa, , Or lento or ratio, a tuo diporto vai: 
Ma de l'ira civil, di chi l'indusse Or la scure, or l'aratro, or falce, or marra, 

A guastar il più bel ch'Italia avesse. Or quinci or quindi,ov'il bisogno sprona, 

Or chi vuol ne l'età canuta e stanca Quando è iltempo miglior, soletto adopri. 

Di pigra povertà non esser preda* L'o£feso vulgo non ti grida intorno 

E poter la famiglia aver d' intorno Che derelitte in te dormin * le leggi. 

Lieta, e la mensa di vivande carca; Come a nuil'altra par ^ dolcezza reca 

Ne la nuova stagion non segga in vano : De l'arbor proprio, e da te stesso inser to, 

'Aggravi. *Loro. » Abbia. «Togli. » Apf orli, 

3 Padrone. 4 Loro. A Dormano. 5 Pari. 


SECOLO DECIMOSESTO $5 

fasta consorte e i cari figli Per bagnare il terreo di sangue' pio. 

in ogni stagion goderse ^ i fratti ! Fuggasi* iunge ornai dal seggio antico 
rne al suo vicin, contando d*essi L* italico TÌllan , trapassi 1* Alpi , 
:ara, il yalor. la patria e 'l nome ^ TruoTe ' il gallico sen, sicuro posi' 
suo coltivar a gloria e l'arte. Sotto Tali, signor, del vostro impero, 

lenar talor nel cavo albergo £, se' qui non avrà, come ebbe altrove , 

«iosa ìpin l'eletto amico; Così tepido il sol , s\ cbiaro il cielo ; 

ir de i sapor, mostrando come [già; Se non vedrà quei verdi colli ^tosclii , 
ba grasso ilterren, l'altro ebbe piog- Ove ha il nido più bel Palla e Pomona ; 
aesto e di quel di tempo in tempo Se non vedrà quei cetrì, lauri e mirti 
^osa narrar che torni in mente. Che del Partenopeo veston le piagge; 
i mostrar le pecorelle e i buoi; Se del Beoaco , e di mill' altri insieitfe , 

argli il fido can; mostrar le vacche, Non saprà qui trovar le rive e l' onde; 
trar la ragion che d'anno in anno Se non l'ombra, gli odor, gli scogli ameni 
oppiato più volte i figli « *1 latte: Che 'i bel ligure mar circonda e bagna ; 
enarlo ove stan le biade e i grani Se non l' ampie pianure e i verdi prati 
ii raonticei * posti in disparte. ' Ohe'l Po, l'Adda e'I Tesin girando infiora; 
posa fedel, ch'anco ella vuole [pò, Qui vedrà le campagne aperte e liete, 
àr ch'indarno mai non passe ^ iltetn^ Che, senza fine aver, vincon lo sguardo; 
nenie a veder d'intorno il mena Ove il buono arator si degna a pena 
la, il Un, le sue galline e l'uova. Di partir il vìcin con fossa o pietra : 
i dannesco oprar son frutti e lode. Vedrai colli gentil, sì dolci e vaghi, 
HH ritrovar, montando in alto, E'n sì leggiadro andar tra lor disgiunti 

ensa inculta di vivande piena Da sì chiari ruscei ^, sì ombrose valli » 

liei e vaghe; le cipolle e l'erba Che farieno ^ arrestar chi più s'affretta*. 

K) fresco giardin,ragnel ch'il giorno Quante belle sacrate selve opache 
tratto il pastor di bocca al lujpo , Vedrà in mezzo d'un pian , tutte ricinte , 
nangiato gli aveala testa e'I fianco. Non da crude montagne o sassi alpestri , 
>osa temer cicuta e tosco Ma da bei campi dolci , e piagge apriche l 

i cerchi il tuo regno o 'l tuo tesoro, La ghiandi.fera quercia; il cerro e V eschio 
ar la fame, senz'affanno e cura - Con sì raro vigor si leva in alto , 
■o che di dormir la notte intera, Ch'ei mòstrau minacciar co^ rami il cielo, 
rarsi al lavok* nel nuovo sole. Ben partiti tra lor ; ch'ogni nom direbbe 

i qaal paese è quello ove oggi possa, Dal più dotto cultor nodrite e poste^ 
oso Francesco, in Questa guisa Per compir quanto bel si truove in terra, 

tico cultor goderse in pace Ivi il buon cacciator sicuro vada • 

; fatiche sue sicuro e lieto? Né di sterpo o di sasso incontro tema , 

pà il bel nido ond'io mi sto lontano; Che gli squarce 'la veste, o serre® il corso. 
;tà l'Italia mia: che, poi che lunge Qui dirà poi con maraviglia forse , 
, altissimo re, le vostre insegne, Ch' al suo caro liquor tal grazia infonde 
i non ebbe mai, che pianto e guerra. Bacco , Lesbo obliando. Creta e Kodo; 
I campi suoi son fatti boschi. Che l'antico Falerno invidia n'aggia '. 

fatti albergo di selvagge fere,^ Quanti chiari , benigni , amici fiumi 

ati in abbandono a gente iniqua. Correr sempre vedrà di merce colmi! 
blco e '1 pastor non puote appena Ne disdegnarse * un sol d' aver incarco 
esso a le città viver sicuro ^ Ch'ai suo corso contrario indietro tòmi, 

remboal suo signor; che di lui stesso, Alma sacra Ceranta , Esa cortese , 
1 devria ^ vendicar, 'divien rapina, f^odan , Senna, Garun.ia, Era e Matrona , 
nero, il marron, la falce adunca groppo lungo saria conlarvi a pieno, 
cangiate le forme, e fatte sono , ^^^^. , ^^^^^^ 

t spade Ughenti e lance acute. 3 Fariaao. Farebbero. 

odersi* ^ MoaticeUi. ' Passi. ^ SoUiateadasi quelle selve, 

>ovrìa. Dovrebbe. ^ Squarci. 6 Serri. 7 Abbia. 8 Disdegnarsi. 


24 CRESTOiMAZIA POETICA 

Vedrà il gallico mar soave e piano: Corte Tacute orecchie , e largo e f iano'. 

Vedrà il padre Oceàu superbo in vista Sia l'occhio e lieto, non intorno cavo : 

Calcar le rive , e spesse volte, irato , Grandi e gonfiatele famose nari. 

Trionfante scacciar i fiumi al monte; Sia squarciata la bocca , e raro il criafl; 



Del cieco dominar, che spoglie ^ altrui Alta l* unghia, sonante, cava e dura ; 
Di virtù, di ))ietà , d'onore e fede ; Corto il tallon, che non si pieghi a tcnrt: 

Come or sentiam nel dispietato grembo Sia ritoi\io il ginocchio : e sia la coda 
D'Italia inferma , ove un Marcel diventa Larga, crespa, setosa, e giunta a l'anehei 
Ogni villan che parteggiando viene. Né fatica o timor la smuova in alto. 

Qui ripiena d' amor , di pace vera Poi del vario vestir, quello è piùin pregio 

Vedrà la gente ; e 'n carità congiunti Tra i migliar cavalier , che più risembra 
I più ricchi signor , Tignobil plebe , A la nuova castagna , allor che saglie *- 

Viverse ^ insieme , ritenendo ognuno , Da Tambergo spinolo, e 'n terra cade. 
Senza oltraggio d'altrui, le sue fortune. A gli alpestri animai matura preda : 

alamanni, GoliivazioDe, libro /• Pur che tutte le chiome, e'I piede in basso 

Al più fosco color più sieno appresso. 
XX\lJnvocazione a Cerere. Poi levi alte le gambe, e'I passo snodi 

Vago , snello e leggier- La testa alquanto^ ; 
£ tu, madre onorata,che lasciasti, Dal drittissimo collo in arco pieghi; 

Per consiglio divin, la figlia sposa E sia fermaadognor: ma l'occhio e'igoafdo 

Al suo gran rapitor, del tutto erede; Senipre lieto e leggiadro intorno giri 

Vien meco a dimorar nel tuo bel regno : £ rimordendoli fren di spuma imbianchi. 
Ch'or che in alto sta il Sol, ch'egli arde il A i fuggir, al tornar sinistro e destro *, 

[ giorno Come quasi il pensier sia pronto e leve. 
Tra i più lieti villan, discinto e scalzo , Poscia al fero sonar di trombe e d'arme 
Velato il capo sol de le tue spighe , Si svegli e 'nnalzi , e non ritruove ^ posa, 

Qui cantar m' udirai per campi e piagge Ma con mille segnai ^s'acconci a guerra. 
L' altere lodi tue; pur che tu voglia, Noi ritenga nel corso o fosso o varco 

Quando il bisogno fia , compagna farte *■, Contra al voler già mai- del suo signore. 
Vien tosto , vieni a noi succinta e snella: Non gli dia tema, ove il bisogno sproni, 
Né quella bionda treccia oggi si sdegni Minaccioso il torrente, o fiume, o stagno; 
Di talor sostener la corba e '1 vaglio Non con la rabbia sua Nettuno istesso : 

£ gli altri arnesi tuoi. Non tardar molto: Noi spaventi romor presso o lontano 
Che già ti chiaman le campagne e i colli, D'improvviso cader di tronco o pietra ; 
Ch'hanno a l'ultimo dì condotto il parto, Non quell'orrendo tuon, che s'assomiglia 
Per riposarlo poi nel tuo gran seno. AI fero fulminar di Giove in alto , 

Alamanni, CoUivatione, libro II, Di quell'arme fatai : che mostra aperto 

Quanto sia più d'ogni altro il secol nostro 

XX VII. Il cavallo. Già per mille cagion là su nemico. 

Mamanni, ColUvazione, libro II. 

Grande il cavallo , e di misura adorna 

£sser tutto devria ^, quadrato e lungo : XXVIII. Lodi di Bacco e del vino. 

Levato il collo ; e dove al petto aggiunge. 

Bieco e formoso; e s'assottiglie ^ in alto. famoso guerrier, di Giove figlio , 

Sia breve il capo, e s'assomiglie ^al serpe: II cui divino onor dispiacque tanto 

, _r , . o e 1- "^ 1^ ^^^ Giunon, ch'a morte acerba 

' Vedraosi. « Spogli. ' 

3 Viversi. Vivere, 4 Farli. ' Salta foori. Esce. 

5 Dovria. Dovrebbe. a Al volgersi a sioistra e a destra. 

6 Assottigli. 7 Assomigli . 3 Ritrovi. 4 Seguali. 


SEGOLO DECIMOSESTO 25 

'. iudasseaUof con nuovi inganni , Poi, quando a noi la rondinella riede, 

: Pincarco tuo gravida andava ; Che vigor, che dolcezza a i corpi e a l'alme 

conobbe il dì * come devea ' Dona il soave vin, ch*a le chiare onde 

do empier di sé l'altero nome ; Del rivo cristaliin sia fatto sposo! 

o il gran padre tuo, di lampi e tuoni Non ci porta ei ne i cor Ciprigna e Flora? 

iJf;or vestito e nubi cinto , Poi, che Febo, montando, al punto arriva 

itendo fallir le sue promesse , Onde le piagge e i colli in fiamma e in fuoco 

ìànào di duol tua madre ancise i Torna co' raggi suoi; ch'a pena ardis<^e 

n ìnaturo il parto uscisse fuore Trar la testa di fuor pur il lacerto ; 

[minato ventre. K'I buon parente Che dolce compagnia, che bel ristoro 

tesso ti pose, e tenne tanto , Si ritrova egli in quel leggiadro e chiaro, 

i il decimo mese aggiunse al fine. Senza fumo e calor, che il fresco e l'acqua 

le volte nato, a la sorella Fa di noi penetrar là dove ' questa 

i in man de l'infelice madre : Gir non può sola, o pia sudore apporta! 

Ninfe di Nissa ascosamente Indi che'l tempo vien ch'ogni arbor mostra 

i avesti nel sacrato speco. Spiegate al ciel le vaghe sue ricchezze 

scendo poi d'anni e d'onore, Nel tardo autunno; che quel ramo appare 

n, gli Arabi,iPersi,iB.tttrie gl'Indi Carco d'oro più fin, quell'altro d'ostro; 

quel che potea quell'alto germe Che dir si può di lui, che solo ha forza 

venne da Giove,e nacque in Tebe. D'ammorzar il venen che i pomibaaseco? 
i superbi trionfi, i regni e l'oro, Già lemembrae'lpoterdclseme umano, 

onor, tanta gloria e tante lodi Per ciascuna stagion, per ogni etade, 

i traesti allor, furon mortali: Non purnutre,sostieu, conforta, accresce, 

lerna memoria, il divin nome, Ma l'ingegno, il discorso, e l'altre parti 

chiamato dio, gl'incensi, i voti. Che dell'animo son , risveglia, e rende, 

, i sacrificii , il becco anciso, Se moderato vien, più acute e pronte. 

, i Silen ti sono intomo. Questo spoglia il titnor, riveste ardire, 

: mostrasti a noi quel sacro frutto , Porta in alto i pensier, pigrizia scaccia; 

acro frutto che ciascuno avanza , Né gli può cosa vii restare iuseno. 

i il poter divin terrena cosa. Questo ci mostra pian talor il monte 

ossi tra lor venuto allora Di Pierio, di Pimpla e d' elicona; 

o furo a quìstion Nettuno e Palla , £ ci- conduce ove le Muse e Febo 

ti contrasti alcun che dal tuo solo (^i fan d>r cose a maraviglia altere, 

iissima Atene il nome avrebbe. Chiara tromba sovrana, il cui gran suono 

potrebbe agguagliar con mille voci Di così raro onor il mondo ingombra, 

kita virtù cn* apporta seco Che mille altre cittadi, e Smirna e Rodo, 

e arbor tuo? che di lui privo, Sol per gloria acquistar, ti chiaman figlio; 

redovo e sol saria ciascuno? Tu 'l puoi saper; che lui compagno avesti 

ura de l' uom più saldo e vero Per far l'onde sigee sanguigne e '1 Xanto^ 

a sostegno alcun ; se questo prenda £ far troppo aspettar la casta sposa. 

isura e ragion , tra'l molto e 'l poco. Or non sa il mondo ornai, non è palese, 

Udo più gira il ciel ventoso e fosu'; Che questa é la cagion che L'edra antica, 

K>llo èinbando, e le fontane e i fiumi Perch'ai padre Leneo le tempie cinge, 

jati dal giel, e i monti intorno Al santo poetar ghirlanda sia? 
m canuto il pel, uccello e fera alamanni, Coltivasione, libro W. 

vede apparir, che stanno ascosi : 

il buon viator sicuro e lieto XXIX. Segni della tempesta 

nevi stampar, calcar i ghiacci , e della serenità» 

i questo liquor? chi ardente e vivo, 

d' un lustro antico, e non offeso Non sentiam noi, 

ide d' Acheloo, nel più gran verno Quando s'arma aquilon per farci guerra, 

[ mezzo l'Appennin portar aprile? Suonar d' alto romor gran tempo innanz i 
d dì. ^Dovea • ^ Fa peaetrare in qu^ parte di noi, dove. 


26 CRESTOMAZIA POETICA 

Le selve alpestri; e minacciar da lunge S*accorca e s*alza, e ne dimostra aperto . 

Con feroce mugghiar Nettano i lìti? Van desio di lavarse * e dolce speme. 

I presaghi delfin fuggirsi a schiera Or Timpura cornice a lenti passi 

Ove il futuro mal meo danno apporte * ? Stampar l'arena, e con voci alte e fioche' 


£ se dall'alto mar con più stese ali 
Rivolando tornar siseute il mergo, 
E con roco gridar fra cruccio e tema, 
D'un non solito suon ennpier gli scogli; 
O se ringorde folaghe intra loro 
Sopra.il secco sentier vagando stanno; 
O il montante aghiron» poste in oblio 
Le native onde sue, paludi e stagni, 
Consideriam fra noi volando a giuoco 
Sopra le nubi altarse *; allor chi puotc 
Ratto schivar il mar, si tiri al porto; 
£ chi ne sta lontan, ne i voti appelli 


Yeggiam sola fra se chiamar la pioggia. 

Né men la notte ancor sotto il suo tetto 
La semplice donzella il dì piovoso 
Può da presso sentir, qualor cantando 
Trae de la rocca sua Tinculta chioiAà; 
Che *1 nutritivo umor, montando in cima. 
De l'ardente lucerna ingombra il lume, , 
E scìnlillando vien di fungo in guisa. 

Cotal si può veder tra l'acqua e i venti' 
Il buon tempo seren ch'appresso viene, 
A mille segni ancor. Ciascuna stella 
Mostra il suo fiammeggiar più vago e lieto. 


£ Castore e *1 fratel; ch'ei n'ha mestiero. £ la luna e H fratel più chiaro il volto. 

Or dal notturno ciel cader vedrai, Non si veggion volar per l'aria il giorno 

Quandi) il vento é vicin, lucente stella, Le leggier foglie; né sul lito asciutto 

Di fiammeggiante albor lassando l'orme; Spande il tristo alclon le piume al sole: 

Or secchissima fronde , or sottil paglia Non con l'immonda bocca il lordo porco . 

Gir per l'aria vulamlo; or sopra l'onde Or dì paglia or di fien sciogliendo i fasci^ 

Leve piuma apparir vagando in giro. . Gli getta in alto: e già seggon le nebbie 

Ma se 'nvér l'Aquiion son lampi e fuochi, Dentro le chiuse valli, in basso sito: 
Se ■ "* 

Nuotan 

Che ^ ,, 

£ bagnandosi i crin, grayose e molli Sentonsi i corvi allor di chiare voci 

11 turbato nocchier le vele accoglie. Empier più spesso il ciel; poi lieti insieme,. 

. Quanti son gli animai che ti fan segno Dì dolcezza ripien, per gli alti rami 

De la pioggia che vien! L'esterno grue, Menar festa tra lor: che già le piogge 

De le palustri valli al ciel volando, Veggion passate, e con desio sen vanno 

La mostra aperta. Il bue con l'ampie nari^ 1 figli a riveder nel nido ascosi. 
Scile vando la fronte, l'a ria accoglie. Già non voglio io pensar ch'augello e fera 

La rondinella vaga intorno a l'onde Per segreto divin prevegga il tempo 

S'avvolge e cerca: e dal lotoso albergo Chiaro e fosco che vien, ne sian per fato 



Il nojoso garrir la rana addoppia. 
Or l'accorta formica a ratto corso, 
Con lunga schiera, a ritrovar l'albergo 
Intende, e bada a la crescente pròle. 


Di più senno o veder creati al mondo: 
Ma dove o la tempesta o '1 leve umore 
Van cangiando il sen tier(chè'l padre Giove,. 
Or con Austro or con Borea, or grossa oc 


Puossi, versoi! mattin, tra giallo e smorto Fa l'aria divenir), gli spirti'e l'alme [rara 
Ualor l'arco veder, che l'onde beve. Diversi hanno ipensier;chenascoa dentro 

Per riversarle poi. De i tristi corvi Dal variar del ciel. Però veggìamo, 

Veggonsi attorno andar le spesse gregge, Quando torna il seren, tra i verdi rami 
Di spaventoso suon l'aria ingombrando. Dolce cantar gli augei, scherzar le gregge, 
Ogni marino uccello , ogni altro insieme £ più lieto apparir cantando il corvo. 
Ch'aggML *' ia stagno, in palude, o 'n fiume 

albergo, 
Sopra il lito scherzar ripien di gioja 
Veggiam sovente: e, chi la fronte attuifa 


Alamanni^ CoUivazione, libro VI» 

XXX. Bellezza di Apollo. 


Sott'acqua, e bagna il sen; chi ne l?asciatto 

* Apptfirli. fi Alzarsi. 

3 D.Ua parte di Zefiro « d*Eiiro, * Abbia. 


Ma, quale al maggior di la bianca aurora 
Lieta mostrarsi in oriente suole ; 
.* Lavarsi» 


I 


SKCOI*0 DECIMOSESTO 27. 

* 

esca rosa che pur nasce ai lira, 

(e ancor come poi punge u sole ; • XXXIII. A Zefiro, • . ' 

er le piagge che dipinge l' óra ^ , 

vermiglie e candide viole ; Perchè spiri con voglie empie ed acerbe* 

più mi parca, guardando, quello Facendo guerra a PondeaUeeschiumosei 

3 ragiono ',alIor, leggiadro e bello. Zefiro, usato sol fra piagge ombrose 

>ei,.che vinceanp e l'ambra e l'oro, Mover talor col dolce fiato Fcrbe? 

m nel collo, ch'ogni neve oscura: Ira sì gravt*, e tal rabbia si serbe^ 

birlanda pur di yerde alloro . Contr'al gelato verno; or dilettose 

la fronte sua candida e pura; Sono le rive, e le piante frondose,. 

I, quale al suo virgineo coro £ eli fiori e di frutti alte e superbe. 

lana par^r, poi che sicura Deh tornaa l'occidente, ove t'intita» 

vista mortai, tra fiori e fronde Col grembo pien di rose e di viole, 

1 casto sudor ne le fresch'onde. A gli usati piacer la bella Glori. 

Alamanni, Odi l'ignuda State, che smarrii^ 
Di te si duol con gravi alte parole,. 

Gaspara Stampa a CoUaìtino E pregando ti porta e frutti e fiori. 

de'contì di CoUaltio. Bernard» Tatto, 

lasciate. Signor, le maggior cure, XXXIV. Sopra un pappagallo che 
vcacciando io questa età fiorita, eduoavasi da una dama, 

iche,'o periglio de la vita, 

egi, alti onori, alle venture. ^ago augelletto da le verdi piume, 

questi colli, in queste alme e sicure Che, peregrino, il parlar nostro apprendi , 
campagne, dove amor nMnvita, Le note attentamente ascolta e'ntendi, 
IO insieme vita alma e gradita, Che Madonna dettarti ha per rosttHne; 

il Solde'nostr'occhi al fins'oscure'. E parte ' dal sua ve e caldo lume 
he tante fatiche e tanti stenti De'suoi begli occhi l'ali tue diffondi; 

vita più dura; e tanti onori Che il fuoco lor (se, com'iofei *, t'accendi) 

per morte poi subito spenti. Non ombra o pioggia , e non fontana o 

coglieremo a tempo e rose e fiori fiume, 

! e flutti; e con dolci concenti Ne verno allentar può d'alpestri monti; 

ìm con gli uccelli i nostri amori. Ed ella^ ghiaccio avendo i pensier suoi, 
Gaspara Stampa, Pur de l'incendio altrui par che si goda. 

Ma tu da lei leggiadri accenti e pronti^ 
XXXII. Al medesimo. Discepol novo, impara: e dirai poi: 

Quirina, in gentil cor pietate è loda, 
r verrebbe teco * 

» partir. Signore; Quel vago prigioniero peregrino, 

osse più meco Ch'ai suon di vostra angelica parola . 

*■ con gli occhi tuoi mi prese Amore. Sua lontananza e suo career consola; 
[qùe verranno teco i sospìr miei; E 'nciò men del mio fero bave ^ destino; 
1 mi son restati Permesso'^ tutto, e 'l bel monte vicino 

mpagni e grati; Vincer potrà , non che Calliope sola.- 

>ci e gli omei. Da'si dolce maestra, e 'n tale scola 

:drai mancarti la lor scorta ^, Parlar ode ed impara alto e divino. 

ch*io sarò morta . Ben lo prego io ch'attentamente apprenda 

Gaspara Stampa, Cpn quai note pietà si svegli, e come 

Vera eloquenza un cor gelato accenda» 
Sì dirà poi: che tra sì bell^ chiom» 

«. • Apollo. ' Serbi. ' 

ntr\, A D« che. S Goin|«giiia. * s Parimente. Insieme. Al medesimo tempo. 

3 Feci. 4 H«. 5Paroa80% ■ 


ViH CRESTOMAZIA POETICA 

l'.'ii Ni Ih-^Ii «H'v'bt Amor già mai Qooscenda, Non era ambizion ne'petti loro; 
^>(u-iUt ó uotU) e vtoenu al vostro nome. Ma '1 mentir abborrian più che la morte; 

Velia Casa. Né vi re^va ingorda fame d*oro. 

Se 'ì Ciel v'ha dato più beata sorte; 
XXXV. A una foresta. Non sieu quelle virtù, che tanto onoro. 

Da le nove ricchezze oppresse e morte. 
iU»lc« selva» solitaria, amica ^ Delia Casa. 

IVmitfì ueiuieri sbigottiti e stanchi; 

Mi'ulr^^ dureai ne*dì torbidi e manchi, XXX Vili. Amori pastorali. 

UVritdo gel Taere e la terra implica; 

K la tua verde chioma, ombrosa, antica, Filli, io non son però tanto deforme 
(Amicla mia» par d*ogn*intorno imbianchi, (^^ '1 vero.a gli occhi miei qaest' ac<|na 
l>r vh<»*u vei^e di fior vermìgli e bianchi. Che tu, che sola puoi farmi felice, [dice, 
\\a neve e ghiaccio ogni tua piaggia aprica; Non dovessi talor men feraaccorme '. ', 
A questa breve nubilosa luce Non pascon de le mie più belle torme, 

Vo ripensando, che mi avanza; e ghiaccio Ne ha più grassi agnei ' questa pendice: 
(ìli «pirli ancViosento e le membra farsi. Ben già, ma non l' intesi, una cornice 
I^lapiùdì te dentroe d'Intorno agghiaccio: Predisse il fato al mio voler disforme, 
i^hè più crudo Euro a me mio verno ad- Io vorrei, Filli, sol per queste valli» 

[ duce. Senza punto curar d'armento o gregge, 
Più lunga notte; e dì più freddi e scarsi. Vivermi teco infino a l'ora estrema... 

Velia Casa. Con cui parli, meschin?che pur vaneg^eT 
Non vedi un lupo là fra quei due calli, . 
XXXVI. A Dio. Da cui fugge la mandra, e tutta trema? 

Questa vita mortal^che *n una o*n due Pastor, cheleggi in questa scorza e iir 
Brevi e notturne ore trapassa, oscura [quella 

K fredda, involta avea fin qui la pura jFi7/i scritto e Damon che Filli onorai 
Parte di me ne l'atre nubi sue. Sappi che tanto fu pietosa allora 

Or a mirar le grazie tante tue Fìlli a Damon, quant*or gli è cruda e fella. 

Prendo: che frutti e fior, gelo ed arsura. Io pur la chiamo, io pur la prego; edella, 
E sì dolce del ciel legge e misura. Misero!, non m'ascolta, e fugge ognora; 

Eterno Dio, tuo magisterio fue '. E quanto fugge più, più m'innamora; 

Anzi '1 dolce aer puro, e questa luce E mi par sempre al suo fuggir più bella. 
Chiara , che *1 mondo a- gli occhi nostri L'altr'ier, menando a ber la greggia al 

[scopre^ Tutta soletta a pie d'un bianco ulivo [rio, ' 
Traesti tu d'abissi oscuri e misti. La vidi ch'intessea fragole e fiori: * 

£ tutto qiKlche'n terra o'n ciel riluce; Ma Licisca abbajò; perch' *■ ella fuori 
Di tenebre era chiuso, e tu l'apristi; Da gli occhi mi sparì sì ratta, ch'io 
E '1 giorno e'ISol de le tue man son opre. Rimasi, e sommi ^ ancor, tra morto e tivo. 

Delia Casa. 

Appena potev'io, bella Licori, 

XXXVII. Sopra la città di Venezia. Giunger da terra i primi rami ancora, p 

Quando ti vidi fanciuUetta foora 

Questi palazzi e queste logge or colte. Gir con tua madre a coglier erbe e fiori. 

D'ostro, di marmo, e di figure elette; Possa io morir, se di mille colori 

Fnr poche e basse case insieme accolte, Non sentii farmi tutto quanto allora: 

Deserti lidi, e povere isolette. Ne sa pea ancor che fosse amor: ma ora 

Ma genti ardite, d'ogni vizio sciolte, Ben me l'hanno insegnato i miei dolori. 

Premeano il mar con piccìole barchette; Già viss'io presso a te felice e lieto: 

Che qui, non per domar provincic molte, , j,^^^.^ Acooyliermi. « AffoelK. 

Ma fuggir servitù, s'eraa ristrette. a Vaneggi. . 4 P«r la qcal co».- 

' Fu. 5 Sonmi. Mi sono. Soao. 


\ 




SECOLO DECIMOSESTO 29 

! lungemi distempro e doglio; In rimirando te, non pure acqueto, 

•n questa selce e quel ginebro. Ma per dolcezza esco di vita fuore. 
ro pensando (e in questo sol m'ac- Farchi, 

[ queto) 
igiar tosto deggio, non pur voglio XXXIX. Sopra la primavera . 
l Arno a TAniene e 'I Tebro, 

Ecco il fiorito aprile, 

D j M o N E Che scaccia il pigro gelo; 

, questa vezzosa ornata gabbia, £ zefiro gentile, 

bel raperln, che sale al dito, Ch'a l'aere oscuro il velo 

i manda: ed io per lui t'invito Di nebbia toglie, e rasserena il cielo, 
on osa a gran pena aprirle labbia) Cantiam, Lirolrhi tutti, 

1 piaccia venir, rome il sole abbia L*alma stagione amica, 

portato il giorno, in quel fiorito Che ne promette i fruiti 

»ve amor Tebbe per te ferito; D'ogni nostra fatica, 

che muore ognor, vita riabbia. In questa piaggia dilettosa, aprica: 
il vederti a lui può dare aita; Ove a noi gli arboscelli, 

guardo di te può torgU morte; Scossi da i vaghi Amori, 

- lo puoi tu lieto e felice. Spargeranno i capelli 

N A P E ^ De. gli odorati fiorL, 

o farò, Damon: così partita che s'aprono al venir de' nuovi albori . 
via più tosto, e 'u via più corte Voi che del puro fondo 

prisse il sol questa pendice. Abitatrici siete 

Di quf ste fonti, il biondo 

e jì R I N o Crin fuor omai traete: 

iam, saggio Damon ; che fra quel- Che le vostre acque son tranquille e quete. 
ìésso abitar candida biscia, [l'erba Venite, prego,^ o Dee 

sferza del sol s'infoca e liscia, Sante, e voi Dei silvestri, 

re lingue fischia alU e superba. Oreadi e Napee; 

la là, ch'ella si fugge e inerba Venite co'canestri: 

)0 ecespo, e viasguizzandoslrisciaj Satiri, e voi, co'pic veloci e dentri, 
dietro di se lasciando striscia, Tempo è che si ritorni 

rnaU da lei la polve serba. x i dolci usati balli. 

D A sto N B Fuggono i brevi giorni: 

temer, Carin mo; ch'aperto segno £ risonar le valli 

Uà il ciel ch'a glorioso fine ^m gli augellctti, tra fior bianchi e giallit 
'andranno e i miei cortesi ardori. Qaanto diletta e piace 

jono io teco; e tu, se quelle spine Questa stagion novella! 

tan, veder puoi l'alto sostegno, pgj^ tu, che la face 

le la tua vi la, apparir fuori. Spregi di Amore, o bella 

E più che orsa crudel, mia pastorella; 
ito bianco monlon, che da se torna Mentre che primavera 

landria la sera; pv'io l'inchiavo j^^j juo bel viso appare, 

mie mani, e la mattina il cavo, j^q^ gjf superba e fera: 

;hfi a l'oriente il di s'aggiorna; cjj»j^ queste dolci e chiare 

i, l'aer ferendo con le corna, Verran poi dietro l'ore fosche, amare; 
superbo, e più che un toro bravoj £ jj ^ua vita in breve 

ririnto mio, pettino e lavo: Porteran seco il verno, 

icca, di mille fiori adorùa. £ la pioggia e la neve: 

lue' begli occhi, ov'ha il suo nido (^^je, oh dolor interno! 

i volgi una sol volta lieto, [Amore, jg stessa avrai, com' or me lasso, a schema, 
tla ti donai l'anima e 'i core* Marmitta, 

felice morrò; ch'ogni dolore, 


«0 Cr.ESTOMAZIA POETICA 

Appena vie n tra noi, che si disperde, 

aL. AlVimperatore Carlo quinto. E qaasì insieme appare e si nasconae, : 

Mortai beltà, ch*a un punto è secca e verdc^ 

Dopo tante onorate e sante imprese, Nettuno è il padre mio,re di quesl*onde$ 

Cesare invitlo, in quelle parti e in queste; Né pescator è qui presso o lontano, 

Tante e sì strane genti, amiche e infeste, Che più di me di nasse o refi abbonde. 

Tante volte da voi vinte e difese; Chi nuota più ? chi più destra la mano 

Fatta r Affrica ancella, e Tarmi stese Tiene al pescar; sia pur la notte o'lg;ioriuK 

Oltre l'occaso, poi ch*in pace aveste Sia pur turbato il m^ir, sia quef o e pianof 

La bella Europa; altro non so che reste * Dehvieniormai:lapioggia,il litointorno 

A far vostro del mondo ogni paese. Ti chiama meco al'ombra; edioti chiamo, 

Ch*assalir l'oriente, e *ni!ontr' al sole Di questo lauro di bei rami adorno: 

Gir tant' oltre vincendo, che, d'altronde Poiché lasciai per te già l'esca e l*amo, 

Ginata l' aquila al nido ond*ella uscio. Rota, Egloghe pescatone, Egloga FJÌ, 

Possiate dir, vinta la terra e l'onde, 

Qual umil vincitor, che Dio ben cole: XLIf . Le bugie. 
Signor, quanto il Sol vede, è vostro e mio. 

Caro. Di bugie da diverse bocche uscite. 
Donne, compost' oggi è la schiera nosfrA: 

XLI. Canzone amorosa di un Che, preso corpo e forma, insieme unite 

pescatore. Ci siam , per farvi una leggiadra mostra. 

E, per narrarvi apertamente il vero, 

O sorda più del mar nata di scoglio , Qual il nostro esser sia ; 

Nutrita di velen da le balene; [glio. (Ma chifia mai che creda a la bugia? ) 

Deh ferma il passo, e rompi il duro nrgo- Queste ch'ai lor pomposo abito altero 

L'istoria de le lunghe aspre mie pene Sembrano avere i mpero 

Non ti dirò; ch'annoverar sarebbe Sopra noi altre, son quelle che fuori 

Tutte di Libia le minute arene: Mandar soglion sovente 

Basti saper che ben mi si dovrebbe Tra l'idiota gente. 

Giusta pietà da que' begli occhi onesti, A varii effetti, i principi e signori: 

Onde la fiamnia al cor ne venne e crebbe . £ quant'essi han più de gli altri potere. 

So che conosci Alcìppe, che intendesti Son elle ancor qui più ricche a vedere. 

Quanto ardea già di me; né mai la volli: Noi, quantunque d'origine men chiara, 

Così l'anima mia legar sapesti. State pur siam prodotte 

Ornai ti san chiamare i sassi; i colli: Da begli ingegni, e da persone dotte. 

Tante volte io ti chiamo, e così spesso Benché private. £ se fortuna avara 

Son da quest'occhi il di bagnati e molli. Non ci ha fatto sì cara 

Io son Sebeto tuo; se pur me stesso Veste, e sì ricca d' ostro e gemme ed oro, 

Conosco bene, e tu '1 conosci: ascolta: Non per questo il valore 

Iosonqueich'eradtanxi,io sonquel desso. Nostro é punto minore , 

Questa colomba che a la madre ho tolta Né d'arte o di saver cediamo a loro. 

Stamannel nido, e Ira fior bianchi e gialli In carro andiam, s'esse a cavaUo; e spesso 

Questa ghirlanda in mille nodi avvolta Scorriam non men di lor lungi eda presso. 

Io tHio serbato, e questi bei coralli, Di quanto giace qui sotto la Imuii 

Purpurei e bianchì, che del nostro mare Se si riguarda bene, ^ 

Colsi l'altr'ier ne'locidi cristalli. Poche cose ci son che non sien piene 

Èombra, arni non é quel ch'esser pare, Di noi: ch'a raccontarle ad una ad WM, 

Quel ch'ir ti fa superba: è men d'un fiore, Saria cosa importuna. 

Ù» non sarà diman cnm'oggi appare. Mirate a l'arti: i medici, i mercanti, 

Non vive sempre il bel vivo colore I poeti, i pittori. 

Del giglio^ e in un matlin la spina perde £ fino gli scrittori 

lì tesor de le rose, il breve onore. Dell'istorie, si adoruMi tutti guanti 

' R«sU, De r opra nostra . £ »' ella ogma dU#tla, 


SINGOLO DECIMOSESTO Si 

I pur che 901 siam cosa perjTetta. In Tolontario esìlio si son messi, 

hi farne di voi può più verace Nuove terre cercando e nuovi lidi, 
lonne amorose? ' Nel principio dei mondo fur concessi 

volte a che scandoli, a che cose, A gli animai da Dio ^i privilegi 

)sta una bugia hen detta, pace ! i^ Quei doni che chiesero egli stessi, 
che giova e piace Come nuovi vassalli a nuovi regi» 

ido tanto, fu colui ch*a* suoi Gran popob di loro ivi convenne ; 

;e hen s' estima. Quali a i comodi iotenti> e quali a i fregi. 
H Dostr'uso in prima Tra gli altri la testuggine vi venne; 

I* altri ad altro n* adoprassi ^ poi), E chiese il poter sempre, o vadto seggio , 

ede per care e fide ancelle 'i'rar seco la sua casa ; e *1 dono otleone. 

i amanti e de le donne belle. ^^ Dimandata da Dio perche gii chieggia 

^ciaa 



iveggiaj 

_ , , braccia 

minor pregio i lor padri hanno; Tor questo peso tutti gli anni miei, 

l'a piede vanno, Che non poter schifar quando mi piaccia 

loc' oltre si distenhe il grido ; Un mal v icin . Che du oqne dir potrei 

più de le volte De' tempi nostri, se da quei d' Adamo 

1 restar sepolte Già s^ebbe tema de* vicini rei ? 

>lgo iguaro, ov'ebber prima il nido; Tansillo, Podere, capitolo /. 
lè son con poca cura nate, 

iltre son gobbe, altre sciancate. XLIV. Incomodità e danno deWaver 

ual lingua sì pronta, o quale stile, cattivo vicino in villa, 
i , eh* a parte a parte 

e voglia dir V industria e l'arte, Nessun potria pensar quel che grimporti 

'esti anzi al fin derisa e vile? L*aver ( se prima non ne viene a prova) 

lima gentile Buoni vicini o rei, deboli o forti, 

trova, fu mai, che facesse 11 reo vicin mi noce, il bui^n mi giova; 

in guerra cosa Col povero ho speranza d* al largar me , 

t e gloriosa, ^ K*l ricco fa ch*uom passo mm si mova, 

l nostro valor non si vale.«sf? Se*l poder compro per talor qui tarme, 

la turba pur: che ben s* inganna Sebo mal vicino, a capoal letto,al6aiicOy 

ique il nome di bugia condanna. La notte e'I dì convienmi tener 1* arme. 

dui. Sia fertil qi auto uom vuol; se a destro 

[omancd 

XLIII. La testuggine, QualriteAutolicostammioqaalcheCacco, 

. . -,^_ „__ ^ Non vale il mio poder la metà manco ? 

FA TOLETTA ^^y^ ^ Pomona, a Cerere ed a Bacco,- 

t che1 poder sia nostro,non solo esso ^^^ ^^^^ *^\ minacce né d'accusa > 

bbiamo e mirare e squadrar bene , ^^^ eh* empia in terra altrui la corba oti 

cor le terre che gli stan da presso: , ^ [ sacco, 

ile, se quelle splendon, ne danspe- ]^^ S^^^a villa d* ogn* intomo chiusa, 

crteua, che sia buon il clima, [ne, ^^ diligenxa d* uomini e di cani 

si ancor l^ uom che. vicin si tiene. Contro le insidie che *lvicia vostro usa. 

lai siano i vicini inquirer prima Gallina che da l'uscio s'allontani , 

.alberghi oi poderi abbiam noi tolti, P^n non vi riede: e chiami pure e pianga 

imento assai più eh* uom non stime. ^ villanella e battasi le mani, 

polfei contar popoli molti Aratro o giogo orastroo marra o vanga, 

r fuggir vicini ladri infidi, Qnal sia di ferramenti o di legnami,' 

da piò contrade insieme accolti, ^^^ fidate che fuori si rimanga. 

i la patrie lor, da i dolci nidi ^r ^^^^ viti, or pali, or tronca rami, 

>l ni««« Or albero, per foco o per altri «si ; ^ ' 


M CaESTOMAZIiPOETICV 

ÌSe lascia intatti i prati, né gli strami. Né basta a l'allrui invidia de dioMiidì: 

Fura i legami ancor ne*gusci chiusi: Ond'è che tanto renda il poder tuo, 

Ne de'frutti primier ne de*sezzai Che è tal che un manto il copre che ^i 

Sostien che 'tpadron doni, o persegli usi. [spandi? 

Nel suo terren non mette pie giammai^ Ma, accasandol, piùd^unoepiùdiduo 

Che danno non incontri; e guardia e cura Dicean che con incanti e con malie 

N'abbia a sua posta e d*ogni tempo assai. Le biade altrni tirava ai terren suo. 

Chi, per sua colpa o per sua rea ventura. Venne al giudizio il destinato die , 

S'accosta a rei vicini o si raffronta, Che si dovea por fine a le tenzoni^ 

Sempre ha Foste a le siepi ed a le mura. E scoprir l'altrui vero e le bugie. 

D'un signor greco e saggio si racconta 11 buon iiom, ^rdifender sue ragioni, 

Che, facendo una sua possessione Al tribunal de'giudici prudenti 

Por sotto Tasta, al prezzo che più monta, Non menò nò dottori né patroni. 

Comandò che gridasse anco il precone Recò tutti i suoi rustici strumenti, 

Ch'ella avea buorì vìcin: quasi ciò stimi £ tutti i ferri onde il terren s'impiaga, 

Non men che l'altre qualità sue buone. Ben fatti, e per lungo uso rilucenti; - 

Tansiìlo, PoJere, capitolo IL ^"«i glassi buoi, sua gented'oprar nga. 

Questi, dice (già posti in lor presenta^, 

XLV. Necessità della industria; va- Son gl'incantesmi miei, l'arte mia maga. 

lore e bcnefizii della medesima. Le vij^ilie, il sudor, la diligenza 

Trar qui non posso, come fo di questi: 

Da che gli uomini incielo e in paradiso, Benché de l'una io mai non vada senza. 

L'un furò 'ì foco, e l'altro colse il pomo, Subilo, senza dar luogo a protesti 

Volgendoinpiantoilproprioel'altruiriso,' Ed a calunnie, o porvi indugio sopra, 

Fé Dio compagni eterni al miser uomo Dichiararon lui buono e quei scelesti, 

1 morbi, il mal, le cure e le fatiche; E la sentenza fu, che più può l'opra 

E fu '1 furto punito, e l'ardir dòmo. Nel terren, che 'I dispendio ch'ivi fessi; 

Onde,abbiaquantoyuol le stelle amiche, E tanto vai pder quanto uom v'adopra. 

Bisogna ch'uom patisca in tutte etadi^ D'oprar dunque in sul campo uom mai 

£ con sudor si pasca e si uudriche ^. [non lassi.* 

Ma vi son poi le differenze e i gradi: Che '1 frutto e 'l ver tesor sotterra posto. 

Cui più, cui men ne tocca. E tuttavia TansUlo, Podere, capitolo II, 
Son color che n'han poco, e pochi e radi. 

Vuol Dio che stato sotto il cielnonsia XLVL Lodi della vita rustica. 
Ov'uom s'acqueti; e men chi ha miglior 

[sorte; In villa al gran dispendio si pon briglia: 

Ne senz'affanno abbia uom quel che desia. H più de Pore in opra si dispensa; 

Un saggio contadin, venendo a morte, E pochissima noja vi si piglia. 

Acciò che i figli in coltivar la terra Poco mal vi si fa, men vi si pensa; 

S'eserciiasser dopo lui più forte; E se hanno le città più passatempi, 

Figli, lordisse, io moro: ed ho sotterra Hanno anche di perigli copia immensa. 

E ne la vignali più de'beni ascoso; Cercan gli uomini d'oggi il passartempi; 

Ne mi sovvien del cespo ove si serra. £d io, che son d'opinion diversa, 

Morto il padre, i fratei senza riposo Vorrei cosa che fosse arrestatempi. 

A zappare e vangar tutto il di vanno, L'ambizione, al viver santo avversa. 

Ciascuno del tesoro desioso. Che *1 più de'nostri dì fa men sereni, 

La vigna s'avanzò dal primiero anno; In villa raro alberga ne conversa. 

£ 4 giovanetti inteser con diletto O troppo fortunati, se i lor beni 

Del provido vecchion l'utile inganno. Conoscesser color che si stan fora ' 

Aveva un buon Romano unpoderetto, Tra colti poggi, e valli, e campi ameni! 

Dal qual traea più frutto, che da i grandi Cui dà benigna terra d'ora in ora 

Non traean quei da cauto o di rimpetto. Quel che altrui fa bisogno agevolmente: 

'^latenJast il padrone^ > Katriclùt ' Fuori. 


SECOLO DECIMOSESTO 55 

Ne suoli di tromba i ¥0111 Ivi scolora: Il mio cor, che languendo egro si duole, 

E se non han g.l'inchioi de la genie, E de le cure sue spinose e felle 

Ne men han chi fi turba e chi gli scuote Dopo mille argomenti una non svelte, 

Dal riposo del corpo e de la mente. Non ha, se non sci tu, chi pi ù*l console '. 

O felice colui che intender puote Tu ne sterpa i pensieri, e di giocondo 

[.e cagion de le cose di natura, Obblio spargi le piaghe: e tu disgombra 

Che ai più dì que'che tìvoo sono ignote; La nebbia onde son pieni i regii chiostri. 

£ sMto il pie si mette ogni paura £ tu la verità traggi dal fondo, 

De*fati e de la morte, rh'è sì trista; Dov'è sommersa: e,senza yelo od ombra. 

Né di volgo gli cai, uè d*altro ba cura! n Ignuda e bella a gli occhi altrui si mostri. 

Ma più felice chi, del mondo vista Torquato Tasso, 

La parte sua, non vi s'appoggia sovra, 

Aitato dal saper ch'indi s'acquista; XLVIII. Alla duchessa di Ferrara: 

Ma in villa, ch*è sua tutta, si ricovra; in tempo di carnevale: dalla pri- 
E de gli anni e de i di ch'haspeso indarno, gione . 
A. sé stesso ed a Dio parte ricovra. 

Cosi potess'io tra Sebeto e Sarno Sposa rogai, già la stagion ne viene 

Menare ornai la vita che m'avanza, Che gli accorti amatori a'batli invita, 

Con le ninfe del Tevere e de l'Arno, E ch'essi a'rai di luce alma e gradita 

Da le quai fei sì lunga lontananza: Yei^ghian le notti gelide e serene. 
E de'signor sgannato di qua giuso, - Del suo fedel già le scerete pene 

Fondar nel Re del cielo ogni speranza. Ne'casti orecchi e di raccòrre ardita 
Deh sarà mai, pria che giù cada il fuso iia verginella; e lui tra morte e vita 
De gli anni miei, ch'a pie d'una montagna Soave inforsa, e 'n dolce guerra il tiene. 
Mi stia tra colti ed arbori rinchiuso; Suonano i gran palagi, e i tetti adorni, 

£ con la mia dolcissima compagna, DI canto: io sol di pianto il career tetro 
Qnal Adamo al buon tempo in paradiso, Fo risonar. Questa è la data fede? 
Mi goda l'amil tetto e la campagna, Son questi i miei bramati alti ritorni? 

Or secoal'ombra,or sovra il prato assiso , Lasso! dunque prigion, dunque feretro 
Or a diporto in questa e in quella parte , Chiamate voi pietà, donna, e mercede? 
Temprando ogni mia cura col suo viso; Torquato Tasso. 

EpODgain opra qnelch'ban postolo carte 

Calo e Virgilio e Plinio e Colum'lla , XLIX. Sopra un cagnolino, 

E gli altri che insegnar sì nobii arte; 

£di mia manoinuf>sli,e pianti, e livella Pargoletto animai, di spirto umano. 
La spessa de'rampolli inutil prole. Bianco come la fede onde sei pegno; 

Che fan la madre lor venir men bella: Ch'in sì bel grembo di seder sci degno, 

£ con le care figlie, e (se '1 Ciel vuole) E prendi il cibo da sì bella mano; 
Spero co' figli, a tavola m'assidi, Teco albergo cangiar tenta, ma invano, 

Lastatea i luoghi freschi, il verno al sole; Quel can che splende nel celeste regno; 
£ di mia man fra lor parla e divida E prende il cielo e le sue stelle a sdegno 
L'uvee le poma; e s'io mi desti o corche ^ Mentre te mira e l'onor tuo sovrano. 
C'Jn loro io mi trastulli e scherzi e rida? Forse ne le tue forme Amor converso 
TaiisUlo, Podere, capitolo III, Scherza teco così, come già fece 

Quand'oppresse a Didone il casto seno. 
XLVII. Al Tempo, Ma co' teneri morsi a lui ben lece 

Stringer di quella man l'avorio terso; 
Vecchio ed alato dio, nato col sole Pur non ne passa al cor fiamma o veleno^ 
Ad un parto medesmo, e con le stelle; Torquato Tasso. 

Che distruggi le cose e ri nno velie ^, 
Menare per torte vie vole e rivole ^; 

' Corchi. Corichi. alliaQovelli. 'Consoli. 

- Vo"i e rivoli. 

LroPAUPi; Crestomazia, li. a 


54 CRESTOMAZIA POETICA | 

Usa t'ho per trovarlo, ed uso, ogni arte. 
L. Amore che fa nido. Cercai tutto il mio ciel di parte in parie, 

K la sfera di Marte, e Taltre rote 
Tu parti, rondinella, e poi ritorni E correnti ed immote: 
Pur d'anno in anno; e fai la state il nido. Ne là suso ne*cieli 
£ più tepido verno in altro lido E luogo alcuno ov*ei s'asconda o celi. 

Cerchi sul Nilo, e 'nMenfi altri soggiorni. Tal ch'or tra voi discendo, 

Ma, per algenti o per estivi giorni, Mansueti mortali. 
Io sempre nel mio petto Amore annido; Dove so che sovente ei fa soggiorno: 
Quasi egli a sdegno prenda in Pafo e *n Per aver da vni nova 

[Gnido Se '1 fuggitivo mio qua giù si trova. 
Gli altari e i tempii di sua madre adorni. Ditemi: ov'è il mio figlio? 

£ qui si cova, e quasi augel s'impenna; Chi di voi me l'insegna^ 
E, rotta molle scorza, uscendo fuori, Vo'che, per guiderdone, 
Produce i vaghi e pargoletti Amori. Da queste labbra prenda 

E non gli può contar lingua ne penna; Un bacio quanto posso 
Tania è la turba: e tutti un cor sostiene, Condirlo più soave. 
Nido infelice d'amorose pene. Ma chi mei riconduce 

Torquato lasso. Dal Volontario esigilo, 

Altro premio n'attenda, 
LI. Amore e la zanzara. Di cui non può maggiore 

Darlo la mia potenza, 
Mentre in grembo a la madre Amore Se ben in don gli desse 
Dolcemente dormiva, [un giorno Tutto il regno d'Amore. 

Una zanzara zufolava intorno E per Istige i' giuro 

Per quella dolce riva. Che ferme serverò l'alte promesse. 

Disseallor, desto a quel susurro, Amore: Ditemi: ov'è il mio figlio? 
Da SI piccioia forma Ma non risponde alcun? ciascun si tace? 

Com'esce sì gran voce e tal rumore, Non l'avete veduto? 

Che sveglia ognun che dorma? Fors'egli qui tra voi 

Con maniere vezzose, Dimora sconosciuto; 

Lusingandogli il sonno col suo canto , £ da gli omeri suoi 
Venere gli rispose: Spiccato aver dò' * l'ali, 

E tu picciolo sei; £ deposto gli strali, 

Ma pur gli uomini in terra col tuo pianto, E la faretra ancor deposto e l'arco, 
E 'n ciel desti gli Dei . Onde sempre va carco, 

Torquato Tasso* E gli altri arnesi alteri e trionfali. 

Ma vi darò tai segni, 
Lll. Amore fuggitivo. Che conoscere ad essi 

Facilmente il potrete, 
Scesa dal terzo cielo. Ancor che di celarsi a voi s'ingegni, 

lo che sono di lui re[!;iua e Dea, Egli» benché sia vecchio 

Cerco il mio figlio fuRgìtivo, Amore. £ d'astuzia e d'etadc, 
Quest' ier, mentre scdea Picciolo e sì, che ancor fanciullo sembra 

Nel mio grembo scherzando, Al volto ed a le membra; 

O fosse elezione o fosse errore, E 'n guisa di fanciullo. 

Con un suo strale aurato Sempre instabil si move. 

Mi punse il manco lato; Ne par che luogo trove * in cui s'appaghi; 

E poi fuggì da me ratto volando, Ed ha gioja e trastullo 

Per non esser punito: Di puerili scherzi: 

Né so dove sia gito. Ma il suo scherzar è pieno 

» lo, che madre pur sono. Di periglio e di danno. 

E son tenera e molle, ' Dee. Deve. • Trovi. 


icate sbadirà, 

ìeDte si placa; e nel suo viso 

juasi io un punto 

àgrime e '1 riso. 

: ha le chiome, e d*oro; 

[uelia guisa appunto 

3rtuua si pinge, 


SECOLO DKCIMOSESTO 55 

Datemi, prego, del mio figlio avviso. 

Ma voi non rispondete . 

Forse tenerlo ascoso a me volete? 

Volete, ah folli, ah sciocchi. 

Tenere ascoso Amore? 

Ma tosto uscirà fuore 

Da la Lingua e da gli occhi 


ìghi e folti in su la fronte i crini, Per mille indizii aperti: 

ì V _. ^* I. .... IVI ..u»: • j^ •: 


uda ha poi la testa 

opposti confini. 

>r del suo volto 

le fuoco è vivace. 

fronte dimostra 

asci via audace. 

chi infiammali, e pieni 

ingannevol riso, 

sovente in biechi» epursotlV'chio, 

di furto, mira; 

I i con dritto guardo i lumi gira. 

ngua che dal latte 

le si discoqnpagni, 

mente favella, ed i suoi delti 

i tronchi e imperfetti; 

inghe e di vezzi 

IO il suo parlare; 

le voci sue sottili e chiare. 

npre in bocca il ghigno; 

iganni e la frode 

quel ghigno asconde, 

tra fiori e fronde angue maligno. 

i da prima altrui, 

cortese e umile 

mbianti ed al volto, 

)Over peregrino, albergo chiede < 

azia e per mercede: 

oi che dentro è accolto, 

a poco insuperbisce, e fassi 

modo insolente. 

)l vuol le chiavi 

de Taltrui core; 

:acriarne fuore 


Tal ch'io vi rendo certi 
Ch'avverrà quello a voi, ch'avvenir suole 
A colui che nel seno 
Crede nasconder l'angue; 
Che co'gridi e col sangue alfin lo scopre. 

Torquato Tasso, 

LUI. Costumi degli uccelli. 

Ma come annoverar potrò narrando 
De'cari augelli le sì varie vite? 
L*cstrane gru dentro l'adunco piede 
Portano '1 sasso onde si folce e libra 
Tra l'aure incerte l'agitato volo, 
Mentre, ne'giorni nubilosi e brevi, 
Lasciand'addietro il Termodonte o l' Ebro, 
Passano i larghi mari, e 'n su l'apriche 
Sponde soglion vernar de l' ampio Nilo. 
Tal per sayorra in mar, tra' venti e l' onde 
Altre rive cercando ed altre parti, 
Regge '1 suo corso la spalmata nave. 
Queste han di notte senlincUe e scorte, 
Che,mentre l'altre in placida quiete 
Dormon sicure, van girando intorno, 
£ le notturne insidie, e i venti e l'aure 
>'Spian da tutte le parti, impigre e pronte: 
£ poi, fornita quella guardia, e '1 tempo 
Di lor vigilia, a suon quasi di tromba 
Deslan gli addormentati; e gli occhi al 

[sonno 
Danno per breve spazio: e 'n quella vece 
Altri succede al faticoso ufficio. 
Una precede le altre, e quasi avanti 


tichi albergatori, e 'n quella vece L'alte insegne precorre: e poi si volge 


nuova gente; 

la ragion serva, 

legge a la mente, 

ivien tiranno 

te mansueto, 

egue ed ancide 

i s'oppone e chi gli fa divieto. 

ih'io v'ho dato i segni 

li atti e del viso 

>stumi suoi; 

; puf qui fra voi, 


T^cì tempo dato; e la sua sorte, e '1 loco 
Che si conviene al duce altrui concede. 
Dimostran mollo di ragione e d'arte 
Le cicogne: e'n tal guisa, al tempo istesso. 
Quasi a spiegale insegne, in queste parti 
Vengon da piìi lontano ignoto clima. 
£ le nostre cornici amica guardia 
Lor fanno intorno, in ampio stuol con- 
Eson fidata scorta al lungo volo [giunte; 
Contra la forza de'nemici augelli. 
£d in quella stagione in loco alcuaq 


56 CRiùSTOMAzrA poet;c\ 

Non ci appar la coroice: e poi ritorna Là dove l'uom ricovra; e per asanza 

Tinta le piume d'onorale piaghe, Al conversar uman cosi gli avvezza. 

E del già dato ajulo i segni mostra. È mirabile ancor l'ingegno e l'arte , 

Deh chi descrisse lor si certe leggi Ond'a se stessa le sue proprie case 

Di si pietoso officio? o chi minaccia Fa, senz'aita d'architetto o faliro: 

Si grave accusa o pur sì giuste pene E le festuche pria prepara e sceglie, 

A chi gli ordini infermi e '1 proprio loco E le cosparge di tenace fango 

Ver viltatc abbandona in guerra o 'n Per conj'iungerle insieme. E se co'piedi 

[campo? Non può in alto portar tenero limo, 

Quinci prendete esempio, egri mortali; L'ali d'acqua si sparge, e poi di polve 

K l'uomo impari da gli augei volanti Arida e leve; ond' ella fa di nuovo 

Quai de gli ospiti sian le giaste leggi: La fangosa materia a l'umil casa. 

Né chiuda avaro albergator superbo Con questa quasi colla aggiunge insieme 

Le dure porte a'poregrini erranti Le già scelte festuche; e di lor forma • 

A mezza notte, o lor dineghi il cibo; 11 nido a'figli. A cui se gli occhi accieca, 

Se per gli estrani augelli i nostri augelli Pungendo, alcuno; ella '1 perduto lume 

Non riousau d'espor la vita in guerra, A'ciechi rende con la medie'arte. 
E de'perìgli altrui si fan consorti. L'alcione, del mar picciolo augello, 

Ma la pietosa Provvidenza e cara, Forma di palla in guisa il dolce nido. 

La qual de le cicogne è vecchia mastra. D'arido fior che '1 mare in se produce. 

Destar ben può de'tìgli il dolce amore E i pargoletti figli a mezzo '1 verno 

Verso gli antichi loro e stanchi padri. Da la tenera schiude e frale scorza 

Quelle d'intorno al genitor languente, Ne l'arenoso lito, in cui depone 

A cui per lunga età cadere a terra De Tova il caro suo portato peso. 

Sogliono i vanni e le minute piume, E questo awien quando da fieri venti 

Stanno pietose; e le già afflitte membra. Il mare a terra si percuote e frange; 

E nude di pennute e lievi spoglie, E biancheggiando, di canuta spuma 

Scaldano al volator lassato e grave Sparge le molli arene e i duri scogli. 

Soavemente, con le proprie penne; De l'alcione al desiato parlo 
E gli portano '1 cibo ond'ei si pasca. È sopito 'l furor d'orridi venti, 

E sollevano ancora e quinci e quindi Son quete l'onde tempestose, e 'ntorno 
Conl'aleil tardo veglio; e 'n questa gXiisa, Sgombre le nubi e serenato il cielo: 

I^e disusate membra a l'uso antico In sì tranquillo e sì felice aspetto 
Già richiamando, danno ajuto al volo. ♦De'fidi augelli a la progenie arride. 

Ora prendiam lodalo e caro esempio E 'n selle prima di sì lieti giorni 
Di materna pielate; e non si dolga * Suol covar l'uova la pennuta madre^ 

Di povertate o di miseria alcuno, Ne gli altri sette nutre i nati figli: 
Ne della vita sua disperi e pianga; Ed a questi ed a quelli ha imposto il nome 

Mentr'ei riguarda il magistero e l'opra Da l'alcione il navigante esperto; 
De la pi^itòsa rondinella indu«lre. Ed al candor di lucido sereno 

La rondinella, di minuto corpo, Da tutti gli altri gli distingue e segni . 

iV5a di sublime, egregio, e chiaro affello, Lh tortorella, dal su'amor disgiunta, 
Povera e bisognosa, il proprio nido Non vuol nuovo consorte e nuovo amore, 

Ella medcsma pur compone e finge,* Ma solitaria e mesta vita elegge 

Prezioso vie più di gemme e d'auro; In secco ramo; e'n perturbato fonte 

Perchè d'ogni tesoro è vile il pregio La sete estingue: e del marito estinto 

Allato a quell'albergo ove s'annida Così rinnova la memoria amara. 

iLa sapienza. E ben è saggia e scaltra, A lui sua castità conserva e guarda, 
Mentr'ella del volar mantiene e serba A lui di moglie ancora il caro nome: 
La vaga liberiate, e nutre e pasce Perchè solver non può l'iniqua morie 

1 pargoletti, ancor teneri, figli Le sante leggi di vergogni, e i patti 

Sicuri da l'insidie e da gli assalti A cui s'astrinse volontaria in prima. 

De gli altri augei, sotto i sublimi tetti L' aquila in allevar la nobil prole 


I 


SECOLO DECIMOSESTO 57 

•iù d* altro disdegnosa e 'ngiustar Alta rocca a l'imperio, a Giove il tempio? 

i tre figli, i due porciiole e scaccia \V Tor/j nato Tasso ^Moado creato, giornata V. 

i aspri colpi de' suo* duri vanni; 

rzo alleva, a cui non manchi '1 cibo LIV. Amore degli animali verso 

lol rapire il predator volante. i proprii figli. 

ì altra cagion più bella e giusta, 

rarizia del nutrir la spinge; Amate i padri, o voi pietosi figli; 

vero giudiclo onde riprova, E voi, pietosi padri, i figli amate; 

i lei non convenga, indegno parto. Che natura il v'insegna, e ven costringe. 

; volge i suo' figli inverso '1 sole. S'ama la leonessa, orrida belva, 

li in aria ne l'adunco artiglio ; I pargoletti suoi; se '1 fero lupo 

I che non d«'china a' raggi ardenti Difende 1 lupicini, e 'nsino a morte 

ercossa vista e'I dehil guardo, Per lorcombatte;avràsuoinatiascherno, 

trepido nel sol l'ailìsa e ferma, Più crudel de le fere, il crudo padre? 

lo a prova; e gli altri aborre e sdegna, Tanto rigor, taot'oiioe tanto obblio 

:om^inde^i di reale onore, Di natura sarà nel petto umano? 

uel suo generoso e gran rifiuto. O del materno amor soave e dolce 

i scacciati entro '1 suo nido accoglie Forza, che pieghi la feroce tigre, 

i che rompe Tossa, e quinci *l nome E da la preda, a cui vicina e stanca 

e (od aquila sia bastarda, e nata Corre anelando, la rivolgi indietro 

QÌtor deforme, od altro augello) ; A la difesa de' suoi cari parti ! 

lascia perir d'orrida fame, Com' ella trova depredato e sgombro 

:o' suo' figli, lor nutrisce e serba, li suo covil de la gradita prole, 
itti quei ch'hanno l'artiglio adunco, Repente corre, e le vestigia impresse 
eh* i figli timidetti il volo Preme del cacciator che seco porta 

Q primiero, spiegan l'ale appena, i.a cara preda. E quel rapido innanzi 
lai sicure ancora e 'ncerte penne; Fugge, portato dal destrier corrente : 
>iagon tosto dal paterno nido : E per sottrarsi a la veloce belva [ pò), 

[cimo al partir è tardo o lento, (Ch'altra fuga non giova, od altro scam* 

'ali sue percosso e ripercosso Con auesta fraude d'ingegnoso ordigno 

litando U caccia il fiero padre. Delude la rabbiosa, e sé difende. 

. verso i figli suoi l'amore e 'i zelo Perchè di trasparente e chiaro vetro 

cornice assai di laude è degno: Una palla le getta innanzi a gli occhi: 
n atto di pietosa e fida madre, Onde, schernita da la falsa immago, 

:na nel lor primo ardito volo La si crede sua prole ; e ferma il corso , 

:bil prole; e lor ministra il cibo E Pimpeto raffrena ; e '1 dolce parto 
a stagion, perchè s'avanzi e cresca. Brama raccor nel solitario calle, 
bbo anco dir come ti svegli a l'opre E riportarlo a la sua fredda cava : 
noro augellin l'acuta voce, [desta E rivenuta pur dal falso inganno 
unge intuona , e '1 Sol richiama, e De le mentite forme, anco ritorna 
regrin, e '1 buon cultor ne' campi, (Ma più veloce assai, ch'ira l'affretta) 
» al suo faticoso aspro viaggio, Dietr'a quel predator, eh' innanzi fugge; 

a secar le già mature spiche ? E gli sovrasta omai rabbiosa al tergo. 

come ne rompa il dolce sonno, IVIa quel di nuovo, col fallace objetto 
nviti a vegghiar con fida guardia , De lo speglio bugiardo, affrena e tarda 
do augel che già sottrasse al risco 11 corso de la tigrf ; e si dilegua, 
an città, del mondo alta regina, Né da la madre per obblio si perde 

scoprendo la notturna fraude. La sollecita cura e 'i pront' amore: 

barbaro crudel, ne l'ombra occulto, Ma l' infelice si raggira intorno 
>er oscure vie saliva in alto A quella vana e 'ngannatrice immago, 

el suo trionfale altero monte. Quasi dar voglia a'proprii figli il latte. 

;ià sorse in macstate augusta E 'n questa guisa la schernita belva 

La cara prole, e la vendei tu ancora 


r>^ 


C^ìESTOM\ZIA POETIGV 


Perde in un tempo, cVc bramata e dolce. Quand* ei mirò dal gran Francesco ' o|) 

E se 'n tal guisa suol amar la tigre, 

O la consorte del leon superbo 
del famelic'orso, i propri! figli ; 
Qual meraviglia fia s*amar vedrassi 
La mansueta ed innocente agnella, 
K la cerva selvaggia e fuggitiva, 
Il dianzi nato, ancor tenero parlo? 
Fra molte pecorelle in ampia mandra 
11 scmplicelt'agnel, scherzando a salti, 
Esce dal chiuso ovile ; e di lontano 
Ri riconosce la materna voce. 
E ricercando del suo proprio latte 
J dolci fonti, affretta il debil corso: 
E dove sian le desiate mamme 


[ porre 
I Collegati a' suoi, già incauti e lassi ; 
Che ne gli ordini lor passando avanti, 
Sparsi e turbati fu da* Greci erranti *. 

Come carca di prede armata nave, 
Che trascorrea del mar tranquillo il seno 
Quand'ebbe destra l'aura e più soave, 
E queta Tonda intorno, e 'l cicl sereno; 
Poiché si turba, e minaccioso e grave 
Austro gl'innalza incontra il mar tirreno, 
Teme, nel prender porto, occulto scoglio, 
Ne può sforzar de' venti il l'ero orgoglio ; 

Così parca quest'aste allor, confusa 
Dal suo timore e per li duci incerti. 


Vote del proprio umore, ei se n'appaga, Altri di terra ben munita e chiusa. 

Ne sug;:[e l'altre più gravose e piene. Altri più fida in suoi guerrieri esperti : 

Ma le tralascia; e '1 suo dovuto cibo II magnanimo re fuggir ricusa 

Sol da la madre sua ricerca e brama. 1! periglio e l'onor de'Iochi aperti; 

La madre il dolce e pargoletto figlio. Né vuol con l'oro aprir la dubbia strada, 

Fra mille e mille, al suo belar conosce. Ma con la sua fatale invit-ta spada. 
In questa guisa, di ragion sublime Porta e riporta invano il fido araldo 

Ogni difetto un largo senso adempie, Minacce e vanti, e 'nvan promesse e pre- 
Che per natura in umil greggia abbonda, [ ghi j 

Forse acuto vie più del nostro ingegno. Ch'ogni core al suo prò costante e saldo, 

Ma nel suo partorir solinga cerva Non avvvien che si mova alquanto o pie- 
Mostra viepiù d'accorgimento e d'arte, Cghi. 

D'altr'animal in cui sia parte o seme Già scioglieva i torrenti il sol più caldo, 


Di providenza, e di ragione industrc. 
Però piuttosto a la pietade umana 


I quali il verno par che stringa e leghi ; 
E '1 Taro distendea turbato e presto 


De'suoi cerbiatti credfe il nuovo parto , 11 corso allor fra quel nemico e questo. 


Ch' a le fere tremende; e l'aspre rupi, 
E le selvagge lustre, e i lochi incultì 
Fugge la paurosa; e dove scorge 
Dc'pìedi umani le vestigia impresse, 
Press' a le vie da lor calcate e corse, 
Ivi 5Ìnura il suo portato espone; 
O ne le stalle si ricovra, e scampa 
Gli artigli e i denti dì selvaggia belva; 
f ) dura cuna in rotta pietra elegge 
Là dove s'apre un solo e picciol varco, 
E i pargoletti suoi difende e guarda. 


A destra il re lenea gli eccelsi poggi, 
Spiegando al ciel la trionible insegna; 
Ed a qualunque a lui d' incontro alloggi 
Già signoreggia d'alta parte e regna. 
L'altro, se vuol passar, convienche poggi 
Su l'erte sponde: e '1 suo tardardisdegna, 
Né stima il dubbio letto e '1 giro obbli- 

[ quo 
Del fiume, o'iloco a tanta guerra iniquo. 

1 Padri in alta impresa e gravi e tardi, 


Ch'indugiando acquistar Provincie e fama , 
Torquato r«wo, Mondo crealo^ gio/vt. T/. Esteser fra gli Argivi e fra i Lombardi 

11 giusto imperio che s'onora ed ama ' ; 
\y . Ln battaglia del Taro, fra le Lcnlaro il freno a' suoi guerrier gagliardi; 
genti di Carlo ottavo, re di Fran- Ed a quella di gloria ardente brama : 
eia , e quelle de* Confederati ita- E parve il gran Francesco in mezzo al 

[campOi 
E ne* delti e ne l'opre, acceso lampo. 


liani. 

Gì un t'era dove il Taro al Po sen corre 
Il re, cui d'aspri monti orridi sassi, 
O città chiusa d'alte mura, o torre, 
O schiere armate non serraro ì passi: 


' Fraacesco Gonzaga^ marchese di Mantova; 
generile dui Veneziani. 

2 D.igli stradiolti dei Veneziani. 
^ Vuoi dire il senato veuelo. 


SECOLO DECLMOSESTO 39 

Dicea: partirà dunque ornai sicuro Ritardò*! fiume il corso, e *i novo limo 

Questi che fugge Italia ; anzi la porta Fé dubbii i passi, e le vestigia incerte. 
Presa oltra 1* Alpe ; ove aspro giogo e Languendo, al trapassar, vacilla il primo 

[ duro Sforzo, cui rapid'onda in se converte. 
Già le prepara, e leggt iniqua e torta? L'arme vibrar Tassalitor da Timo 
Quasi ladron notturno, al cielo oscuro, Per le rive non può scoscese ed erte: 
Che serrato non trovi od uscio o porta, Ma d'alto il difensor percuote a basso : 
Porterà le corone e gli aurei fregi Talch'è varco di morte il duro passo. 

E tante prede di spogliati regi ? Spuma il torrente, e di sanguigno flutto 

E potrem noi soffrir che pur ritornì, Gonfio, vie più veloce al Po discende. 
Di là da' suoi nevosi orridi monti, Ma virtù soffre alfine e vince il tutto, 

Ove le sue vittorie, e i nostri scorni, K per contrasto avanza e più risplende; 
£ gli oltraggi d'Italia altrui racconti? £d uscirla di Stige al lido asciutto. 
Ne sarà chi *1 ritardi, o chi *1 distorni ;^ E da quell'onde ch*atra fiamma accende,* 
Ne chi l'assalga, o '1 fuggitivo affronti; Onde, poggiando, alfin le rive ingombra: 
Perch' ei salvi sue prede, e quella turba, £ *n tre lati si pugna, e 'n mezzo a Tom- 
Che, poco ripesando, altrui perturba ? [ bra. 

Star non potran fraTAlpie fra Pirene, Fra le piante impedito, iniquo e scarso 
Qnai fere chiuse entro selvaggi chiostri? Campo ha '1 valor de*nostri, e meno ap- 
Ma parran turbo di volanti arene, [ pare : 

gran diluvio, sopra i campi nostri? Ma di lor sangue, ond' è 'l terreno sparso, 
Tronchiamo al ritornar Tardità spene; Non fur quell'alme gloriose avare: 
£ qni ciascuno il suo valor dimostri; Quando Francesco a gli animosi apparso, 
E Titalico onor, ch'è quasi estinto, Vento sembrò , che M ciel perturbi e 'i 

Per voi risorga, vincitor di vinto. [ mare, 

Numero lor non vi spaventi, o forza E volga a forza a le contrarie sponde. 
Impetuosa; che poi langue e manca. Contra '1 corso primier, le nubi e Tonde. 

Carchi di preda più che d'armi, a forza AI primo ch'incontrò, l'invitta lancia 
Faràn qui guerra: egià lor furiaèstanca; Trapassa il petto e poi fra gli altri fere \ 
Già di fuggir, non di pugnar, si sforza, Tanto che s'apre il passo al re di Francia, 
Già presa è dal timor la gente Franca. Fra i colpi e l'armi de l'avverse schiere. 
Prendiam la Francia or ne l'Italia al varco, £ s' a' meriti altrui giusta bilancia ■ 
Col re, che non sostiene il proprio incarco. Ila '1 sommo Ra de le celesti sfere, 

Passiam per questo fiume, il qual fre- Quel dì, ch'ei tanto fece, e più sostenne, 

[ mendo, Corona d'alta gloria a lui convenne. 
Da la vittoria i suoi scevra e diparte ; In poco spazio fé mìrabìl cose 

Ch'io sono vosco al guado,e vosco ascendo: Incontra Carlo e 'l suo drappcl gagliardo. 
Seguiran gli altri, de la gloria a parte. Che dirò prima o poscia? A morteci pose. 
Così diss'egli, e con un suono orrendo Trafitto da sua spada, il gran Bastardo ; 
Fiammeggiar lutti i folgori di Marte , E qual de gli altri al suo valor s'oppose. 
Ed in quel tempo risonar le trombe ; Parve a fuggir la morte e lento e tardo ,* 
Onde avvien che la terra e '1 clelrimbom- £ spogliata lasciò la fronte e *l lato 

[ he '. Di sue forti difese al re turbato. 
Scendeanoi Franchi intanto,* e, 'n guisa Voi, Muse, voi corone e rime ordite 

[ d'ale, rPerchè'lmiocantoatalrimbomboèroco), 
Steodeansi ì primi a quel corrente fiume; Cantando voi com'ei le schiere ardite 
E'I granl'rivulzio, a cui di gloria eguale Percosse , ruppe e sparse in alto loco. 
Pochi Tetà famosa oppor presume. Laddove uscir da la profonda Dite 

Facca la scorta al re, già lasso e frale, Pareano i fiumi del sulfureo foco ; 
Ch'or vincea sua natura e suo costume, E, giunto in mezzo a la sonora fiamma. 
Ma i nostri pria varcar dal lato destro Quell'incendio cessò, che'l mondoinfiam- 
In quel guado sassoso^ e quasi alpestro. [ ma. 

• RiniDombi. ' Ferisce. 


40 CRESTOMAZIA POf'.TlGA 

Tolse i fulmini a Francia , e tolse a Passato il terzo di, notturno e cheto 

[ Carlo Mosse le genti il re per l*aria bruna; . 
In piccol tempo i suoi guerrier più forti. K tenner quasi il suo partir secreto 
Ella medesma ' sa cV il vero io parlo ; Gli alti sìlerizii de la bianca luna ; 
Benché si glorii d'onorate morti; E, gemendo, ctdeo ' senza divieto 

Clic potè appena al suo valor sottrarlo : La sua vittoriosa alta fortuna. 
Cotanto variar venture e sorti*, Restavan gli egri abbandonati in guerra, 

Francesco in gran periglio ivi si scorse, Ne morti gli copria l'estrania terra. 
E *nvitto cadde, e vincitor risorse. Ebbero i nostri onor di tomba e d'arca, 

D'atro sangue la terra ancor si tigne E dorati metalli, e bianchi marmi; 
Là 've pugna il Trivulzio incontra l'alto E '1 colpo de l'avara invida Parca 
Sanse verino, e '1 Fortebraccìo astrigne Fu lagrìmato in più sonori carmi. 
D'altro lato e 'l travaglia in fero assalto: Non si mostrò Venezia ingrata o parca 
Ne pur le rive, tepide e sanguigne, [to; A l'ouor di Francesco, almerto, a l'armi: 
Cangiato hanno in vermiglio il verde smal- Corse il suo nome oltre Apenni no ed Alpe, 
Ma, de l'orrida strage il Taro immondo, Ne fur mete a la fama Abita e Calpe. 
Armi volge e cavalli, e preme al fondo. Torquato Tasso, Genealogia 

Tema ed orrore in mezzo , e lutto e della casa Gonzaga. 

[ duolo , 
E morte intorno trionfar si mira. LVI. Intorno a un ritratto di 

La vittoria tra lor con dubbio volo Torquato Tasso. 

Sospesa pende, ed ora a'Franchi il gira, 

£ talor passa nel contrario stuolo; Amici, questi èilTasso(iodicoU figlio) 

Ed a l'onor d'Italia intenta aspira; Che nulla sicuro d'umana prole *; 

Ed a quella del mare alta regina ', Ma fé parti più chiari assai del sole, 

£ più de gli altri al suo Gonzaga inclina. D'arte; di stil, d'ingegno e di consiglio. 
Ma sin da prima la ritenne e torse Visse in gran povertade, e in lungo 

Il leggier Greco, a le rapine intento ; [^siglio; 

Che da la pugna a depredar trascorse Ne'palagi, ne' tempii e ne le scuole: 
Del tesoro del re l'oro e l'argento, Fuggissi; errò per selve inculle e sole; 

E le corone di Ferrando ^; e 'n forse Ebbe in terra, ebbe in mar pena epeiriglio. 
Da poi più tenne il tardo ajuto e lento: Picchiò l'uscio diMorte; e pur la vinse, 
Ch'oltre le rive attese, e sol comparve; Or con le prose, or con i dotti carmi; 
Ma de l'altrui vittoria invido parve. Ma Fortuna non già, che'ltrasseafondo. 
Alfin da la battaglia il re de'Franchì Premio d'aver cantato amori ed armi, 
A più sicuri poggi i suoi ritrasse, E moslro ^ il ver, che mille vizii estinse, 

Di ricca preda già spogliati, e stanchi; È verde fronda. E ancor par troppo al 
Come pur nulla incontra i nostri osasse. [mondo ^ ! 

L'altro, benché fori una al valor manchi, Costantini. 

A le sue genti assai ferite e lasse 

Nulla mancò; ma le raccolse insieme, LVII. A un uccellino. 

E passò 'l guado a più sicura speme. 

Ei piange il suo nidolfo, e piange an- Vago augellin gradito, 

[ Cora Ch'a me dinanzi uscendo, 
De l'orba sua milizia i lumi estinti; Di ramo in ramo ti ricovri e passi, 

E '1 re di varie morti anco s'accora: E, quasi in dolce invito, 

E questi e quei son vincitori e vinti. Cari accenti movendo, 
E poi, sorgendo, la vermiglia aurora Per questo bel sentier mi scorgi i pasji; 
Non gli ritrova a l'alta impresa accinti ; r r a t 

Ma'n consiglio si spende il tempo dubbio; a ciofdi centrar malrimonio, e da quello 
E ciascun uova tela avvolge al subbio. aver figli. » Mostrato. 

' La Francia. ^ Venesia. *• Questo verso e del Tasso medesimo, dal 

' Di Ferdinando re di JVapoli* quale il sonetto fu ritoccato. 


I 


SEGOLO DrCIMOSESTO ^l 

Felice te, cui dassi 

Menar i giorni e Tore LVIII. Alla luna. 

in così bel soggiorno. 

Che spira d'ogn'intorno, Perchè con sì sottile acuto raggio. 

Con meraviglia altrui gioja ed amore. Cìntia, a spiar per l'ombra folta passi 

Or qual albergo al mondo Dove Filli mia bella or meco stassi 

Potresti aver più dolce e più giocondo? Sotto questo frondoso antico faggio? 

Folti boschetti e lieti, Forse,cercato il tuo pastor, ch'oltraggio 

Coi dolce aura ognor fìede, Ti fa, tardo vèr te movendo i passi; 

Dal Sol ti prestaa refrigerio ed ombra; Qui gli occhi ancor, per ritrovarlo, ab- 
E dentro a'ior secreti [ bassi, 

Ciascun t'invita e chiede £ sospettosa in ciel fermi il viaggio? 

Allor che '1 sonno ogni animai ingombra. Vano è 'l timor: se pur timor ti prese 
n digiun poi si sgombra In sul primo scoprir de'furti miei, 

Per campagne feconde. Me credendo colui clic 'I cor l'accese 

l>ì qnal cibo più curi: (^hè per Endimion fuor del mio laccio 

E se di ber procuri, Filli non uscirla; ned io torrci 

Con man cava lor fresche e lucid'onde Gioir, Diana, a te più t^sto in braccio. 
Ti porgon liete e pronte Celio Ma^no- 

Le vaghe ninfe p^^nor del vicin fonte. 

Deh l'ali avessi anch'io, LIX. Pensiero di morte vicina. 

Quàl tn, da girne a volo, 

Librando in aria il mio terrestre peso: Me stesso io piango , e de la propria 

Ch'appagherei '1 desio [ morte 

Quasi ad un guardo solo, Apparecchio l' esequie anzi eh' io pera; 

Di tulio quel ch'a gli occhi or m'c conteso . Ch' ognor in vista fera . 
Poi me n'andrei giù sceso M'appardavanli,e'lcor di tema agghiaccia; 

Per la propinqua valle. Chiaro ìndicio che già l' ultima sera 

£ per questo e quel colle. S'appressi, e 'ì fin di mie giornate apporle' . 

E colà dove estolle Né piango perchè sorte 

Quel monte al ciel le sue frondose spalle; Larga e benigna abbandonar mi spiaccia: 
Dietro a cui) mentre scende. Ami or con più che mai turbata faccia 

Già '1 Sol mezzo si cela e mezzo splende. Fortuna provo a farmi oltraggio intenta. 

Rimanti pur, Canzon, con questo au- Ma se in colai pensier l' aqima immersa 
Qui^ fra letizia e gioco: [gello Geme, e lagrime versa. 

Che men dolce ti fora ogni altro loco. £ del suo amalo nido uscir paventa ; 

Natura il fa; che per usata norma 
L' imagine di morte orribil forma. 

Non fuggir, vago augello; affrena il volo, l^sso me, che quest'almo e dolce lume , 
Ch' io non tendo a' tuoi danni o visco o Questo bel ciel, quest'aere onde respiro, 
Che, s'a me libertà cerco e quiete, [relè: Lasciar convegno; e miro 
Por te non deggio in servitute e in duolo. Fornito il corso di mìa vita ormai: 

fien io fuggo a ragion nemico stuolo E V esalar d' un sol breve sospiro 
Di gravi cure in queste ombre secralc; A' languid' occhi eterna notte adduce: 
Ove sol per goder sicore e liete Né per lor mai più luce 

Poch'ore teco, a la città m'involo. Febo, e scopre per lor più Cintia i rai. 

Qui più sereno e '1 ciel, più l'aria pura, K tu lingua, e tu cor, ch'i vostri lai 
Più dolci l'acque; e più cortese e bella Spargete or meco in dolorose note ; 
L'alte ricchezze sue scopre Natura. E voi, pie , giunti a' vostri ultimi passi; 

O mente umana al proprio ben rubella! Non pur di spirli cassi 
Vede tanta sua pace, e non la cura; Sarete, e membra d'ogni senso vote; 

£ stima porlo ov'ha flutto e procella. Ma dentro a la funesta oscura fussii 

Ceiio Magno, T Apporli. 


42 CRESTOMAZIA. POETICA 

Cangiati in massa vii di poWe e d'ossa. Servo a se, noto altrui, caro a me stessa. 
O di nostre fatiche empio riposo, Onde umii corsi ov*io sentii chiamarmi, 

£ d'ogni uman sudor meta infelice ! A più nobil cammin volgendo il piede. 

Da cui torcer non lice Così a l'ardente fede 

Pur orma ; ne sperar pietade alcuna. Pari ingegno e valor fosse concesso, 
Che vai perch' < altri sia chiaro e felice pria si degno peso a me commesso: 
Di gloria , d*avi, o d* oro in arca ascoso, Che saldo ' aìmen sarebbe in qualche parte 
E d' ogni don giojoso L'infinito dover che Palma preme. 

Che natura può dar larga, e fortuna; Quinci in quest'ore estreme 
Se tutto è falso ben sotto la luna, Ella con maggior duol da me si 'parte: 

E la vita sparisce a lampo eguale. Ch'ove a l'obbligo scior la patria invita, 

Che subito dal cielo esca e s'asconda? Non pon ^ mille bastar, non ch'una vita. 
E s' ove è più gioconda, Dunque s' ora il mio fil trónca la dora 

Più acerbo scocca morte il crudo strale? Parca, quanti ho de' miei più cari e fidi 
Pur ier, misero, io nacqui; ed oggi il crine Amor cortese guidi 
Dineve hosparso, e già son giunto alfine. Al marmo in ch'io sarò tosto sepolto; 
Né per sì corta via vestigio impressi E la pietà che in lor mai sempre vidi 
Senz'aver di mia^orte onde lagnarme >: Qualche lacrima doni a mia sventura. 
Che da l'empia assaltarme^ E se pur di me cura 

Vidi con alte ingiurie a ciascun varco. Ebbe mai Febo, anch' ei con mesto volta 
Contro laqual da pria non ebbi altr'arme, Degno mostrarsi ad onorar rivolto 
Che lagrime e sospir da l'alma espressi: Un fedel servo, onde. la morte il priva. 
Poi de' miei danni stessi Prestin le Muse ancor benigno e pio 

L' uso a portar m' agevolò l' incarco. Officio al cener mio: 

Quinci a studio non suo per forza l' arco £ su la tomba il mio nome si scriva ; 
Bivolto fu del mìa debile ingegno, Acciò, se il tacerà, d'altro onor casso, 

Tra'l roco suon di strepitose liti: La fama, almen ne parli il muto sasso. 

Ove i di più fiorili [ gno; Andresti e tu più eh' altri a£Glitto e 

Spesi: e par che il prendesse Apollo a sde- [smorto 

Che, se fusser già sacri al suo bel nome, A versar sovra me tuo pianta amaro, 
Forse or di lauro andrei cinto le chiome. Mio germe unico e caro; 

Ma qual colpa n'ebb'io, se'i Cielo av- S'in tua tenera età capisse il duolo. 

[ verso Ahi, che simile al mio destino avaro 
Parche maisempre a'bei desir contenda? Provi:ch'a pena anch'io nel mondo scorto* 
E virtù poco spleuda Piansi, infelice, il morto 

Se luce a lei non dan le gemme e l'oro? Mio genilor, restando orbato e solo. 
Ne quanto il drillo e la natura offenda Misero erede; a cui sol largo stuolo 
S'accorge il mondo in tal error sommerso? D'affanni io lascio, in pura povertade. 
Al qual anch' io converso, Chiudendo gli occhi, oimè ,da te lontano, 

De le fortune mie cercai ristoro: Porgi, o Padre sovrano, 

Ben che parco bramar fu'l mio tesoro," Per me soccorso a l'innocente etade: 
Con l'alma in sé di libertà sol vaga, Ond'ei securo da'miei colpi acerbi 

E d'onest' ozio più che d'altro ardente; Viva, e de l'ossa mie memoria serbi. 
Resta talor la mente, Celio Magno, 

Quasi per furto, infra k Muse paga; 

Che de' prim'anni miei dolci nodrici, LX. Apparecchio di un pranzo 

Fur poi conforto a' miei giorni infelici. ^ rustico. 

Un ben, eh* ogni mal vinse, il Ciel mi 

C diede, Entrato nel tugurio, e giù deposte 
Quando degnò de la sua grazia ornarmi Le lurid'arme sue ^, tutto si diede 
L'alta mia patria ^ e farmi , Saldato. a Ponno. Possono. 

* Che, ^ Lagnarmi. ^ CjnJoUo, 

3 Assallarmi. 4 Vcneaia, 4 Gli stromeati da lavorare la terra. 


SECOLO DECIMOSESTO 45 

A prepararsi il consueto cibo. Aspergendola sempre a snolo a snolo. 

£ prima ciol fncil la dura selre E per non tralasciar cosa che d*(Mpo 

Spesso rìpercotendo, il seme ardente Fosse per farla delic.ita e cara; 
De la fiamma ne trasse; e lo raccolse Mentre fumava ancor, sovra v'infuse 
In arido fomento; e perchè pigro Di butirro gran copia; che dal caldo 

Gli pareva e iangoent^, il proprio fiato Liquefatto, stillante, a poco a poco 

Oprò per eccitarlo; e di frondosi Penetrò tutto il peuctrabil corpo, [vaso, 
Nudriilo aridi rami. E quando vide Condotta al fin quest' opra, e posto il 

Che in tutto appreso avvalorossied arse. Così caldo com'era, appresso al foco , 
Cinto d*un bianco lino, ambe le braccia Provido ad altro attese. £ volto il piede 
Spogliossi fino al cubito; e lavato Là *v' egli larga pietra eretta avea 

Che dal. sudore ei s'ebbe e da la polve Sotto una grande e tortuosa vite, 
Le dure mani, entro stagnato vaso. Che copria con le fronde un vicin fonte, 

Che, terso, di splendor vincea l'argento, D'un panno la coperse, in guisa bianco, 
Alquanto d'onda infuse, ed a la fiamma Che l'odor del bucato ancor serbava. 
Sovra a un punto locollo ove tre7>iedi Quinci il picciol vasel sovra vi pose 
Di ferro sostenean di ferro un cerchio. Ove il sai si conserva, e *1 pan, che dolce 
Gittovvi poi, quando l'umor gli parve Gli era e soave, ancorché negro e vile. 
Tepido, tanto sai, quanto a condirlo Di molte erbe odorate e molti frutti 
Fosse bastante: e, per non stare indarno, Carcolla al fin, che l'orticel cortese 

Mentre l'onda boliia, per fissa tela Ognor dispensa.* e da l'armario tolse 

Fece passar, di setole contesta, La ciotola cajpace, e '1 vaso antico 

Di Cerere il tesor, che in bianca polve Del vìn, cui logro avea l'uso frequente 

Ridotto avea sotto il pesante giro H manico ritondo, e rotto in parte 

De la volubil pietra; indi partendo Le somme labra onde il liquor si versa. 
Con tagliente coltel rotonda forma Preparato già il tutto, ed ornai stanco 

Di grasso cacio, che da'topi ingordi Del lungo faticar; poi cbe le mani 

£i difendea dentro fiscelle appesa Tornato fu di novo a rilavarsi. 

Al negro colmo, col forato ed aspro Acrostossi a la mensa; e tutto lieto. 

Ferro tritollo. E cominciando ornai Cominciò con gran gusto a scacciar lunge 

L'acqua d'intorno a l'infiammato fianco Da se l'ingorda fame, e l'importuna 

Del vaso a gorgtigliare, a poco a poco Sete, spesso temprando il vin con l'onda 

S'adattò con la destra a spargervi entro Che dal fonte scorrea, gelida e pura. ' 
La purgata farina, non cessando Baldi, Egloghe, 

Con la sinistra intanto a mescer sempre 

Li farina e l'umor con saldo legno. LXI. La madre di famiglia. 

Quando poi tutta di sudor la fronte 

Aspersaegliebbe, e '1 bianco e molle corpo Lasciatoaveal'autunnotl giusto impero 

Cominciò a diventar pallido e duro; A l'aspra tirannia del crudo verno, 

Aggiunse forza a l'opra, e con la destra Che le chiome scotendo ispide e bianche, 

A la sinistra man porgendo aita, Spargea di neve i colli e con l'orrendo 

Per lo fondo del vaso il legn i intorno Fiato sembrar fea di cristallo i fiumi; 

Fece volar con più veloci giri: Talché ncm era a gli augcUetti schermo 

Fin che vedendo omai quella mistura La piuma, ed a le fere il folto pelo: 

Nulla bisogno aver più di Vulcano, Ma quei di qualche quercia, od olmo, o 

Preso un bianco taglier di bianco faggio, Si vedean ricovrar nel cavo tronco: [salce 

Fecene sovra quel rotonda massa: Queste, arricciate e rabulfate il dorso, 

E ratto corso là dov'egli avea Ripararsi fuggendo entro il più chiuso 

Molti vasi disposti in lunghe schiere, E cupo sen de le montane grotte: 

Un piatto sovra tutti ampio e capace Deirtro le calde stalle, armenti e gregge 

Indi tolse, ed il terse; e con un filo Stavansi ruminando il secco fieno, 

Ritroncando la massa in molle parti, Che '1 provido bifolco apprestò loro 

Il piatto ne colmò, di trito cacio Sotto il coverto letto al m'glior tempo. 


Ai CRESTOMAZIA POETICA 

Insommaognun.per non provar l'estremo Pria dunque ti dirò come ta deggia 

Rigor de la ^lagion, chiuso si stava Portarti come moglie, ed adempire 

Od in riposto speco, o 'n caldo albergo. L'uffizio che s'aspetta a buona moglie. 

Or io fra gli altri, Aresio e 'Ibuon Mon- Fra le principal cose che parere 

[lano, Fanno acerba la vita di coloro 

Ambedue d'età grave, ambo consorti Che maritati sono, è la discordia, 

Ne l'opre de la vita, avendo sazio La qual, se ben taloi; vien da'mariti 

Con povere vivande e bnive cena Strani, crudi e superbi, spesso nasce 

Il naturai desìo, faceau corona Anco da noi troppo leggiere e stolte 

Con la lor famiglinola a picriol foco: Ed ostinate, che, non conoscendo, 

E in tanto i dolci figli ivan facendo Né conoscer volendo il nostro stalo. 

Inganno al sonno, che fra '1 troppo cibo Non vogliam secondarli, anzi al contrario 

Vie più che fra '1 digiun, furtivo serpe^ Sempre mostrarci a lor ritrose e dure. 

Perchè di paglia Tuno o bianco salcc La prima parte dunque de la donna, 

Lunga treccia tessea, per farne il giro Che brama vita fortunata e lieta. 

De l'estivo cappel; l'altro di giunchi È Tesser mansueta, e con dolcezza 

Fabricava fiscelle, ove dovea Saper portar l'imperio del marito. 

Stringer in duro cacio il molle htte: La seconda è, ch'ella rimetta a lui 

De le figliuole poi questa li chioma De le cose di fuor tutto il pensiero, 

A la rocca traea, rotando il fuso; Né si curi più là di quel che chiude 

Quella con lungo canto iva allettando 11 giro de la casa: esser tua cura 

Il pargoletto al sonno entro la runa. Deve i.l fuso, il lelajo, la Conocchia, 

Ed era ornai de la nojosa notte La lana, il lin, le gallinelle, l'uova; 

Scorsa non poca parte, e cominciava II dar legge a le serve, e '1 poner mente 

A dormir dolcemente il vecchio stanco, Che nulla manchi a i piccioletti figli. 
Quando la saggia Aresia in questa guisa Perchè non altramente fora brutto 

A la maggior sua figlia a parlar prese: A la donna trattar consigli ed arme, 

Cara figliuola mia, perchè tu sei Cose che sol s'aspettano a'mariti. 

In quella e tate omai che vi fa peso Di quel che fora obbrobrioso a l'uomo, 

Sembrare a'genitori, e non sostegno. Se, non si ricordando d'esser nomo. 
Per non mancare a quell'amor che sempre Lavar volesse i panni, i vasi, e 'l filo 
Ti portai da le fasce, or che tuo padre Star al foco torcendo, e ordir le tele.' 
T'ha promessa per sposa ad Aristeo Quando fosse però che ti chiedesse 

Quivi nostro vicin figlio d'Eurilla, Compagna ne'consigli, io non t'esorto 
Voglio innanzi le nozze^ ed ora appunto A ricusarlo, anzi ubbidirlo in modo 
Che mi sowien, mostrarti alcune cose Che consigliando, di seguir tu mostri 

Che tu debba osservar quando sarai Non il consiglio tuo, ma il suo parere. 

In casa sua padrona e madre e moglie. S'avverrà poi, sì come spesso avviene, 

E vuo'seguir in ciò leco mia madre. Che fra '1 consorte e te contrasto accaggia, 

Che meco fé l'islesso uffizio prima Non vuo' che tu il bandisca, e ti lamenti 

Che moglie io divenissi; e sì mi sono Con le vicine tue, con le comari; 

Utili state le parole sue, Che non ad altro fin fatta è la casa, 

Che mai di lei non mi ricordo, ch'io Ne per altro ha la casa e mura e porte, 
Non le preghi riposo e pace a l'alma. ^e non perchè non sian de'falti altrui 

Attendi dunque e nota. Il nostro sesso. Giudici e spettator le genti esterne. 

Se col viril si paragona, è sesso Io voglio, olirà di ciò, che d'ogni ingiurìa 

Che tien assai de l'imperfetto e vile: Ti dimentichi affatto; che la moglie 
Onde^s'a quel non s'appoggiasse, appunto Che di tutte l'ingiurie si ricorda, 

Foìra qual vite scompagnala e sola. Mostra d'esser non moglie, ma più tosto 

Che senza portar frutto in terra serpe. Fierissima nemica: io chiamo il cielo 
Come dunque le viti a i salci, a gli olmi In testimonio, e te figliuola, ch'io. 

Si sogliono appoggiar, così le donne Benché potuto avessi, al mio Montano 

51 deoQo appoggiare a i lor mariti. Mai non rinfacciai uuìia: impara dunque 


SECOLO DECIMOSi:STO 43 

Anco tu a far Tislesso. Un altro vizio Da tutti, e da color che non sapeano 

Regnar suol fra noi donne , e questo è Di qiial casa si fossero, tenute 

[ l'odio Per donne disoneste: indegna cosa 

Che per lo più si porta a padri, a madri. Coprir il hel natio con la bruttezza 

A fratelli, a sorelle, e *n somma tutte De le bellezze finte. Or dimmi un poco, 

Le genti del marito: vizio infame , Figlia, quale più vago, unfiore, un pomo 

Vizio indegno di donna, che di donna Preso dal proprio ramo col colore 

Aver procuri il nome: or bench* io stimi Che lor comparle la natura e '1 sole, 

Te saggia si, che senza il mio consiglio Ovver un altro, benché da buon mastro 

Tu sia per schivar ciò, pur tei ricordò, Col pennello imitato? io credo certo 

Perchè tu sia più cauta; e più mi giova Ch'ogni >aggiouoiT)y che coVolori intende 

Di dirti oltra il bisogno, che lasciare D'acquistar fama dipingendo, tanto 

Cosa veruna a dietro. Onora ed ama Stimi di meritar lode maggiore, 
£ riverisci e suocere e cognati, .Quanto meglio imitar sa la natura. 

E pòrtati con loro in quella guisa Or^ se color natio vince il dipinto, 

Che tu vorresti eh' altri si portasse Se perfetta maestra è la Natura; 

Teco, sendo tu suocera e cognata. Perchè creder vorrem ch'in noi s'accresca 

Sovra tutto a temer t'esorto, o figlia, La beltà naturai con la dipinta? 

La fama rea, che s'una volta sola Sian dunque i tuoi belletti e i lisci tuoi 

Si sparge per le bocche, in vaa si tenta La pura arqua del fonte, onde ti lavi 

Di ricovrar la buona: in guisa tarde £ la faccia e le mani ogni mattina. 

Son le lingue al ben dire, e preste e pronte Non ti biasmcrò già se tu li specchi 

A i biasmi, a i disonori, a i vituperi. Qualche fiata : che lo specchio al fine 

Onde, pur fuggir ciò, non vuo'che solo C'>sa è da comportar, lutto che spesso 

Secretezza tu cherchi (che di rado Accresca in noi la vanità natia. 

Giova esser cauta a donna disonesta). Tanto sia detto intorno a gli ornamenti, 

Ma che tu viva si, ch'indi proceda E 'i viver come moglie: alquanto avanti 

Il parer a le genti onesta e buona: - Trapassar mi convien, poi che le nozze 

Buona e onesta sarai, quando non tanto Ordinate non fur, perche le donne 

Prezzerai gli ornamenti e la bellezza, Sol divenisser mogli, che ciò fora 

Quanto i'esser modesta e vergognosa. Spezie di servitù, ma perchè quinci 

Queste son quelle lodi, o cara figlia, Ne divenisser madri: il figlio è frutto, 

Che non fuggon con gli anni, anzi qual oro (Se noi sai) de le nozze, e questo frutto 

Non temon de la ruggine e del tempo. £ dolce sì, che la dolcezza sua 

Siche, se queste gemme tornemuno, Può temprar mille amari, ond'è condita 

Poco curar dovrai di quelle gemme La gravidanza e '1 maritale stato. 

Che le giovani vane hanno in più stima Lascio chea noi, che padri e madri siamo^ 

Spesso, che l'onor vero e 'l vero bene. Reca estremo contento il veder nati 

E se ben il tuo grado non ricerca £igli de'nostri figli, e molto tempra 

Che d'ostro t'orni e d'oro, essendo nata La doglia del morir, riconoscendo 

In stato umil, pompa però soverchia Noi stesse ne'nipoti in cui speriamo 

Fora la tua, se superar volessi. D'aver morendo una seconda vita. 

Col povero vestir, l'altre che sono Però, se fia che Dio ti faccia madre, 

A te di grado e di bassezza eguali. Odi quai sian di madre diligente 

Oltra il vestir, d'uu'altra cosa ancora Le parti. Nato il figlio , a me non piace 

Debbo avvisarti, che non poco importa. Che 'l costume tusegua ingiusto ed empio 

E questo è che giammai tu non ti creda Di quelle donne eh' a' figlinoti loro, 

Che la bellezza che ne dà Natura Che nel venire portar, negano il latte. 

S'accresca co i belletti e concolori, [chia, Ben vediam tutto il dì molti animali 

Che nulla è meno il vero: io che son vec- Gli altrui parti nudrir, ma non vediamo 

Ho conosciuto molte, che, volendo, Però mincara'propri: or qual piùalpestre 

Benché belle per se, parer più belle Fera è de l'orsa? e pur verso i suoi figli 

Con questi lisci, eran mostrate a dito Tenera è sì, che la salute loro 


46 CnKSTOMAZIA POETICA 

Stima assai più che la sua propria vita. Abbandoni le piume; che il fidarsi 

In tutto nega dunque d*esscr madre £ Tesser sonnnaccbiosa son due cose 

Chi nega a'iigli il latte, e 'n tutto nega Che mai non partoriscon se non danno. 

J)'csscr donna colei che d'ogni fera Non so che dirti più, perchè mi pare 

È centra i propri tigli assai più fiera. D*aver detto abbastanza, ed a te tocca 

Impara dunque ad esser donna e madre , D'osservar quanto udisti, e ricordarti 

Donna e madre pietosa : io mm vorrei Che chi consiglio ascolta e non sen vale, 

Però che per soverchia tenerezza Senza suo prò da sezzo alfìn sen pente. 

Gli allevassi vezzosi e delicati ; Qui tacque Aresia; e perchè già s'odia 

Perchè, se ciò disdice a'cittadini. Cantar per tutto il vigilante augello 

Come a noi starà ben, che nati siamo Che de la mezza notte altrui dà segno, 

A continue iàtiche e non abbiamo E già mancato in tutto a l'unta e negra 

Riposo mai ne '1 giorno, né la notte? Lucerna era il liquor che nudre il lume, 

I maschi sian tua cura, in fin che il passo Del foco avendo le reliquie estieme 
Movan più fermo, e possan con la verga Sotto il tepido cenere coverte, 
Cacciar al pasco il mansueto armento; Senza più dimorar, le membra al sonno 
Che da quel tempo in su del padre dee In preda dier sovra l'usate piume. 
Ec>ser uffizio Pinsegaargli quello Baldi , Egloghe. 
Ch'a lor s'aspetti, e castigargli, quando 

Pertinaci ei gli truovi o negligenti. LXII. Segni della tempesta 

De le femmine poi la madre sempre e della serenità. 

II pensier aver dee, ne pur lasciarle 

Giammai d'no passo, se gelosa è punto La luna e'I sol mirasti: or volgi il guardo 

De l'onor proprio, e ciò fin che cresciute A'più minuti lumi, e i segni impara 

A l'età più matura, il padre prenda Che ti mostra fedel l'antica notte ; 

Cura di maritarle, a cui s'aspetta , La notte, in cui pietate allor si desta 

Non a la madre, il ricercar partito Che gl'infelici naviganti scorge 

Conveniente al grado ed a la dote. Fra Tonde errardispersi; e il mesto snono 

Perchè poi l'esser data ad Aristeo, Le fere ' il cor de'lagrimosi accenti. 

Che per uomo di villa è ricco assai, Se dunque osserverai ch'ella ti scopra 

Farà che tu terrai famigli e serve; Il suo stellato aitar di nubi scarco 

T'insegnerò come portar ti deggia Uve l'altro sercn * d'acquoso velo 

Con lor, se brami d'acquistarne il nome Sia ricoperto, affretta al fido porto, 

Di padrona amorevole e prudente. Mentre cede al governo ancor la vela, 

Sarai dunque con lor per mio consiglio Biedi ; che , se noi fai , del mar, che a 

Non aspra, non crudele e non superba, [ scherno 

Né troppo anco piacevole; che quello Avesti, andrai misera preda, e 'ndarno 

Partorisce odio estremo, ed è cagione Dirai felice e fortunato a pirno 

Di licenza quest'altro, e di disprezzo: Quel cauto marinar che allor non sciolse, 

Dunque al mezzo t'appiglia, e giungi in- Né por si volle a sì palese risco. 

L'esser con lor piacevole e severa, [siemr Ma se mentre è il Centauro in mezzo il cielo, 

Avvertisci anco di non esser mai L'omero avrà di breve nube carco , 

Scarsa con lor del meritato cibo, E fia l'Aitar, come già dissi, ardente; 

E del dovuto premio, essendo queste D'Austro non s'abbia tema,* anzi da'regni 

Sole e prime cagion di far che i servi De la lucida aurora Euro s'attenda. 

Non curino tesor di libertade. Fie ^ ancor d'irato ciel non dnbio segno 

Non ti fidar di lor; che nulla è peggio Quando le chiare stelle a poco a poco 

Del fidarsi de'servi, de'quai s'uno Perdendo andranno i luminosi rai : 

Fedel tu ne ritrovi, é sorte, e quasi E se quando la terra abbraccian l'ombre, 

Contro natura: abbi pur sempre l'occhio Cadere altra di lor vcdrassi, seco 

A le cose più care; e se non vuoi Lungo traendo e sfavillante solco, 

Esser fraudata, n<m lasciar che alcuno » Ferisce. a Cioè il resto del cielo» 

Di lor dopo te vegghi, e di te primo s Fi». Sarà. 


SECOI.0 DECIMOSESTO 47 

ri venti intempestivo assalto I due figli di Leda, amiche stelle, 

tella parte moverassi dove Sì che se quando a te mostran cortesi 

, cadendo, il lucido sentiero. La luna, il sol, le stelle, il mar e '1 cielo, 

izi il soffiar de'fnriosi venti ' Contemplerai; rare fiate incerto 

nmove l^ettuno, e col muggito Sarai di quei ch*£olo e Giunon prepari, 
igc rimbombar le curve sponde: Baldi, Kfauiica, Ub. IL 

dal mar, che minacciar già sembra 

està, Talrone; e più che punte, LKIII. La condizione dell* agrieol" 
cciando si va tranquilla parte, tore e quella del navigatore, 

) sereno ciel ratto volando; 

onsi incontro al vento ir le palustri Taccia dunque ilcultor, nèsi querele <, 

le a schiera, e per l'eccelse cime Giudice me, né misero si chiami 

i altissimi monti in lungo filo Perchè il suo faticar correndo in giro 

idersi le nubi; e frondi e piume Per Pislesso senticr sempre ritorni; 

per Taere errando. 11 vento acquoso E perchè spesso al sole ed a la neve 

si allor che '1 ciel lucidi lampi Fra soverchi disagi ei geli e sudi; 

li alberghi di Borea od' Euro od'O- £ che talor di sue fatiche estreme 

[ stro II frutto caglia ^ e la speranza indarno : 

. accende; e quando a*laghi intorno Gh*4 gran torto si duol, se Pocchio volge, 

e veloce vola; e mormorando * E dritto mira il periglioso slato 

{uaci anitrelie in su le sponde De l'audace nocchiero. Egli se '1 giorno 

i stagni e de'fiumi in strana guisa 5uda premendo il faticoso aratro, 

m lavarsi, e van tuffando il capo O d'arbosrel di questa in quella riva 

le gelid'acque. In secca arena Translato tronca i troppo audaci rami; 

I allor la cornice, e Tonda chiede Respira ai fine, e quando il sol si parte 

el con roca voce: i bassi fondi Par dar loco a la notte, i buoi disciolti 

lar lasciando il polpo, in su le rive Da le arate campagne a Tumil tetto, 

"Otondee piccioletle pietre Che già vede fumar, l'orme rivolge: 

)i tenaci pie saldo s'attiene : Ove col cibo che apprestato gli ave ' 

tose alcioni in su gli scogli. La sua casta compagna, egli riprende 

'argolelti lor, distesi i vanni, Il perduto vigore; e 'ntanto in seno 

)1 godonsi i rai tepidi e chiari: Gli riportan scherzando i dolci figli 

anoadoraador, guizzando, il curvo Le pargolette membra: onde egli obblia 

i lievi delfin; perchè, presago Le passate fatiche. £ benché d'oro 

Dpestail nocchiero, o fugga, os'armi Non splenda il suo ricetto, e non s'estolla 

1 il marino orgOj^lio.Or chi p( trebbe Sovra colonne di lucenti marmi; 

r i segni ad un ad un, che il cielo Benché sovra alti pie di sonito argento 

»stra pria che '1 mar si turbi? ed anco Candidissime faci ei non accenda, 

ch'egli è turbato; a fin che sorga II cui splendor de le superbe sale 

'amato seren ne' petti altrui A gli occhi scopra le ricchezze e l'arte ; 

la speme? Di tranquillo e piano Lieto è però •' si le corone e i manti, 

segni possiam quando le nubi Ricco in sua povertà sprezza e non cura, 

^endo vansi a poco a poco, e chiare A lui ridono i prati: a lui sol versa 

)nsi in ciel le più minute stelle: Giacinti e rose la surgente aurora ; 

lo la -grave ed importuna nebbia A lui, dolce cantando, i primi albori 

valli si posa e 'ntorno al mare Sa'utan gli augellctti; e i fonti e i faggi 

idosene umìl, lascia ^^erena Porgon chiari i cristalli, opache l'ombre, 

i alti monti le selvose cime. Ove l'aride labbra immolli, ed ove 

:n lucido e chiaro il tempo adduce Posi dormendo il faticato fianco, 
lia di Taumante, il ricco lembo Altramente a colui, vivendo, avviene , 

;nti ornata e coloriti fregi. Che ricchezze adunar brama fra l'onde. 

tro indizio ancor di certa pace Perché lasciata la mogliera e i figli, 

szo a le tempeste orride e nere ' Quereli, '& Cada, 3 Ha. 


4S 


CRESTOMAZIA I^OETICA 


Quasi dal patrio nido a forza spinti , 
Se stesso esposto a volontario errore, 
Erme penetra e sconosciute areni: 
D'ogni nube paventa; e mai non dorme 
D'altissima paura il petto scarco : 
Arde a l'estivo tempo; e benché d'acque 
Sia d'ogni intorno cinto, inilarno brama 
Fresco rimedio a la focosa sete: 
Da'colpi de la morte un picciol legno 
Gliefralescudo:e,quelch'èviepiùgrave, 
Bare fiate avvien ch'ei ne riiwrle ' 
Mercè che sembrial gran travagliopguale. 
Non vo' però che tu , benché d'estrema 
Fatica sia quest'arte, e di periglio, 
Perciò paventi; e neghittoso viva 
Tutta l'etate tua povero e vile: 
Perchè spesso in cangiar contrada e parte, 
Cangia nom fortuna; e 'n region lontana 
Trova tesor che nel paterno nido 
Avria forse aspettando atteso indarno. 
Sii pur saggio e prudente, e col consiglio 
Rompi fortuna rea: perchè a colui 
Solo il pregio si dee, che ardito e forte 
Biede superator d'ogni periglio. 
Non vedi tu che i celebrati eroi, 
Per fabricarsi gloria, ebber tenzone 
Co'mostri e con l'inferno? e chela fronte 
Solo a colui l'illustre fronde cinse, 
Che sudò vincitor ne'campi elei ? 
Pon mente al Lusitan, che, ben che il regno 
Aggia * colà 've 'i Sol cade «e l'onde, 
Tal col proprio valor calle s'aperse, 
Che, Cerne addietro e '1 carro de gli Dei 
(Mete non degne a l'animoso corso) 
Di gran lunga lasciato, incontro al sole 
Voltò così, che fra gli estremi Eoi 
Potè spiegar le vincitrici insegne. 

Baldi, Naulica, lìb, IH» 

20. Brevità della vita. 

De la sua fìnta imago 
Fatto Narciso vago. 
Appresso a lue id 'acque. 
In odorato fior converso giacque. 

Ben s'assomiglia a fiore, 
Che tosto langue e muore, 

» Riporti. a Abbia. 


Chi, per voler r^slcrna 

E caduca beltà, lascia l'eterna. 

Giovine oggi mi finge 
La man che mi dipinge: 
Dimani, ahi! fredde brine 
M*ingombreran l'antico mento e 'l crine. 

Ogni cosa com'ombra 
Veloce il tempo sgombra; 
E i nomi insieme e l'opre 
Muto silenzio e cieco oblìo ricopre. 

£aidi, 

2 1 . Per la cetra di Virgilio . 

Quella cetra gentil, che in sa la riva r 
Cantò di Mincio, Dafni e Melibeo < 

Sì, che non so, se in Menalo o 'n Liceo,: 
In quella o in altra età simil s'udiva; 

Po'cliè con voce più canora e viva 
Celebrato ebbe Pale ed Aristeo, 
E le grand'oprc che iu esilio feo 
Il gran figliuol d'Anchise e de la Diva; . 

Dal suo pnstoreio una quercia ombrosa 
Sacrata pende, e se la muove il vento. 
Par che dica superba e disdegnosa : 

Non sia chi di toccarmi abbia ardi mentii^ 
Che se non spero aver man sì famosa, 
Del gran Titiro mio sol mi contento. 

Di Costanso, 

22. Per la morte del figlio 
in età tenera. 

De l'età tua spuntava appena il fiorCf 
Figlio, e con gran stupor già producea 
Frutti maturi, e più ne promettea 
L'incredibil virtute e *l tuo valore; 

Quando Atropo crudel mossa da errori 
Perchè senno senile in te scorgca, 
Credendo pieno il fuso ove attorcea 
L'aureo tuo stame, il ruppe in sì pocVort: 

E te de la natura estremo vanto 
Mise sotterra, e me ch'ir duvea pria tto: 
Lasciò qui in preda al duo! eterno, alpiao- 

Ne saprei dir se fu più iniqua e ria, 
Troncando un germeamato e caro tanto, 
non sterpando ancor la vita mia. 

Di Costanso, 


SECOLO DECIMOSETTIMO 


Per vittoria riportata da Gio- 
ni de* Medici contro i Turchi. 

e 1* indegno acquisto 
d'oriente il popol crudo , 
on gregge il Cristo 
ie di speme e di vafore ignudo ; 
he pur, Tempia superbia doma, 
.>nan !a fronte Italia e Roma. 
Isàr gli empii Giganti 
mpo al ciel 1* altere corna; al fine 
;ori sonanti 

ler trofeo, tra incendii e tra ruinc: 
le fulminata empia Babelle 
che più yicin mirò le stelle, 
ibra^a al vasto regno 
ne angusto ornai V Istro e T arene: 
) Titano y a sdegno 
carsi parea palme terrene; 
in obblio qual disdegnoso il cielo 
a l'alte vendette orribil telo, 
ega di penna d'oro, 
omene cortese, ala veloce ; 
lon lieto e canoro 
taliche ville alza la voce ; 
jli omai ne gli agghiacciati cori 
il cantò tuo guerrieri ardori. 
a l'umido ciglio. 
Esperia, d' eroi madre feconda ; 
smo armato il figlio 
*de l' Istro in su la gelid'onda, 
tc' regni de Tacque immenso scoglio, 
scudo al furor nel tracio orgoglio, 
rio successo avverso 
goaìiimo cor virtù non languc ; 
lal di sangue asperso 
a teste e furor terribile angue, 
1 de la gran madre il figlio altero ', 
cadendo, ognor più invitto e fiero, 
mmortal fiamma ardente 
a è là su i luminosi campi, 
to sonar si sente 

aventoso tuon, fra nubi e lampi, 
r di bassi regni aura v' ascende 
►rtal fasto, e Tire e i fochi accende 
ateo* 

usoPARPi, Crestomazia, U. 


So V incudi immortali [ Bronti. 

Tempran T armi al gran Dio Steropi e 
Ivi gli accesi strali 

Prende, e fulmina poi giganti e monti: 
Ivi, né certo in vano. 
S'arma del mio signor T invitta mano. 

Quinci per terra sparse 
Vide Strigonia le superbe mura : 
Quinci ei ne Tarmi apparse 
Qual funesto balen fra nube oscura; 
Ch' alluma il mondo, indi saetta, e solve 
Ogni pianta, ogni torre in fumo e 'n polve. 

Oh qual ne' cori infidi 
Sorse terror quel fortunato giorno! 
I paventosi gridi 

Bizanzioudì, non pur le valli intorno ; 
£fin ne T alta reggia, al suo gran nome, 
Del gran tiranno inorridir le chiome. 

Segui: a mortai spavento 
Lunge non fu già mai mina e danno. 
Io di nobil concento 
Addolcirò de' bei sudor T affanno ; 

10 de la palma tua, con le sacr'oude, 
Cultor canoro, eternerò le fronde. 

Chiabrera, 

LXV. Per vittoria ottenuta dalle ga- 
lee dì > Toscana contro quelle di 
Allessandria. 

Voi dal tirreno mar lunge spingete 
I predatori infidi ; 
E ne' golfi sicuri 

De T imperio ottoman voi gli spegnete. 
L' Egeo sei sa, che d' Alessandria scerse 
Dianzi ululare i lidi, 
Quando in ceppi sì duri 
Poneste il pie de le gran turbe avvejrse, 
E sotto giogo aceirbo 

11 duce lor superbo. 

Oh lui ben lasso! oh lui dolente a 
Che in rcglon remote [ morte ! 

Non più vcdrassi intorno 
L'alma beltà de la gentil consorte. 
Ella, in pensar, piena di ghiaccio il core, 
Umida ambo le gote, 


5d CRESTOMAZIA POETICA 

Alto piàngeva un giorno E di leon dbdegno 

Il tardo ritornar del suo signore : Non è da risvegliar, perchè t'assaglia. ', 

£ così la nudrice Meco non vo' che vaglia 

Parlava a l'infelice: Si sconsigliata voce : ; 

Perchè t'affliggi in van? Tangoscia^af • £d ella Gedeon già non commosse 
A che tanti martiri? [frena: Quando scese feroce 

Deh fa ch'io tra' bei rai Ne l'ima valle , e Madian percosse. 

La cara fronte tua miri serena. Ei, gran campo raccolto - 

Distrugge i rei Cristian, però non riede Di numerose schiere, 


ì 


Il signor che desiri. 

Ma comparte oggimai 

Tra' suoi forti guerrier le fatte prede; 

E serba a tue bellezze 

Le più scelte ricchezze. 

Così dìcea: ne divinava coAe 
Egli era infra catene 
Là 've con spessi accenti 
Mandasi al ciel di Ferdinando il nome. 
O verdi poggi di Firenze egregia, 
O belle aure tirrene, 
Ed o rivi lucenti; 

Sì caro nome a gran ragion &i pregia: 
lieti a gran ragione, 
Gli tessete corone. 

Che più bramar da la bontà superna 
Tra sue grazie divine , 
Salvo che giù nel mondo 
Sia giustìzia e pietate in chi governa ? 
lo non apprezzo soggiogato impero. 
Benché d'ampio confine , 
Se chi ne regge il pondo 
E di tesor, non di virtude, altero: 
Ambizione è rea : 
"Vero valor ci bea. 


( 


Vegghiava a scampo del natio paese; 

E da lunge non molto [ 

Spiegavano bandiere 

Gli stuoli pronti a le nimiche offese. 

Ed ecco a dir gli prese 

Il Re de l'auree stelle: 

Troppa gente è con te: parte scd vada:-^ 

Crederebbe Israel le ^- 

Vittoria aver per la sua propria spada. 

Quivi il fedel campione 
Di gente coraggiosa 
Sol trecento guerrier seco ritenne: 
Poscia per la stagione 
De l'aria tenebrosa 

Le squadre avverse ad assalir seD venne. 
Poco il furor sostenne 
La nemica falange : 

Ei gli sparse e disperse in un momento. 
Febo eh* esce dal Gange, 
Le nebbie intorno a se strugge più lento. 

Così gli empii sen vanno 
Se sorge il gran Tonante, 
De la cui destra ogni vittoria! dono. 
Il Trace è gran tiranno; 


Ma sue forze cotante 
Ckiabrera, Né di diaspro né d'acciar non sono. 
Forse indarno ragiono? 
LXVI. Per altre vittorie delle galee Ah no; ch'oggi «ospira 


toscane contro i Maomettani. 

Quando il pensiero umano 
Misura sua possanza 
Caduca e frale, ei sbìguttisce e teme : 
Ma se di Dio la mano, 
Ch' ogni potere avanza, 
Ei prende a riguardar, cresce la speme. 
Ira di mar che freme 
Per atroce tempesta. 
Ferro orgoglioso che le squadre ancida, 
Non turba e non arresta 
Vero ardimento, che nel Ciel confida. 

Sento qua giù parlarsi : 
Un pìccioletto regno 
A vasto impero perchè dar battaglia? 
Alpe non può <Tollarsi ; 


.,1 


Algier de' legni suoi l'aspra sventura; 
E Prevesa rimira # 

De' bronzi tonator nude sne mura. 

Popolo sciocco e cieco, 
Che militar trofei 

Speri da turba iniguerreggiar maestra; 
Quali squadre ebbe seco 
Sanson tra' Filistei, 
Quando innalzò la formidabil destra? ' 
Ei da spelonca alpestra 
S' espose in larga piaggia ■ ^ 
A spade ed aste di suo strazio vaghe; 
Quasi fera selvaggia . ^ /' 

Data in teatro a popolari piaghe. • 

Ma sparsi in pezzi i nodi >;> 

Onde si trasse avvinto,, . •. ■ ■?'' 
D' acerba guerra suscitò tempe»tft& ^^ li 


miseri modi 

ejcci.to vinto 

Ea di sua man fé manifesta. 

' ora funesta, 

i non s> armò gente; 

faretra egli avventò qnadrella: 

>rò solamente 

:stinto a&inel frale mascella. 

in chi lo soccorse 

> Gaza, là dove 

vissime porte egli divelse; 

do sen corse, 

tdibili prove ! ) 

)rtò su le montagne eccelse ? 

1 : Dio che lo scelse, 

ilgidi rai 

irò il fece ed illustrollo allora: 


SECOLO DEQMOSETTIMO &l 

: Che scotendo cimier, miaacci ardita, 
Che da lo sguardo fier versi farori, ' 
E che d*onor ben vaga, ' 

Esponga il petto a memorabil piaga. 

Chiabftrat 


LXVIII. In morte di FaJbrixio ' 
Colonna. 


nca già mai 

Irma, e delgrau Dio le leggi adora. 


Deh qual mi fìa concesso 
Stil di tanto dolore, 
Onde accompagni il core 
Ne r alta angoscia oppresso ? 
O Febo, o re de 1* immortai Permesso *; 
Se v'ha musa pietosa 
Ch* ove morte ne fura 
Anima gloriosa. 

Usi di lagrimar 1* aspra ventura; 
Ella dal ciel discenda, 
Chiabrera, £ meco a pianger prenda. 
Lasci la bella luce 

l. Per altre vittorie de* Toscani La bella Diva ; e mesta 

tro i Turchi , con liberazione Bechi cetra funesta : 

wUti Grieiiani schiavi. Poi che morte n'adduce 

A lamentar de' Colonnesi il duce ; 

mo, si lungo stuol, lieto in sem- Nobile pianta altera, 

[ biansa. Svelta da* nembi e doma 

tuoi piedi s* atterra, oggi dal seno, Sul fior di primavera ; 

: franco lo fai, letizia spande. Forte sostegno a rocca alta di Roma, 

ben conservar la rimembranza Folgoreggiata a tecra 

*sto giorno : e tu di lui non meno ; Con lagrimevol guerra. 

sante vulte in terra anima grande nato in lieta sorte, 

à comparte Di genitor felici ; 

^migliarsi a Dio ritrova l*arte. Come tristi, infelici, 

"zadunque, omio re, l'alto pensiero Còrser tuoi giorni a morte! 

;li scettri tuoi splendono chiari. Fervida destra, coraggioso e forte 

Sangue di stirpe antica, 
Sempre di schiere armate , 
Sempre di pugne amica; 
Già non dovea su la più verde etate ■■ 
Dura morte involarte ' 
Senza prova di Marte . 

Ahi, che se a te pia lente 
Giungean Tore del pianto, 
Forse perdea suo vanto 
Un di Tempio Oriente! 
Ma dove il suo ferir vien più dolente^ • 
Morte colà più punge, 
£ più gli strali ha pr9ntiv^<:i 
Così, d'Italia lunge, .^.t. 
O bell'alba d'Italia,. on^ tramonti; > 
E si vien teco a meiìo< f •' 

crespi il crine, eche di nardo odof i* Tanta 4«i $Uo tereiloi ■■•■'' '-r. ,'-i >■ h 

\!ÀàMtW!k^etìÙìSk\Àsi&^wky, ' iParoaso, ■>•>>>"» {ajycgjittlt -mI/v 


! di torri e che di mura eccelse 
! quel che tu governi impero, 
'di r Alpi, o pur difenda i mari : 

i suoi nidi in lui Cerere scelse; 
le genti industri 

Minerva ne le scuole illustri. 

contrastati, se ne van repente 
!gi al vento. Ecco la terra argiva 
! tra' ceppi, e di catene è carca. 
aspro Quirin l' inclita f^ente, 
3 di palme eterne alma -fioriva, 
landò superba ogni- monarca ;. 
xtanto e vinse 

la spada infalicabii cinse* 
nata vista, e di mirarsi indegna, 
tu che di gemme orni le dita. 


r>2 


Cruda, barbara scoi a 
Ch'altrui biasma i sospiri, 
Ci s'altri i suoi martìri 
Coi lagrimar consola. 
A me iiou srenda in cor sì ria parola: 
Che dolce è far querele 
Colà dove n'oifese 
l)ura morte crudele; 
Kd è di nobil core atto cortese 
Dare amorosi accenti 
A le più chiare genti. 

Certo s'alma è fra noi 
Del tuo morir men pia, 
Certo, Fabrizio, obblia 
I tuoi sì chiari eroi. 
Ma vide in armi pria Ravenna, e poi 

Vide Adice in periglio, 

Se de la vostra gloria 

Per forza e per consig'io 

Deggia Italia tener breve memoria; 

O anime reine 

De le virtù latine. 

Stan lungo d'Ambre i lidi 

Di Prospero gli allori, 

Mille armati sudori, 

Mille onorati gridi: 

K poco dianzi in Campidoglio io vidi 

Nuovi titoli egregi; 

£ giù da'nobili archi, 

Scorno a'barbari regi, 

Pender faretre insanguinate ed archi, 

£ mille spoglie appese 

Al più gran Colounese. 
Caro, giocondo giorno, . 

Quando a l'amiche voci, 

Quando a i bronzi feroci 

Tonava il cielo intorno; 


CRESTOMAZIA POETICA 

Fatti querele e pianti! 


] 


Chi(d>rer»^ 

LXIX. Sopra il sorriso di unahslk. 


I 


Se bel rio, se bell'aure tta 
Tra l'erbetta 

Sul mattin mormorando erra; 
Se di iìori un praticello 
Si fa bello; 
Noi diciam: ride la terra. 

Quando avvien che un zefiretto 
Per diletto 

Bagni il pie ne l'onde chiare, 
Sicché l'acqua in su l'arena 
Scherzi appena; 
Noi diciam che ride il mare. 

Se giammai tra fior vermigli. 
Se tra gigli 

Veste l'Alba un aureo velo, 
£ su rote di zaffiro 
Move in giro; 
Noi diciam che ride il cielo. 

Ben è ver: quando è giocondo. 
Ride il mondo; 
Ride il ciel quando è giojoso: 
Ben è ver: ma non san poi 
Come voi 
Fare un riso grazioso. 

Chiabrera, 

LXX. Sopra Amore. 

Del mio Sol son riccìutegU 
I capegli; 

Non biondetti, ma brunetti: 
Son due rose vermidiuzze 


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E d'auree gemme e di ghirlande adorno, Le gotuzze; 


Su candido destriero, 
Trionfator romano 
Traea sua pompa aitero 
A la reggia di Pietro in Vaticano: 
Dolce pompa a mirarsi, 
E dolce ad ascoltarsi. 
Allor tu pargoletto, 
Emulator paterno, 
D'alto valor eterno 


Le due labbra, rubinetti. 

Ma dal dì ch'io la mirai 
Fin qui, mai 

Non mi vidi pra tranquilla: 
Che d'amor non mise Amore 
In quel core 
Né pur picciola favilla. 

Lasso me, quando m'accesi. 
Dire intesi 
Ch'egli altrui non affliggca. 


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11 


Tutto infiammasti il petto. 

Ma morte il tuo valor prese in dispetto. £ che tutto era suo foco 

Dunque a la patria riva Riso e gioco, 

Gente barbara e strana E ch'ei naique d'una Dea. 

Non condurrai cattiva. Non fu Dea sua genitrice. 

Oh conversa in dolor gioja romana! Com'uom dice: 

Oh glorie, oh aostrl vanti Nacque in mar di qualche scoglio: 


SECOLO DECIMOSETTIiMO 55 

iu quelle spume Ma di cose pregiate e di tesoro; 

£ gemmati monili ed auree marche, 
Balsami ed ambre sol serbansi in loro; 
Cos'i sotto bei membri e belle forme 
Chiuder non si suol mai spirto difforme. 
Marino^ Aclone^ canto XFÌ» 


)cna e cordoglio, 
ér ch'ei pargoleggia, 

iQciulletto; 

rgolfggiando, 
tdo, 

;ia core in petto, 
ira, quale sdegno! 

IO 

dica; e mi minaccia, 
serpentello, 

o, 

n vuol ch'io mi taccia? 

tu che gravi affanni 

mi 

[ in seguitarti? 

ique lagrimoso, 


), ho da lodarti? 


LXXU. Il giuoco degli scacchi. 

Fermo tra lor con quest'accordo il patto, 
Kcco d'astuto ingegno e pronta mano 
Garzon, che sempre scherza e vola ratto: 
Gioco s'appella, ed è d'Amor germano. 
Questi su l'ampia tavola in un tratto 
A recar venne un tavoliero estrano, 
Che di fin oro ha la cornice, e '1 resto 
Tutto d'avorio e d'ebano è contesto. 

Sessantaquattro case in forma quadra, 
Inquartate per dritto e per traverso, 
Dispon per otto vie serie leggiadra, 
Ed otto ne contien per ciascun verso. 
Chiabrera* Ciascuna casa in ordine si squadra 
Di spazio ((guai, ma di color diverso; 
t bellezza de l corpo s uale e»- Ch'alter piamente a biancoe brun distinto, 
giunta a bellezza dell'ani- Qual te/go di dragon, tutto è dipinto. 
i costumi. Scambievolmente al bianco quadro il' 

[nero 
Succede, e varia il campo in ogni parte. 
Or qui potrai, quasi in agon guerriero. 
Disse la Dea, veder quanto può l'arte; > 
Dieo di guerra un simulacro vero, 
Ed una beila imagine di Marte; 
Mover assalti, e stratagemmi ordire, 
me a quel bel ch'entro si copre, £ due genti or combattere or fuggire, 
lianze esteriori e l' opre. Ciò detto, versa da bell'urna aurata 

così, che di natie fiammelle Sul tavolier di calcoli due schiere, 
di color vago s'inostra, Che di tornite gemme effigiata 

! tempre ancor luride e belle Mostran l'umana forma in più maniere, 
ispoodente a quel che mostra. L'una e l'altra falange è divisata 
ne il sol, la luna e l'altre stelle Là dì candide insegne, e qui di nere: 
i oggetti de la vista nostra, Son di numero pari e di possanza, 
i occhi però visibil fede Differenti di nome e di sembianza, 

ne maggior che con si vede. Sedici sono e sedici; e siccome i 

)rea beltà chiaro argomento Vario è tra loro il color bianco e *1 bruno, 
i non men bella alma gentile^ £ varia han la sembianza e vario il nome. 


è luce, che dal sommo Sq^ 
L rischiarar career terreno, 
raggi compartir si suole, 
i risplende e dove meno, 
no di leggiadro atti o parole, 
:rcè del suo splendor sereno; 


ndizii dinotando e cento 
lere in sé forma simile; 
lo dilicato e lento, 
stallo timido e sottile, 
r di fuor gl'interni lumi 
li e candidi costumi. 
ne le ricche nobil'arche, 

tefia vii SI tengoa carene, 


Così l'ufficio ancor non è tutt'uuo. 
Havvi regi e reine, ed ha le chiome 
Di corona real cinte ciascuno: ; 
V'ha sagittarii, e cavalieri, q fiinti^ 
£ di gran rocche onusti alti cle£in4i.> 
Ecco son già gli eserciii disposili; 
. Già ne'sjU 60vra}U.>e già n£ gl'iiu > ■ 
, Son divisi i quaflii^^ pieliti ipostiv 
Stan ne l'ultima linea i et %>Mvgdl\> 


.1 •-. ♦ 


^4 CRESTOMAZIA POETICA 

K quinci e quindi entrambo a fronte op- L^iin e Taltro confio del campo tocca. 

[posti II cavallo leggier per dritta lista, 

1^ quarta sede ad accupar Tan primi; Come gli altri, l'aringo nnqua non fende; 

Ma '1 canuto signor , ch'è l'un di loro, Ma la lizza altraversa, t, fiero in vista,, 

Preme Toscura, e tien l'eburnea il moro. Curvo io giro e lunato il salto stende ; 

La regia sposa ha ciascun re vicina: ^ sempre, nel saltar, due case acquista^ 

Un l'ba dal destro lato, un l'ba dal manco. Quel colore abbandona, e questo prende^ 

4icn campo a se conforme ogni reina; ^a la donna rea! vie più superba. 

La fosca il fosco tien, la bianca il bianco. ^e*suoi liberi error legge non serba. 
jNe la fila medesima confina Per tutto erra costei, lungeedapresso, 

Gemino arcier da questo e da quel fianco: ^ P^ò di tutti sostener la vice; 

Questi la rissa a provocar sen vanno, i>aivo che 'n cerchio andar non V è per- 

E de la real coppia in gnardia stanno. Saltellar, volteggiar le si disdice: [mtsaov 

Non lontani, a cavallo, han duo cam- Privilegio al dcstrier solo concesso, 

[ pioni Corvettando aggirarsi altrui non lice. 

In pugna aperta a guerreggiar accorti. Nel resto poi, se non ha intoppo al corsOf 

£ ne r estremità de' duo squadroni Noil trova al suo vagar meta ne morso. 
L'indiche fere gli angoli fan forti. Move l'armi più cauto il re sovrano. 

Otto contr'otto, assiston di pedoni In cui del campo la speranza è tutta: . 

Jn ordinanza poi doppie coorti, Che, s'egli prigionier trabocca al piano, 

Ch'a'primi rischi de la guerra avanti L'oste dal canto suo riman distrutta. 

Portano i petti intrepidi e costanti. Quinci per lui ciascuno arma la mano,, 

Pugnasia corpo a corpo; e fuor di stuolo, l'er lui s'espone a perigliosa lutta; 

Quasi in steccato, ogni guerrier procede: ^^ ^%^^* spettatorde la contesa, 
8'un bianco escedi schiera, eccoch'a volo Cinto di guardia tal , non teme offesa. 
Da la contraria uscir l'altro si vede: Poco intende a ferire, e per Papcrlo 

Ma con legge però che più d'un solo In publica tenzon raro contrasta ; 

Mover non possa in una volta il piede: Non è questo il suo fin, ma ben coverto, 

E van tutti ad un fine; in stretto loco, I^a l'insidie schermirsi assai gli basta. 

Con la prigion del re, chiudere il gioco. Pur, se contro gli vieu duce inesperto, 

£ perch'egli più tosto a terra vada, Sa ben anco trattar la spada e l'asta , 

Tutti col ferro in man s'aprono i passi. Colpisce e noce: e poiché *i seggio lassi, 

Chi di qua. chi di là sgombra la strada: Di più d'un quadro il termine non passai 
Pian pian men folta la campagna fassi. Manno, Adoue^ canto XF. 

A l'uccisor, s'avvien ch'alcun ne cada, 

Del caduto avversario il loco dassi. l^^XlW.Ilconte di Culagna combaàu 
Ma , campato il periglio, eccetto al fante, in duello con Titta di Cola . 

Lice indietro a ciascun ritrar le piante. 

Del marciar, del pugnar, nel bel con- Armato il cavalier * di tutto punto,. 

[flitto, £ compartito il suolo a i combattenti. 

Pari in tutti non è l'arte e la norma: Diedeilsegno la tromba, etutti a un pOAli 

A'arca una cella sol sempre per dritto Si mossero i destrier come due venti. 

Contro il nemico la pedestre torma: Fu il cavalier roman ^ nel petto giunto: 

Se non che,quandoalcun nevico trafitto, Ma l'armi sue temprate e rilucenti 

Si feriscon per lato, e cangian forma; Ressero; e '1 contea quell'incontro slraao 

K ponno nel tentar del primo assalto La lancia si lasciò correr per mano. 
Passar duo gradi, e raddoppiare il salto. £i fu colto da Titta a la gorgiera, . 

Può da tergo e da fronte andar la torre. Tra il confin de lo scudo e de l'eimettOi 

Porta a destra ed a manca il grave incarco; D'una percossa sì possente e fiera, 

Ma sempre per diametro trascorre, Che gli fece inarcar la fronte e '1 petto. 

Ne sa mai per canton torcere il varco. Si schiodò la goletta, e la visiera 

Sol per sentiero obliquo il corso sciorre S'aperse, e diede lampi il corsaletto: 

il dato a quel ch'ha le saette e l'arco.* Yolaro i tronchi al ciel de l'asta rotta; 
Fiancheggiandosimove; e, mentre scocca * Il conte dì Gulagna. a xiiu di Cob* 


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SEGOLO DECIMOSETTIMO 55 

le staffe e brìglie il conte allotta. Venga la soprayTesta: e quella viene; 

Iota la ybiera, il conte mira, Né san cosa trovar di che segnata 

e rosseggiar la sopray vesta: Sia, né ch'a sangue assomigliar si possa» 



^ m voce fioca; aita presta. Gonobber tutti allor distinta e vera 

'rotto a quel suon cento persone, La ferita del conte e la paura. 

BEO morto il cavano d'arcione. Egli accortosi alfin di che maniera, 

lortano a la tenda, e sopra un letto S*era abbagliato, 1* ha per sua vantura , 

iminciano Tarmi e i panni a sciorre. £ ne ringrazia Dio, levando al cielo 

mrgo cavar gli fa l'elmetto: Ambe le mani e '1 cor, con puro zelo. 
rete a confessarlo in fretta corre: E a Titta e a la moglier sua perdonando, 

gli amici suoi morto in effetto Si scorda i falli lor sì gravi e tanti; 

gono; e ciascun parla e discorre E fa voto d'andar pellegrinando 

:on era da porre a tal cimento A Roma a visitar que'luoghi santi, 

)m privo di forza e d'ardimento. £ dare intanto a la milizia bando, 

L Titta, poi che l'avversario vede Per meglio prepararsi a nuovi vanti: 

torto riportar ne le sue tende, Così il monton che cozza, si ritira, 

^gia il campo a suon di trombe, e £ toma poi con maggior colpo ed ira. 

[ riede Tassoni, Secchia rapita, canto XI. 

la parte sua lieta l'attende. 

so è sì» che di valor non cede LXXIV. Gli itudii poetici, 

irte stesso: e de l'arcion discende: 

ive pria che disarmar la chioma, £' si diletta di compor de i versi, 

disce un corriero in fretta a Roma. £ vorrebbe, se può, farsi poeta: 
ive ch'un cavalier d'alto valore Ha tentato fin qui studii diversi, 
ielle parti; uom tanto principale, Ma sol dentro al poetico s'acqueta : 
orse non ve n'era altro maggiore, Di vocaboli scelti e modi tersi, [ ta , 
'a lui fosse di possanza eguale; D' unquanchi e quinciy senza fine o me- 

) avea di provocarlo core, Ha fatto con l'ingegno pellegrino 

>render con lui pugna mortale: Un libro grosso com' un calepino, 
esso, de gli eserciti in cospetto, Scjuademai libri, e spolvera gliautichi, 

ea passato al primo incontro il petto. £ gh postilla se rYescon dotti ; 
ià\ il corriero a Gaspar Salviani, £ gli assapora, come fusser fichi, 
1 de l'accademia de'Mancini; Distinguendoli in datteri e brugiotti: 

le desse l'avviso a i Frangipani Le perifrasi osserva e i casi oblichi, 

T di Nemi, e a i loro amici Ursìni, Gl'idìfotismi, e gli entimemi addotti, 
;avalier del Pozzo, e a i due romani Metaplasmi, sineddochi ed ellissi, 
si ingegni, il Cesi e '1 Cesarini,* E gli accenti e gli articoli e gli affissi. 
)pra tutti al principe Borghese, Vergiiio tutto ha per Io senno a mente, 

imon Tassi^ di Pavul marchese: £ come peverada Orazio inghiotte ; 
e tutti disser poi ch'egli era matto, Ovidio al suo giudizio è negligente; 
do s'intese ciò ch'era seguito. Persio fa poca strada, e va di notte; 

ito avean spogliato il conte affatto , Lucrezio ha de l'antico, e non sì sente; 
irror de la morte instupidito; Lucan tira attraverso orribil botte; 

a cercando due chirurgi a un tratto £ aspro Silio; e non han frasi buone 
pò onde dicea d'esser ferito : Stazio e Properzio; e Plauto fa '1 buffone, 

trovando mai rotta la pelle, Mill'altri documenti, e mille e mille 

linciar le risa e le novelle. Altre osservanze egli ha notato e nota - 

;onte dicea lor: Mirate bene : £ i comenti rivede e le postille; 

è la sopravvesta è insanguinata: £ gira il cervel suo come una ruota; 
1 dite così per darmi spene; E per usanza sta (come l'anguille 

;ià l'anima mia sta preparata. Fitte la notte e '1 dì dentro la mota) 


56 


CRESTOMAZI 


Fra gl'incliioslii sepolto e fra le carte; 
E sempre a la natura aggiunge Parte. 

Così dunque, signora, avete udito 
Chi sia *1 garzone, e quali i suoi diletti. 
La casa ov'abit' egli e *l mio marito, 
V. quella là che ne discopre i tetti. 
E chi vuol fare a lui piacer gradito, 
Dicali * in poesia vaghi concetti: 
Che per un madrigale o una canzona 
Si faria servidor d'ogni persona. 

A la vecchia gentil Venere chiede: 
Questo tanto desio di poetare, 
Ch'è nel vostro figliuolo, onde procede ? 
ISatura forse- ve lo dee tirare; 
O forse esempio altrui; che ciò che vede 
La gioventù di subito vuol fare; 
Ovver lo sprona, e non può stare a segno, 
A farsi imilator forza d'ingegno. 

La vecchierella allor: Signora mia, 
Quest'occulta cagion che voi chiedete, 
Come nascesse de la poesia 
Nel petto al mio figli uol cotanta sete , 
Io, che non istudiai filosofia, 
Non saprei dirvi; e mi perdonerete: 
Ma ben vi conterò come da prima 
Cominciass* egli a canzonare in rima. 

Quattordici anni ei non avea finiti, 
Che un dì me l'adocchiò mastro Tamiri, 
E piacquegli tra gli altri a lui graditi. 
Fino a spargerne lagrime e sospiri. 
Con ragioni, con preghi e con invili 
Mei messe * in su i poetici rigiri; 
Ed a me disse; Allegramente, o vecchia: 
Questo vostro figliuolo ha buona orecchia. 

Vo'che noi gl'insegniamo afarde'ver- 
E restar vivo ancor dopo la morte. C si, 
Studiato avea costui libri diversi, 
E facea gli Appigionasi a le porte; 
Ond'io subitamente mi conversi 
A commettere il figlio a le sue scorte, 
E glielo diedi in cura, e lo pregai 
Che far me Io volesse un uom d'assai. 

In nove giorni (o sovrumani efiPetli 
De la scienza infusa dal maestro!) 
Componea de l'ottave e de'sonetti. 
Con vivezza d'ingegno agile e destro: 
E non istiracchiava i suoi concetti 
Come quando si carica il balestro : 
E congiungendo l'arte al naturale. 
Dava speranza un di farsi immortale. 

Morì la gatta in casa nostra; ed esso 
La seppellì ne Porto, appiè d'un fico, 
£ l'epitaffio a lei quel giorno stesso 

X Dicagli, s Mise. 


\ POETICA. 

Compose in manco tempo ch'io no! ^ico' 
Ed io, che'l vidi immantinente impressa 
Ne l'esposta corteccia al sole aprico, 
E lessi i carmi suoi; per meraviglia 
Restai stretta di spalle, alta di ciglia. 

Me ne ricordo; e vo'che fu gli scoli, - 
Che veramente son cosa garbata, 
a Giace qui, tra '1 bassilico e la mcnta^- 
Bella micia defunta e sotterrata. 
Da Morte fu la sua bravura spenta. 
Perocché i topi ne l'avean pregata : 
Ma temon anco, al trapassar del fosso, 
Che, così morta, alornon salti addosso.» 

Tamiri in questo mentre avea composto 
E distinto un poema in libri sei, 
Dove a rappresentare ei s'era posto 
La guerra de' Giganti e de gli Dei, 
E '1 valor de ì Giganti avea preposto, 
Celebrando i Fifaiti e i BrTarei. 
La favola era sciocca, e gli episodi 
Stiracchiati e sovèrchi in varii modi. 

Non ti maravigliar se di quest'arte • 
Nel favellare io ti parrò maestra : 
Che io ne trovai per casa alcune carte, 
E me le riserbai ne la òanestra; 
E di nascosto, trattami in disparte 
Tra la sponda del letto e la finestra, 
Me le studiava, acciò non mi vedesse 
Il mio figliuolo, e me lo rilogliesse. 

La favola era doppia ; e non avea 
Ne ricognizì'on, ne riuscite 
Al contrario di quel che si credea: 
Le parli eran difformi , e disunite : 
Né util né piacer se ne traea ; 
E così terminata era la lite, 
Qual abbia di lor due ' la precedenza; 
Mentre il poema suo ne riman senxa.- 

Non si riconosceva a nessun segno- 
Regola né precetto in queli* ordito; 
Che senza imitazione e senza inge^o, 
In nessuna sua parte era pulito. 
In vece di pietà movea lo sdegno, - 
E'I timor di nonnulla in core ardito* 
Le parole eran barbare, eran dure. 
Dissonanti, ed incognite, ed oscure. 

Sciocca l'età virile , e non curante ' 
Ne di reputazion né di decoro, 
E la vecchia fingea sempre arrogante. 
Incauta, ardita, e prodiga de l'oro; 
Saggia la gioventù, pigra, e costante, 
Querula e mesta in procurar tesoro: 
E facea, confondenao le persone , 
11 servo ragionar come'l padrone» 

^ L' utile o il piacere. 


SECOLO DECIHOSKTTIiMO 


57 


linaU era la tela, e piena 

iverisimili e interrotte. 

a fuor di tempo aura serena, 

'occasiou tempesta e notte; 

li orti, e fertile T arena, 

i carboni, e nere le ricotte; 

le, e frasche, e vanità leggiere, 

iverisimili per vere. 

)er non istar più sn i generali, 

ociò cosi la sua canzona: 

;osto; e per li venti australi 

pioyer un dì fra vespro e nona ; 
bnclie ov'eran fitti i pali, 

Giganti di sì gran persona , 
era medesma eran simili 
ri più grandi, a i campanili, 
giungevano lor fino a' ginocchi 
erri, pio, querce e castagni ; 
appavan su, come finocchi; 
sorso bevean paludi e stagni, 
rupole i nasi; e fuor de gli occhi, 
iti, rotondi; orrendi e magni 
mpa uscia, come la notte fa 
na quand' abbrucia le città. 

d'aglietti ovver ii cipolline, 
mazzi di monti a otto a otto; 
vano l'alpi e le colline 
'i poggi, e le mettean di sotto, 
che valicava ogni confine, 
lar si facea mastro Nembrotto , 
i^a gli armenti come noi 
i de l'uva, e s'ingollava i buoi, 
r, che le maremme d^ animali 
lìsfatte in' una settimana, 
ore e* * becchi, esche lor frali, 
orna inghiottite e con la lana ; 
.aro a gridare a gl'immortali 
r de la magion sovrana, 
> le piattelU: O messer osti, 
roba ; e, se vuol costar, costi. 
i, che la cucina e la dispensa 
ornita di pane e di legna, 
pascer il cielo, e poco pensa 
ar quella canaglia indegna : 
^ per fame in su la vota mensa , 
;ridavan; canchero ti vegna: 

sente, e, pur badando a' suoi, 
e ad alta voce : Or veng'a voi. 
!H:hietano alquanto; ma, veggendo 
san comparisce, e son canzone, 
nai comportar più non potendo, 
di man la briglia a la ragione, 
on contrari cielo assalto orrendoi 
a Essi, 


Tirando sassi sena discrezione - 
£ già verso Saturno e verso Giove 
Per di sottu a Tiosù gragnuola piove. 

Gli Dei, da le percosse sbigottiti, 
Si cominciano armar dal me^zo al basso. 
Zoppica M.irte, e chiama cbi l'aiti: 
Che nel manco tal lon Tha colto un sasso. 
Ebe portò racconci e ricucili 
Al suo signor, con frettoloso passò. 
Due grandi stivaloni di vitello, 
Opra di mastro Nardo Scarpinello. 

Tira sassi Fi'alte a tre a tre, 
A cinquanta a cinquanta Briareo ; 
Ne portano a cataste ove non n' è. 
Sopra gli omeri lor Tizio e Tifeo : 
Grande sfrombola sua d' intorno a se 
Gira e rij^ira il poderoso Anteo ; 
£ sì forte una volta sfrombolò. 
Che Saturno in un gomito arrivò. 

Grida il povero vecchio: Aita, aita: 
Mercurio a Giove caricali balestro: 
Sul Capricorno allor Pallade ardila 
Cavalca, e saltar fallo agile e destro: 
Porta a Giunou l' ancella scimunita 
Gran quantità di rape in un canestro. 
Dicendo che non trova altro per fretta,* 
£ in giù la Dea raponzoli saetta. 

£rcole da la mazza i ragnateli 
Subito leva, e volgesi a i Titani : 
A le bravure sue tremano i cieli, 
Botola i sassi, e fa paura a i cani. 
Scioglie da i capei d'or Diana i veli, -^ 
Senza fante aspettar, con le sue mani ; 
R tra le chiome sue, mentre s' allaccia 
L'elmo, fa de le corna una focaccia. 

Bracciolini, Scherno degli Dei, canto XII. 

LXXV. MomOf o il maldicente. 

Era nato del Sonno e de la Notte 
Un certo Momo, libero nel dire 
Tanto, che spesso con le spalle rotte 
Or qua or là li ^ convenia fuggire : 
Che le parole chiamano le botte, 
Chi non le sa frenare e custodire: 
Ne mai pari a costui nel mondo yisse 
Per sollevar sedizioni e risse. 

Gli Dei, perch'ogni dì ne'ior banchetti, 
Messi su da costui, lingua perversa. 
Per lo capo tiravansi i panchetti, 
Piatti e boccali, e'I nettare si versa; 
Lo fecero sbandir per due trombetti 
De la lor reglon lucida e tersa : 

'Gii. 


^ CRESTOMAZIA POETICA 

ludi, lungi costui, lunga stagione Per entro al limitar, eoo la nifin destra 

Steron lassù senza mai far quistione. Grave d' alto martello, e cou un chiodo 

Sbandito Momo, ad abitare ei prima Ch'ella batte a l' ingiù su la finestra 

Si mise in mare: e vi durò ben poco: Conliccandol per sempre, acuto e sodo, 

Che la lìngua mordente più che lima, Sta la Necessità, dura maestra, 

Anco accendeva in mezzo a L'acqua il foco; Da cui s' apprende in tròppo acerbo modo 

Onde mandò da Talta parte ed ima Che fuggire o difendersi non vale 

Nettunno un suo Tritone umido e fioco, Dal colpo inevitabile e fatale. 

Che'l pigiò con le pugna, e poi sul collo Con la Morte del pari a mano a mano 

CoMenti il prese e fuor del mar gettoUo. "Va lo Spavento , in abito da donna. 

Momo scaraventato, a i neri numi Con le orecchie di lepre ode lontano: 

De r inferno avviossi : e poi che giunge Di cangiante color, breve ha la gonna. 

Sopra le ripe de* sulfurei fiumi, Sopravvenirli ' orribii caso e strano 

Caronte il natte, e ne lo fa star lunge. Teme e trema, abbracciando una colonna.- 

Torna il misero escluso a i chiari lumi La colonna rovina; onde ei perisce t 

De l'aria; e col suo dir, che morde e punge, £ fuggir si vorrebbe, e non ardisce. 

Non trova né capanna unqua né tetto Di negletti legati, e di ritorti 

Che ricovero a lui presti o ricetto. Testamenti derisi alte montagne 

Però, d* ogni città, d'ogni abitato Giacciono per le bgge e per le corti, 

Paese a prima giunta il maldicente Tenaci men de i paviglìon di aragne: 

Riconosciuto essendo e discacciato. L'eredità di mille vecchi accorti, 

Come la peste, da tutta la gente; Per cui dentro si ride, e fuor si piagne, 

£i per necessità 5*è ritirato Corre a brodetto, e si consuma e sbratta. 

In un deserto, ove nessuno il sente, A la barba di lor che T hanno fatta. 

£ biasmando pur sempre a bocca piena , Mille preghiere,o che la Morte vegna, 

Or cou l'aria contende, or con l'arena. O che si parta, errar veggionsi al vento: 

In una grotta ei s'è venuto a porre. L'avaro indarno a frenar lei s'ingegna, 

Dove sta solo, e tutto 4f sbadiglia : Chegià non rende il suocammin più lento; 

Che la sua compagnia ciascuno aborre. La sollecita quei che si disdegna 

£ durar non può seco la famiglia: Di vii moglie mal presa, a suo talento; 

Durar non può, perchè a le ingiurìe eicorre £ la chiama con speme e con desio 

Senza dislinzlfone e senza briglia; 11 povero nipote al ricco zio. 

£ minacciando e servitori e fanti, Ma fa la Morte orecchio di mercante; 

Chiamali il primo dì becchi e furfanti. Gira a tondo la falce, e non risponde: 

Bracciolini, Scherno degli Deij canto XIV. Ulisse le insegnò, quando costante 

Passare ardì tra le sirene l'onde. 

LXXYL La casa della Morte, Sì fa beffe di medici, e di quante 

Kicette ogni speziai mesce e confonde ; 

Posta è la casa in una gran pianura, £ di color che ne' pianeti leggono 

A cui si va per cento strade e cento; Le vite, e in terra i colpi suoi non veggono. 

£ tutte SOn con diligente cura Bracciolini, Scheroo degli Dei, canto XV. 
Pulite più d' ogni brunito argento: 

Soffia da cias» un lato, e sempre dura, LXXVII. Sopra i rimoni della 

Spirando dietro a i viandanti, il vento; coscienza. 
£ l'aura fresca a l'odiosa porta 

I pie correndo e sdrucciolando porla. Io ' diedi a la giustizia mille morsi 

Tondo è il ricco edificio: e di diamante Co* denti aguzzi di mio 'ngegno scaltro: 

Le mura, sono a ciascheduno specchio lo stiracchiai le leggi , e là le torsi 

Che si conduce al domicìlio avante, Ove pendeva il peso a' mìei 'nteressi ; 

Bapido o lento, o giovanetto o vecchio. £ inverso quelli senza freno corsi : 

L'uscio ha per entro un dul^bio calle erran- £saltai l' empio, e l' innocente oppressi; 

Qual di più antri incavernalo orecchio; [te . Sopravvenirgli. 

Che rende lui, con ammirabìl uso, s introduce il poeta a parlare un uomo ar- 

5^/z^y^aJ'cntrarcaperto, aruscirchiuso. ricchiLo con caiiive arti. 


. SECOLO DECllffOSETTlMO 69 

£ ia ógni magistrafOy e in ogui ufHzio, 

Di mU'ngìustizie alte vestigia impressi. LXXVIU. Sopra Vipoerisia. 

Queste far le mie industrie, e l'artifizio 

Che librò in aria il mio sublime volo, È un uom che ne Testerno 

Assicorandol d*ogni precipizio. E tuttu pio, tutto devoto: e tengo. 

È un po*di mal con molto ben consolo: Che da ciò non dissenta anco i*iuternok 



Che col corso divoran la Salaria [ chi. Il litigar ch*ei fa, non so se scordi ^ 
£ PAppia, il buon cocchier flagella i fian^ Da quel lasciare il sajo a chi '1 mantello 

Vagheggia il colle tusculano e Paria Ci toglie, che i) Vangel par che ricordi. 
Schiva del Lazio la ben posta villa, Oh non ci obbligaa nulla: perchè quello 

Or a l' ardor, ed or al gel contraria. £ un consiglio, che, non osservato, 

L'-umor che Bacco a* verdi colli stilla Non rende Tuomo a Dio però rnbello. 
De la Tolfa e d'Orvieto, empie i cristalli, Sta ben : me lo so anch* io: ma chi '1 
£ la verdea, che d'dr puro scintilla. l>eato * 

La lauta cena i più ricchi metalli Vuol far quaggiù; conviengli esser com* 

Contengono: e s'incurva la famiglia D'una sola materia in ogni lato, [posto 

Ovunque arrivi ', e gli occhi in quella ^ H capo che sia d'or, non fa composto 

[avvalli. Col pie di crela; il dimostrò a Nabucco 

A quanto al bel desio Velher consiglia, H suo fantoccio, che cadde ben tosto. 
Soccorre il diligente camericro, 11 far da bacchettone, e badalucco 

Che a tai bisogni il buon compenso piglia. Di venut'oggi; e il popol vi si getta 

Se in questa vita puote alcun pensiero Q«'alor da qualcun altro umore è stucco. 
Lugubre penetrare, e farvi nido, Ma perchè tal bontà non è concetta 

Dical ognun ch'abbia '1 giudizio intero. Per entro a'cuor, ne' fatti non risponde, 

Dillo pur tu ': te solo appello e sfido Com'in certe apparenze, si perfetta. 
De la tua coscYenza al tribunale: ^pief!»^ ^^ proprie e l'accattate fronde 

Senz'altro testimou, di lei mi fido. L'arbor che in qualche ramo sol s'innesta; 

£lla non può mentire: ella è il fiscale Ma selo'nsertoin mezto al tronco asconde, 
Che per parte di Dio premia e gastiga D'un verde sol s'inghirlanda la testa, 

£ntro la nostra mente il bene e '1 male. E un sol umor ne'suoi rami diffuso, 

Ella dirà se goda, o se t'afHiga D'una sol boccia tutt'i frutti appii^stà. 

Tuo cuor, o se ti sturbi o rassereni; Ben resterà del suo creder deluso 

Se viva in pace o in travagliosa briga. Chi tutte l'opre aspetta d'un sapore 

Ella dirà le ruote e le catene. Da' santi che ci stampa il modern'uso. 

Le corde e i ceppi e gl'infuocati bronzi; Bade vnlte addivien che quell'umore 
E ad una ad una annovrerà^ tue pene. C^c tutti gli altri eccede, si reprima: . 

Dirà r nitrici fiamme ove tu abbronzi; Sicché se un uom d' un altro appar mi- 
Dirà qual verme entro l' udito interno, [gliore, 

Stnia^ mai rifinar, sempre ti ronzi. Non è che più di quel la spoglia <^ima 

Quest'è il prìmo servito che l'inferno Di se stesso riporti ',• ma s'abbatte ^ 
Ti porta: acciò t'avvezzi a le vivande Ch^ in tal umor manco vclen s'imprima. 
Che si cucinan giù nel fuoco eterno. Tahin fa '1 bravo, evolentier combatte 

Senti '1 fetor che da quelle si spande; Con chi non si rivolge; che se 'l dente 
Sen li l'amaro ch'ogni dolce inficia: Cri i è niostro , per fuggir le gambe ha ratte . 

Onde sospiri in van per quelle ghiande ^^u f^ii'l casto perchè ne i lombi haispente 

Il coi sapor sol innocenza immela. ^^ faci; e quel vigor che '1 senso instiga, 

Soldani, Satira I. ^^^ ^^"o g'^ce in te freddo e languente. 
• Io arrivi. « Cioè nellafamigUa, j, JJ" ^"^^^^ più maligna ti gastiga; 

» Parla il poeta in persona propria! * ^^'^^^ «-'*»« ^^^ « accende entro le vene, 

4 Aonov^erà. » Discordi. a Santo. 

3 Vinca sé stes<o« A ^'^NveoR-^^ tshan^ 


00 CKKSTOMAZIA POETICA 

Ma par che l'apprensiva solo afflìga. E taccia il gregge che dietro si tira. 
Quest'èl'ambizion,cheal*uomnonviene Questi il filosofar rinchiude e lega 

Per cosa che sia annessa al suo lignunlo, 'ira i cordovani ov*c stretto il maestro; 

Come Venere è '1 ciho che '1 sostiene; E quel che fuor rimane, esser ver nega. 
Ma par chVIla abbia il letto e il nutri- Or s*io mi sento in gambe esser ben destro 

In un falso discorso, che ci mostra [mento A varcar quei confin, pcrch al mio piede 

Per rea! sussistenza e l'ombra e il vanto. Poni il peripatetico capestro? 



Que: 
Prendi 

E finche non l'abbatti, alcun non dica Chi si dà quest'impacci e queste noje, 

Che tu sia santo: tienli santo allora La verità non ha già per oggetto; 

Che con lei non avrai briga o fatica. Ne vuol tener in prezzo quelle gioje 

Anzi non ti tener: che quando ancora Che essendo false, gli fa gran dispetto 

Abbattuta tu l'abbia, e che non pregi Chi arreca de le vere, e le sue smacca, 

11 fasto, che cotanto il mondo adora; Mostrando al paragone il lor difetto. 

Può esser nondimen che tu 'l dispregi O mente umana! e che è quel che intacca 

Con altro fasto, e la giornea t'allacci Tua natia libertade? un sogno, un'ombra, 

Tropp'alto,e troppo eslimi i propri pregi. Un po*di fumo, ch'a nulla s'attacca. 

'N un sacco rattoppato, in quattro slrac- E una opinion, che '1 volgo ingombra 

Ne l'umiltà, nel disprezzo del mondo [ci, Di tua scienza, e il ver seco ne porta, 

Sovente la superbia ha teso i lacci. E d'un più bel^piacer l'alma ti sgombra. 

Quel ghigno mansueto, quel giocondo Ardisci a non saper: qnest'è la poipta 

Parlare, e quella faccia*sì tranquilla, Che può introdurre in te quell'aurea iace, 

Celan mostri più fieri giù in qiiel fondo. Che *l vero gaudio a l' intelletto apporta. 

Che ne'latranti fianchi non ha Scilla; Che se al popol ?isibil non traluce 

Scilla, che i legni e i naviganti ingoja H tuo saper, non per questo s'attristi 

Là dove il mare in sasso convertilla. Tuo cuor, ma segua un più costante dnce. 

Guarti \ come da febbre onde si muoja, Jo/rfawi, Satira [ 

Di toccar ad alcun di questi santi 

Cosa che un po'gli sturbi o rechi noja. LXXX. Sopra gli onori e le grandez- 

Alcun non sia .che in quegli umor pec- ze del mondo y e la felicità della vi" 
Chedlcemmodisopra,gli attraversi; [canti ta privata. 
Se comperar non vuol liti a confanti. 

Quel si picca di dotto: vagli a'versi; Scioglie dal lito ìspan ligure abete, 

Fa che, non solamente le parole, Che d'immensi tesori, 

Ma che i pensierda'suoinonsien diversi. Prede al mar destinale, il ventre ha carco: 

Nega, se nega, eh' e' riluca il sole; Come scitico strai spinto da l'arco, 

Di cosa alcuna non formar concetto ^ela fra i salsi umori, 

Né più qua ne più là di quel eh' e' vuole. Gravido i tesi lin d*aure quiete. 

Adunque devo il mio franco intelletto. Ecco improvviso il ciel balena e tuona; 

Che né pure anco il Cielo hainsuabalia. Da l'antro Eolo sprigiona 

A l'arroganza altrui render soggetto? La turba impetuosa; orrida cresce 

< Sì, se non vuoi che un campanel ti sia L'cnda, cui più d'un vanto agii.? e mesce. 
Appiccato di dietro, eh' Epicuro Sospiroso il nocchier cala le vele, 

Tu segua, o altra sorte d'eresia. E con provvida destra 

Soldani, Satira II. Era le cieche'procelle il timon gira: 

Ora l'indica pietra, ora il ciel mira. 

LXXIX. Soprala libertà del Ma null'arte maestra 

filosofare. ' Giova contra il furor d'Austro crudele: 

Egli de le tenaci ancore adonche 

Taccia e s'acqueti il barbon di Stagira Già le ritorte ha tronche: 

Quando questo volume « si dispiega: Onde al nocchier, ne l'ultimo perìglio^ 

' Guardali, ^ Il volarne della aalara. Somministra il timor saiM) consiglio. 


SECOLO DECIftiOSpyfTlMO GÌ 

le miserie soe prodigo ci fatto, Usciva a pascer l*agne , 

del mar le voglie; Su la costa del monte, o lungo il rio; 

le merci entro le vie profonde. £d ei d'arpa gentile al suono intanto 

e veggonsì alior notar per Tonde Dolce snodava il canto, 
esiose spoglie, £ consacrava, tn mezzo agliantriombro- 

m da l'india avida gente ha tratto; Al motor de le sfere inni festosi. [si, 
i ori intenti e de*tilati argenti Ecco, re diSionne il ciel Telegge 

ludibrio i vénti: In mezzo a le foreste,* 

legno, che parca pur dianzi assorto, ^' di sacru liquor Tunge il profeta. 
di lor, se ne ricovra in porto. ^ prudenza ineffabile e segreta 

ite, so ben che *1 procelloso regno De la mente celeste! 
i Nettuno impero, A. le bell'opre tue chi può dar legge? 

r non vuoi con temeraria prora: Cangiar la verga inscellro in un momento, 
mar del mondo ha i suoi peri gli au- ^ di rettor d'armento 
i senza mistero [cora; farsi rettor d'eserciti e d*imperi ! 

roTvido nocchier l'arte t'insegno. Così va: molto avrai se nulla speri, 
lusinghier desio, che sì t'alletta, Testi, 

bra da l'alma; e getta 

e speranze ingannatrici: e l'alma LXXXI. Sopra il medesimo 

tempeste sue troverà calma. argomento. 

n hanno (ed a me *1 credi) altro che 

go e spezioso ['1 nome Non aura popolar, che varia ed erra, 

^e che '1 mondo insan grandezze ap- N(m l'ulto stuol di servi e di clienti, 
siamicodestin,propriziastella; [pella. Non gemme accolte, o cumulati argenti, 
l'ostro luminoso Petto mortai pou ' far beato ìu terra, 

nga un giorno il Vatican le chiome: Beato è quei che, in libertà siiura, 
rado eccelso, infra gli onori immensi, Povero ma contento i gioriii mena; . 
ra faranti i sensi; il che, fuor di speranze e fuor di pena, 

ù lieto sarai di me, che, privo Pompe non cerca, e dignità non cura, 

li splendor, fra queste selveor vivo. Pago di se medesmo e dì sua sorte, 
r che grandini acerbe, onebbieoscu* Ei di nemica man non teme offesa, 
li angusti miei rampi [re. Senza ch'armate schiere, in sua difesa, 

ler non miri a dissipar le spiche, Stian de l'albergo a custodir le porte. 
:hc d' autunno, in queste piagge a- Innocente di cor, di colpe scarco, 
a imbrunir a i lampi [priche, Ei non impallidisce e non paventa 

mperato Sol l'uve mature; Se tuona Giove, e se saette avventa 

[ueto i' dormirò fra le nud'erbe. Del giusto (.iel l'inevitabil arco, 
tri sotto superbe Segga chi vuol de'sospirati onori 

ne d'oro, ov'albergar non ponno Su le lubriche cime; offrirsi veggia 
a stagion la sicurezza e '1 sonno. Quanti colà dove l'Idaspe ondeggia, 
più de l'alma mia caro a me stesso, Per la spiaggia eritrea, nascan tesori: 
)mpi le mie paci, A me conceda il faretrato Apollo 

>l tuo duol turbi i miei dì sereni. Che da la corte a solitaria riva 
lascia i sette colli, e qua ne vieni, Io passi un giorno: e là felice i'viva, 
dove a le mordaci Col plettro in mano e con la cetra al collo: 

non è di penetrar concesso. £ poi che pieno avrà con la man cruda 

ie '1 Ciel ti destina alte venture, Il fuso mio l'inesorabil Cloto; 
teste selve oscure Rustico abita tor, a tutti ignoto, 

rovarti saprà. Più d'A.rgo ei vede, Se non solo a me stesso, i miei dì chiuda. 
5S0 innalza più chi men sei crede. Testi. 

^torello ebreo l'ore spendca: Poco spazio di terra 

)r ch'in oriente il di uascca, ' Pouao. Possono. 


62 


CRESTOMAZIA TOETICA. 


Lasciali ornai rambitìose moli 

A le rustiche marre, a i curvi aratri: 

Quasi che muover guerra 

Del ciel si voglia, a gli stellati poli, 

S'ergono mausolei, s'alzan teatri; 

£ si locan sotterra 

Fia su le coglie de le morte genti 

De le macchine eccelse ì fondamenti. 

Per far di travi ignote 
Odorati sostegni a i letti d'oro, 
Si consuman d'Arabia i boschi interi. 
Di marmi omai son vote 
Le ligustiche vene: e i sassi loro 
Men belli son, perchè non son stranieri: 
Fama han le più rimote 
Rupi colà de P Africa diserta; 
Perchè lode maggiore il prezzo merta. 

Cedon gli olmi e le viti 
A Tedre, a i lauri; e fan selvagge frondi 
A le pallide ulive indegni oltraggi: 
Sol cari e sol graditi 
Son gli t.mbrosi cipressi, e gli infecondi 
Platani, e i mai non maritati faggi: 
Da gli arenosi liti 

Trapiautansi i ginepri ispidi il crine; 
Che le delizie ancor stan ne le spine. 

Il campo ove matura 
Biondeggiava la messe, or tutto è pieno 
Di rose e gigli, di viole e mirti: 
La feconda pianura 
Si fa jiovo diserto; e il prato ameno 
Boschi a forza produce orridi ed irti: 
Cangia il loco natura; 
E de{ moderno ciel tal è Tlnflusso, 
Che la sterilità diventa lusso. 

Non son, non son già queste 
Di Romolo le leggi; e non fur tali 
O de*Fabrizii o de*Caton gli esempli. 
Ben Toi fregiati aveste, 

de Palma città numi immortali, 
Qnal si dovea, d*oro e di gemme i templi. 
Ma di vii canna intesle 

Le case furo, onde con chiome incolte 

1 consoli di Roma uscir più volte. 

quanto più contento 
Vive io Scita, a cui natio costume 
Insegna d'abitar città vaganti! 
Van, col fecondo armento, 
Ove più fresca è Terba e chiaro il fiume. 
Di liete piagge i cittadini erranti: 
Dan cento tende a cento 
Popoli albergo: ed è delizia immensa 
Succhiar rustico latte a parca mensa. 
Ifoj, dJ Larbara genU 


Più baritari e più folli, a giuèto «degno 

La natura moviamo, il mondo e Dio; 

E ne Tozio presente 

Istupidito è sì l'incauto ingegnoi. 

Che tutto ha l'avvenir posto in obbUo; 

Quasi che riverente 

Lunge da i tetti d'or Morte passeggi, 

£ il Ciel con noi d'eternità patteggi. 

Testi. 

LXXXIII. Sopra l'Italia. 

Ronchi, tu forse a pie de l' Aventino 
del Celio or t'aggiri. Ivi tra l'erbe 
Cercando i grandi avanzi e le superbe 
Reliquie vai de lo splendor latiuo. 

£ fra sdegno e pietà, mentre che miri, 
Ove un tempo s'alzar templi e teatri. 
Or armenti muggir, strider aratri; 
Dal profondo del cor teco sospiri. 

Ma de l'antica Roma incenerite 
Ch'or sian le moli, a l'età ria s'ascriva: 
Nostra colpa ben è ch'oggi non viva 
Chi de l'antica Roma i figli imite ' . 

Beo molt' archi e colonne iu più d* un 

[segBo 
Serban dei valor prisco alta memoria; 
Ma non si vede già, per propria gloria 
Chi d'archi e di colonne ora sia degno. . 

Italia, i tuoi sì generosi spirti 
Con dolce inganno ozio elascivia han spcn- 
£ non t'avvedi, misera, e non senti [ti. 
Che i lauri tuoi degenerare in mini? 

Perdona a i detti miei. Già fur tuoi stu- 
D urar le membra a la palestra, al salto; [di 
Frenar corsieri; in bellicoso assalto 
Incurvar archi, impugnar lance e scudi. ■ 

Or, consigliata dal cristallo amico, 
Nutri la chioma, e te l'iocrespi ad arte; 
K ne le vesti, di grand'ór cosparte, 
Porti de gli avi il patrimonio antico. 

A profumarti il crine Assiria manda 
De la spiaggia sabea gli odor più fioi; i 
£ ricche tele, e preziosi lini, 
Per fregiartene il collo, intesse Olanda. 

Spuman ne le tue mense,in tazseaante, 
Di Scio pietrosa i pellegrini umori; 
£ del Falerno, in su gli estivi ardori^ 
Doman l'annoso orgoglio onde ^late. 

A le superbe tue prodighe cene 
Mandau pregiati augei Numidia e Fasi; 
E fra liquidi odori, in aurei vasi, 
Fuman le pesche di lontane arene» i- 

* Imiti. 


SECOLO DECIMOSKTTIMO 65 

imii fosti già tu quando vedesti Con rigor saggio a più degn!opre aTvezKa. 

)li aratori in Campidoglio, Non è minor fortezza 

ruvidi fasci, in umil soglio II rintuzzar di duo begli occhi il lampo, 

mirasti i dittatori agresti. Ch'il debellar di mille squadre un campo; 
le rustiche man che dietro alptau- Che vai condursi avanti 

iavan pur dianzi i lenti buoi, [stro Al carro trionfante, in lunga schiera, 

rti il regno, e gli stendardi tuoi Incatenate, le provìncie e i regni; 

fando portar dal borea a Taustro. Mentre che ribellati 

li tante grandezze appena resta S'usurpino dei cor la reggia intera, 

a rimembranza: e mentre insulta Mal grado di ragione, affetti indegni? 

or morto, a la virtù sepulta, 6*in te stesso non regni, 

baro rigor preme e calpesta. Se soggetta non rendi a te tua voglia, ^ 

irhi, se dal letargo in cui si giace Guerrier non sei, se non di nome e spoglia, 
[scuote l'Italia, aspetti un giorno Sovra il lucido argento 

menta mia lingua) al Tebro intorno De le porte superbe impresse Armida 

npato veder il Perso o 'i Trace. Di famoso campinn l'arme e gli amori. 

Testi, Con cento legni e cento 

Fende il leucadio seno; e non diffida 

KJ\, Ubaldo a Rinaldo fuggito Piantar in riva al Tebro egizii allori: 

dal palazzo di Armida, Ma fra i bellici orrori. 

In poppa che di gemme e d'dr riluce, 

de la maga amante L'adorata beltà seco conduce, 
lutata magion lasciata avea Con l'armata Ialina 

degni pensier Rinaldo inteso; Cozzan del Nilo i coraggiosi abeti: 

lino volante Pari è il valor, e la vittoria è incerta, 

adico oceàn Tonda correa, Ma la bella reina 

t'altri nocchier cammin conteso. Ch'atro mira di sangue il seno a Teti, 

! l'incendio acceso Volge i lini tremanti a fuga aperta: 

'a ancor ne l'agitata mente E dietro a l'inesperta 

valier qualche reliquia ardente. £ timida compagna Antonio vola; 

le l'amata riva, £ l'imperio del mondo Amor gl'invola. 
i Ioatan fuggia, non senz'aiFanno Or qual darti 4>oss'io 

lo sguardo immobilmente fiso. Di traviato cor più vivo esempio, 

eì che mai viva Di quel ch'a te l'idol tuo stesso espresse? 

odono pur dianzi. Amor tiranno Te cerca il popol pio, 

^nrava ognor presente il viso: Te chiama a liberar dal tirann'empio 

a lui, che conquiso La sacra tomba, e le provinrie oppresse: 

tsio, per pietà si venia meno, £, quasi in oblio messe 

un caldo sospiro uscia dal seno. La fé, la gloria, in vii magton sepolto 

con ricordi egregi Tu resterai, idolatrando un volto? 

»sto incominciò del cor turbato ^ Aspra, Rinaldo, alpe«tra 

:o Ubaldo a tranquillargli i sensi. È la via di virtù: da'regni suoi 

;eiiìe di regi; Vezzi, scherzi e lascivie han bando eterno, 

r del 1 race; a cui riserba il fato Accoppia a forte destra 

d'Asia i trofei; che fai? che pensi? Anima continente ; e i prischi eroi 

quei mal accensi Sitemi di gloria in tuo paraggio i'scerno. 

che versi; e pria ch'acquisti forza, Quell'è valor superno 

Rima rinascente affatto ammorza. Ch'in privata tenzoii col'proprio affetto 

:rtedi al vulgo insano, Sa combattendo esercitare nn petto, 
è gentil fallo in cor guerriero, ^ Testi. 

fi scusa a peccar è gran bellezsa: 
nsiglie più sano LXXXV. La nobiltà e la «trtù. 


iniatra virtóte^ filiali pensiero 


Superba nave a fahhcicat VqA.^eq&x^V 


64 CRESTOMAZIA POETICA 

Dal Libano oclorato i cedri tolga £ (-ieca è quella man che fuor lì tir». 
Tudustre fabbro; e sciolga Sola Virtù, del Tempo invido a scherno^ 

Lucida vela di tessuto argènto; Toglie i'uom dal sepolcro^c'lserbaia vita. 

Seriche sian le funi, e con ritorto C'>n memoria gradita 

Dente l'ancora d'or s'affondi in porlo: Vive del grande Alcide il nome eterno, 

Non per tanto avvcrràchemenoondose Non già perchè iigliuol fosse di Giove, 
Trovi le vie de'lempestosi regni; Ma per .mille ch'ei fece illustri prove. 
E «'preziosi legni Ei, giovinetto ancor, in doppio calle 
Le procelle del mar sian piìi pietose; Sotto il pie >i mirò partir la via. 
Ne che fona maggior l'argenteer vele A sinistra s'apria 
Abbiau contro il furor d'Austro crudele. Agevol il sentier giù per la valle- 
Che giova a l'uom vantarperanuie lu- Fiorite eran le sponde; e rochi e lenti 

[Stri Quinci e quindi scorrean liquidi argenti. 
De gli avi generosi il sangue e '1 merto, Ripida l'altra via, scoscesa, alpestra, 

E in luug'ordine e certo Salia su per un monte; e bronchi e sassi 

Mostrar sculti dipinti i volti illustri; Ritardavano i passi. 

Se '1 nobile e M plebeo con egual sorte Generoso le piante ei volse a destra: 

Approda a'iili de l'oscura morte? E ritrovò il sentier de l'erto colle, 

Là dove i neri campi di sotterra Quanto piùs'innoltrava, ognor più molle. 
Stige con zolfo liquefatto inonda, Onda fresca, erba verde, aura soave 

E, con la fetid' onda, Godean Tcoceise e fortunale cime. 

De l'inferna città l'adito serra; Quivi tempio sublime 

5tassi nocchier che con sdrucita barca Sacro a T Eternità, cjn aurea chiave, 

La morta gente a l'altra sponda varca. Virtù gli aprio: quindi spiegò le penne. 

Ivi il guerrier del rilucente acciaro ^ luogo in ciel fra gli altri numi ottenne. 
Si spoglia; ivi il tiranno umil depone Testi. 

Gli scettri e le corone; 

E l'amato tesor lascia l'avaro: LXXXVI. Caducità dell'uomo 

Che *l passegger de la fatai palude e delle opere umane. 

Nega partir se non con l'ombre ignude. 

O tu, qualunque sei, che gonfio or vai. Trita è la via che ne conduce a Stige: 

Più de gli altrui che de'tuoi fregi adorno; Noi per l'altrui vcstige, 

Dopo l'estremo giorno, E per le nostre altri verran. Bellezza, 

Più cortese nocchier già non avrai; Pudicizia, virtù Morte non prezza. 
Ma nudo spirto, ombra mentlica e mesta. Vezzosa Elena fu sì che poteo * 

Varcar ti converrà l'onda funesta. Mover de l'Asia a i danni. 

Orgoglioso pavone, a che ti vante ' Sol per lei racquislar. Sparta e Micena? 

Del ricco onor de le gemmate piume? .E pur tanta bellezza alfìn cadco *, 

Gira più basso il lume E 'l tempo ingordo e gli anni 

De'tuoi fastosi rai: mira le piante. Viva ne lascian la memoria appena. 

Copriran breve sasso, angusta fossa, Vii polve e poca arena 

Le lue superbe sì, ma fra«:id'ossa. Son or Penelope, Lucrezia e Laura; 

Da preziosa fonte il Tago usceildo, E *1 grido del lor nome è un soffio d'aura. 
Semina i campi di dorata arena; Dura necessità seco ne tragge*. • 

Ma, qual ruscel ch'a pena Ciò ch'in terra e di vago, 

Vada con poche slille il suol lambendo. Sasso o bronzo sia pur, l'età divora. 

Sen corre al mar; ne più fra i salsi umori Chi di Rodi or m i mostra in su le le spiagge 

Raffigurar si pofi ® gli ampli tesori. La celebrata imago 

De i tiranni a le reggie, ed a i tuguri Del dio ch'in oriente il dì colora? 

De'rozzi agricoltor con giusta mano Chi de la casta suora 

Picchia la Morte. Insano Ne le paludi de Tefesio suolo [solo? 

È chi spera sottrarsi a i colpi duri. Or m' addila il bel tempio, o un marno 
Grand'urna i nomi nostri agita e gira, Nocchieri o voi, se la riviera aprica 
' Faati: B Poaao, Possono. ' Poiè. « Cadde, 


SKCOLO DKCI MOSETTI MG 


6& 


Abbandonaste e i colli 

U* faman dì Vulcan gli atri camini ; 

O se di Creta, al gran tonante amica, 

(i di Tiro, o da i molli 

Regni di Citerea scioglieste i lini ; 

De i fortanati pini 

Deh raffrenate il volo in quella parte 

Che da T Ionio mar l*£geo diparte. 

Trascorrete con l'occhio i fluiti amari; 
Cercate di Nettuno 

£ Tana e l'altra sponda: ov'é Corinto? 
Ove il gèmino porto, e di due mari 
Il commercio opportuno , 
Onde il Tebro a' onor quasi fu vinto? 
Ei, col suo nome, estinto 
Ora sen giace ; el lido inculto e vóto 
Al pescator d' Acaja appena è noto. 

Testi, 

LXXXVII. Invito a un cortigiano. 

Or che da noi,signor /partendo il maggio 
La notte accorcia, e ne rallunga il giorno; 
£ con ardente e fervido passaggio, 
Fa da i gemelli al cancro il Sol ritorno; 
Or che, percosse da l' estivo raggio, 
Sembrano biondeggiar le biade intorno; 
K dove ombreggia il pino, e l'aura spira, 
ia sparsa greggia il pastorel ritira; 

Fra queste spiagge solitarie i'vivo, 
A'nojosi pensier sottratto e tolto : 
Qui, con le muse mie scherzando, scrivo 
Or d' una bella chioma, or d' un bel volto: 
£del lazio e del tosco e de Targivo 
Paese i cigni ad imitar rivolto, 
Le lor carie trascorro, e da' migliori 
Colgo fortivamenfe or frutti or fiori. 

Qui di vane speranze aura fallace 
Gonfiar non può l'ambiziosa mente; 
Qui de r invidia, a cui virtù soggiace, 
Il tosco o non arriva o non si sente; 
Ma in oziosa e riposata pace, 
Qual già ne l'aurea età la prisca gente , 
Si passa il dì ; ne mai tra i fiori e l' erbe 
Vengono ad abitar cure superbe. 

-S'armi contro il suo relaGallia altera. 
Colma di risse, e di tumulti pregna ; 
Contrasti Carlo a la potenza ibera, 
£ la natia sua libertà man legna: 
Pur che con rauco suon tromba guerriera 
Fra queste piagge a rimbombar non vegna, 
Poco o nulla a me cai s' in altra parte 
Trionfa morie al guerreggiar di Marte. 

Nostre guerre sonqm, per la foresta 

LcoPABDi, Crestomazia. IL 


JNlirar duo lori in bella giostra urtarsi; 
£ ritornar con la coreuta testa 
Duo cuzzator montoni ad incontrarsi. 
Spcltalrire la gregeia intorno resti, 
Sì che de' pascili suoi sembra obbliarsi ; 
E ne ride il pjslor, che sopravviene 
Cantando al suon de l' incerate avene. 
Deh, se la corte, e i tuoi pensier maggiori 
Non invidian, signor, la gloria mia; 
Fa ch'onorato un dì da' tuoi favorì. 
Rustico abitator quanlunque, i'sia 
Involato a'nojosi e gravi ardori 
De la città ; ne disdegnar che dia 
Ad ospite sì grande e sì gentile 
Villereccia magione albergo umile. 

Qui sul meriggio, allor che più cocente 
Febo dal ciel suol saettare i lampi. 
S'ode un'aura spirar si dolcemente, 
Che de l'arsa stagion mitiga i vampi ; 
E poiché tramontando a l'occidente 
Torna di Tcti a gli arenosi cimpi, 
Un musico usignuol che l'aria moke. 
Fa del pari il veggliiar e il dormir dolce. 

Qui non vedrai de' persici apparali 
Lussureggiar le pompe; e sopra i lini 
Da fuso babilonico filati, 
Fumar cibi stranieri e peregrini: 
Non da lontano pescator cercati 
Novi saran per noi parti marini; 
Ne fra liquidi odori, in aureo vaso, 
Le mense onorerà l'augel di Faso. 

Godrai di mensa rustica e selvaggia 
Semplici condimenti. Avrai di fiori 
Sparsi i candidi lini: e de la piaggia 
Colli per te saranno i primi onori. 
Fian preziosi cibi o lepre eh' aggia' 
Preso il mio veltro infra i solinghi orrori, 
qualche augel che per V aerea via 
Fulminato da me col piombo sia. 

Qui non vedrai sparse ne'frutti, a scher- 
De l'ardente stagion, nevi gelate; [ no 
E trionfar su per le mense il verno 
Disprezzalor de la più calda eslate: 
Qui non vcrran di Creta o di Falerno 
O de l' alpestre Scio l' uve beate; 
Né fra capace argento i geli alpini 
Agghiacceran per noi massici vini. 

Scorre con tortuosi incerti giri 
Non hmtano da me ruscello errante , 
Limpido sì, ch'in lui ritratto miri. 
Come in terso cristallo, il Ino sembiante: 
Fanno a' gelidi suoi vaghi zaffiri. 
Intrecciate fra loro, ombra le piante: 

' Abbia. 


06 CRESTOMAZIA POETICA 

£i serpeggia per l*erba; e, tra le sponde, La schiera de l*Eumeni(1i spietate, 

Con FOCO mormorio palpitan l'onde. ' Per condurre a Piuton l'alme danntte. 

Qui nel più freddo e più gelato fondo Molti giurar ( sieno bugiardi , o'sia 

Bacco per te s*attufferà. Godrai II timor che per vero il falso miostri ) 

Ciò che il terren domestico e fecondo Che visto avean per quell'orribil via 

Può da le viti sue produr giammai. Uscire e ritornar le Furie e i mostri: 

Non di metallo rilucente e biondo Disser che sospirar quinci si udia 

Splendida coppa e preziosa avrai, Il vulgo condannato a i neri chiostri, 

Ma trasparente vetro, ove tu miri E Cerbero latrar, fremer Caronte, 

Or brillar i rubini, ura i zaffiri . ^ E gorgogliar de la gran Stige il fonte. 

Vieni dunque, signor; e non t'aggravi Vive morta a i piaceri in questo speco 

Bozzo abitar e solitario tetto : Una donna, una Furia , anzi una morte; 

Ch'i nojosi pensier' , le cure gravi Ch' ha pestifero fiato, e guardo bieco, 

In rustica magion non han ricetto. ^ Crespa fronte, atra bocca,e guance smorte: 

Ben ne la corte, e sotto a l'auree travi, Intrecciano i capei, con ordin cieco, 

Timidissimo ognor veglia il sospetto; Di varie serpi orribili ritorte; 

E ne l'ampie città volando vanno E, strisciando per gli omeri, contrasta 

La bieca invidia e il fraudolente inganno. La vìpera , il ghelidro e la cerasta. 

Testi. Di sembiante deforme, e d'anni antica, 

Nacque di cieco padre occhiuta figlia: 

LXXXVIII. La Gelosia, E pur figlia d' Amor, d'Amor nemica, 

Per eccesso d'amor l'Odio simiglia. 

Dove V alta Pirene al ciel confina , Cerca il suo male , e '1 suo dolor nutrica ; 

£ le fiamme del Sol tempra con gelo, Non approva e non vuol quel che consiglia; 

Giace una valle, a cui la bruma alpina Non vuol che si ami, e va sol dove siami; 

Tesse d'aspro cristallo orrido velo. D'ombre si pasce; e Gelosia si chiama. 
Primavera non mai qui s'avvicina. Nulla ardisce, assai (lensa, e tutto tenta; 

Qui non mai pura l'aria, e chiaro il cielo; Tropp'ode, troppo mira, e troppo crede: 

Ma con dubbio splendor nubi interrotte Una larva i'ajEÀigge e la spaventa : 

Danno in lume di giorno ombredi notte ' . Non si appaga del vero, e sempre,il'chiede; 

L'ispido verno a la deserta valle Accusa insieme e scusa; e si tormenta 

Lega i ruscelli, ed incatena i fonti; De l'altrui ben; dà fede, e non ha fede; 

£ l'elei annose incurvano le spalle Arde ed agghiaccia , e sempre in sé dis- 
A sostener d' antiche nevi i monti. [ corda; 

Offrono al peregrin lubrico calle Cent' occhi ha cicca, e cent' orecchie ha 
L'acque, fatte a lor stesse argini e ponti; [ sorda. 

Trema il pie di chi mira, e par che tardo Quivi intorno il Pensier tacito vaga. 

Fra SI rigidi oggetti agghiacci il guardo. E i suoi vani sospetti offre a la mente , 

Non trascorrono mai le piagge algenti, E le menzogne adorna, e in lor si appaga, 

Se non smarriti, i timidi pastori; Condanna il vero e la ragion non sente. 

Ne mai rompono augei, turbano armenti Quivi geme il Timor; quivi s'impiaga 

Il profondo silenzio a i cupi orrori. La Discordia la man col proprio dente; 

Bapaci belve, orribili serpenti Quivi la bieca Invidia il cor si rode; ^ 

Son de la cieca valle abitatori; Quivi l' Error , lo Scandalo e la Frode. 
E si odono fra i boschi e fra le rupi Pallido batte il Pentimento il seno ; 

Fischiare i draghi, ed ululare i lupi. Macilente il Dolor piange e sospira; 

Botto in più balze un dirupato sasso E lo Sdegno, di rabbia e d*odio pieno, 

Circondata di spine apre una grotta Vibra la spada, e la facella aggira. 

Terribil sì, ch'altri tentar col passo Colmo il bicchier d'acheronteo teneno 

Non osa ii varco, ove mai sempre annotta. Folle Disperazion lieta rimira t 

Ma crede ognun ch'indi si cali al basso Essa il tosco prepara , essa lo piglia. 

Begno d* Averno, e eh' ivi sia ridotta Questa de l'empia vecchia è la famiglia. \^ 

* Espressione copfoime al cattivo gusto dì Grazìani, Concpiisto di Granata, 

quel secolo, CMitto XK* 


SECOLO DECCMOSETTIMO 


69 


inimal per la celeste mensa 
de cnsa donò da lui raccolta, 
pe, fra gli altri, a la real dispensa 
certo suo miele, il qual di fresco ] 
colato avea con cura immensa. 
;sto piacque così, chei numi a desco 
li furon tra lor quasi a le pugna; 
fa per il vìn Io stuol tedesco, 
a avida l'umor succhia la spugna: 
leccaro i Dei le dita in guisa, 
(rean scarniti i polpastrelli e Pugna, 
indi da Tape informazion precisa 
ero di quel miei; la cui ricetta 
n che fosse a lettre d*oro inrisa. 
pe rispose che di rosa schietta 
icato l'aveva; e che da questa 
a al miei quella dolcezza eletta: 
ve nel miei che volga «mente appresta 
rava in confuso il fior d'ogni erba 
I nasce ne gli orti, o a la foresta, 
stupiron gli Dei che sì superba 
zza fosse entro la rosa ascosta, 
Der le spine appare aspra ed acerba, 
lor da Tape ogni virtude esposta 
i la rosa; e seguitò narrando 
ibiltade e il pregio in che ella è posta: 
:endo che il sapnr tanto ammirando 
n lei derivato, in un con l'ostro, 
iettare che Amor versò ballando, 
somma Pape in quel beato chiostro 
rosa inalzò, che fé stimarla 
bontade e di bellezza un mostro, 
ove attento de Tape udì la ciarla; 
pò in premio di quel miei sì grato, 
la de gl'insetli ei volse ^ farla : 
n patto che da lei si fosse dato, 
1 suo piatto, in ogni settimana, 
tal somma di quel miei rosato. 
1, pprrhè udito avea la sovrumana 
ra de la rosa, ivi creolla 
irchessa de'fiori alta e sovrana, 
rminate le nozze , e già satolla 
rba de gli Dei; dal sommo letto 
i animali si partì la folla. 
n l'ape ognundi lor, colmo d'affetto, 
legrò: ma, pien d'astio o d'orgoglio, 
)e lo scarafaggio ira e dispetto, 
spinto da Pinvidia e dal cordoglio, 
> pensando un certo stratagemma 
rre a l'ape in un l'onore e il soglio. 
ndi egli cominciò, solo e con flemma , 
i ^5sa a sporcar tutte le foglie, 
i che uscisse il Sol fuor di maremma: 

olle. 


K mentre l'ape a cor le dolci spoglie 
Giva de'fiori, ei con sozzura immonda 
Le corrompeva il miei dentro le foglie. 

Volando l'ape a la celeste sponda. 
Fece a Giove saper questo strapazzo, 
Esclamando sdegnata e furibonda. 

Giove entrò in bestia, e fece un gran 

[schiamazzo: 
Sicché a cercar l'autor di quell'ingiuria 
Scese Mercurio dal sovran palazzo. 

£ in un tratto il trovò (che mai penuria 
Non si die di spioni): onde fu preso 
Lo scarafaggio, e torturato in furia: 

E perchè, quando il re si tiene offeso. 
Non si adopra orinolo in dar la fune, 
11 fatto confessò chiaro e disteso. 

Quindi da'numi, per parer comune. 
Come invido convinto e già confesso. 
Non fu lasciato di quel fallo impune. 

Perchè dunque tentòcon empio eccesso 
Di tor l'onore a l'ape, a lei facendo 
De l'alveario e de la rosa un cesso; 

Fu sentenziato con rigor tremendo, 
Ch'ei viva ne lo sterco, e che gli^ia 
De la rosa l'odor veleno orrendo. 

Salvator Rosa, satira VI . 

XCV. Sopra il vino. 

Se de l'uve il sangue amabile 
Non rinfranca ognor le vene. 
Questa vita e troppo labile. 
Troppo breve, e sempre in pene. 

Sì bel sangue è un raggio acceso 
Di quel Sol che in ciel vedete; 
E rimase avvinto e preso 
Di più grappoli a la rete. 

Su su dunque, in questo sangue . 
Rinoviam l'arterie e i musculi: 
E per chi s'invecchia e langue 
Prepariam vetri majusculi: 
Ed in festa baldanzosa, 
. Tra gli scherzi e tra le risa, 
Lasciam pur, lasciam passare 
Lui che in numeri e in misure 
Si ravvolge e si consuma, 
E quaggiù Tempo si chiama; 
E bevendo e ribevendo, 
I pcnsier mandiamo in bando. 

Redi, Bacco in Toscana. 

XCVL Contro il bere acqua. 
Chi racfi[aa beve 


70 


Cnr.STOMAZIA POETICA 


Mai non rlreve 
Grazie da me ' . 
Sia pur l*acqua o bianca o fresca, 
() ne'tonfani sia brana; 
Nel suo amor me non invesca 
Questa sciocca ed importuna : 

Questa sciocca, che sovente, 
Fatta altiera e capricciosa, 
Riottosa ed insolente, 
Con furor perfido e ladro 
Terra e ciel mette a soqquadro. 

Ella rompe i ponti e gli argini, 
E con sue nembose aspergini, 
Su i fioriti e verdi margini 
Porta oltraggio a i fior più vergini. 

E l'ondose scaturìgini 
A le moli stabilissime, 
Che sarian perpetuissime. 
Di rovina sono origini. 

Lodi pur l'acque del Nilo 
Il soldan de* Mammalucchi, 
Ne PIsp-iDo mai si stucchi 
D'innalzar quelle del Tago; 
Ch'io per me non ne son vago. 

£ se a sorte alcun de'miei 
Fosse mai cotanto ardito, 
Che bevcssene uu sol dito; 
Di mia man lo strozzerei. 

Vadali pur, vadano a svellere 
La cicoria e raperonzoli 
Certi magri mediconzoli 
Che con V acqua ogni mal pensan di 
Da mia masnada [espellere. 
Lungi sen vada 
Ogni bigoncia 
Che d'acqua acconcia 
Colma si sta. 

L'acqua cedrata 
Di iimoncelk) 
Sia sbandeggiata 
Dal nostro ostello. 
* De'gelsomini 
Non faccio bevande. 
Ma tesso ghirlande 
Su questi miei crini. 
De l'aloscia e del candiero 
Non ne bramo e non ne chero. 
I sorbetti, ancorché ambrati, 
E mille altre acque odorose, 
Son bevande da svogliati 
E da femmine leziose. 

Vino vino a ciascun bever bisogna , 
Se fuggir vuole ogni danno: 

' Parla Bacco. 


E non par mica vergogna 
Tra i bicchieri impazzir sei volte Tanno. 
Ródij Bacco in Toscana. 

XCVII. Trasformazione 
delV utignuolo. 

Offesa verginella, 
Piangendo il suo destino, 
Tutta dolente e bella, 
Fu cangiata da Giove in angelliao, 
Che canta dolcemente, e spiega il volo: 
E questo è. l'usignuolo. 

In verde colle udì con suo diletto . 
Cantar un giorno Amor quell'augcllef- 
E, del canto invaghito, [to; 

Con miracol gentil prese di Giove 
Ad emular le prove. 
Onde, poi ch'ebbe udito 
Quel musico u^ignuol, che sì soave 
Canta, gorgheggia e trilla, 
Cangiollo in verginella: e questa è LÌlla. 

De Lemene. 

XCVIIl. Scherzo sopra l'amore, 

Son troppo sazia. 
Non ne vo'più.* 
Cantar sempre d'amore 
Ne mai cangiar tenore, 
E una cosa che sazùi, 
E una gran servitù. 
Son troppo sazia. 
Non ne vo'più. 
Non si parlid'amor: sen vada in bmdo: 
Cantiam d* altro, mio cor: cantiam d'Or- 
Era i >rlando innamorato, [landò. 
Forsennato, 
Per Angelica la bella. 
O pazzarella: 

Ecco che amor ritorna in isteccato. 
Tosto volgiamo i carmi 
Dove si tratta sol di guerre e d'armi. 
Trojaui, a battaglia: 
Già de le spade ostili appare il lampo; 
Tutta l'Europa è io campo; 
Ornai non può tardar che non v' assa- 
Trojani, a battaglia. [glia: 

Già sentita la tromba, 
Come rimbomba; 
Quando rad* la spada. 
Sentirete come taglia: 
Trojan! , a batta};! ia. 
Correte a difculere 


SECOLO DEaMOSETTIMO 


7i 


mosa rapioa 
Ita peregrina, 

iella gran betta cli*anior rapi, 
aledetto amor: eccolo qui. 
Ohe gran disgrazia! 
npre amor per tutto fu. 
1 troppo sazia^ 
Q ne vo'più. 

assa, che farò perchè da me 
i volga il pie ? 
cor non si divide, 
ùer sempre soggiorna; 
ninaccio, ed eisi ride; 
iscaccìo, ed ei ritorna. 
-, che puoi far tu, 
poss'in per non parlarne più? 
:he un^atma innamorata, 
o sventurata, 
•ure guerra o pace, 
parla d'amore alltir che tace. 

De Lcmene, 


XCIX. Sopra ^* Italia. 


Par che nel mal comune itpianger basti 

C. A un uccellino rinchiuso 
in gabbia. 

Co m'esser può che alle paterne spo ndc 
Con dolente memoria ognor non voli, 
Ma empiendo il cielsol d'armonie giocon- 

[de, 
Lieto augeliin, tua prigionia consoli ? 

Già la cara consorte or non risponde , 
Ma su i nidi si duo! vedovi e soli; 
Ed ora non sei tu su l'alta fronde 
A meditar la libertà de i voli. 

Pur l'i/igrata magion co'tuoi concenti 
Dolce riempi, e di gradito. ardore 
Cure amorose al tuo signor rammenti. 

Intendo omai le frodi tue canore: 
È tua vendetta, a chi prigione or tienti 
Rammemorar la prigionia del core. 

Maggi. 

CI. Al Sobieskif re di Polonia. 


\ r Italia addormentata in questa Non, perchè re sci tu, sì grande sei; 
)naccia: e intorno il ciel s'oscura ; Ma per te cresce e in maggior pregio sale 
ila si sta4:heta e sicura; La maestà regale, 

lolto che tuoni, uom non si desta. Apre sorte al regnar più d' una strada: 
r taluno il paliscalmo appresta, Altii al merto degli avi, altri al natale, 

se stesso, e dei yicin non cura : Altri M debbea la spada: 

ieto è de l'altrui sventura. Tu a te medesmo e a tua virtute il dèi. 

i vede in altrui la sua tempesta. Chi è che con tai passi al soglio vada? 

le? quest'altre tavole minute. Nel di che fosti eletto, 

antenna, e poi smarrito il polo, Voto fortuna a tuo favor non diede, 

tutte ad un tempo andar perdu- Non palliata fede, 

[ te. N(m timor cieco; ma verace affetto, 

Italia mia,quest'è il mio duolo: Ma vero merto e schietto, 
m giunti a disperar salute, Fatto avean tue prodezzt» occulto pattd 

spera ciascun di campar solo. Col regno; e fosti re pria d'esser fatto. 

Ma che? stiasi loscettro ora in disparte: 

Non io rol fasto del tuo regio trono, 

Teco bensì ragiono; [dato. 

Ne ammiro in te quel eh' anco ad altri è 

i i vostri campi i sassi e l'onda; Dir ben può quante in mar le arene sono 

altri di voi sta negligente Chi può, di rime armato, [ sparte 

mati lidi, altri il seconda, Dir quante in guerrae quante in pace ])a 

3 eh' in passar Tonda nocente. Opre ammirande, in cui non ha l'alato 

sterpo s'accresca a la sua sponda. Vecchio ragion veruna, 
ostategli pur la spiaggia amica: Qual è a le vie del Sol s\ ascosa piaggia, 
ena iufedel fia che vi guasti Che contezza mn aggia * 

acquisti, p. poi la riva antica. Di tue vittorie, o dove il giorno ha cuna, 
sopporti dovrian saldi contrasti, dove l'aere imbruna , 
do si sta sorte nemica : z Abbia. 


i vedete il torbido torrente 
i ripari, e le campagne inonda, 
stragi altrui gonfio e crescente, 


72 CRESTOMAZIA POETICA 

dove Sirio latra, o dove scuote ' Tal fai macello su l'orribil campo, 
Il pigro dorso a' suoi destrier Boote? Che *1 suol ne trema. L'abbattute genti 
Sallo il Sarmato infido, e sallo il crudo Ecco spergi e calpesti ; 


Ecco spoglie e bandiere a un tempo togli, 

E il duro assedio sciogli : 

Ond' è ch*io grido, e griderò: giugnesti , 

Guerreggiasti e vincesti. 

Si sì, vincesti, b campion forte e pio: 

Per Dio vincesti, e per te vinse Iddio. 

Se là dunque ove d'inni alto concento 
A lui si porge, spaventosa e atroce 


Usurpator di Grecia ; il dicon l'armi 

Appese a i sacri marmi, 

E tante a lui rapite insegne e spoglie, 

Alto soggetto di non bassi carmi. 

Non mai costà le soglie 

S'aprir di Giano, che tu spada e scudo 

De l'Europa non fossi. Or chi mi toglie 

Tue palme antiche e nuove 

Dar tulle in guardia a le castalie dive? Non tuona araba voce; 

Fiacca è la man che scrive, Se colà non atterra impeto folle 

Forte è lo spirto, che a più alte prove Altari e torri; e se empietà feroce 

Ognor la instiga e muove; Da i sepolcri non tolle 

E quei che a' venti le grand'ale impenna. Il cener sacro, e non lo sparge al Tcnlo , 
Quella spadaa te regge, e a me la penna. Sbigottito aralor da eccelso colle. 

Svenni e gelai poc'anzi, allor ch'io vidi Se diroccate ed arse 
Oste sì orrenda tutti i fonti e tutti Moli e rocche giacer tra sterpi e dumi, 

Quasi de Tlstro i flutti Se correr sangue i fiumi, ■•■■ 

Seccar col labbro, e non bastare a quella Se d'abbattuti eserciti e di sparse * 
Del frigio suolo e de l'egizio i frutti. Ossa gran monti alzarse 
Cime! vid'io la bella Non vede Intorno; e se de Plslro in riva 

llegal donna de l'Austria in van di fidi ViennaiaVienna non cerca,ate s'ascriva- 
Ripari armarsi; e, poco meu che ancella, S'ascriva a te se il pargoletto in seno 
Porger nel caso estremo A la svenata genitrice esangue, 

A indegno ferio il piede. 11 sacro busto Latte non bee col sangue: 
Del grande impero augusto S'ascriva a te se inviolate e caste 

Parca tronco giacer, del capo scemo; Vergini e spose uè dà morso d'angue 
E *1 cenere supremo Vinlator son guaste. 

Volar d'intorno, e gran cittadi e ville Ne in se puniscon l'altrui fallo osceno. 


Tutte fumar di barbare faville. 
Da r ime sedi vacillar già tutta 


Per te sue faci Alelto e sue ceraste 
Lungi dal Ren trasporta : 


Pareami Vienna; e in panni oscuri edadri Per te, di santo amor pegni veraci. 


Le spaventate madri 

Correre al tempio; detestar de gli anni 

L'ingiurioso dono i vecchi padri. 

L'onte mirando e i danni 

De la misera patria arsa e distrutta, 

Nel comun lutto e ne i comuni affanni. 

Ma, se miserie estreme 

E incendii e sangue e gemiti e mine 

Esser doveano al fine, 


Si danno amplessi e baci 

Giustizia e Pace: e la già spenta e moria 

Speme è per te risorta, 

E, tua mercè, l'insanguinato solco 

Senza tema o periglio ara il bifolco.' 

Tempo verrà (se tanto lunge io scorgo) 
Che fin colà ne'secoli remoti 
Mostrar gli avi a i nepoti 
Vorranno il campo alatenzon prescritto. 
Mostreran lor donde, per calli ignoti. 


Invitto Re, di tue vittorie il seme ; 

Di tante accolte insieme [ soglio Scendesti al gran conflitto; 

Furie, ond'ebbe a crollar de l'Austria il Ove pugnasti; ove in sanguigno gorgo 
(Soffra ch'io '1 dica il Ciel) , più non mi L'Asia immergesti. Qui, diran, l'invitto 

[ doglio. Re polono accampossi; 
De la tua spada al riverito lampo Là ruppe il vallo, e qua le schiere aperse, 

Abbagliata, già cade e già s'appanna Vinse, abbattè, disperse; 
L'empia luna ottomauna. Qua monti p valli, e là torrenti e fossi 

Ecco rompi trinciere; ecco t'avventi ; Feo ' d'uman sangue rossi ; 
E, qual fiero leon che atterra e scanna Qui ripose la spada, e qui s'astenne 
Grimpauriti armenti^ » Fece. 


SECOLO DKCIMOSKTTIMO 75 

Darampieslragi^c'lgrandeslrierritenae. Che Tiresia nel corpo egli si feo *; 
Cbediranpoi, quando sapraa che jiian- Ma ne l'alma non già: ne fardi peg^o 

[ chi L*alfrui perfidia incontro a lui poteo '. 
B'acciar vestisti non per tema e sdegno, Che ingiuria fa d*Unnipoteu£a al seggio 

Non per accrescer regno, Il Sol mobile o fisso, e chi ritrova 

I4on perchè eterno inchiostro a te lavori Di stelle intorno a Giove un belcorleggio? 
Fama eterna, e per te sudi ogn' ingegno; Or chi Niceta e Filoiao rinnova^ 
Ma perchè Iddio s'onori, Fabro di matematiche ragioni, 

£ al suo gran nome adoratornon manchi? Sherno per voi e pena e infamia tvova? 
Quando sapran che, d'ogni esempio fuori, K questa è una de le dilezioni 
Con profondo consiglio, Cheli Vangelo vrdetta?andar giostrando, 

Per salvar Paltrui regno, il tuo lasciasti? Per mora ambizKone, i dotti e i buoni? 
Che '1 capo tuo donasti (>olui che, in duro esilio e miserando, 

Per la fé, per l'onore, al gran periglio? Di Patmos giacque in sconomnta tomba; 
ÌL il figlio istesso, il figlio, Amatevi l'un l'altro, iva insegnando. 

De la gloria e del rischio a te consorte Ma ne l'orecchie a voi mormora e romba: 
Te< o menasti ad affrontar la morte? Perseguitiamo i dotti. £ 4 popoi matto 
Secofi che verrete, io mi protesto Sol per voi celebrar prende la tromba . 

Che al ver fo ingiuria , e men del vero è Menziiu, Satira I . 

Ch'io ne scrivo e favello» [ quello 

Chi crederà l'eroico dispregio CHI. All'Invidia. 

Di prudenza e di te , che assai più bello 

Fa di tue palme il pregio? Perpiùd'unangueal fari) teschio attorto 

Chi crederà che a te medesmo infesto, Veggio ch'atro veleno intorno spiri, 
£ a te negando il maestevoi regio Mostro crudel, che '1 livid'occhio e torto 

Titol, di mano in mano [to. Su lo splendor de l'altrui gloria giri. 

Siatu in battaglia ai maggior rischi accin- Il perverso tuo cor prende conforto 
Non da gli altri distinto, Qualor più afflitta la virtù rimiri; 

Che nel vigor del senno e de la mano? Ma, se poi de la pace afferra il porto. 
Nel comandar, sovrano; Ti s'apre un mar di duolo e di spspiri. 

Ne l'eseguir, compagno; e del possente Dehse giammai ne l'immortal soggiorno 
Forte esercito tuo gran braccio e mente? Le mie preghiere il Ciel cortese udille, 

Su'Su, fatai guerriero; a te s'aspetta Oda pur queste , a cui sovente io torno; 
Trar di ceppi l'Europa, e '1 sacro ovile Coronata di lucide faville 

Stender da Battro a Tile. Splenda virtute; abbia letizia intorno, 

Qual mai di starti a fronte avrà balia Abbia la gloria,* e tu mill'occhi e mille . 
Vasta bensì, ma vecchia, inferma e vile, Mensimì. 

Cadente monarchia, - 

Dal proprio peso a ruì'nar costretta ? CIV. Sopra il sublime. 

SJe '1 ver mi dice un'alta fantasia. 

Te l'usurpata sede Oh de la gloria luminoso calle ! 

Greca, te '1 greco e inconsolabil suolo Felice quei che in te vestigio imprime, 
Chiama; te chiama solo, Né a'rai del tuo bel Sol volge le spalle. 

Te sospira il Giordan; a te sol chiede Or chi brama che '1 grande e che *1 subii- 

La Galilea mercede. [ me 

A te Betlemme, a te Sion si prostra, Risplenda ne'suoi scritti, e si consiglia 
E piange e prega, e '1 servo pie ti mostra. Correr di Pindo in vèr le palme prime ; 

Da Filicaja, Giammai non torca da l'onor le ciglia, 
Mai da la nobiltade, e i suoi pensieri 
CU. Sopra U sventure del Galilei. Servano a lei qual signorii famiglia. 

£ co'suoi spirti generosi e altieri 
Ma piano un po'.* che con maniera inde- Non mai s' abbassi a quel che a l'alma ol- 
Questi son che ciurmaro il Galileo [gna ^ traggio 

Co'pnngiglion di pontificia insegna. 'Fece. "Potè. 


7i CRESTOMAZIA. POETICA 

Può far co^snoi vapor torbidi e neri. Spesso de Timo al suo vicin prevale. 

Tenga Inngi dal v.*>lgo erto il viaggioi £ pur son paghi de U lor bellezza 
E le nebbie importone alto saetti Ciascan,benchèdiversi,e'l guardo umano 

Dal suo bel ciel col luminoso raggio; Tratrge d'entrambi una gentil vaghezza. 

E poi ben giusta inclita laude aspetti Ma, perchè a te chiaro si faccia e piaio 
Da quegli che verranno. Ah sì, verranno Ouai sia *l sublime, or via l'orecchia ap- 
Mìgliori al coro ascreo giudici eletti. [presta, 

E quei che forse or sconosciuti stanno, Ne forse a i detti inchinerassi in vano . 
Sin da gli elisii campi eccelsa e forte Sublimeèquelch'altri in leggendo desta 

Di benché tarda gloria il suono udranno. Ad ammirarln, e di cui fuor traluce 

Ver è che al Ciel la lor beata sorte Beltà maggior di quelche '1 dirnon presta. 
Debbon spirti sublimi; e questo è il pregio Ond*è che l'alma a venerarlo induce, 
Che sol per grazia è fatto altrui consorte. E l'empie di se stesso, e la circonda 

Esser l'ingegno in nobiltade egregio D'una maravìgliosa amabil luce. 
Mal può per arte; e sol del ciel cortese E quanto il guardo in lui piasi profonda 

È questi e di Natura unico fregio. Più e più diletta; e per vigore occulto 

Ella da prima in le grand' alme accese La mente del lettor fassi feconda. 
Un gentil foco; ed ella i semi sparse, So ben che puote anche in sermonein- 

E a lieto germogliar pronti gli rese. [culto 

In sterile'terren non vedi alzarse Chiudersi un gran pensiero ; e si appre- 

Pianta meschina; e del su'april si duole, [senta 

Che sol squallide frondi in lei cosparse : Talvolta in creta anche un gran numein- 

An( h'ella pur vorrebbe in faccia al sole [scolto. 

Spiegar florida chioma a'suoi verd'anni; f-ì v'ha talun ch'ebbe la cura intenta 
Ma ritrosa Natura osta, e noi vuole. Solo al concetto, e l'ornamento esterno 

Purnonfia che del tutto invan si affanni Sprezzò la mano e neghittosa e lenta. 
L'ingegno umile allor che anela e suda Quindi sovente untai costume io scerno 
Pur di Natura a ristorare i danni. In quei che, ratto immaginando, al cielo 

E non fìa che del tutto a lui si chiuda Vide far di tre giri un giro eterno. 
Il sì difficil varco, e che del tutto , Ma tu d' un doppio e generoso zelo 

D'effetto vóto il buon valor s'escluda. Vorrei che ardessi, e che le grandi idee 

Che quel che parve orrido campo a- Ricco àvesser per te pomposo velo, [bee 

[sciutto, ^Chi non ha l' auro, o'I perde, e ver che 
Per onda si discioglie, e a chi '1 coltiva. Il Chianti in velro;ma più lieto in vista 
Dolce promette in sua stagione il frutto. Spargerla di rubin gemme eritree, [sta ' 

Non t'accorar se v'ha talun che scriva È ver che in massa ancor confusa e mi- 
Che in van si tenta ogni arte: e pur per Ha suo prezzo l'argento, e pur novella 
La piccola barchetta al porto arriva [arte Un'artefice man grazia gli acquista. 

Nelle chiare di Febo eterne carte E ver che grezzo è l'adamante, e in quel- 

Mille vedrai inclite forme e mille. Ruvida spoglia è prezioso, e pure [ la 

Che potran del sublime esempio farte. ' Alla fervida ruota ei più s'abbella. 

E nel tuo cuor le tacite faville Così le basse forme e sì l'oscure 

A poco a poro sveglieransi; e poi Fuggir tu dèi, e a l'arte, a l'ornamento 

Per tutto vibrerai lampi e scintille. Volger l'ingegno e le sagaci cure: 

E al grande oprar de 'gloriosi eroi E far che splenda il non volgar talento 

Vedrai lo spirto in te farsi maggiore, Ne' gran sensi non sol, ma in quello ancora 
E gli angusti sdegnar confini suoi. Onde si spiega un nobile argomento. 

Questo vuol dir che a ciasihedun nel Che se l'un tu riserbi, e l'altro fuora 

[cuore Negletto lasci, non avrai per certo 
Avvi il talento; ma non sempre eguale. La doppia palma onde lo stil s'onora. 
Che grande è in altri, e forse è in te mi- Quindi farassi a la tua mente aperto 

[nore. Qunl siaM contrario del sublime, in cui 
iVIira qual splende il cielo, e mira quale Alcun non è de i detti pregi inserto. 
Ardoa gii astri diversi; e la chiarezza Talvolta udrad dentro gli scritti altrni 


SECOLO DFCIMOSETTIMO 7!^ 

bombo, e strepitoso il suono; Con lusinghieri accenti: 
le in((anna« e non è fondo in^ liti. La bella età de Toro nnqna non venne. 
5 l'alta del grande origin sono Nacque da nostre menti, t 
pnsieri, e di febea faretra Entro il vago pensiero; 

i sensi, e le parole il tuono. £ nel nostro desio chiara divenne. 
Menzinh Arte poetica, libro V, Spiegò sempre le penne 

La gran ministra alata 
IV. Tempesta vicina. A i fochi d*£tna intorno; 

9^*^ P*"^ proveder V ira di Giove 
in qoel fondo gracidar la rana. Sempre di fiamme nove, 
erto di futura piova; Stancò i giganti ignudi 

corvo importuno; e si riprova Sii le fatali incudi; 
a tuffarsi a la fontana. E per le vie del ciel corse e ricorse, 

cherella in quella falda piana Intenta sempre à*suoi severi uffici, 
respirar de l'aria nova ; Or, se del fato infra i tesor felici 

llarga in alto, e sWe giova H sccol d* òr si serba , 

l'acf|ua , che non par lontana. Certo so ben che non apparve ancora 
) le lievi paglie andar volando; Un lampo sol de la sua prima aniora ' 
come obbliquo il turbo spira. Chiude nostra natura 
olve, qual palion, rotando. In mente gli aurei semi 

e reti, o Bestagnon; ritira Onde sorger potrian l'età beate : 

a gli stallaggi: or sai che, quando Ma il reo desir, che è cieco, 
uoi segni ii Crei, vicina è V ira ? E incontro al ben s'indura , 

Menzini. I^a COSÌ bel pensiero la diparte. 

Io non invan su questo colle istesso 
evi. Scilla. Al popol di Quirino 

Un giovanetto Cesare rammento; 
sicana e calabrese arena Quel che si vede impresso 

>drai in femminil sembiante Del bel genio latino, 
nlla da Tonde; ardua la fronte, E che un lustro regnò placido e lento,- 
igo suo crine ambe le spalle Quello che pos'!Ìa spese 
p. con le nude aperte braccia Ogni sua bella luce, e il ferro mise 
lieder mercede, anco sperare Entro il materno seno, 
an numi del mar sentan pietade E guardò le ferite, e ne sorrise': 
ngiata sua forma e bellezza. Quel che la patria infra lefiamme uccise, 
o al suo già delicato fianco < Sicché squallido il Tebro uscì de Toude, 
nille crudeli orridi mostri , E di Roma in veder V orrida immago 

itrato n' udirai, che al core Stesa per Tampia valle, 

pavento, e i naviganti assorda. Sospirando gridò: giunto è Anniballe , 
il fassieda l'orecchia e al guardo Tutto di sangue e di mina vago, 
nganno ! Che c(»let che sembra Su i sette colli a vendicar Cartago. 
imago, e rozza massa informe Non perchè il viver nostro * 

ni pendenti; un vivo sasso, Giace lontan da le città superbe, 

: spaziose atre caverne E siede ale bell'ombre e in riva a i fonti; 



„ p fronti; 

Menzini, Eiopctlia, libro III, Già noi sarem meo pronti 

O impotenti a turbar nostro costume. 
ìpra le depravazioni che av~ E qual pastor fra noi tanto presume, 
no aW indole e ai costumi ^he pensi di poter dentro le selve 
iomini. Menar i giorni suoi lieti e ridenti, 

^ Parla agli accademici dell' Arcadia romana. 
I adombro il vero a Mostrato. 


% CRESTOMAZIA POKTICA 

Come le anliclie favolose genti? Del Tebro, invitto fiume, 

11 violento e torbido sospetto Or miriamo passar le tumid'onde 

-Anche in noi desta i suoi pensier feroci ; Col primo orgoglio ancor d'esser reine 

Che si vedrian di sangue e d' ira tinti, Sovra tutte Taltere onde marine. 
Se non che sótto mansuete voci Là siedon Torme de Taugusto ponte 

VeUn le fiamme in petto , Ove strldean le rote 

Però che povertà gli tiene avvinti: De le spoglie de l'Asia onuste e gravi; 

Ma da soverchio ardof potrian sospinti, £ là pender solfano insegne e rostri 

Anco recarsi in mano il ferro e il tosco, Di bellicose trionfate navi. 

E funestare il hosco. Quello è il Tarpeo superbo , 

E se Fortuna con sereni augùri Che tanti in seno accolse 

Per le nostre campagne un dì passasse , Cinti di fama cavalieri egregi ; 

E lampeggiando entrasse Per cui tanto sovente 

Lieta ne' nostri poveri tugùri ; Incateniti i regi 

Avrian da noi ( chi 'l crederla ? ) rifiuto De' Parti e de l' Egitto , 

Le pastorali muse; e quel diletto Udirò il tuono del romano editto. 
Che abbiamo in acquistar gloria dai carmi Mirate là la formidabil omhra 

Sorgerebbe da Tarmi ; De Tccelsa di Tito immensa mole, 

K diverrebbe del canoro ingegno Quant' aria ancor di sue f uine ingombra. 

Tutto T ardore, alto desio di regno, (zio,* Quando apparir le sue mirabil mura. 

Fu pur Romolo anch' ei pastor del La- Quasi l'età feroci 

E come noi reggeva armenti e gregge , Si sgomentaro di recarle offesa; 

E si vestia di queste spoglie irsute, E guidaro da i Barbari remoti 

Quando, de' boschi sazio. L'ira e il ferro de' Goti 

Mosse T aratro a quel terribil solco A la fatale impresa. 

Donde fur le gran mura uscijr vedute. Ed or vedete i gloriosi avanzi, 

Allor la mansueta sua virtute Come, sdegnosi de l'ingiurie antiche, 

Cangiò spirto e colore ; Stan minacciando le stagion nemiche. 
E tanto bebbe del fraterno sangue , Quel che v'addito, è di Quirino il colle, 

Ed orma tile di furore impresse , Ove sedean penosi i duci alteri , 

Che l'acerba memoria ancor non langue, £ dentro a i lor pensieri 

E ancora offende e oscura Fabbricavano i freni 

Il gran natal de le romane mura. Ed i servili affanni 

Guidi, canzone VI. A i duri Daci, a i tumidi Britanni. 

Ampii vestigi di colossi augusti, 

CVIII. Sopra gli avanzi di Roma Di cerchi, di teatri e curie immense, 

antica . FJe terme, che il tempo ancor non spense» 

Fan de Tal me romane illustre fede. 

O noi d* Arcadia fortunata gente. Parca del Lazio la vetusta gente. 

Che, dopo l'ondeggiar di dubbia sorte , In mezzo a lo splendor de'genii suoi, 

Sovra i colli romani abbiam soggiorno ! Un popolo d'eroi. 
Noi qui miriamo intorno, Ma, reggie d' Asia, vendicaste alfine 

Da questa illustre solitaria parte, Troppo gli affanni che dj^Roma aveste. 

L'alte famose membra Con le vostre delizie oh quanto feste'' 

De la città di Marte. Barbaro oltraggio al buon valor latino! 

Indomita e superba ancora è Roma, Fosse pur stata Menfi al Tebro ignota, 

Benché si veggia col gran busto a terra; Come i principii son del Nilo ascosi: 

La barbarica guerra Che non avresti, egizia donna, i tuoi 

De' fatali trioni, Sludii superbi e molli 

E T altra che le diede il tempo irato. Mandati a i sette colli; 

Par che si prenda a scherno. Ne fama avrebbe il tuo fatai convito: 

Son piene di splendor le sue sventure ; Romolo ancor conoscerla sua prole : 

E il gran cenere suo si mostra eterno: Né T aquile romane avrian smarrito 
£'noJ, rivolti a V onorate sponde • Faceste, 


SECOLO DECIMOSETTIMO 


77 


ammin del sole. 

Guidi, caozouc III. 

CIX. La Fortuna. 

indisse, ladestra entro la chioma; 
i d' ogn' intorno 
belle venture 

)n aureo piede al tuo soggiorno* 
drai ch'io sono 

L Giove; e che, germana al Falò, 
trono immortale 
li siedo a lato. 
e voglie V oceàn commise 
Nettuno : e indarno 
l' In'do e il Britanno 
ie ancore e vele armar le navi, 
n governo le volanti antenne, 
» in su le penne 
i spirti * soavi, 
lo a la Io r sede 
[Iti procelle, 

) sopra col sereno piede: 
eolie rupi 
ili de' venti ; 
» di mia mano 
uni spezzar le rote ardenti, 
ta è la man che fabbricò sul Gange 
a gl'Indi, e su l'Oronte avvolse 
: hende de l' Assiria a i crini: 
gemme a Babilonia in fronte, 
I Tigri le corone al Perso, 
al pie di Macedonia i troni. 
> poter fur doni 
ali gridi 

povane pelleo s'alzaro intorno, 
1 de l'Asia ei corse, 
ro tnrbo, i lidi, 
meco vincitor sin dove 
gli sguydiil sole, 
inanzi a lui tacque la terra; 
ilto monarca 

jli uomini allor d'esser celeste, 
ccelse ed ammirabil prove 
nsea i numi, e si fé gloria a Giove. 

li. 


Circonda ro più volte 
1 miei genii reali 
Di Koma i gran natali: 
E l' aquile superbe 

Sola in prima avvezzai di Marte al lome; 
Ond'alte in su le piume, 
Cominciaro a sprezzar l' aure^vicine, 
£ le palme sabine. 

Io senato di regi 
Su i sette colli apersi: 
M.' ne gli alti perigli 
hbbero scorta e duce 
I romani consigli: 
Io coronai: d'allori 
Di Fabio le dimore. 
£ di Marcello i violenti ardori; 
Africa trassi in sul Tarpeo cattiva; 
E per me corse il Nil sotto le leggi 
Del gran iiume latino: 
In su le ferree porte infransi i Daci: ^ 
Al Caucaso ed al Tauro il giogo imposi: 
Alfio tu Ite de' venti 
Le patrie vinsi; e quando 
Ebbi^sotlo a'miei piedi 
luita la terra doma, 
Del vinto mondo fei * grand<)noaR4)ma. 

Me teme il Daco, e me l'errante Scita,- 
Me de' barbari regi 
Paveutan l'aspre madri; 
£ stanno in mezzo a l'aste 
Per me in timidi aifanni 
I purpurei tiranni. 

Per me Roma avventòle fiamme 'n grembo 
A l'emula Cartago: 

Ch'andò errando per Libia ombra sdegna- 
Sinché per me poi vide [ta; 

Trasformata l'i m mago 
De la sua gran nemica: 
E allor placò i desiri 
De la feroce sua vendetta antica,* 
E trasse anco i sospiri 
Sovra l'ampia mina 
De l'odiata maestà latina. 

Guidi,, eaozone TU. 

• Feci. 


P lU M A METÀ 

DbL 

SECOLO DECIMOTTAVO 


Muovon del pari il pie, muovono il canto; 
ex. Xa Gloria e l'Invidia* Vaghe cosi, che Tona a l'altra a canto 

Rosa con rosa par, stella cou stella. 
Qaaud'io men \o verso 1* ascrea mon- Non sai se quella a questa, o questa a 

lagna, [quella 

Mi si accoppia la Gloria aldeslro lianco: Teglia, o non toglia di beltade il vanto: 
Klla dà spirto al cor, forza al pie stanco; E puoi beu dir: uull*altra è beila tanto; 
E dice: andiam, ch'io li sarò compiigna. Ma non puoi dir di lor: questa è più bella. 

Ma per la lunga inospita campagna Se iunanzi al pastorello in Ida assiso 

Mi si aggiunge l'Invidia al lato manco; Simil coppia giugnea, Vener non fora. 
Edice: anch'i osonteco. A ilabbro bianco, La vincilrice al paragon del viso: 
Veggo il velen che nel suo cor si slagna. Ma qual di queste avrebbe vinto allo- 
Che far degg* io? Se indietro io volgo [ ra? 

Li passi, Noi so: Paride il pomo avria diviso. 
So che Invidia mi lassa e m'abbandona; O la gran lite penderebbe ancora. 
Ma poi ha che la Gloria ancor mi lassi. - Zappi. 

Con ambe andar risolvo a la suprema CXlIL La partenza. 

Cima del monte. Una mi dia corona; 

E l'altra il vegga, e si contorca e frema. Tornami a mente quella trista e nera 

Zappi, Notte, quando partii dal suol natio, 
lì lasciai dori, e pianger la vid'io, 
CXI . Sogno . Non mai più bella, e non mai meno altera. 

Oh quante volte, addio, dicemmo, ad» 
Sognai sul far de Talba; e mi parca E il pie senza partir restò dov'era! [dio; 
Ch'io fossi trasformato in cagnolello: Qnante volte partimmo, e a la primiera 
Sognai che al collo un vago laccio avea Orma tornaro il pie di Clori e il miol 
E una striscia di neve in mezzo al petto. Era già presso a discoprirne il sole; 

Era in un praticello, ove sedea Quando le dissi alfin... ma che le dissi, 

Clori di ninfe in un bel coro eletto. Se il pianto confondeva le parole? 

lo d'ella, ella di me prendeam* diletto: Partii; che cieca sorte, %deslin cicco 
Dicea: corri, Lesbino; ed io correa. Voller cosi; ma come, ahi, mi partissi 

Seguia: dove lasciasti, ove sen gio * Dir non saprei: so che non son più seco. 
Tirsi mio, lirsi tuo? che fa? che fai? ZappL 

lo già latrando, e volea dir: son io. [zai: 

M'accolse in grembo: induopiedi m^l- CXIV. Gli occhi d'Amore. 

Inchinò il suo bel labbro al labbro mio; 
Quando volea baciarmi, io mi svegliai. Fillide al suo pastore: 

Zappi. Perchè senz'occhi Amore? , 

£ il suo pastore a lei: 
XCII. Sopra due belle. Perche quegli occhi bei 

Ch' esser doveano i suoi, 
Due ninfe emule al volto e a la favella^ Bella, gli avete voi. 

i Preodevamo. * Gi. Aodò. -Zo^'» 


SECOLO DECIMOTTAVO 79 

lUposi, sol contento di se stesso. 
CXV. La Fortuna. Cbè quasi in ogni età furo ben molti 

£ sommi dnci e sommi imperadori, 
»rtuna è una Dea senia cervello: Che in braccio ancora de le muse accolti 
utto il giorno i'a pazzie. Bella vittoria coronò d'allori : 

to abbassa, ed ora innalza quelb, Anzi d*april non son sì spessi e folti 
;enti ama sempre le più rie, Per le campagne i leggiadretti fiori, 

la virtù vero flagello.- Come gli uomini illustri che di paro 

mano geutil, Paltra d'arpie: Trattar la penna ed il fulmineo acciaro, 

è che sempre ruba e sempre dona; E quanti fur, che, con la toga in dossso, 
•la e tormenta ogni persona. In mezzo a i padri ne l'ampio senato, 

Tte il sole, a noi quando compare, Il poetico foco da sé scosso, 
di luce le lontane genti ; lu grazioso sermone e posato 

do torna ad atluifarsi in mare, Dier salute a la patria; ed il già mosso 
a gli altri, e noi restiam dolenti ; Periglio a'danni suoi fu dissipato! 
rtuna appunto usa è di fare: Fortiguerri, Ricciardetto, canto IX. 

orni non vi sono, ore o momenti 

n felici altrui, che quegli stessi CXVJI. Lodi della vita oscura» 

ndan gli altri di miseria oppressi. 
ortiguerri, Ricciardetto, canto FUI' Quei gode lieta e avventurosa sorte. 

Che vive in parte solitaria ed erma,- 
CXVI. // buon poeta. ^Jè sa che cosa sia citlade o corte; 

Ne ora si distrugge, ora s'in ferma 
jerchè non ra' offusca sì la vbta Per van desio di viver dopo morte ; 
sa ch'io prendo de' poeti, Ne le sue voglie ognor stringe e rafferma 

oglia porre in così chiara lista A'cenni altrui, né tra speme e timore, 
quei che la marina Teti Misero invecchia, e più miser si muore, 

nomare, e la palude trista Quel piacer che si cerca e che si crede 

rno.^diVulcanleindusiriretij Chestiane'gran palazzi e in grembo a Toro, 
>dir begli occhi ed aureo criney Tempo è che ignudo a la suprema sede 
? d'avorio^ e labbra corallinei Bimeuò de le Grazie il santo coro: 
co chiaro che nessuna stima K de le spoglie sue rimase erede, 

hi solo accozza tanto quanto Per nostro scherno, il barbaro martoro ; 

dici versacci con la rima. Il qual vestito de'suoi lieti panni, 

poeta non l'annaso al canto Chiunque lo ritrova empie d'affanni, 

neute: ma vo'che m'imprime Solo tra' boschi e le romite ville 

1 so che di nuovo, che d'incan'to L'allegra del piacer dolce famiglia 
sembianza; e voglio che in lui sia Alloggia; e gode l'ore sue tranquille. 
;lla e divina fantasia. £d ei spesso dal ciel il eammin piglia 

he le umane e le divine cose Verso le selve ; ed or nel cor di Fille, 

quanto saper puote un mortale; Ora alberga di Nice in su le ciglia : 
e vaghe idee e luminose. Quindi ritorna a rallegrar le stelle : 

'aere più puro ei batta l'ale; Né fa distinzìon tra Giove e quelle V 
t terra ne le parti ascose Ond'é che in vano si lusinghi, e spere ^ 

e discorra come l'acqua sale Unire a signoria vero diletto , 

I a'monti, e come perdut'abbia Chi tien parte del mondo in suo potere ; 
le avea ne la marina sabbia, [ta, Che acerbe cure egli ha a covare in petto, 
Qima, quando io dico un buon poe- £ d'ogni cosa semprb ha da temere, 
la cosa rara e pellegrina, E con ragion: peréhè il Fabbro perfetto 

izia di natura e di pianeta Che con peso, con numerò e misura 

ere fra noi raro destina. Fa il tu tto,in q oesto pose ancor gran cnra . 

i vo'già che da l'alba a compieta Povero sì, ma dolce e saporito, 
zi ognor ne Tonda caballina, Il cibo diede al roiso vitlanello ; 

ad ognor sul Menalo e Permesso * Ook Fille e Kìce, > S{)eri. 


80 CRESTOMAZIA. POETICA 

E gli die sonno placido e gradito, Che nato appena, o poco dopo, è morto. 

Se letto n m gli diede orjiato e bello : Perchè, se ocn c'è qualche fortunato, 
Né , pitr quanto sia grinzo e incanutito , Il cui naviglio già si trova in porto; 
V*è chi lo brami chiuso in un avello, Pure, in guardando le miserie altrui. 

Per dar di mano a Toro ed a l'argento, Movcransi a pietà gli affetti sui. 
E poter dissiparlo a suo talento. Perchè siccome le diverse corde 

La vecchierella a la più fredda bruma D' uno istrumento, se son ben temprate. 
Si siede al fuoco con la sua conocchia, Fanno un suono dolcissimo e concorde; 
E le dita filando si consuma: In cotal guisa le genti create 

E ticn la nuora in luogo di sirocchia, Convicn fra loro che natura accorde ' : 
Talché lite fra lor non si costuma. Onde non ponno ^ l'une esser toccate. 

Ne v*ha chi scaltro ed amoroso adocchia Che non rispondan l'altre. E di qua viene 
La donna altrui: che al villano par bella Cho abbiam tanto dolor de le altrui pene. 
La propria, e amor per altra noi martella. Che se non fosse questa gran catena, 

Non s'odono per quelle amene spiagge E si vivesse come querce o abeti, 
Furti , veleni , e sporchi tradimenti ; Fissi ad ognor su la paterna arena; 
Ne chi, presente voi, vi palpi o piagge ', Ne cale a quei che spezzi ed inquieti 
E poi, lontan, vi laceri co' denti. La scure l'altre piante, e nonne hanpena; 

E vostro onore e vostra fama oltragge^. Cosi staremmo noi contenti e lieti 
Puri costumi in somma ed innocenti , Su le miserie di questo e di quello. 
Contrarli affatto a la vita civile, Ma natura ci die senso e cervello. 

Albergan sempre in quella gente umile. E ci diede per quello gentilezza. 

Ma questa conoscenza più m'accora : E per quest'altro, senno e inteUigenza: 
Che son costretto in cosi chiara corte Onde per l'una il male altrui s'apprezza, 
A stare infiu che non avvien ch'io mora. E fassi nostra ancor la sua doglieuza; 
Deh perchè non trovai chiuse le porte, K per altro s'accresce l'amarezza, 
Roma superba, in quel punto e in quell'ora Che, come dice il Savio in sua sentenza, 
Che a te guidommi la mia trista sorte? Quei che aggiunge sapere, aggiunge affaD- 
Chè ritornalo indietro allor saria, E men si dolgon quelli che men sanno, (no: 

E vivrei lieto in qualche villa mia. Fortignerri, Ricciardetto, canto XV' 

Fortiguerri) Ricciarclelto, canto X, 

CXIX. La rana, 
CXVII. Sopra la compassione. 

Penso sovente che l'umana vita Piene son di mille mali 

Ricolma ell'è di tutti quanti i mali; Tutte le strade de la vita umana, 

E nluna dolcezza è mai compila; ^ Siano chiassetti, o vie ampie e reali. 

Ma quale in guerra viva, u' ' dardi e strali Dunque che si ha da far? Ciò che la rana 
Vibransi ognor su la città assalita," Consigliava una volta a'iigli suoi, 

Così piovon su i miseri mortali Che uscir volcan de le loro pantana. 

Da tutti i lati miserie e sciagure: Figliuoli miei, che? vi pensate voi 

Onde mirabil cosa è come dure ^. Quinci partendo aver vita tranquilla, 

La povertà ci affanna; e la ricchezza La quale non v'affligga e non v'annoi? 
Ci fa odiosi, superbi ed ignorami: Qui slam cibo talor d'ale una anguilla; 

L'amore ci riempie di tristezza: Ma, se ne andrete per li verdi prati, 

L'ira e lo sdegno ci turba i sembianti '•^ : O pe'campi di questa o quella villa. 
Un mar turbato sembra giovinezza, K serpi e falchi e topacci affamati 

Pieno di rotte sarte, e legni infranti; . Faran di tutti voi strage sì fera, 
È^a vecchiezza languida e da poco; Che sarete ad un tratto esterminati. 

E la virilità dura pur poco. A cui il figlio maggior, con aspracera, 

Insomma in ognitempooin ogni stalo Madre, rispose, dunque il fango e l'erba 
Non ha mai requie, e non ha mai con furto: Sarà nostra magion e giorno e sera? 
E quegli, al parer mio, solo è beato. Certo sorte migliore a noi si serba 

^Piaggi. ■ Oltrajgi. ' Ote. ^ Djri. «Accordi. ^ Possonc. 


SECOLO DECItfOTTWO 8l 

Uscendo fuora; abbiamIaaYanti|;li occhi: 

dunque si lasci questa vita acerba. GXXII. Pernuova monaca. 

Ed ella a lai: tu parli come i sciocchi. 
La natura ci ha fatti pe*pantanì; Poiché scese qua giù l'anima bella " 

E ne'pantani hanno a stare i ranocchi. Che nel sen di costei posar dovea; 

Ciò detto, slargò Tarqua con le mani, Incertaerrandoinquestapartee inquella. 
Basso il capo, alzò Tanche, e andonne al Niuna degna di lei salma scorgea* [pelU 
Lasciando ne la riva i figli insani, [fondo, Qual basso luogo è questo? e chi ra'ap« 

Così dich*io. Liborio, in questo mondo Qua giù dal ciel? sdegnando ella dicea: 
Ogni stato ha i suoi guai: e chi desia, £ già per ritornar, di stella in stella. 
Mutando Usuo, trovarne un più giocondo, Era a Talta, onde scese, eterna idea. 

Cade infuna grandissima pazzia. Pur, seguendo de' fati il gran disegno, 

Fortiguerrì, capitolo IV. Entrò nel vago destinato velo: 

Vago bensì, ma pur di lei non degno. 
CXX. Sopra la nobiltà, E già lo sprezza; e già colma di zelo; 

Cerca, rotto il suo fral breve ritegno, 

Dietro la scorta de'tuoi chiari passi. Tutte le vie di ricondursi al cielo. 
Signor, ne vengo, d'una hi altra etate, 

Fra'nostr'avi a cercar di nobiltate . Qual feroce leon che assalit'abbia 

Le insegne, onde talun sì altero stassi. i*astor mal cauto, e il preme, e in fuga 

Ma più che in quel cammino addietro , ^ [il caccia; 

Scorgo la rozza antica pò vertate, [vassi, Quei d'elee o quercia al'alte annose braccia 
Seniplici mense in umil foggia ornate, Kirovra, e schiva del crudel la rabbia. 
E schiette vesti, e tetti oscuri e bassi: ^^ V^^^ gli è intorno, e con spumanti 

Infin che a le capanne ed a le ghiande [ labbia 

Mi veggo addotto, e al prisco stato umile; Ruggendo il mira, e pur quel tronco ab- 
Eilmeschin trovo pareggiato e il grande. ^ ^ [braccia 

nobiltà, com'è negletta e vile Con l'uDghie adunche, e il crolla, e pur 
L'origin tua, se in te suoi rai non spande . , [procaccia 
Virtù, che sola può farti gentile! Salirvi, e sparge invan col pie la sabbia; 

Manfredi. _, ^^^^ ^sleì, che del leon d'inferno 
'Uggì gli artigli, ed ha ricovro amico 
CXXL Giuramento alla donna Su i santi rami del gran tronco eterno; 
amata. ^'i*"* ^^^ tcuie più del fier nemico: 

E lo vedrem, pien d'aspro duolo intemo, 
Vaga angioletta,che in sì dolce e puro tornar ruggendo a quel suo centro antico. 
Leggiadro velo a noi dal ciel scendesti. 

Ed OT beando vai quest'aure e questi Vergini, che pensose, a lenti passi, 

Culliyche di tal don degni non furo; [ro; ^? grande ufficio e pio tprnar mostrate, 

Perquellaman,perquellelabbraiogiu- ^ PÌ^'* avendo in volto la pietate, 
Per queituoischivi atti cortesi, onesti , ^ P*^ ^^ gli occhi lagrimosi e bassi; 
Per gli occhi, onde tal piaga al cor mi fé- Dov'è colei che fra tutt'altre stassi 

sti % Q"^si Sol di bellezza e d'onestate? 
Ch'ipgiàmorronne(esorteallranoncuro)'^^ ^"i chiaro splendor l'alme ben nate 
Che, se ben gelosia del suo veneno Tutte scopron le vie d'onde al ciel vassi? 
M'asperse, mai non nacque entro il mio ^ispondon quelle: ah non sperar più mai 

[petto ^^^ '^oi vederla: oggi il bel lume è spento 
Pe nsier che al tuo candor recasse oltraggio."^^ mondo, che per lei fu lieto assai. 

E se nube talor di reo sospetto ^" la soglia d' un chiostro ogni orna- 

Alzarst* osò, per dileguarla a pieno ^ [mento 

Del 4i"n volto tuo bastò un sol raggio. Sparso, e gli ostri e le gemme al suol ve- 

MaRf,-ed . Eil^el crind'orosene porta il vento, [drai^ 

1 Facesti. Manfredi. 

Lcoì;>ARDf, Crestomazia. IL ^ 


82 CRtSTOMAZIA POETICA 

Avanzi son di memorabìl opra, 
CXXIII. Trasformazione di Canopia Mea dal furor, che da l'elà,securi. [scopre 
e del figliuolo. Ma, in tanta strage, or chi m'addita e 

In curpo vivo, e non in bronzo o in sasso. 
In così dir, si vide il pargoletto Una reliquia di Fabrizi e Curi? 

Cliealsentenea, rimpicciolirsi a un tratto; Gkedini. 

Le braccia in ali, e 'i labbro in sottìl rostro 

Cangiarsi; e un augellin tutto comporsi; CXXV, V amante rigettato. 

Che la lìngua sciogliendo in dolci canti 

Lamentevoli sì, ma pur soavi. Pur m'avete una volta, 

Rapido saltellava e sen fuggia; Lodato il Ciel, da voi sbandito affatto; 

Rapido ritornava sorvolando, Ne più, sia nolte o giorno. 

Rapido s'aggirava, ed incostante Volete a venin patto 

Ritornava a la madre; ne sapea Che al vostro albergo io mi raggiri intorno. 

Dove tornar, dove fuggir cantando. Per me la porta è chiusa, 

Se a lei sul crin, su gli omeri o sul seno II negozio è finito, *■ 
O sul materno braccio non posava; * Spenta è la cortesia, morta e pietà; 

Senza saper quoi sien le poppe o '1 grembo; E se il caso si dà. 
Che nulla più de la primiera immago Che in me cresca per voi d'amore il male, 
Vedea, ne di sua madre ombra apparia: Posso andare a mia pos*a a lo spedale. 
Poiché Canopia in quel medesmo puntò Questi accidenti strani. 
Sentissi il pie fatto radice, e tutto S*io fussi un uom collerico e irascibile. 

Vide (se a veder più valeano gli occhi) O men del mondo e de le donne pratico. 
Assottigliarsi il corpo in verde canna; Mi farian sriorre i bracchi, e darmia*caiii. 
Le mani in foglie, e '1 crin converso in ti- Ma, perch'io son flemmatico, 

[glio; L'avermi a disperar slimo impossibile. 
Nè])iù aver fronte, ma un cespuglio misto K benché il dar ne i lumi, 
J)i froudi minutissime e di fiori Chiamar crude le stelle, iniquo il fato, 

Vedresti; e d'un odor grave e sonnifero (Costume sia d'un a mator sprezzato; 
Spargersi tulta; e così viva starsi Ne le sventure mie 

In arborea sembianza; e sentir spesso Non son per porre un tal concetto in opra. 
Vicino il figlio garrulo e canoro. Ch'hanno che far le nostre scioccherie 

Essa canape fatta, ei canneruolo; Colla gente di sopra? 

Essa del figlio consolando i lai. Altri pensier che questi 

Esso a la madre rammentando il fallo. Hanno in capo le stelle. Ed al destino 
Che in sì varia natura trasformolli: Penso che nulla importi 

Fin che la falce a lei tronchi le piante, S'altri lo chiama autor del suo travaglio: 
E metta in fuga lui dal grembo amato, Che degli asini al ciel non giugne il raglio. 
Che al caldo Austro a narrar volli i suoi Ne men seguir l'esempio 

[casi. Di certi amanti io voglio, 
Baruffaldi, Canapàjo, libro V, Che da l'amata lor mandati a spasso, 

(Oltre al pianto e al cordoglio) 
CXXIV. Sopra la città di Roma, Chi vuol precipitarsi, 

Chi tra l'acque annegarsi. 
Sei pur tu, pur ti veggio, o gran latina Chi con ferro omicida il sena apriiii; 
Città; di cui, quanto il Sol aureo intoruo E cento appresso e mille 
Ne altera più, ne più onorata mira, [gira, Strane pazzie, più che da far, da àì^i. 
Quantunque involta ne la tua rovina. Con questi io non m'impiccio; 

Queste le mura son cui trema e inchina Ne per cagion si lieve 
Pur anche il mondo, non che pregia oam- In error caderci tanto massiccio. 

[mira; So che non v' è maniera. 
Queste le vie per cui con scorno ed ira Per provar se la morte è buona o trista, 
Portar barbari re la fronte china. Di dar per alcun tempo 

£ questi che v'i/itoiitfoa ciascun pa3S0| La propria vita in attuai deposito^ 


SECOLO deci:mctta\o 


83 


rire al mondo 

rolla sol far lo sproposito . 

i tornar quassù tradivi 

>a una volta 

va il sentiero; 

vi giuro 

nar giammai simil pensiero. 

m^udiste spesso 

io, voi sola adoro; 

cosa a oro, 

na più me stesso; 

, per dirla giusta, poi 

r me per far servizio a voi. 

la esser disgiunto 

mal; ben me n'avveggio; 

ngo il caso in punto, 

rmi assai peggio: 

non è di senno appieno, 
ì imminenti elegge il meno, 
mza pensarvi, 
rittura 
quant'io posso, 

mali ancora, 

ii chesonnel mondo, addosso, 
no, a cui rassembra duro 
'idol suo mandato sano, 
ipi e modi 
"ti e frodi, 

Jza alfin la palla in mano; 
mil cosa 
d'altra pasta, 
termi a risico 

cervello, o dare in tisico, 
ito fin qui tanto che basta; 

strigarla in due parole, 
;r anch'io chi non mi vuole. 

Baldaviiii' 

a donnola^ il coniglio e il 
gatto. 

FAVOLA. 

lente il cielo era vermiglio, 

lava il dì, 

dama 

ìtta 

» d'un giovine Coniglio 

s'impadronì. 

tato suo nuovo soggiorno 

i Dei Penati trasportò; 

tempo che il Couìglio stava, 

nene e rugiadosi prati, 

re il rinascente gicrao. 


Dopo molto aver cercato 
Colle e prato, 

'''utto fresco, e a suo bell'agio, 
Sen va verso il suo palagio. 
Avea la Douooletta agile e destra 
Messo il muso a Ig^ finestra; 
Numi ospitali! e che vegg'io là dentro? 
Disse tutto scontento 
Lo scacciato animai dal patrio tetto: 
Olà, Madama, che si sbuchi fuore 
Senza rissa e rumore. 

L'accorta dama dal naso appuntato. 
Con maniera obbligante, 
Rispose che la terra 
È del primo occupante. 
Vorrei sapere adesso, 
Dicea l'usurpatrice, 
Qual legge, qual statuto 
N'ha per sempre il possesso 
A Gianni, a Pietro, a Paol conceduto, 
£ finalmente a te; 
£ non più tosto a me. 

Quivi Giovàn Coniglio 
Allegò 1' uso e la consuetudine. 
Qilesta, rispose, me ne fa padrone; 
Questa di padre in figlio, 
£ di Luca in Simone, 
K finalmente in me trasmesso l'ha: 
Onde la legge del primo occupante 
Nel nostro caso alcun luogo non ha. 
£ ben, e ben, Monsù, 
Che imporla adesso stare a tu per tu? 
Rimettiamla in un terzo: e questo sia 
Il dottor Mordigraffiante. 
Questo era un gatto, di legai semenza. 
Che menava una vita 
Come un savio eremita: 
Un buon uomo tra'gatti, e di coscienza; 
Di sguardo malinconico e coperto; 
Giudice a fondo, e nel mesticr esperto . 
Gian Coniglio per arbitro l'approva. 

Kcco che ognun di lor già si ritrova 
Davanti al tribunale 
De l'unghiuto animale. 
Mordigraffiante dice: vi consoli 
Il Ciel, o miei figliuoli. 
Come io vi metterò presto d'accordo . 
Accostatevi a me; perch'io son sordo: 
Le gran fatiche e gli anni 
Soglion seco portar simili affanni. 

S'accostò l'uno e Paltro litigante. 
Ma non sì tosto esso gli vide a tiro, 
Che il dottorale artiglio 
Da due parti gettando \w txtì \s.\^^\^^ 


1 


84 


CRKST0MA7IA POETICA 


Scanniò la Donnoletta ed il Coniglio; 
ludi se gli mangiò: 
E in tal maniera la lite aggiustò. 

Lettor, ticnti la favola a memoria: 
Che, se praticherai pe'tribunali, 
Ti passerà la favola in istoria. — Crudeli. 

CXXVII. Contro la soverchia 
coltivazione dei monti» 

Omai negletta 

Del culto pastoral la nobii arte, 
Poco spazio terren resta a gli armenti ; 
K già, toltosi il più, gli ultimi avanzi 
L'aratro vincitpr de'paschi agogna. 
Ma (quel ch'ignoto esser un tempo, ostra- 
Solea) de'gioghi a le più eccelse cime [no, 
Co* vomeri per fin s'è giunto. E dove 
Con mirabil lavor Natura cinse 
D'altissime foreste e boschi annosi, 
Insuperabil siepe, i monti e l'alpi. 
Per difendere i colti aperti piani, 
£ '1 difetto adempir di travi e legna; 
Dove mille e m ili' altre erbe e radici, 
Di sapor, di virtù, d'aspetto varie, 
£ di fere e d'augei popolo immenso 
Ripose ed annidò, per vitto ed agio 
Nostro, e piacer e vestimento ed uso; 
L'uom solo (o sempre al proprio danno, 

[e sempre 
Contro ^1 vero util suo disposto e pronto 
Umano ingegno!), l'uomo solo, o sia 
Di novità piacer, o ingorda brama, 
O mal nato del core impeto, il vecchio 
Costume e '1 naturai ordin sconvolto, 
Non con le scuri solo, o con le faci, 
A'^ia si aprì colà su, di rischi e aifanni 
Nulla curando, a desolarne i vasti 
Selvosi traiti, e i smisurati dorsi 
Di cenere a coprir; con onta e atroce 
Jra e dolor de la gran madre Idea; 
Ma con la stiva inoltra, e con la grave 
Mole de'tardi buoi, con vanghe e zappe, 
A franger glebe e sbarbicar radici. 
Tutta intorno a squarciar l'aprica terra, 
Salì tant'alto; nuova forma, nuovo 
Uso e lavoro ad accettar forzando 
Le superate alpestri cime, e altero 
Altra norma lor dando ed altra legge. 

Di che molto crucciosa, e da dispetto 
Punta e da sdegno, se vedendo e '1 sacro 
Stuolo de l'alme vergini compagne, 
Oreadi, Amadriadi, e quant'altre 
A man boschi abitar, e tender arco, 


Co'seguaci Silvani, e con Te infere 
De'selvaggi quadrupedi e volanti 
Disperse legioni, esser costrette 
Lnnge dal natio regno e da le sante 
Proprie sedi antichissime, ricetto 
Tranquillo altrove a procacciar, Diana 
Molti preghi e sospir, molti hmeati 
Contro Cerere e Bacco innanzi a Giove 
Ch'un dì portasse, é fama, eacerhameate 
Molte cose movesse. O giusto padre, 
Alto gridando, se non t'è men cara 
Di Cerere T^atona; e di Saturno 
Se a la prole la tua pospor non ami; 
Me figlia dal tuo figlio e da l'ingiusta 
Tua sorella difendi; e certa e salda 
D'or innanzi pon legge, cui non vaglia 
Caso tempo a mutar. Sin che rapace 
Il mio impero usurparsi, e quegli stessi 
Confini violar che di tua maifo 
Por volesti qua giù sacri al mio nome, ' 
L'una e l'altro, com'or, presuma edosi;- 
Tal io possa ne i lort) : e come alteri 
Van de gli onori a me dovuti, io pure 
Vaglia i loro a turbar. Sì disse.* e rati 
Fece tai preghi il genitor, l' eccelsa 
Testa piegando, onde tremò l'Olimpo. 

£ da quel dì, tolto ogni freno, dove 
Lor fu aperta la via, rapidamente, 
Sospinti da la Dea, scesero al piano 
Venti, turbini e nembi, onusti i vanni 
Di grandini e procelle alto sonanti, 
Miste a folgori e tuoni (che contrasto . 
Non trovar più ne le recise braccia 
De gli atterrati frassini, de i vasti 
Divelti abeti, de i già tronchi faggi, 
Degli aceri, de gli orni), a versar quaiift'.^ 
Pon ' volando rapir da gorghi e stagni 
L'ampie nubi, e dal mar, diluvii d'acqnet 
A inondar le campagne, a render vano . 
De' pii cultori le speranze e 1' opre; 
Anzi a un tempo medesmo intere balse, 
£ antichissime selve, e rupi, e sassi, 
£ dure zolle giù rotando, e ghiaje, 
Con orribil fragor, a poco a poco 
I monti a trasportar nel salso fondo. 

Incominciaro allor, ricchi di tante 
Spoglie, a gonfiarsi, e '1 molle dorso e 1; 

[ fianco; 
Di dì in dì a sollevar , torrenti e fiuAi ; . 
£ prendendo essi ancor, superbi e insani,. 
Letti e freni a sdegnar, ripari e sponde^' 
Allor del regno suo geloso e incerto 
(Cominciò a farsi, e a paventar Nettuno.^ 

* Ponno. Possono. 


SECOLO DECIMOTTAVO 85 

idosl in seno isole es^trane, Tutto in fine il primiero ordin riprendi»: 

sirti, « non più viste sabbie, £ vedrassi ben tosto, a vostra laude, 

mano si dolse, e minacciante A salvezza comun, d'erbe e di piante, 
1 armarsi, e farsi a tutti incontro. D'ogni frutto miglior, di viti e grani 
essàr gli antichi patti. I fiumi Bider i poggi, ed esultar le idilli. 
•y gli altri minori, e C[uanti mai Spolverini, Coltivazione delriso^ libnol, 

idi Nereo in grembo a cercar pace, 

àr le prim*ire: e a dietro spinti, CXXVIII. Irrigazione di campi. 
endo essi ancor chi venia sopra , 

fonti e ruscei volsero a gara , Ma l'attento cultorchea tempo raosM ' 

aedesma forza ond'erau volti. Gli acquidotti a osservar, gliargint. i fom 
ggi natura: altro di cose Dispensatordel'acque;eàquestoeaquei|i> 

iccesse. Già depresso l'alto, Die, qual volle ragion, ordine e forma ; 

si Tumil ; e d'anno in anno Or di gioja riempia il core e 'i guardo, 
crebbe cagion onde pesanti Liberamente in giù correr mirando 

itti confin rompesser l'acque. Larghi i ruscelli ad allagar suoi piani, 
mbando ne i pian da l'alte rive. Già n'annimzia l'arrivo, e lietamente 
vernerò pria , 1' erpice, il rastro Precorrendo il cammin, con batter d'ali, 
ino ' i terreni, ivi novello Con festevol garrir, turba d'augelli 

e sarte e pesca trici barche In mille modi ad osservarli invita; 

apparve, e si poteo ^, con strano Giàs'ascondon le glebe, e, sciolto il frenp, 
palustri augei veder sul ramo. Di canal in canal, di varco in varco 
ato guizzar squamosi armenti. Stendonsi l'acque; iufìn che a pocoa pooo 
ipi e regi, voi ch'avete in mano D' un cristallino vel tutto coperto 
inza e pietà da Dio le chiavi, 'Irovasi aver l'antica madre il grembo, 
ete tai danni e tante stragi, Appajon rari, galleggiando intorno, 

[lopoli afflitti, e incolta e mesta Entro a que'gorghi, in que'nascenti laghi , 
ostica langue , ed osa a pena Fangosi abitator, mill'empii mostri ; 
netter al suol gli usati semi, La gracidante rana, l'agii topo, 
e impiagar col ferro acuto, 1/informe scarafaggio, il mortai ro»po, 

^nstó timor che d'anno in anno Labisciaimmonda; evolto in barca il tetto, 
li, non scenda o turbo o fiume. La lumaca, e l'umìl corna in antenne; 
'1 primo lavor, lo stile antico Verso i liti vicin, verso le opposte 
1 buon villan. Restisi al piano Isolette natanti ognun cercando, 
o, il marron, la vanga, il rastro. Per quell' umide vie, condursi in porto. 
!0S0 bue ; si renda al ftionte Spolverini, Coltivazione del riso, lib, li. 

ro armento ed il barbuto, 

lar le rivestite zolle CXXIX. Trebbiatura. 

rbosi sentieri. Erga e dispieghi, 

nntempo,l'altier troncoe lefrondi Qui di fretta è mestier, d'ardire e forza; 
idifera quercia, ilcerro, il faggio^ Qui di por mano a gli scudisci e a'iacci: 
imo pin, il tasso, l'olmo, Ch'ora comincia ilpiù. Nessun stia indar- 

io, l'abete; utile a l'aste [ no. 

! questo a solcarli regno ondoso. Questi accoppi fra lor, quei volga in giio 
gioghi la selva; ad essa torni ^ Le animose cavalle; e i lunghi, intorti, 
ne hapiumaovelIo;e più non cali Lievi capestri a la sinistra avvolti, 
ipo a predar agnelli e capri, Con la destra le punga, e al corso inciti, 

idie e '1 furor oprando in alto , Bel veder le feroci, a pajo a pajot 
lUir suo paghin la pena. Pria salir l'alte biche ; e somiglianti 

n da se Pantico fondo, A'festosi delfin quando ondeggiante 

loro confin ristretti, i fiumi; Per vicina tempesta il mar s' imbruna, 
tndo, qual pria, placidi e piani , Or sublimi or profonde, or lente or rattq 
^abbondan più portino al mare. Sovra d*esse aggirarsi; e.arditaJueq.H. 
aao. B Potè* z Si mosse* 


m 


CRKSTOMAZIA 


Sgominate avvallarle, ia oj;ni lato 
Gli ammontiti covoa facendo plani. 
Poi distese e concordi irsi rotando 
Con turbine veloce in doppio bailo; 
E smagliando ogni fascio, e sminuzzando 
Col curvo piede le già tronche cime, 
In breve ora cangiar l'erto spigoso 
Clivo, d'ìnutil paglie, e reste infrante, 
E di sepolto grano in uroil letto. 

Ferve il giro e '1 pestio. S'ode bisbiglio 
Di sì cupo tenor, qual se cadendo 
Fischi, e '1 duro terren rara e pesante, 
Senza vento, percota estiva pioggia. 
L'une l'altre s'incalzano, e a vicenda 
Prendon stimolo e '1 dan. Talor diresti 
Flagellato paleo ronzar d' intorno, 
O di naspo legger versata ruota : 
Dal cui mezzo il rettor, de le fugaci 
La pieghe voi cervice e '1 pie governa. 

Pur lo sforzo, l'ardor, l'impeto, ilcorso 
Ha qualche pausa. Indi ritorna il primo 
Volteggiamento, e l'interrotta danza, 
E l'anelito, e '1 suon. Tal fuma e spira 
Fiato, anzi fuoro, da le aperte nari; 
Tal dis lilla sudore, escou tai spume 
Dal collo, e per le spalle, e per li fianchi, 
Con SI grave respir, che le primaje 
Dal soverchio sbuffar de le seguaci. 
Molli ed umidi n'hanno i lombi e l'anche. 
T^on con forza maggior, baldanza e brio. 
Con più leggiadro portamento e sguardo, 
Per li tessali pian corsero errando 
Del centauro le figlie; e non diverse 
L'erte orecchie vibrar, nitrendo a l'aure, 
Di Saturno e Nereo le false spose. 
Spolverini, Coltivazione del riso, libro IF". 

CXXX, L' amante di tutte le donne. 

Nascondetevi, o vezzose 
Pastorelle, quante siete : 
Semplicette, non vedete 
Chi vi spera incatenar ? 

Vieu da l'Alpi quel pastore 
Che per tutte sa languire, 
E godendo di mentire, 
Sa per tutte sospirar. 

Lineo è il nome ch'ebbe in sorte; 
Nome noto a quante belle 
Vanno a pascere le agnello 
Su la Treisbia e in riva al Po. 

Egli crebbe come cresce 
Lungo pino in alto monte : 
Da le fasce , in bruna fronte E 


POETICA 

Nero crine dispiegò. 

Fu suo studio e suo costume 
Mutar spesso cielo e lido: 
Egualmente a tutte infido. 
Egualmente lusinghier : 

Incapace di costanza : 
Quel che dice a Clori, a Fille, 
Lo riduce ad altre nq^lle; 
Solo intento al suo piacer. 

Dice a Clori: mai non vidi 
Più bel collo, e più bel ciglio : 
Perde il latte e perde il giglio 
Uguagliato al tuo candor. 

Dice a Filie: mai non arsi 
Per occhietti più vivaci : 
Solo in questi le sue faci. 
Per mia pena, accese Amor. 

Così, ricco di menzogne, 
Va cercando chi gli creda ; 
Come instabile la preda 
Cacciator cercando va. 

Non è povero di lodi : 
Ne sa dar quinte conviene : 
Sa che son dolci catene 
Per legare ogni beltà. 

Accusato, non sol pronte 
Ha sul labbro cento scuse, 
Ma ritorcer sa l'accuse 
Sul sorpreso accusa tor ; 

E rivolgere s'ingegna 
In suo merito il delitto : 
Ne quel volto, sempre invitto, 
. Teme assalto di 'rossor . 

Se bellezza da la cuna 
Non gli fé di se gran parte^ 
Consigliarsi sa con l'arte, 
E il compenso rinvenir. 

Lo vedrete sempre in chiome 
Odorose, innanellate, 
Kd in vesti sempre ornate. 
Tutto vago, comparir. 

Ninfe belle, se vi parla, 
Se vi prega e vi lusinga, 
Ah per lui mai non vi stringa 
Vano affetto di pietà. 

Rimandatelo deriso, 
E sbandito dal cor vostro, 
Ai suoi monti , come un mostro 
Di scoperta infedeltà . Frugoni 

CXXXI. risola di Cuccagna. 

Mai pcnsier vostri altrove non volgeU 
de la nave mia segniamo il corso: 


SECOLO DRCIMOTTAVO 

•e la nave, che, come inteso avete, 
n ngo spazio di mare avea trascorso; 
iè pt*rò ancor le fortunate e liete 
^tngge, e de' monti butirrosi il dorso 
«coprir poteva; e s'aggirava intanto 
^on tì saprei Ben dir dove né quanto. 


87 

Quivi il lardo s'adopera e lo strutto. 

Le quercechedcISol frangono il raggio, 
Hanno per ghiande rilondetti gnochi, 
1 quali giù tornando nel formaggio 
(Ch'altra sabbia non trovasi in que'lochi) 
Invitano ciascuno a farne il saggio. 


Quand'ecco Gradellin^ che a ìk veletta Né v^ha mestier di guatteri e di cuochi 


>tava, inteso a spiar ogni confine, 
'^ide dalunge biancheggiar la vetta 
)'alci]ne clementissime colline 
losi coperte di ricotta schietta, 
^)ine le nostre di nevose brine ; 
£ Cuccagna, gridò, se non traveggo, 


Perchè d'un ventolino al caldo fiato, 
Tutto collo ivi nasce e stagionato. 

Vinto a l'odor di tali cose e tante, 
De la nave ciascun tosto si slancia; 
E a' dolci cibi che si vede innante. 
Troppo piccola aver duolsi la pancia. 


Iuccagaa,|amici miei .Cuccagna io veggo. Ciascuno brameria d'esser gigante 

Cuccagna, s'udì tosto a ripigliare Jn questa guerra, o paladin di Francia ; 

^a la festosa ciurma e da'soldati ; Ciascun quanto più può distende il ventre, 

l^iiccagna,rispondean gli scogli e limare; Acciò più torta o più polenta v'entre *. 
Cuccagna, il cielo, e i venti imbalsamati Nel butirro talun si gitta a nuoto, 

he spirando venian da tutti i lati, E vi s'immerge, e vi diguazza drento; 

Di mille odor soavi e senza pare, Sotto le querce alcun sdrajato e imnìoto 

Non d'incenso, di mirra, ovver di costo. Slassi aspettando ilsusurrar del vento» 

Ma di salami, e di bragiuole arrosto. Onde cadono i gnochi; e ad ogni moto 

I passcggier, come se avesser penne , Alza repente il naso, e abbassa il mento: 

ì mpazlenti di veder la terrai. Ognuno in somma lietamente obblia 

Salgono a gara le superbe antenne; La noja e il mal de la passata via. 
I^hi l'artimone, e chi il trinchetto afferra; Quìrìeo Rossi. 

A le girelle alcun stretto si tenne; 

Gridandola l'armial'armijgucrraguerra: CXXXII. Dialogo di un pastore e un 


ti in questo dir l'avventurosa armata 
A risola felice era arrivata. 

Chi mi darà le voci e le parole 
Convenienti a sì nobil soggetto? 
Chi l'ali al verso presterà, che vole 
Tanto, ch'arrivi a l'alto mio concetto ? 
Ben or si converria di bondiole 
Armar la pancia, e rafforzarli petto; 
Che cantar deggio i colli e la campagna 
l)e la non più veduta, alma Cuccagna. 

Fiumi di burro a tutte le stagioni 
Scorrendo vanno, e dilagando i prati; 
Dove nascon per erba i maccheroni, 
E per ghiaja ravioli maritati; 
Ed anitre e pollastri, oche e capponi 
Di frittelle pasciuti e saginati, 
Che, penne avendo di lasagne, intorno 
Volano al quietissimo soggiorno. 

Sorge un colle, nomato ivi Bengodi, 
Dove di latte una fontana spiccia: 
Ombra vi fan le viti in varii modi 
Altre erranti, altre avvinte di salsiccia; 
Che mettono un salame a tutti i nodi, 
Ed in luogo di foglie han trippa riccia. 
A concimar la vigna e il colle tutto, 


fanciullo. 

PASTORE 

Sai tu dirmi, o fanciullino, 
In qual pasco gita sia 
La vezzosa Egeria mia. 
Ch'io pur cerco dal mattino? 

FAyClULLO 

Il suo gregge è qui vicino; 
Ma, poc'anzi, a quella via 
Gir l'ho vista: e la segnia 
Quel suo candido agneiiioo. 

PASTORE 

Nò v'er' altri che l'agnello? 

FANCIULLO 

Sopraggi unsela un pastore. 

PASTORE 

Ahi, fu Silvio. 

FAUClULLO 

Apunto quello! 
Ma ti cangi di colore? 

PASTORE 

Te fjiicc, o pastorello, 

Chi! n )n sai che cosa è amore. 

' Euiri. Rolli* 


SECONDA METÀ 

blSL 

SECOLO DECIMOTTAVO 


QXKXlll.Jl cuor liberato à* amore* 

Grazie a gringanni tuoi, 
Al fin respiro, o Nice; 
Al fin.d*un infelice 
Ebber gli Dei pietà. 

Sento da* lacci suoi , 
Sento che Talma è sciolta; 
^on sogno questa volta, 
Non sogno libertà. 

Mancò Tantico ardore: 
£ son tranquillo a segno 
Che in me non trova sdegno. 
Per mascherarsi, amor. 

Non cangio più colore 
Quando il tuo nome ascolto ; 
Quando ti miro in volto, 
Più non mi batte il cor. 

Sogno, ma te non miro 
Sempre ne* sogni miei ; 
Mi desto, e tu non sei 
11 primo mio pensier. 

Lungi da te m'aggiro 
Senza bramarti mai ; 
Son teco, e non mi fai 
Ne pena né piacer. 

Di tua beltà ragiono , 
Ne intenerir mi sento ; 
) torti miei rammento, 
£ non mi so sdegnar. 

Confuso più non sono 
Quando mi vieni appresso : 
Gol mio rivale istesso 
Posso di te parlar. 

Volgimi il guardo altero. 
Parlami in volto umano ; 
Il tuo disprezzo è vano, 
È vano il tuo favor: 

Che più l'usato impero 
Quei labbri in me non hanno, 
Quegli occhi più non sanuo 
La via ài questo cor. 


Quel che or m'alletta o spiace. 
Se lieto mesto or sono , 
Già non è più tuo dono, 
Già colpa tua non è : 

Che senza te mi piace 
La selva, il colle, il prato ; 
Ogni soggiorno ingrato 
M'annoja ancor con te. 

Odi s*io son sincero: 
Ancor mi sembri bella ; 
Ma non mi sembri quella 
Che paragon non ha. 

E ( non t'offenda il vero) 
Nel tuo leggiadro aspetto 
Or vedo alcun difetto, 
Che mi parea beltà. 

Quando lo strai spezzai, 
( Confesso il mio rossore ) 
Spezzar m'intesi il core. 
Mi parve di morir : 

Ma per uscir di guai, 
Per non vedersi oppresso, 
Per racquistar se stesso, 
Tutto si può soffrir. 

Nel visco in cui s'avvenne 
Quell'augellin talora 
Lascia le penne ancora^. 
Ma torna in libertà. 

Poi le perdute penne 
In pochi dì rinnova ; 
Cauto divien per prova. 
Ne più tradir si fa. 

So che non credi estinto 
In me l' incendio antico , 
Perchè si spesso il dico , 
Perche tacer non so : 

Quel naturale istinto, 
Nice, a parlar mi sprona. 
Per cui ciascun ragiona 
De' rischi che passò. 

Dopo il crudel cimento» 
Narra i passati sdegni^ 
Di sue ferite i segai 


SECOLO DECIMOTTAVO 


89 


Mostra il guerrier cosi. 

Mostra così < ontenio 
Schiavo che uscì di peiia, 
La barbara catena 
Che strascinava un dì. 

Parlo; ma sol, parlando. 
Me soddisfar procuro s 
Parlo; ma nulla io curo 
Ch« tu mi presti fé : 

Parlo; ma non dimando 
Se approYÌ i detti miei, 
Né se tranquilla sei 
14 el ragionar di ne. 

Io lascio un'incostante, 
Tu perdi un cor sincero : 
Non so di' noi primiero 
Chi s'abbia a consolar. 

So che un sì fido amante 
Non troverà^ più Nice, 
Che un'altra ingannatrice 
È facile a trovar. 

Meiastasio, 

CXXXIV. Riposo di Diana. 

Qaand*ecco d'improvviso ognuno in- 

L nalza 
Del monte invérla cima attenti i lumi : 
Un drappello di veltri in giù si sbalza, 
£ abbaja e fruga, e annasa cespi e dumi; 
£ veggon Diana che da un'erta balza 
Discende a visitare gli altrui numi. 
Élla fa che la lite non si estenda, 
Con Valla maestade e reverenda. 

La cacciatrice Diva, a la foresta 
Seguito il lepre timido e vigliacco, 
Anch'essa vuol entrare a questa festa; 
£ a se raccoglie ogni sagace bracco. 
Cala il can su le zampe la sua testa, 
Sdrajato sul terreno il ventre stracco; 
Ansa dal cavo fianco, e caccia innante 
La sua riarsa lingua tremolante. 

Elssa, cui langue affaticato il piede, 
Gitta fra l'erba la faretra e l'arco, 
E, mostrando a que' Dei le fatte prede , 
Appoggia a un troncon vecchio il fianco 

C scarco. 
Ogni dio le fa cerchio ; ognun le crede 
Se dice: questa acceggia ho colta al varco: 
Uccise boa un colpo sol queste due lepri, 
Che a un tempo uscian da'lor natii ginepri . 

Sue prede eran pernici, eran fagiani , 
£rano gallinelle e starnoncini : 
Che non segue Diana animai strani. 


Ma lepri, e quaglie, e miti uccelli e fitti. 
Veste or pensieri agevoli ed umani, 
Ne più guerriera assai gli antri ferini: 
Or tordi e starne fa segno a'suoi colpii 
Non cinghiali, non orsi, o lupi, o volpi. 

Perchè, se tra noi s'amano le piume. 
Se or sì fugge il periglio e la fatica. 
Par che arrida anche a i Dei sì bel costume* 
E sdegniu viver su la foggia antica: 
£ perfìn Marte, quel suo duro nume. 
Che ogni delizia avea per sua nimica, 
Or di gire a la guerra ha preso in uso 
In aureo svimer da i cristalli chiuso. 

Già la Dea lassa vèr la fronte calda 
Sventola il lieve cappellin di paglia ; 
La treccia slaccia, che pria stretta e salda 
Stea ' sotto un reticel di verde maglia; 
Talvolta scuote al gonnellin la falda : 
£ a la narrazìon più si travaglia; 
Ne cicala ella sol, ma con le braccia 
Figura i casi de la dubbia caccia. 

Mentre alleggia la Dea così l'angoscia» 
E in lungo tragge il suo vario sermone; 
Palpa una ninfa a un canl'orecchiafloscia» 
Che tremola gli casca e penzolone ; 
Un' altra pela ad un fagian la coscia, 
E sclama intenerita : almo boccone ! 
£ chi misura il becco a la beccaccia, 
£ chi al lepre i mustacchi in su la faccia. 

Pur tre prudenti Najadi edacute, 
Novel conforto a la molesta sete 
Volgendo in mente, non da altrui vedute, 
Partir de l'orto taciturne e chete : 
Ne l'onde si tuifaro, e l'onde mute 
Chiusersi sovra i lor capi quiete : 
Zucchero e fraghe esse portaron seco 
Dentro al paterno ed agghiaccialo speco. 

Nuova confezìon ivi formaro, 
Lo zucchero mescendo al succo espresso; 
Succo che non riman liquido e raro, 
Fatto dal ghiaccio ancor tenace e spesso. 
E poiché dentro a vetro puro e chiaro. 
Con rigoglioso colmo, l'ebber messo; 
De l'acque uscite, a Diana l'offrirò; 
Che al sorso primo trae lungo sospiro. 

Sospira di piacere e di dolcezza, 
E va alternando con le lodi i sorsi: 
Perchè la verginal sua bocca avvézza 
Non ebbe a tal diletto a i tempi scorsi. 
£ la madre Pomona anch' essa apprezza 
De'sorbetti l'amabile comporsi, 
Onde ribes estiva e Portogallo 

' Stava, 


00 Cl'^r.STOMAZIA POF.TIGAl 

^'idgrsi incappellar posria il cristallo. Di morte, clie pareamì, anzi io sentia 

Roùene, Fitgo]'^ canto IJ. Le inghiottite acque entrar fin ne le vene; 

Perche il vortice infranto, che s^lia 

GXXXy. // precipizio. In lirghi spruzzi da i spumaati seni, 

Gol rimbalzato mar mi ricopria. 

Era tranquillamente azzurro il mare; Varano^ visiooe /. 
Ma sotto a quella balza un sordo e fisso 

Muggito fean le spumanti acque amare ; CXXXVI, il turbine. 

Che un fiume, cui fu dal pendio prefisso 

Cieco sotterra il corso, ivi formava Dal nembifero mosse alto Apennino 

Co' moti opposti un vorticoso abisso. D'atri vapor nitrosi un turbiu carco 

Desio di rimirar qual s'aggirava Su l' albeggiar del rorido mattino, 

A spire il flutto, e tratto poi dal peso E l'opposto fendendo aere più scarco, 

Perdeasi assorto ne l' orribil cava, D' oscure lo coprì nubi spezzate, 

Me mal saggio avviò fin allo steso Che a lungo stese e poi ricurve in arco 

Dentro i profondi golfi orlo del masso, Scendean, salian or sciolte, oraggrap;- 

£ da incauto affrettar così fui preso, £ dopo V urto divideansi rotte [paté; 

Che sul confin io sdrucciolai col passo. Da lampi lucidissimi e segnate, 

Da V erta caddi , e un caprifico verde £ dal vortice ovunque eran condotte 

Afferrai sporto fuor del curvo sasso. Ratto più che non è colpo di fionda, 

Gli spirli, cheil terror fuga e disperde, Seco traean grandine, vento e notte. 

Corsermi al cor, lasciando in se smarrita Dal re de' fiumi a la populea sponda 

L'alma, che il ragionar stupida perde. M'avvidi il pien d'orror nembo apprcs- 

In cotal guisa l' infelice vita C sarse 

Sospesa al troppo docil tronco stette Per lo increspar retrogrado de 1' onda, 

Fra certa morte e vacillante aita. Pel lume fier che sovra l' argin arse. 

Sa r onde in rotator circoli strette E per la polve attorcigliata in suso. 

Fissai, ritorsi, chiusi le pupille Che si folta ne gli occhi a me si sparse, 

Da un improvviso orror vinte e ristrette; Ch'io co le man difesi il ciglio chiuso. 

E tal ribrezzo misto a fredde stille Varano, visiono//. 
D' atro sudor m' irrigidì le avvinte 

Mani al sostegno mio, che quasi aprille CXXXVII. // fenomeno dello la Fa- 

Fra cento vane al mio pensier dipinte la Morgana, al faro di Messina, 
Jdee, che furo in un momento accolte, 

E cangiate e riprese e insiem rispinte. Nuli' aria commoveaP acque, ncjrento; 

Sconsigliato tentai co le rivolte Pur gonfio il mar sicano insorse e nero, 

Piante e al dirupo fitte, arcando il dorso, E il Calabro spianossi, e qual argento 

Arrampicarmi a le pietrose volte; Lustro fosse, di se fé specchio vero 

Ma il pièa toccarla roccia appena scorso Co la cima erta sul trinacrio lido. 

Era, che il ri tirai, dubbio qual fosse E il basso pie ne l' italo sentiero. 

Peggior o il mio reo stato , o il mio soc- In questo pel chiaror cristallo fido 

[ corso; Tante immagin vid' io, che a l'alma parve 

Perchè a l'arbor, che al grande urto si Che l'occhio fosse in presentarle infido. 

[scosse, D' infinite colonne un lungo apparve 

Temei col raddoppiar l' infausta leva Ordin egual; ma in un baleno monche 

Sveller affatto le radici smosse. Sembrar, che la metà somma disparve; 

Grida tronche da fremiti io metteva, E in quella parte ove rimaser tronche. 

Che da i concavi tufi e da le grotte Si spiegar tutte, e di se fér mblt' archi 

Un eco spaventevol ripeteva. Rozzi, e simili a quei de le spelonche,^ 

Già dal forzato ceppo aspre e dirotte Che si moslraro a l'improviso carchi 

Sul corpo mi piovean ghiaje ed arene, Di vaghissime torri e di castella; 

E l' ime barbe già scoppiavan rotte ; E anch' ess2, qual fumo che l'aria varchi. 

Già l'alma ingombra avean larve sì Sparirò, e in vece lor nacque novella 

[piene Di piramidi scultc aspra foresta , 


SECOLO DECIMOTTAVO 91 

In li ainpia valle a fiori pinta e bella; Sì che i nocchieri al lor periglio intenti 

E in mille colli e in mille armenti que- Salir pe* gradi a l'aspre corde intesti 

[ sta Le agitate a raccor tele stridenti 
Cangiossì ancor ; tal ch'io sclamai : tra- Fra i sibili del vortice funesti , 
O sogno forse con pupilla desta? [veggo? Cui resister mal puoteErcinia e Ardenna; 

Varano^ visione V. Ma tal fé la procella impeto in questi, 

Che duo di lor , in men che il dito ac- 

CXXXVIII. V aurora boreale, [cenna, 

L*ampia vela aggruppando a l'arbor carco, 

Colà, dove Aqnilon serba i ridutti Divelti fur da la tremante antenna: 
Gelidi venti, che poi scioglie irato E come augei Paure fendendo in arco, 

Centra le selve annose e i salsi flutti. Dopo un languido oimè sparver assorti 

Dal polo fin de l' oriente ai lato, De* golfi irati nel terribil varco. 

iZon luce di sanguigno ardor feconda Notte recando e verno erravan sortì 

Si tinse il taciturno aere stellato; Nel tenebrato del nuvoli spessi. 

Tal che de V Eridan presso a la sponda Che ricoprian di nebbia i lidi e i porti; 
Ne rosseggiaro al ripercosso lume [da. Ed al crescer de 1* ombre i flutti stessi 
Gliuomin,le navi, i tronchi el'erbeeron- Parean del legno sormontar le sponde. 

Mentre, seguendo il nuovosuocostunie Crescendo mole e feritade in essi. [ de, 
Ardea purpureo il ciel , gli apparve al Venian pugnando insiemgrossissim*on- 

[ lembo Altre a proda , altre a poppa , e fean in 
Un, che Taure inondò, ceruleo fiume; [ parte 

E da l'azzurro e dal vermiglio grembo Or monti erti, or voragini profonde; 
Rai ne sgorgaro or agitati or cheti, E ognor del mare a la gonfiata pirfce 

E ondeggiamenti del focoso nembo, Levavasi la nave, e al sen più basso 

E globi che splendean come pianeti. Avvallando rendea delusa ogni arte. 
E lucide corone ed archi e liste , Noi pel terror immoti a par d' un sasso 

E argentee volte e pcscarccce reti. Restammo in pria; ma la vicina morte 

Ben conobb' io nel meditar le viste I pie ci sci»ls<', ed affrettonne il passo 
Fiamme dipinte con mirabi l'arti A librar, benché invan, col pondo forte 

Kaccolte da natura e fra lor miste, De'corpi il lato, in cui per l'urto esterno 

Che i sottili nitrosi efflussi sparti S' ergea troppo l'abete in dubbia sorte: 
Dal gelo acuto per gli aerei campi Ma pel gran motoad ambo i lati alterno 

Salir dal zolfo ad irritar le parti Lassi cademmo, e il nostro inutil corso 

Dalsole attratte, quando awiencheav- I tempestosi fiotti ebber a scherno. 
Alto dèi Cane sot;o l'ignea stella, [vampi Privi di Sol, di guida e di soccorso , 
K allor scoppiaro in color varile in lampi. Stesi sul pian del legno combattuto. 

Sparia, poi riacrendeasi ogni facella; Squallidi per immenso mare scorso, 
Ed era or l'ostro illanguidito, ed ora Piagneam col timonier, che avea per- 

Eca di vivo fulgor mostra novella. [ dulo 

Varano, visione FI, Fra le infinite acque e l' orror notturno 

Lena e consiglio, e temea smorto e muto 

CXXXIX. La tempeita di mare. Gli ultimi abissi, ove un crudel vul- 

[ turno 

La fronte il cavo abete avea diritta Traporlator spignea la poppa errante. 
Là dove il passaggier al lido ibero Fatano, visione FU. 

Su le salse dr Gallia acque tragitta; 

E i tesi lini a un aqnilon leggiero. CXX. Il prato. 

Spiegando, qualseavesvea i fianchi penne, 
Radea col volo il liquido sentiero; Spinsi, qual uom mosso da voglie strane 

Quando a gonfiar l' onde improvviso Di cammin novo, su i parmensi liti 

[ venne Le piante da la via retta lontane; 
Turbin, e il mare fra contrarli venti È rampi attraversando, e rinverditi 

Per dirotta fortuna alto divenne ; Solchi ove in frondi par che sviluppato 


Oi CRESTOMAZIA POETICA 

li seme a biondeggiar le spiche inviti, Ivi si ergea; ma sol di sabbia pij^nc 

Dopo un bosco da querce annose om- Valli ampie si perdean co Porizzonte, 

[ brato, Sfumando i confìo lor ne le serene 

Giunsi in aperto piano, in cui senz'arte Vie dell'etere azzurro. Unica al guardo 

Slendeasi ricco di germogli un prato. Lungi splendea ne le solinghe arene 

Il vasto loco pien di vario-sparte Mole alta fin dove ferir può dardo, 

Folte erbette , che nulla arbor, né fratta E colà il grande e non più visto obbietto 

Con intralciati rami ingombra o parte, M'invitò il passo per tristezza tardo. 

IJtolceallargommiil cor, cui sembra in- Sul terren da qualunque arte negletto 

[ tatta Maravigliando io già che l'occhio avvezzo 

A par del guardo aver sua libertate, Sì a luugo fosse a non mai vario aspetto; 

L'immenso avidamente a scorrer atta. Ch'io dal Sul non varcava a l'ombra e 

Qui nel varco di quelle a fior smaltale f^i rezzo, 

Piagge il fianco posai sotto rugoso Ma sempre egual fendea lume, e la stessa 

Olmo d'opache insiem foglie intrecciate. Aria nullo spirante odor, ne lezzo; 

Ove il puro aere , il rezzo ed il riposo ^ ^^^ ^"^ ^ ^^ ^^^^ ™^° grave e spessa 

Grato a stanchezza invogliò più l'ingorda Arena sorgca fuor con fiacche forze 

Vista a vagar per T ampio strato erboso. Macchia di spini appena sorta e oppressa, 

Kotto ora il lato spazio era da lorda Ch'io m'avvidi esser nido in cui rinforze 

Trave d' un altaleno , onde pendea Vipera od aspe il giovanil veleno 

Vaso a trar l'acqua avvinto a docii corda, Da le svestite loro aride scorze. 

Or da capanna vii, su cui serpea Varano, visione VL 
L'ellera, i cerri ad agguagliar avvezza, 

Che l'aride nel letto alghe radea CXLII. La sorgenti dell' Arno. 

Bozzi obbietti alpensier; mala rozzezza 

Spirava per l'erbifera pianura Vago di penetrar perchè Natura 

Lietaf semplicità, se non bellezza. Non mai d'Arno gli umori appien consumi, 

Scorrea la morbidissima vcrzura E incerto ancor se del mar l'onda impura 

Favonio, cui son le odorate rose Per sotterranee ghiaje e chiusi dumi 

£ i molli gigli amica e facil cura, Feltrata salga a le montagne, e scenda 

E quelle umili piante e rugiadose Partita in rivi ed in perpetui fiumi; 

Piegando, inteneria co^la diffusa io l'erta ascesi d'una roccia orrenda, 

Aura le fibre lor sotterra ascose; Che in mezzo a l'appennine Alpi nevose 

Mentre il passero grigio, e la delusa Le vie tosche e l'emilie avvien che fenda; 

Spesso da'rai de gli aggirati specchi Ch'ivi s<!ontrando ognor le rigogliose 

Lodola, e a l'arduo voi la rondin usa. Acque scorrenti da l'origin prima 

Aleggiando scegliean i levi stecchi Disvelarne credei le fonti ascose;. 

Per tesser nido a la futura prole Stendeasi larga quell'alpestre cima 

Di molle creta e di sermenti secchi. In scabri sì, ma rinverditi prati. 

Il suolo, ove arator non mai si duole Benché ad aspro soggetti indocil climax. 

Che a fecondarne i germi indarno ei su- Questi d'argin informi e di solcati 

Di cui cultor e con Natura il sole, [di, Dorsi e di gore e d'ineguali fosse 

Sì adescato m'avean, che a me que'ru- In varie strane fogge eran vergati. 

Campi s'offrian leggiadramente ameni [di Cento scorgeansi in essi , ove serbosse 

Più assai de'colti co'piò eletti studi. La pioggia, late vasche, altre già vote 

Furano, visione X. D'acqua, altresceme, altre ricolme egro»- 

Di là salii balze più eccelse, e note [Se. 

CXLI. // deserto. Solo a i rapaci augelli, e trovai boschi. 

Spelonche e abissi, in cui giaceano immote 

Mi trovai dentro a vasti campi aperti, Le nevi e ghiacci, o splenda il giorno 

In cui non allignò mai verdeggiante Co infoschi, 

Erba né pinto fior, né irrigò fonte Non mai squagliati, perché troppo inerte 

Con limpid'acque le frondose piante; È il sole a riscaldar quegli antri foschi. [ 

^ ' jSaa ìape J9ada uè selvoso monte Vidi in altre caverne al ciel 3copett^ 


SECOLO DECIMOTTAVO 03 

lar leiinfe dal pendio condotte Al comun fonte per attinger I*acque 
ìnxnppate e a i raggi terre aperte; Gian nude il piede, e il crin incolte e sot- 
a più alte selve altre dirotte E chi di lornel sonno eterno tacque [xe; 

precipitando in tufi e in greppi A un lieve sorso, e chi raminga e sola 
rsi dentro a fesse rupi e a grotte. Pria di giunger al fronte esangue giacque, 
su purilcammin fra schegge e ceppi Gli amici, cui parte d*aiFauno invola 
e pomici mai non viste altrove, L'alterna vista, si guatavan fiso 
i, ne come il superassi io seppi; Nel mesto incontro senza far parola; 
olà rimirai vora^^in nove, Poi fra il duol ristagnato a l' improvviso 

presi entro a quelle e sciolti umori Si dirotte spargeau lagrime acerbe, 
bic'Austro per Testreme prove, Che avrian un sasso per pietà diviso, 
ampi squallidissimi, peggiori Talor silenzio, qual avvien che serbe 

el ch'uom finger possa, alberghi solo L*aria muta fra inospiti deserti 
vi e di g«*late acque e d'orrori. Colmi di sabbia, e d'acque privi e d'erbe; 

tai di tante piogge in erto suolo £ singhiozzi talor fiochi ed incerti; 

toi vasti un sovra l'altro stanti. Poi strida alte e ulutati, e in flebil metro 
vario del Sol girar dal polo. Querele erranti per gli spazi aperti: 

a i venti fra lor vario-spiranti, Sì che il lor suon acutamente tetro 

'. vapor che il sotterranei) foco Crescea più raddoppiato, e in sé confuso, 

sntroal monte^estriscian fuorgron- Dal mar,^ da i monti ripercosso indietro. 

[danti, Ognitempio era infaustamente chiuso; 
sgomentai che il misto ordin del loco Immoti i sacri bronzi, e a le nutturne 
star atto sia continue l'onde Lampade tolto di risplender l'uso: 

ì in giù da la scesa a poco a poco Le armoniose canne taciturne; 

ra sterili sassi, o erbose sponde; E senza l'immortal vittima l'are, 
urne tragga sol perenni l'acque E senza nenie pie le squallid' urne, 
nontani antri e vasche, e non d'aU Varano, vìsìoda X. 

(tronde. 
Varano, visione XII. CXLIV. Sopra lo stesso argomento. 

CLIII. La peste di Messina. In mezzo. a valle solitaria e vasta - 

Stridea scoppiando fra le vampe ingorde 

l porto, dove il mar sembra che sta- Di cento adusti ceppi ampia catasta, 

la guida, qual amante figlio [gni, Con picche armate in ferro adunco, e 

ai tenera sua madre accompagni, ^ ^ [lorde 

si via d'orror carca e di periglio, Di melma, traiti eran que'corpi al rogo, 

morte di mille umane spoglie Cui più vita sì dura il cor non morde: 

rendea l'insanguinata artiglio. Sacerdoti e fanciulle, e quei che il giogd 

)r de l'abbandonate immonde soglie Maritai strinse, ignudi, e insiem confusi, 

an gli avanzi de la plebe abbietta Di vicin tolti e da rimoto luogo: 

li paglie e infracidile foglie: E fra questi (ah ! chi fia che adombri 

tri con gola orrendamente infetta D'altanecessilateil gran delitto?) [o scusi 

ngrenose bolle; altri avvampati Vivi che ancor moveangU occhi non chin- 

lo da fatai febbre negletta; Ma palpitanti col ronciglio fitto [si, 

tri da lunga fame omai spossati, Ne la gola i sospir versando, e il sangue 

»el velen, ma pel languore infermi, Dal collo in sì crudel foggia trafitto, 

altrui membra putride sdrajati; Strascinata ogni donna ed uom esangue 

altri in lor natio vigor più fermi , Ad arder con pietà tanto inumana, 

lè lasciati sott«» i corpi estinti. Come striscia per terra ignobil angue, 

fra l'ossa accalataste e i vermi; La faccia avea deformemente strana, 

i di squallor mortifero dipinti, E questa si, che non serbava alcuna 

orecchie rose e labbra mozze. Orma in se lieve di sembianza umana, 

volti umani iti modo fier distinti. Sorla era già quella che il mondo im- 

illustri donni a par de le più rozze Ak^>^^."v^ 


94 CRESTOMAZIA. POETICA. 

Pur le tenebre sue folte allumava Fra l'altissime fiamme, ove in un punto 

L*ardor dei roghi e la splendente luna. S'aLbronzò, frisse abbrustolato ed arse. 

Un vecchio allor mirai, che Immobil Da questa del furore ostia disgiunto 

[stava Fui per la guida, e dietro a le sacr'orme, 

Presso a la pira , e le rugose e smunte Presi un seutier che a l'onde era congiunto: 

Gote di lagrimoso umor bagnava. £ in una torre un ragionar informe 

Egli, torvo ne gli occhi, e al petto ag- Udii, e qual suol neMeliri incerto; 

[giunte Poi col crine irto vidi un uom deforme, 

Le incrocicchiate man, sciolse tremando Che piombò su le selci aspre daTerto 

Tai voci a spesso sospirar congiunte: Col capo volto, e ne schizzar le miste 

Ahi misero! perche non perii quando Cervella al sangue fuor del cranio aperto. 

Da me l'amata figlia il crudo mise lo torsi gli octhi da Timmagin triste; 

Colpo di morte eternamente in bando? Ma in quel momento altra crudel m' as- 

O perchè almeno allor me non ncrise Vergata il volto di livide liste [salse. 

Duolo, iraeorror, ch'io l'insepolte e grame Furente donna il vicin tetto salse, 

Sue membra vidi in brani esser divise? £ in pianti vaneggiando e in folli rìsa 

Mentre scagliate su putrido strame, Si gittò dentro a le voragin salse. 

Oh memoria feral! fur de'voraci Scorsa la via poco dal mar divisa, 

Cani serbate a saziar la fame. Io teneri mirai bambin leggiadri 

Che far potei privo di spirti audaci Con bocca di marcioso umore intrisa 

In curva età, povero d'agi e d'oro Succhiar il tosco da le spente madri ; 

Tolto a me da le ree destre rapaci? £ altri miseri meno in fra le troppe 

Che il mio guerra mi fé ricco tesoro Sventure lor presso gli afflitti padri 

Più che il tosco mortai fra le sconvolte Di capre miti le villose coppe 

Leggi, e un empio poter maggior di loro. Stringer scherzando;e queste ad essi il latte 

Oh fortunate appien l'anime sciolte. Docili porger con benigne poppe. 

Cui l'ultimo destin l'ultimo porse Mentre a l'occaso eran le stelle tratte 

Scampo fra tante pene insiem raccolte! Col pianeta minor da i raggi smorti , 

Oimè! l'aria, in cui sparto il velen corse Con cui l'ombra la prima alba combatte, 

Fra l'infocata estate e i roghi accesi. Scoprii fra il frombo di percosse forti 

Rende la vita del respiro in forse. Un giovane guerrier sparuto e fiacco, 

L'acquadei fonti, in migliorstellaillesi, Ferri agitando a doppia fune iutorti. 

Or calda e di maligni atomi carca, Non armato venia d'elmo e di giacco. 

Ributta i labbri nel gustarla offesi. Ma coperto le ingorde ulceri solo. 

La terra stessa non appar mai scarca Che tutto lo rodean, d'ispido sacco. 

Di sordidezza marcida e di lezzo, Un cada ver parca ritto sul suolo; 

E il piede ognor vermi e putredin varca. Pur su la fronte un non so qual soave 

S' io miro, il guìairdo a i dolci obbietti Cipiglio avca d'invidlabil duolo, 

[avvez zo Talor, poiché più lena il pie non ave, 

S'infosca al fumo, e sol forme atre scorge, Languia de'servi in braccio, e poi movea, 

Che gelido nel cor destan ribrezzo: Raddoppiandosi i colpi, il passo grave. 

S'i'ascolto.aspraal'orecchiooriginpor- Mentr'ei di se lo strazio orribil fea, 

D'inconsolabil lutto il fremer tronco [gè Rinforzando a la voce il debil suono. 

D'urli e di lai, che disperato sorge. Gridò: Figlio di Dio, che a questa rea 

La mano il tatto abborre, e fin un bronco Anima il divo sangue offristi in dono. 

Arido sfugge d'afferrar, e al braccio Perch'ella de'pensier empi e de l*opre 

Sta giunta come ad un marmoreo tronco . Chiegga e in quel sangue troviancor per- 

Ah ! pronta ecco la via d'uscir d'impac- [dono, 

Nè.v'haduopoadarfineagliannioscuri[GÌo: Eccola a i piedi tuoi. Più nonlacopre 

D'acuto ferro, o d'annodato laccio. La sua ribelle a te misera carne, 

Già m'invita la pira ardente; i duri Che ulcerata e corrosa i nervi scopre. 

Affanni questa accolga, e le invan sparse Oh immcnso,oh invitto Amor! che per 

La^rime^ e all'ombra mia pace assecuri. A l'eterno penar si breve prova [sotinirAc^ 

I?Jsse; e debil, ma fier venne a gittarse Di duol volesti a nostro siampo darae , 


SECOLO DECIMOTTAVO 95 

Quanto la tiia pleiade in me rinnova Mestissime apparirò ombredattoroao 
Il rimembrar deTalli miei più crudo! E in men che scorre una sei voi te in diece 

Ah! lagrime non già, ma sangue piova Divisa parte di volubil ora, 

Il moribondo cor, che in petto io chiudo. Squallido la città cumol si fece 
Guardami: a te le man gelate io stendo; Di rotte pietre addentro miste e fuora 
Quelle apri tu del sacro corpo ignudo. Fra spezzate finestre, archi e colonne 

E le mic'teco stringi al tronco orrendo. Mozze, altre stese, altre pendenti ancora . 
Tu le tue piaghe desti a me, che amasti; L'eccidio fier, di cui non mai potronne 
£d io qiiai piaghe vili, oimè, ti rendo! Vivi ritraire i danni, e lo smarrito 

In COSI dir gli omeri enfiati e guasti Sole, e l'alterno urlar d'uomini e donne, 
Sì duro flagellò, ch'io gridai quasi: E il volto de la guida impallidito, 

Deh! cessa, e tanto esempio ornai ti basti. Ch'io non so come aggiunta erasi meco, 

£i da Tosssa poiché svelti ebbe e rasi Mi rimembrar l'estremo dì compito 
Gli egri carnosi brani, in seno a quelli De le terrene cose; e per quel cieco 

Che gli feau scorta ne gli estremi casi. Aere temei su la fulminea nube 

Appoggiò il capo, e fra ilaug uomo velli L'eterno rimirar giudice bieco. 
Dolcissima spiegò sul volto pace, £ le angeliche udir ultime tube; 

£ gli occhi fisi al ciel sembrar più belli; Ma la guida, che pria giacque pensosa, 

Poi, come suole semiviva face, Qual coniglio che in macchia ascoso cube, 

Che nel ratto sparir più s'avvalora, Ripigliando vigor, disse : già posa 

Lieto sclamò: ti seguo, ove a te piace Stabile il piano. 1 tetti mal sicuri 

Guidami tu, Dio di boutade. Allora Ila questa sede, e l'altra pur dubbiosa 
Mulo e ombrato da gli ultimi pallori Che a fronte stassi, incerti serbai muri. 

Spirò l'anima pia verso l'aurora. S'apre al fuggir la via. Vincer fa d'uopo 

Varano, visiont V. Col senno e co l'ardir colpi si duri : 

Seguimi. £Lmosse;ed io guatandol,dopo 

QXXS .Il terremoto di Lisbona, Un profmdo sospir, ne seguii l'orme 

Ignaro de la strada e de lo scopo. 

L'ore presso al meriggio eran già corse, Stranamente il senlier s'è rgeadifForm e. 
Quando muggirò i sotterranei fochi Asprissimo e scosceso in rozzi mucchi 

Per la nova che il cielo esca lor porse. Di pietre, e in massa inegualmente enorme 

Ben de la terra in pria languidi e fiochi Di travi e in torti ferri e mar mi e stucchi, 
I moti fur; ma il zolforoso nido E seggi e letti e deschi ancora tinti 

Più ardendo scosse anche ipiù sodi lochi. Di sparsi cibi e di pampinei succhi: 

Dirotto rimbombò quindi uno strido Pur da necessitate i pie sospinti 
Del popol tutto, a Dio chiedendo pace; Battean quel calle, e s'arrestavan lassi 
£ altamente mugghiarne i colli e il lido. Dal cammin spesso malagcvol vinti. 

Il pian divenne a i dubbii pie fallace Oh quante volte in alternar i passi 
Nel raddoppiar le scosse, e co'sonanti Caddi, e abbracciai caldo cadaver pesto 
Bronzi non tocchi dier segno verace Scoperto allor da sgretolati sassi ! 

Di mina fatai le vacillanti £ quante, arrampicandomi al funesto 

Testuggini de'tempii, e le più ferme Monte di tetti o affatto svelli, o scemi, 
Torri ne la serena aria ondeggianti. Dal tetro fondo udii lo strider mesto 

Io ratto corsi ove credei vederme De'isemivivi, che ne'casi estremi 

Salvo dal suol,cheincertoors'erge,or cala, Voce mettean fra que' spiragli acuta, 
A l'ima soglia; e a le mie membra inferme Sclamando:oimè!perchènecalchiepremi? 

Per terror die il lerror più fervid'ala , L'orrida via d'ogni conforto muta, 
£ de la porta fra le arcate bande E di ruine e di fiaccate o rase 

Fuggii saltando la tremante scala. Ossa, e di membra luride tessuta, 

M' assordò allor mirabilmente grande Fiero obbietto m'offerse : onde rimase 
Precipitoso scro$cio, e d'ogn' intorno Sì oppresso il cor, cheil novoagli occhi a»> 
Sc(4>piò qual luonche mille tuonispande. C salto 

Immenso polverio coperse il giocno, Superò quel ile le pendevol case. 
£ de .la luce desiata iavece Marmorea fascia nel ^loiahax da.V^\» 


96 CRESTOMAZIA POETICA 

XJem giia>fo avea, che da saggetta loggia Ah! date a me fra TafEannata noja 
Tentonne forse il disperato salto. De l'alma eil palpi tarde 'membri estremo, 

Sovra le intatte sponde in crnda foggia Che almen lo stringa al seno anzi eh' io 
Senza capo giacca l'informe tronco [moja. 

Lordo, e grondante di sanguigna pioggia. Io co l'affizio di pietà supremo 

L'unbraccioel'altrubruttamente monco 11 fanciul presi, eaquel languente il porsi 
Per le strappate mani, e trite in mille Petto pieno d'amor, di forze scemo; 
Pe2;zi le canne fuor del collo tronco. Ed ella, che sentì l'amato porsi 

Il duce mio sotto quell'atre stille Pegno nel grembo, di più forti armata 

Varcò il sentier; ed io con lena stanca Spirti ed affetti al cor materno accorsi , 
Ristetti e con attonite pupille ; L'annodò, lo baciò co la gelata 

Quand'ei mi disse: i passi tuoi rinfranca. Bocca, sclamando: il Ciel ti doni anpadre. 
Che siam presso al confìn. Vana e vii tema £ tenera e dolente ed agitata 
1 pie t*anHoda, ed a te il volto imbianca. Le molli del bambin carni leggiadre 

Il suo dire e l'oprar destò l'estrema Troppo in morir compresse, edinunponto 
Forza ne' mici smarriti spirti, e feo Spirò l'anima il figlio e insiem la madre. 

L'anima del terrore inutil scema: Da spettacol si amaro ebbi compunto 

Tal ch'io vinsi passando il cammin reo. Cotanto il sen, ch'io co la guida sparsi 
E a la meta arrivai tinto del sangue Largo di pianti umor a i primi aggiunto. 

Che il palpitante ancor busto perdeo. Salimmo indi ambo ove parca levarsi 

Qui nel mirar giovane madre esangue, Il piano in facil colle, e per i folti 
Piansi ; e ben tratte avria 1' acerbo caso Pini e cipressi ombrosamente ornarsi:. 
Lagrime da un'irata orsa,o da un angue. Ed ecco vacillar da strano colti 

Precipitato largo trave a caso Tremore i colli, e in screpolosi fondi 

Su l'imbrunite e stritolate cosce Spesso i corpi ingojar vivi sepolti. 

De l'infelice donna era rinvaso. Oh infausta e crudel terra, che fecondi 

Non lungi in quellaetà che non conosce Modi d'acerbità varia produci, 
I proprii danni, un vago pargoletto T' apri, e in te guasti e stritolati ascondi 

Figlio accresceva a lei 1' ultime angosce. D'un popol(^ gli avanzi! Ah! le mie luci 

Sciogliendoellaconmansmortalostret- L'aspetto fierpiù tollerar nonponno. 

[to Guidami tu, gridai , che mi conduci» 
Velsulepoppe,benchcinfrantaeoppressa, A men orribil loco, ov'io sia donno 
Chiama vai dolce a l'amoroso petto: In pace almen fra tanti affanni stanco 

Ed ei carpone invan moveasi, ed essa Di chiuder gli occhi nel perpetuo sonno. 
Sospirando, e guardandolo sembrava Ed ei rispose : affrettati sul nianco 

Dogliosa più di lui che di sé stessa. Sentiero ad abbracciar robusta pianta, 

Noi con pronto vigor, che lie prestava Chèinnanzioindretoilpièportareilfianoa 
Di caritate il zel, trarla d'impaccio Ci vietali terrenfesso.Ailor con quanta 

Tentammo, e dal gravoso arbor che stava Lena potei corsi, e del duce sotto 

Su lei rappresa ornai dal mortai ghiaccio: Lascortauu pino strinsi; e appena a tanta 
Ma per quante scegliesse arti l'ingegno, Velocità bastevol fu il dirotto 
AJii! non fu pari al buon voler libraccio . Sì scorto spazio, in cui novo e diverso 

La donna allor: per sì bell'opra il degno Tremilo ammarginò del cammin rotto 
Guiderdon serbi a voi, disse, l' immensa 1 cupi abissi, ove poc'anzi asperso 
Pietà, che iu dar mercè varca ogni segno. Di sangue e polve un uomfrasassiearent 

Me de le piaghe mie la doglia intensa, Non lungi a me precipitò sommerso. 
E il terribile colpo a morte spinge, Ce«sò in breve la scossa , e ne le vene 

E già m'annebbia i rai caligin deusa. Tornò al sangue il calor, per cui del monte 

Or questo parto mio, che nel suo pinge Poggiammo a l'erta con mendubbiaspene. 
Volto l'aita che per lui richieggo, Ivi dappresso a una turbata fonte 

Fugga il destin che di perigli il cinge. Vidi a Pispano Pier del tempio sacro 

Per voi salvo egli viva,altro non chieggo; Diroccati ambo ì lati e l'ampia fronte, 
£ allpr morte mi fia riposo e gioja. E de l'acque sorgenti entro al Uficro 

Mjd(f^èiI6gìhmÌ0f ch'io più noi veggo? I traportati e pel terren tumulto 


SECOLO DECIMOTTAVO V)7 

roiifiiÀi avanzi inslem del simulacro. Poiché adorato umile elihi con esso 

Sovra un marmo sedemmo ancornon L*invisibii di Dio gloria tremenda, 

C srulto, Ch<* a fral guardo mirar non è permesso, 
Scelto del fonte a intonacar la sponda : Sbigottito scoprii negli atti orrenda 

iVIa, oimè! che acerbo a noi crebbe il sin- Schiera,cbe ovunque voli, avvien per tutto 

[ guho Che fra eccidio e dolor le nubi fenda. 
Dal sommo in rimirar ne la profonda Vedi, ei soggiunse allor, rpial tragga 
Sua foce enfiato il lago, e TOceAno [ frutto 

^f corso su i lidi altissimo co Tonda. L*alma dai vaneggiar de' suoi pensieri; 

Divorò il flutto i fuggitivi invano Vedi quei che a recar la morte e il lutto 
Da f^li agitali colli uomini e belve , Stanno su Tale pronti aspri guerrieri 

^canìpo cercando su piti fermo piano; Co l'occhio attento iti aspettar il cenno , 
C col moto onde avvìen che il mar s'in- Contro cui scampo arte o valor non speri. 

[selve Quel che calcante armi e trofei t'ac- 
Oonfio, in secche portò non mai s(9lcate [ cenno, 

l.c armate navi entro l'opache selve, [le E l' angiol che mutò Nabucco in belv,a , 

Volgemmo il mesto sguardo a l'atterra- £ tolse a lui co l'alterezza il senno, 
Case, e di sotto a le mine sparse E d'ogni cruda fiera che s' inselva 

Nubi scorgemmo d'atro fumo ombrate Lo fé compagno, onde co'suoi muggiti 

In mille giri verso il ciel levarse, Del grand' Eufrate empiè l'acque eia 

ilhe orribile ne dier prova che tutte [ selva. 

Quell'estreme dovean spoglie esser arse. , L'altro ch'abita in aria i vanni arditi, 

barano, vbioue VII. È quel the ne la notte in ciel segnata 

Lo squallor mise ne gli egizii liti, 
CXL VI. Il tempio della vendetta E scannò i primi figli ; e sguainata 

di Dio. Ancor tenea la fulminante spada, 

Clre di sanguigne strisce era bagnata. 
Levai lo sguardo , e tal sentenza stesa Quegli cui par che da la fronte cada 
l^ssi ne'duri bronzi in su l'esterna Gruppo di lampi al suol per cener farne. 

Porta con cepui di diamante appesa. D' Asfalte nella fertile contrada 

li libero voler , che l' uom goveuia Vibrò le fiamme nitrici a divorarne 

Reo de l'iniquo oprar, questo alzò tempio L' infame terra, e la consunse, ed arse 
A la Giustizia ultrice e a l' ](ra eterna. De gli empii abitator l'ossa e la carne. 
Gli error miei gravi, e del mio giusto L' altro cui scritto su le ciglia apparse 

[ scempio Sterminator , co le man preste e nere 
L'editto, che in qne* carmi aperto scorse Di Siloe in riva il sangue assiro s[)arse, 
L' anima consci:» a se del suo cor empio, E serba ancor de le svenate schiere 

Fdrs'i, che mentreilcondotiier mi porse A l'asta, che ne' petti armati immerse, 
1^ man per superar le soglie insieme. Le ravvolte da lui caldee bandiere. 
Gran tempo stetti di seguirlo in forse ; Questi ne la Giudea, mentr'egli offerse 

Ma da lui preso al fin conforto e speme, In sagrifìzio a Dio vittime tante, 
Posi tremante il pie dentro i secreti La strada a l'aure venenate aperse 

Aditi sempre chiusi a Puman seme. Del buon re sciolto in pianto a gli oc- 

Giungean al ciel le fulgide pareti [ chi ava.nte. 

Scari he di tetto, che al chiaror diviso Vedi che ancor la feral tazza aggira 
De Paere sacro il penetrarle vieti. D'orribile furpr colma e fumante, 

Nel mezzo eretta un'ara, e in quella in- Varano^ vbiooe I. 

[ fiso : , 
lo son principio e fine; a mi dintorno CXLVII. La vallo della pietà divina. 
Sette fra i Gherubin più ardenti in viso 

Davan incensi , e>ne rendean il giorno Ma già de l'ampia valle a noi le apriche 
Annebbiato da fumi, e il tempio stesso Piagge apparian di vaghi fior coverte 
Di maestà fra dubbia luce adorno. E dì verdi erbe a impallidir nemiche. 

LK(yp.iRDi, Crestomazia. II. 7 


98 CRESTOMAZIA POETICA 

A le dolri acque da' bei rivi oiFerte II nome, e sotto quel: Da me fa vinto. 
Giacca prostrata innnmerabil turba Precorrea quanto è d* una selce ilgitlo 

A braccia stese e co le labbra aperte; La feral schiera un condottier più truce, 

E Tacque, il corso a cui mai non per- Che il sommo in essa avea scettro e diritio. 

[ turba A ia squallida e rea faccia del duce 
Limo od alga, scendean da un monte al- Giunge squallor sotto palpebre immote 

[ pestre , Lo sguardo tinto di sanguigna luce. 
Cui nebbia o nube il capo al ticr non turba, Duo serpi sorti da 1* orecchie vote 

Perchè ardea su la cima alla e silvestre Di suono striscian senza inciampo e legge, 
Sì chiaro un Sol, che par di raggi privo Sibilando or al collo, or su le gote. 
Quel che sorge a fugar Tombra terrestre. La trista fronte elmo fasciato regge 

Talor sembrava inaridirsi un rivo, Da corona intessuta a lauri freschi 
Mentre un altro da lungi entro le sponde Da frusti di spolpate ossa e da schegge. 
Gonfio crescea di limpid' acque e vivo. L* usbergo aspro è al di fuor, ed in ra- 

I^è Teterna che in lor virtù s'infonde, torridi rilevato, e fuso a scaglie [ beschi 
Valea soltanto ad ammorzar la sete, Di rinterzati spaventevol teschi. 

Ma purissimo il cor rendean quciPonde. La destra,cinta da ferrate maglie, [mo, 

Qui fin del globo da V oscure mete Stringe una falce contro a belva e ad uo- 
Vario accorrea popol di volti e lingue; Barbara e invitta ognor ne le battaglie , 
£ quel che i campi de 1* aurora miete. Coi segno, ahi vista amara! onde fudo- 

£ quel cui dal color bianco distingue L'antico padre da la colpa antica, [ tuo 
Ne l' arsa Etiopia l'annerita pelle, A l'asta de la falce infisso il pomo. 

E quel cui lunga notte il giorno eslingue ^L' altra man fra la ruggine s'implica 

Là dove regna il freddo Arto ro,esvelle Di scure briglie, ed un cavallo afirena 
Da le piante il vigor co i moti pigri Pallido e spregiator d'ogni fatica» 

De le sue tarde aquilonari stelle. Che concitalo da terribil lena 

Qui adorno pur de le squojale tigri* Soffia, e di spume il duro morso imbianca, 
Stuolo d' abita tor fieri si tragge Scalpitando e spargendo alto l'arena. 

Dal grand' Eufrate e da l'armeno Tigri. Varano, visione X. 

Né de le nuove americane spiagge 
Manca il rozzo ciiltor, oh colpa infame ! CXLIX. La Provvidenza divina. 
Uso le belve ad imitar selvagge 

Col sangue umano in satollar la fame; Ed eccco un carro aspro di gemme, e ìd 
Nudo, e coperto sol di penne i lombi Di gloriosa pompa e trionfale, [[gniia 
Insiem tessute con arboreo stame. £ sovra il carro eterea donna assisa. 

VaraìiOy visione YI. Cinta è da manto inargentato, quale 

Di colma hina avvien cheil disco allnmi; 
GXLVIII. Gli Angeli della morie. In cui tinti da man d'arte immortale 

Splendon uomini e belve, in varii lotti 

Quando in menchenoB scoppiano i ha- La notte, il giorno e la nascente aorora, 

[ leni, E quaata terra abbracciam mari e fiumi. 
II prato inaridò vento che sorse Grave pensoso ha il viso, e ad ora ad 

Del nevoso Aquilon da i freddi seni. Rifolgora seren; ch'alto sospesa !C(>ni^ 

E dietro al vento un calpestio trascorse; Fiamma triangolare il crin le indora. 
Bomoreggiando per lo pian battuto. Un occhio a par di viva stella accesa 

Che là donde movea, gli occhi mi torse; Le irraggia il sen; l'eburnee dita strette 

E fra paura e maraviglia muto De la sinistra arcata in parte e stesa 

Vidi gran turba in fieri atti, e con volto Tien su libro fatai chiuso da sette 
Crudo e in difformità varia sparuto. Jnfrangibil sigilli, in cui l'impresso 

Pedestre era la turba, e di quel folto Divino Agnel l'immagin sua riflette. 
Stuolo ciascun tcnea croceo dipinto Piega ella il destro braccio; e su convesso 

D'atra immago un vessillo a l'aure sciolto. Scudo appoggia: tra fulminee strisce 

In cui d'illustre donna, o d'eroe spinto Chi è forte a par di J^io? leggesi inesso. 
De l'ombre a i regni bui s' orgeasi scritto La mano un vaso in rovesciar laigisce 


SECOLO DECIMO! r AVO 


09 


lu umor che per le fibre gira 
lì terreno germe, e lo nudrisre. 
una queU belva o iudocil tira 
;iiSlo carro viocìtor de i venti, 
ipirito motor le rote aggira, il 


Sia di te più felice altra mai terra. 

Chi del. morir del nume, e lUA celeste 
Risorger suo repente 
Può l'ialto penetrare ordin alterno? 
Forse s'adombra nel militerò, e in queste 
nto e più legìon di spirti intenonii ^le dubbie a nostra mente 
. provvida donna al cenno, e pr ,.* Il vario corso del pianeta eterno, 
a ampia fcan d^innumerabil genti . Che ne l'oscura ed orrida 
tri custodi eletti a i laghi e a i fonti Brnma da noi ritorce il carro, e torna 
altri a le sabe acque, altri a le valt^ Seco traendo la stagion più florida 
s, ed altri ai boschi opachieaimont : Del tauro ad infiammar le aurate corna; 
ri a i marmi, allegemme ed ai me- £ muore ove i suoi rai con debil forza 

[talli, Vibra, e rinasce ove Pardor rinforza, 
a gli astri, e a Tinsolite comete Adone, amor de l*aima dea più bella, 

ciinite su gii eterei calli. O dal fenicio altare 

Vuranoy visione X. -^^^ nome i voti a te porti più pronti; 

O più ti piaccia in idumea favella 
CL. Le feste di Adone. Tammo chiamarti, e Tare 

Vederti erette di Sion su i monti 
maro i boschi di Fenicia, e i fiumi In fra la nubi e l'iride; 
bano cadenti goda che l'Egitto ognor t' invochi 

tguigno color tinsero l'onde; Nel ccfperto di Un busto d'Osiride: 

sidonie ninfe, umide i lumi Tu in meuo a l'ostie pìngui e a i puri fochi 

^me dolenti. Risorgi a noi fra i canti e le carole 

se abbandonaste amiche sponde. Col nuovo Sol lucido a par del sole. 

Varano, Demetrio, atto III. 


lo da le frondifere 

t vedeste la divina Astarte 

r di lutto le caverne ombrifere; 

ree chiome sparte 

* co l'ugna, ed abbracciar del bianco 

Adon l'orrida piaga e il fianco. 


CLI. in morte della sua donna» 

L'alma, in cui d'ogni corpo immagin 

[nasce 


ndi l'annua da noi memoria triste Pe'sensi, e col desio cresce, e diventa 


:ndo or si rinnova 

rtrde serena età de l'anno; 

Jti e ululati e voci miste 

liti fan nuova 

era pietà mostra e di affanno 

ì al finto e squallido 

steso nel mortai feretro; 

l'immago del cadaver pallido, 

[ lugubre e tetro, 

trte, si consacra onor solenne, 

iuta or di raggi ed or di penne. 

I e cara a gii Dei biblide riva, 

* lo mar crudele 

di sacri a l'immortale Ammone 


Esca di lei, che di pensier si pasce, 

Le amate in sé volgea di beltà spenta 
Rare sembianze, onde ragion fu vinta; 
Troppo a cader pronta, e a risorger lenta; 

E tal forma affinando al cupo avviata 
Suo meditar co l'infiammato ingegno: 
Oimè! Amennira, disse, è dunque estinta! 

Tant'ebbe il Ciel gli uman i voti a sdegna. 
Che d'eterna coprì nebbia quel volto. 
Su cui partian grada e onestadeil regno? 

Ah! se il bennatospirto in vaga avvolto 
Spogliale concesso in dono a i bassi chio- 
Innanzi tempo esser dovea ritolto, [stri. 

Perchè in lui tutta unir quanta si mostri 


la urna di giunchi al porlo arriva Virtù divisa fra mill'alme, e poi 


locchier, né vele, 
felice del risorto Adone, 
«Ili tumidi 

molle de'cedrini fiori 

1 te dintorno, e i vapor umidi 
in co i dolci odori; 

quante Neltun co Tonde serra, 


Mesto farne argomento a i pianti nostri? 

E perchè al bel fulgor de^raggi suoi. 
Mentre sparia, si chiaro aggiunger lume 
Per gravar d'atra notte Amore e noi? 

Ma, lassa! donde avvien chUo mi con- 

' [snme 
Fra sì tristi sospir? Vinto pur giacque 


400 CULS'IOMAZIA POI.TICA 

Chi a la miu liliertado arse le piume. v^olgeu, che mai lassù non furo affissi 

Tre lustri il Sol rivolse in giro, e tacque Né più amorosi, né più amabirotchi. 
De'miei desir l'agitatri<-e guerra, Tacendo essa, io pur tacqui, OQon ardissi, 

Ch'ella destò, (he por mio duol mi piacque merendessse muto il mio stupore. 

Pace altìn mi recò lontana terra Confuso altin ruppi il silenzio, e dissi: 

Lunga etade, e men cruda immagin uova; O mia misera speme e mio dolore, 
Ed or che il Irai di lei sceso è sotterra Fra le spolpate nel funereo seggio 

Sveglia del loco mio l'antica prova Ossa tue carche di cotanto orrore. 
Nelle ceneri sue? Dunque l'acerba Amennira, ed è ver ch'io ti ri veggio? 

AJorte, che tutto spegne. Amor rinnova? O pur fra i sogni e i simulacri vani 

Dunque uuo scioglie, e a l'altro il no- Del mio turbato immaginar ondeggio? 

[do serba Da quali ignoti spazii, e alberghi arcani 
Più amaro? E per chi è polve e per chi vive Degli antri, ode gli abissi, ametuvieui 
Va in un colpo di due trofei superba? Tratta di Morte dalle ferree mani? 

Deh! chi mi guida a le infelici rive, Ma da qualunque a me sede ti meni 

Ove annebbiate da i lugubri orrori Sì amico volo, ah! tu soave spiri 

Giaccion le membra pie di spirto prive? Grazia, e fra il lutto ancor mi rassereni. 

Sì che di pianto e di fumanti odori, Io già credei che i caldi miei desiri 

E di fior copra le gelate spoglie. Dal volto tuo per lunga via divisi 

E se vive le amai, spente le onori. Nulla più desser esca a i miei sospiri; 

L'ultimo cercherei, se pur s'accoglie Che interrogai del cor qurgl'indivisi 
Ne i languid'occhi, scolorito raggio. Dal dolce palpitar moti, che furo 

Che in me temprasse l'affannate voglie: Vive poi fiamme, ove a penar lo misi; 

Udrei, o udir parriami il parlar saggio Né in lui conobbi de l'antico e duro 
De le pallide labbra e taciturne, Suo nodo orma pur lieve, anzi mei finsi 

UdC a spirar dolcezza a ogni uom selvaggio; Queto, e in sua libertade appien securo; 

E stri guerci le fredde mani eburne E d'inni eletti a coronar m'accinsi 

Con tanti d'amor segni e di pietade. Altre labbra ed altri occhi, e i novi rai 

Che invidia ancor n'avrian l'altr'ossa e Dc'tuoi più vaghi al paragon mi pinsi; 

[l'urne. Ma poiché quella che non rota mai 
Varano, visione VL L'adunca falce invano, al mondo tolse 

Teco il lume che ogni altro ombrò d'as«ai, 

CLII. Sopra lo stesso argomento. Destossi l'ardor mio piùforte,eavvobe 

Col primo laccio il cor, cui Valse poco 

lo vidi L'*'»T«r suo, che il deluse, e noi disciolse. 

Ililta fra i venti su l'opaco avello Seutii,quandoildì sorse, equandoilloco 

D'Amennira la forma, e a i segni fidi Cesse a la notte, che squallida crebbe, 
La riconobbi. Era il medesmo e vago L'iuimagiu tuaspirarmi affanno e fuoco; 
Volto che m'infiammò ne'patrii lidi; E fin la mia ragi »n stessa m'increbbe. 

L'aria stessa e il color: non avea pago, Che tanie in meditar sotterra mute 
Né mesto, ma tranquillo il viso grave, Tue doti, il duolo e il desiderio accrebbe. 
E maggior de l'antica era l'immago. La triste allor bramai mia servitale; 

l-a mente, chrf le larve oscure pavé, E quella che parca tua cru dettate 
Dal leggiadro senti spettro diffusa CjI vero nome suo chiamai virtute; 

Alaravigliosa in sé luce soave; E per sì raro aggiunto a tua beltate 

E da la piena calma al core infusa Pregio e fulgor Tavvelenato strale 
Argomentò che quella fosse un'alma Più acerbe m'inasprì le piaghe usate. 
K) dal ciel scesa, o in pace a viver usa* Ahi lasso! orso che l'alma a fuggir l'ale 

Fisa io guardava l'impalpabil salma. Non ha, se Amor contrasta; ed or m'av- 
Ch'o ve avvien che il vel doppio in sen tra- [ veggo 

[bocchi j Che Amor,cheda virtù nasce,è immortale. 
Stretta avea l'u uà insieme a l*al tra pai ma; Farano, ymot^e \i, 

E a l'alto i lumi da pietà sì tocchi 


SFCOLO DECIMOTTAVO iOl 

E fa due solchi a le vermiglie gole; [de, 

CLIII. La gara pastorale . Ma,pcrchè dentro il core amor non chiù- 
Smarrita spesso fra le ninfe tace; 

PILLI Ch*odian le ninfe le sue voglie crude. 

Io ferma son,poicbc un avverso nume filli 

Copri di crudo gelo e d'orror cieco * L'olmo a le viti, il muro a l'edra piace, 

Dafni, che al viver mio fu scorta e lume, A i muti pesci i cristallini umori, 

Di serbargli la fé. Questa ehbc meco Ed al mio cor la libertà e la pace. 

Indivisa vivendo; e sia mio vanto glori 

Ch'ei l'abbia in Stige eternamente seco. L'erbe piaccion a Tagne, a l'api i Bori, 

Poi libertà miccara,e aTombreacanto, T.e tepide nigiade al fiore e aTerba, 

Mio ^acer solo è sceglier fìor da fiore, Ed al mio cor i languidetti amori. 

E innamorar i pinti augei col canto. filli 

GLORI Io piglio, quando maggio i prati inerba. 

Lingua che sdegna ragionar d'amore , Fra i varii grilli, quel che allarga e preme 

Oh ! sarà dolce inver, dégna che mova L'ali, e ne trae la melodia più acerba; 

1 sassi ad ascoltarla, e gl'innamorc. Poi men vo fra i pastori, e colPestrelme 

FILLI Labbra tanti gli do baci, che alfine 

Sarà dolce cosi, che, se a la prova Ognun d'invidia ne sospira e freme. 

Meco verrai, queste mie nere chiome glori 

Adornerò d'una ghirlanda nova. Iopiglio,qnando il di giunge al confine, 

glori Le lucciole ne' prati ampii ridotte , 

Io pronta sono a gareggiar. Ma come E, come gemme, le comparto al crine; 

Saprem dì chi più dolce il canto suona? , Poi fra l'ombre da'rai vivi interrotie 

Ecco un p^stor. Chiamalo tu per nome. Mi presento a i pastori, e ognun mi dice: 

filli ^ elori ha le stelle al cria come ha la Notte. 

Qual da noi due più eletto stil risuona, filli 

Giudica tu, Dameta, • siedi al rezzo. Odi quel rosignuol su la pendice, 

I^ lite è il cantone il premio una corona. Che del visco, ove cadde, ancor si lagna, 

dametjì e io mlserabil metro il canto elice. 

O bellissime ninfe, io sono avvezzo glori 

A giudicar de l'armonia de i carmi, Odi quel calderin che l'accompagna, 

K a voi giusta darò la lode e il prezzo. E il visco benedice, in cui s'avvenne, 

ncominciale. Io qui m'assidoai marmi Ch'ivi trovò la dolce sua compagna. 

Che fan b'ase a ladea. Le frondi el'acquc filli 

Ad ascoltarvi inlente esser già parmi. Jcr mi sdgnai che mille l^ianche penne 

FILLI Eranmi nate al dorso, e che dal polo 

Libertà pria d'amor ne l'alma nacque, Un vcnlii;el quaggiù rapido venne, 

E fra' pastori crebbe e pastorelle Che leve leve m'innalzò dal suolo; 

Semplice e pura; e libertà mi piacque. E udii de gli astri il suono, e vidi il giro. 

GLORI Oh amica libcrtade ! oh dolce volo! 

Amor discese in noi da l'alte stelle: glori 

Ei sol regge quest'alma, e la con.sigifa, Jer mi sognai che mi premean in giro 

K m'empie il cor d'immagini più belle. Tanti lacci di fior, che il core appena 

FILLI Potea pel gran calor sciorre un sospiro; 

Cleri ha biondi i capei, bionde le ciglia, E che per alleviar la mia catena 

E i languid' occhi del color del mare, Mifacea vento Amor battendo Tali. 

E il roseo volto che a l'alba somiglia ; Oh amica servliude ! oh dolce penai 

Ma perche oudre in sen le fiamme ama re, filli 

Co'sospir tronchi e con le luci immote l^tQo Pandora il vaso, onde a i mortali 

Spesso, con fusa iufra le ninfe appare. Nembo d'affanni eternamente piove , 

GLORI E Amore il primo usci fra tanti mali. 

Filli ha il volto seren, gravi le note, glori 

E nel bel riso neri occhi socchiude, Pur questo male ancora piacque a Giove, 


102 Cr.ESTOMAZIA 

Ola per amor dal rielo, ov*ei soggiorua, 
Scese, e vestì forme terrene e nove. 

FILLI 

Tu d'amor canti, e sai che d'arco adorna 
'l'ode la casta Dea che ad Alleone 
Fé per fallo minor nascer le corna. 

CLOEI 

S'io d'amor canto,aI mio cantar pcrdone 
La casta Dea che pose in Latmo il piede 
Per vagheggiar l'amato Endimione. 

FILLI 

Verdi prati, alte selve, opaca sede 
De le Drì'adi care a i numi agresti, 
Chiare, fresche acque, voi fatemi fede. 

Ch'io lìbera anteposi errar per questi 
Fioriti poggi, e in taci t'ozio ameni, 
A quante Amor tenere gioje appresti. 

CLORl 

Eterno Sol, che il giorno a noi rimeni, 
Acr azzurro, amiche aure giulive, 
Nubi dipinte da i raggi sereni, 

Fatemi fede voi che il cor non vive 
Scevro d'affanni, e pace unqua non ave. 
Se d'amor non ragiona, o pensa, o scrive. 

FILLI 

Soave geme tortora che pavé. 
Soave il cigno che il suo fato molce: 
Ma il tuo bel canto, o Clori, è più soave. 

GLORI 

È dolce il mele che ogni labbro addolce, 
Dolce raccolto appena il bianco latte ; 
Ma il tuo bel cauto , o Filli , è assai più 

[ dolce. 

DAMETA 

Ninfe, a voi cede Orfeo, da cui fur tratte 
A l'armonia le belve ; e la siringa 
Pan vinto appende a l' odorose fratte. 

A voi cede il gran Dio ch'ebbe raminga 
Pastoral forma, e fé presso ad Anfriso 
Dolce sonar Totrea rupe solinga. 

M'avea il bel canto sì da me diviso, 
Che innanzi l'ore al morir mio prescritte 
Esser credea nel fortunato Eliso. 

Nessuna vinse, ed ambe siete invitte. 

ramno, e^doga II, 

CLIV. L'età provetta. 

Volano i giorni rapidi 
Del caro viver mio, 
£ giunta in sul pendio 
Precipita l'età. 

Le belle, oimc, che al fingere 
Han lingua così presta , 


POETICA 

Sol mi ripelon questa 
Ingrata verità. 

Con quelle occhiate mutole. 
Con quel contegno avaro. 
Mi dicono assai chiaro: 
'Noi non siam più per te. 

E fuggono e folleggiano 
Tra gioventù vivace, 
E rendqn vi loquace 
L' occhio, la mano e il pie. 

Che far? degg'io di 'lagrime 
Bagnar per questo il ciglio? 
Ah no: miglior consiglio 
E di goder ancor 

Se già di mirti teneri 
Colsi mia parte in Guido, 
Lasciamo che a queUido 
Vadi con altri Amor. 

Volgan le .spalle candide. 
Volgano a me le belle : 
Ogni piacer con elle " 
Non se ne parte altìn. 

A Bacco, a l' amicizia 
Sacro i venturi giorni. 
Cadano i mirti, e s* orni 
D' ellera il misto crin. 

Che fai su questa cetera , 
Corda che amor sonasti? 
Male al teuor contrasti 
Del nnovo mio piacer. 

Or di cantar dilettami 
Tra' miei giocondi amici, 
Augurii a ior felici 
Versando dai bicchier. 

Fugge la instabil Venere 
Con la stagion de* fiori ; 
Ma tu. Lieo, ristori 
Quando il dicembre uscì . 

Amor con 1' età fervida 
Convien che si dilegue * ; 
Ma l'amistà ne segue 
Fino a l'estremo dì. 

Le belle, ch'or s'involano, 
Sebi fé, da noi lontano; 
Verranci allor pian piano 
Lor brindisi ad offrir. 

E noi, compagni amabili. 
Che far con esse allora? 
Seco un bicchiere ancora 
Bevere; e poi morir. 

Panni: 

'Dilegui. 


SECOLO DKClMOTiyiVO 


d05 


CLV. La caduta. 

andò Orìon, dal cielo 
nando, imperversa, 
ggia e nevi e gelo 

la terra ottenebrata versa; 
! spinto ne la iniqua 
ìae, infermo il piede, 

fango e tra l'obliqua 
de*carri la città gir vede; 
per avverso sasso, 
a gii altri sorgente, 
lubrico passo, 

> il cammioo stramazzar sovente, 
e il fanciullo, e gli occhi 
gonfia commosso, 

cubitoo i ginocchi 
)rge,o il mento, dal cader percosso 
i accorre; e, oh infelice, 
len crudo fato 
) vate! mi dice; , 
10 ndo il parlar, cinge il mio lato. 
1 la pietosa mano, 
zrra mi toglie; 
ippel lordo, e il vano 
[, dispersi ne la via, raccoglie, 
ricca di comune 
, Ih patria loda; 
blime, te immune 

> da tempo che il t uo nome roda, 
ama gridando intorno; 
lolesta incita 

ler fine al Giorno, 
i cercato a lo stranìer ti addita: 
ecco, il debii fianco 
ni e per natura, 
1 suolo pur anco 
lannostrascinandoe la paura: 
1 si lodato verso 
occhio ti appresta, 
salvi a traverso 
ii dal furor de la tempesta. 
;nosa anima, prendi, 
novo consiglio; 
à canuto intendi 
attrarre a più fatai periglio. 
;iunti tu non hai, 
liche, non ville, 
far possan mai 
na del favor preporre e mille. 
|ae per Terte scale 
[)ica qual puoi, 
atrii e le sale 


Ogni giorno ulular de*pianti tuoi. 

O non cessar di porte * 
Fra lo stuol deVlienti, 
Abbracciando le porte 
De grimi che comandano a i potenti; 

E lor mercè, penetra 
Ne' recessi de' grandi; 
E sopra la lor tetra 
Noja gli scherzi e le novelle spandi. 

O, sé tu sai, più astuto, 
I cupi sentier trova 
Colà dove nel muto 
Aere il destin de*popoU si cova; 

E fingendo nova esca 
Al pubblico guadagno, 
L'onda sommovi, e pesca 
Insidioso nel turbato stagno. 

Ma chi giammai potria 
, Guarir tua mente illusa, 

trar per altra via 

Te ostinato amator de la tua musa? 

Lasciala: o, pari a vile 
Mima, il pudore insulti. 
Dilettando scurrile 

1 bassi g<*nii dietro ai fasto occulti. 

Mia bile alfin, costretta 
Già troppo, dal profondo 
Petto rompendo, getta 
. Impetuosa gli argini; e rispondo: 
Chi se'tu, che sostenti 
A me questo vetusto 
Pondo, e l'animo tenti 
Prostrarmi a terra? Umano sei; non giu- 
Buon cittadino, al segno [sto. 

Dove natura e i primi 
Gasi ordinar, lo ingegno 
Guida così, che lui la patria estimi. 

Quando poi d*età. carco 
Il bisogno lo stringe. 
Chiede opportuno e parco. 
Con fronte liberal, che l*aima piago. 

(:J se i duri mortali 
A lui voltano il tergo, 
Ei si fa, contro a i mali, 
Ne la costanza sua scudo ed usbergo. 

Né si abbassa per duolo. 
Ne s'alza per orgoglio. 
Così dicendo, solo 

Lascio il mio appoggio, e bieco indi mi 
Così, grato a isoccorsi, [ toglie. 

Ho il consiglio a dispetto: 
E privo di rimorsi, 
Con dubitante pie, torno al mio tetto ; 
' PortL f urini* 


iOA 


CRESTOMAZIA POETICA 


CLVI. Jl pericolo. 


Invano, invan la chioma 
Deforme di caniue» 
E l'anima ^à doma 
Da i casi, e fatto rigido 
11 senno da Tetà, 

Si crederà che scudo 
Sian contro ad occhi falgidi, 
A moLil seno, a nudo 
Braccio, e a Paltre terribili 
Arme de la beltà. 

Gode assalir nel porto 
La contumace Venere; 
E, rotto il fune e il torto 
Ferro, rapir nel pelago 
Invecchiato nocchier; 

E per uovo periglio 
Di tempeste, a l^arbilrio 
Darlo del cieco figlio: 
Esultando^ con perfido 
Riso, del suo poter. 

Ecco, me di repenl<». 
Me slesso, per rundeeimo 
Lustro di già scendente. 
Sentii vicino a porgere 
Il pie servo ad Amor: 

Èenchè gran' tempo al saldo 
Animo invan tentassero 
Novello eccitar caldo 
Le lusinghiere giovani 
Dfl. mia patria splendor. 

Tu da i lidi sonanti 
Mandasti, o torbid' Adria, 
Chi sola de gli amanti 
Potea tornarmi a i gemiti 
E al duro sospirar: 

Donna d'incliti pregi 
Là fra i togati principi, 
Che di consigli egregi 
Fanno l'alta Venezia 
Star libera sul mar. 

Parve, a mirar, nel volto 
£ ne le membra Pallade, 
Quando, l'elmo a sé tolto, 
Fin sopra il fianco scorrere 
Si lascia il lungo crin: 

Se non che a lei d'intorno 
Le. volubili Grazie 
Dannosamente adorno 
Kcndeano a i guardi cupidi 
L'almo aspetto divin. 
Qual se, parlando^ eguale 


A gìgli e rose il cubito 
Molle posava! quale 
Se improvviso la candida 
Mano porgea nel dir! 

E a le nevi del petto 
Chinandosi, da i morbidi 
Veli non ben costretto, 
Fiero de l'alme incendio 
Permetteva fuggir! 

Intanto il vago labro, 
E di rara facondia 
E d'altre insidie labro. 
Già modulando i lepidi 
Detti nel patrio siion. 

Che più? da la vivace 
Mente lampi scoppiavano 
Di poetica face, 
Che tali mai non arsero 
L'amica di Faon, 

Ne quando al coro intento 
De le laueiuUe lesbie 
L'errante, violento, 
Per le midolle fervide 
Amoroso vele». 

Né quando Io interrotto 
Dal fuggitivo giovane 
Piacer cantava, sotto 
A la percossa celerà 
Palpitandole il sen. 

Ahimè, quale infelice 
Giogo era pronto a scendere 
Su la incauta cervice. 
S'io nel dolce pericolo 
Tornava il quarto dil 

Ma con veloci rote 
Me, quantunque mal docile. 
Ratto per le remote 
Campagne il mio buon Genio 
Opportuno rapi. 

Tal che in tristi catene 
A i garzoni ed al popolo 
Di giovanili pene 
lo canuto spettacolo 
Mostrato non sarò. 

Bensì, nudrendo il mio 
~ Pensier di care immagini. 
Con soave desio 
Intorno a l'onde adriache 
Frequente volerò. 

Paritù' 


SECOLO DECIMOTTÀVO 


jOi 


LVII. Da piccoli e remoti pr incipit 
gli animi divengono facilmente 
inumani. 

Lascia, mia Silvia ingenua, 
Lascia cotanto orrore 
A Taltre belle slupitle 
E di mente e di core. 

Ahi, da lontana origine, 
Che occultamente nuoce, 
Anche la molle giovine 
Può divenir feroce. 

Sai de le donne esimie 
Onde sì chiara ottenne 
Gloria Tanlico Tevere, 
Silvia, sii tu ch(» avvenne? 

Poi che la spola, e ii frigio 
Ago, e gli studi i cari 
Mal si rfcaro a tedio, 
£ i pudibondi lari, 

E con baldanza improvìda. 
Contro a gli esempii primi, 
Ad ammirar convennero 
1 saltatori e i mimi; 

PriartoUeraron facili 
1 nomi di Tereo,' 
E de la maga colchica, 
E del nefario Atreo; 

Ambito poi spettacolo 
A i loro immoti cigli 
Far ne le orrende favole 
I trucidati figli. 

Onde perversa Tindole, 
£ fatto il cor più fiero, 
Del finto duo! già sazio, 
Corse sfrenato al vero. 

E là dove di Libia 
Le belve, in guerra oscfena, 
Empiean d*arli e di fremilo 
E di sangue l'arena. 

Potè a Talte patrizie, 
Come a la plebe oscura, 
Giocoso dar solletico 
La soffrente natura. 

Che più? baccanti, e cupide 
Di più nefando aspetto, 
Sol da l'umau pericolo 
Acuto ebber diletto: 

E da i gradi e da i circoli, 
Co*moli e con le voci 
Di già maschili, app'ausero 
A i duellanti atroci; 

Creando a se delizia 


E de le membra sparfe, 
E de gli estremi antliti, 
E del morir con arte. 

Copri, mia Silvia ingenua^ 
Copri le luci, ed odi 
Come tutti passarono 
Licenziose i modi. 

Il gladiator, terribile 
Nel guardo e nel sembiante, 
Spesso fra i chiusi talami 
Fu ricercalo amante. 

Così, poi che da gli animi 
Ogni pudor discìolse, 
Vigor da la libidine 
La crudeltà raccolse; 

Indi a i veleni taciti 
Si preparò la mano, 
Indi le ifladri ardirono 
Di concepire invano. 

Tal da Une principio 
In fatali rovine 
Cadde Tonor, la gloria 
De le donne latine. 

Parinif odeaSiUié* 

ClVllL lodi del sonno . 

Gi4 molte cose e molte sopra '1 sonno 
Furono dette in prosa e In poesia, 
Che ne gli autori leggere si ponno, 
E se ne dicon molte tuttavia; 
Che sia cosa cattiva alcuni vonno. 
Cosa buona altri vogliono che sia; 
Altri ne dicon bene ed altri male, 
A misura del loro naturale. 

Del sonno d'ordinario suol dir bene 
Chi a dormir molto sentesi inclinato; 
E da color che dormon poco, viene 
Il sonno per lo più vituperato: 
Siccome appunto de le donne avviene, 
Son lodate da chi n'è innamorato; 
E color che non san che cosa farne. 
Le sprezzano, e son soliti a sparlarne. 

Altri il sonno chiamò .sommo'dilrtto 
Ristoratore de la stanca vita: 
De*graziosi Dei dono perfetto, 
De'mali dolce obblio, requie gradita. 
De le cure sollievo: ed altri ha detto 
ChVgli ha dal mondo ogni virtùsbandita, 
Ch'è fratel de la morte: e v'ha chi dice 
Ch'è figliuolo de l'Èrebo infelice. 

Altri ha detto che l'uom sano m.intiene, 
Echp agl'infermi è un gran medicamento: 
Altri dice che '1 sangue ne le vene 


106 CRESTOiMAZrA POF.TICA 

Ingrossa, e il rende al moto tardo e leni i. Non si commefterian da le persone 

10 non so tatit** cose, ma so bene Tante ribalderie, tanti peccati 

Che quando dormo, libero mi sento Ma non si farian poi tante opre buone, 

D'ogni noja e travaglio, e non vorrei Ne ci sarebber tanti letterati, 

Che nessuno rompesse i sonni miei. Tanti bei libri d'erudizione, 

11 sonno ad ogni cura, ad ogni male, Tanti altri beni non sarieno al mondo: 

Se non dà pace, almendàqualche tregua: Sento che dite; ed io cosi rispondo, 

Quando su gli occhi nostri spiega Tale, Rispondo che oggidì, signori miei, 

Da noi parte ogni duolo e si dilegua: Sono assai rari gli uomini dabbene, 

£, come lasciò scritto un ser cotale, Gli uomini dotti; e sono i tristi e i rei 

Le altrui disuguaglianze il sonno adegua: £ gl'ignoranti più che nop conriene: 

E quando io dormo, sono somigliante E de le donne, io quasi giurerei 

A un gran signore,a un principe regnante. Chf si faccia da lor più mal che bene: 

Anzi di lor più fortunato io sono. Onde, se si dormisse tutto Tanno, 
Che n(m mi turba il sonno un timor vano Sarebbe assai più Tutite che '1 danno. 
Ch'altri m'usurpi la mogliere, o *1 trono, N'eccettuo quelle poche, ov ver qu e* po- 
li che guerra mi mova il grjin Soldano. chi 
I sonni miei non rompe iÌTauco suono Che hanno la mente ad un bel fine inlesa, 
Di fiera tromba, o altro rumore strano: Che non passano Tore in tresche e in giochi. 
Mi rende sol le notti men tranquille Ma sopra i libri, o inqualche illustre ira- 

11 suon talor de le devote squille. [presa: 
Che se talvolta qualche immagin tetra Di questi non sen trova in tolti i lochi, 

L'uomo dal sonno mal contento desta, Che troppo rara la virtù s'è resa: 

Quante altre volte in sonno ei fende l'etra. Questi han da dormir poco al jiarer mio;* 

Quante volte si trova a una gran festa? Se fossi tal, dormirei poco anch'io^ 

Or trova argento ed oro, o ricca pietra; Passeibniy GiceroBe. 

Ora si sente una corona in testa: r«nv- a j-^x j* -•--««#.• j» 

E molte altre veoture spesso s'hanno. C'^- «<"•<*•*'* <*» «"^*« *""** ^* 

Quando si dorme, con soave inganno. persone. / 

Io però non mi son mai maritato, Pochi sordi or vi son, ma tanti t tante 

Per dormire i miei sonni in santa pace: Fanno a un bisogno orecchi da mercante. 

E *1 medico non fo, né l'avvocato, Quanti e quante, poichcliannoriceTnlo 

Ne 'l ladro, per dormir finche mi piace: Con promesse e con più di un ginrameuto 

E quando per esempio ho ben cenalo, Un favor segnalalo, e hanno ottennio 
Mirabilmente il sonno si con face 


Con tuo grave disagio il loro intento; 
Se hai bisogno da lor di qualche ajuto, 


Al corpo mio, che subito si sdraja 

Sul letto; e poi lascia bajar chi baja. Tu puoi chiamarli cento volte e cento, 

E mi sovvien d'avervi recitala Che la tua voce sparsa va per l'etra , 

Sopra '1 sonno una certa filastrocca. Né de gli orecchi il timpano penetra. 
Che quando un poco più fosse durata, O, se vi giunge a stento qualche volta, 

Sebbene 11 dirlo forse a me non tocca, Entra per una, esce per l'altra banda: 

S'addormentava tutta la brigata: Più d*un di loro estatico t'ascolU, 

E mentre io non sapea chiuder la bocca. Che non giunge a capir la tua domanda. 

Gli altrfm'accorsi che chiudevan gli occhi, E, se pur la capisce dopo molta 

E col capo accennavano a i ginocchi. Fatica, in pace per lo più ti man U: 

Forse qualche selvatico dottore, Se chiedi ajuto, egli ti dà consiglio 

Chi dorme, mi dirà, non piglia pesce: Con ruvide parole e altero ciglio. 
Questo a me, che non faccio '1 pescatore, Quanti che ne la lor bassa fortana 

Non imporla mente e non incresce; f'udivan volentieri e faci! mente; 

Massime che già disse un altro autore: Giunti in alto, fan poi come la lana. 

Fortuna, e dormi: il che a molti or riesce: Che le parole altrui non cura o sente: 

E poi chi dorme, il prossimo non secca; La tua vo<e a costor sembra importuna; 

E finalmente chi dorme non pecca. E mentre con lui parli umilemente, 

E, se fossimo sempre addormentati, Non ti degnan tampoco d'qaa sola 


SECOLO DECIMOTTAVO 10l 

Benigna occhiata, of^ur d^una parola. Quando V avemmaria voi recitate.* 

Ti chiamano indiscreto e seccatore, E talvolta, per non incomodare 

Se i tenpigià preteriti ricordi: Il can che russa, voi non vi :;egnate; 

Se tu chiedi da lor grazia o favore, E fate cose taU, che mi pare 

Non ti conoscon più questi balordi: €he col Petrarca dir voi pur possiate: 

Grida pure, se sai, fa pur romore, Questo m' ha fatto meo amare Iddio, 

Che, se noi son, costoro fan da sordi: Ch* io non doveva, e me porre in obblio. 
£ non v'è, lo Speroni solca dire, PiovonvI amare lagrime dal volto, 

Sordo peggior di chi non vuol sentire. Donne , e vi veggio co le guance smorte. 

Co gli uomini superbi e co griograli, Le vostre smanie e le querele ascolto , 

Co* cortigiani, i quali del padrone £ del ciel vi dolete e de la morte: 

Godon la grazia, e co gl'indebitati, Ah forse uu figlio,o ilgenitor v*ha tolto? 

£ co'somari, e simili persone, O forse v'ha rapito il buon consorte? 

£ finalmente co gl'innamorati, Io mi vergogno a dire la cagione 

Se non ti hi sentir con un bastone, Di questa vostra desolazione ; 
Tu puoi gracchiare e stridere a tua posta. Io mi vergogno a dir perche piangete. 

Che fanno i sordi e non ti dan risposta. £ siete quasi dal dolore insane ; 

PasseroiU, Cicerone. Ma '1 dirò pur: voi, donne, vi dolete 

Per la morte d' un vostro amato cane 

CLX. Amore verta i cagnolini» £ pure il lume di ragione avete , 

Almeu suppongo, e siete pur cristiane. 

Quasi ogni donna oggi vuole il suo cane, £ siete donne di qualche saviezza : 

£ Io vuol di Parigi, o di Bologna, Chi crederebbe in voi tal debolezza? 
O ài Malta, o d'altre isole lontane; Voi che la morte di più d' un amico, 

£ molte u'han tre, o quattro,se bisogna; £ forse forse di più d' un parente 

£ taluna di lor che non ha paue. Avete intesa, ed io so quel che dico. 

Non ha pan da mangiar, non si vergogna O donne , ad occhi asciutti, o veramente 

Di far patir la hme a'figtiuolini. Avete pianto un po' per uso antico, 

Per mantener il cane a biscottini Ma breve fu quel pianto ed apparente , 

Quelle poi che non hanno carestia Ur per un cane fate tante smanie, 

Delieni di fortuna, un poverello Tanti lamenti ed altre cose stranie. 
Potrebber mantenere, e sai mi sia. Voi senza il cane non sapete stare 

Comodamente, ed anche due, con quello Un giorno, e i mesi con allegra faccia 

Che spendono ne'cani: e, in fede mia, • State senza il marito ; e non mi pare 

È cosa da far perdere il cervello Che questa cosa troppo onor vi faccia. 

Il veder tanti ignudi e mal pasciuti. Ma tra marito e mogUc io non voVntrare, 

£ tanti cani così ben tenuti. Che non e cosa che mi sì confaccia; 

Fareste meglio a spendere pe'vostri Ne voglio far l' ufficio del demonio, 

Figli,oinqualch'altraco$apiùimportante Mettendo mal nel santo matrimonio. 
Quel chespendete, o donne, a'giorni nostri V^oi de l' amato vostro cagnnolino 

In bestie ,che in fin d'anno è un bel contante: V'accomodatie ad ogni impertinenza, 

Fareste meglio, senza ch'io vel mostri, £ discacciate un povero bambino 

A risparmiar, se il ciel vi faccia sante. Senza cagion da la vostra presenza: 

Quel, che gettate via senza giudizio, Volete il cane sempre aver vicino, 

Ch'un giorno forse vi farà servizio. Co' tìgli non ci avete pazienza: 

Se talora voi fate orazione, £ lasciate di lor la cura altrui, 

Avete in braccio il vostro cagnolino, Fidandovi, Dio sa, donne, di cui. 
11 qual vi rompe la divozione, E mi sovviene appunto d'un bel detto 

E la rompe sovente anche al vicino: D' Augusto ad una dama che tenea 

Se ascoltate una messa, od un sermone, Adagiato sul grembo un cagnoletto , 

Badar solete al cane ogni tantino, Al qua! vezzi e carezze ella facea: 

£ disattente scorgovi a le note, Le chiese Augusto , se alcun pargoletlu 

Arrossisco per voi, del sacerdote. O alcuna figlia in casa non avea; 

Non v'osate né meno inginocchiare. E, ad una tal domanda inaspettata. 


t08 CRESTOMAZIA roriicA 

Quella donna restò morlificala. Donne, cliè amore in voi troppo potante 

Ben s' accorse costei clic con modestia Certi occhiali vi mette amor sul naso, 

Riprender la voleva rpiel regnante, Con cui quel che non è vi fa vedere; 

Porcile più cura avrà d' una vii bestia K quel ch'è veramente, non e* è caso 

E pili diletto che d' un proprio infante. Che veder voi vogliate, e, se sincere 

A le donne io non vo' dar più molestia; Ksser poteste , io sono persuaso 

Ma dico ben che vi son tante e tante Che direste che amor vi fa parere 

Femmine in queslo secolo corrotto, Verdi, dirò rosi, le cose rosse, 

Cui potria farsi un slmile rimbrotto. Grandi le lievi, e piccole le grosse. 

Le quali son talvolta disumine Un che racconta mille insulse fole, 
Col loro sangue, o almen sono indolenti, A voi pare un uom lepido e vivace: 
K per un cane, eh' e poi sempre un cane, Uno che non sa ilir quattro parole , 

S*anpiisliano e si dan mille tormenti : Da voi si chiama un uomVhe pensaetart: 

Si cavano per lui di bócca il pane, Uom cortese da voi chramar si suole 

K caveriansi, sto per dire, i denti: Un vile adul.itor, perchè vi piace: 

Lo voglion seco fin nel letto, e spesso Uno che lussureggiia a tutto pasto, 

Man^ian col cane ad un piattello stesso. Amor vcl fa parere un uomo casto. 

Passerotti, Cicerone. Quanti perdigiornate e quanti sciocchi 

Pajon più dotti a voi del Dottrinale: 

CLXI. Sopra i qiudizii che si fanno '^ questo avvien perchè per que' capocchi 

d^i di felli altrui. È guasta in voi la virtù visuale: 

Quella benda levatevi da gli occhi 

Scnia vìrii non nasce alcun mortale. Che avete per quel tale o per la tale, 

Kd ottimo e colui che gli ha leggieri: Quegli occhiali levatevi e quet panno, 

Così disser già Orazio e Giovenale, E allor conoscerete il vostro inganno. 

E i detti loro sono più che veri; E se alcune df voi giammai fur cotte 

E mi contenterei, per manco male\ Per mi che ad esse- andava molto a verso. 

D'averli lievi anch' io ben volentieri: Se con lui poscia venni ro a le rotte. 

Ma gli ho pesanti e grossi, e, quel eh' è Sarà paruto lor coei diverso, 

[ peggio, Come diverso è il giorno da la notte; 

Benché grossi e pesanti, io non li veggio. Ed è vero verissimo quel verso 

Il die non solamente a me succede, Che dice che non v' è giudizio vero, 

Ma succede fors' anche a tutti vui ; Giudizio sano, ove Amor tien l* impero. 

Che Giove due valigie a l'uomo diede: E siccome d'amor disordinato. 

Quella eh' è piena de' difetti sui Amano molte madri i pargoletti, 

Gli sta dietro le spalle, e non la vede; Quindi è che non ponno essere in istatb 

Ma vede ben quella de'vizii altrui. Di giudicar de' varii lor difetti: 

Perchè questa gli pende innanzi al petto^ E tal figlio lor par ben allevato, 

E in lei vede de gli altri ogni difetto. E par maraviglìoso in fatti e in delti, 

Quindi vien che ci son tanti censori, Ripieno di virtù, che d' ordinario 

Tanti superbi e tinti farisei. E pien di quel ch'è ala virtù contrario. 

Io del prossinrK) mio vedo gli errori. Passeroniy Cic«roDe. 
E vedon gli altri i mancamenti miei: 

Vede ri padrone que* de' servitori, CLXII. Sopra la forza e f V inganni 

I servidor que' del padrone , e quei che alcuni uaano alte figliuole (ir- 

Del marito la moglie, ed il marito ca la elezione dello stato. 
Que' de la moglie, e così in infinito. 

Un'altra cosa inabili ci rende, Elvia nel tempo di sua gioventute 

Siccome d'aver letto mi sovviere, Poleva avere almeno cinque o sei 

A vedere non sol le nostre mende, (Concorrenti; ma fu per sua* salute 

Maqnelleancor di quei cui vogliambenc, Nemica capital de' cicisbei: 

Perche la vista amor co le sue bende Pur, visto Marco pieno di virtute , 

Mirabilmente ad ingombrar ci viene : Ella di lui s'accese, egli di lei: 

£ rio succede in voi più facilmente, Lo scelse per marito, ed i parenti 


i 


SECOLO DrClMOiTAVO 400 

De la sua scelta fiiroiio contenti, Che starà meg'iocheuna prìijcipes»^, 

Pensale uu (lOCo, padri di famiglia, Che non avrà i fastidii, uè le duglie, 
Se coVi s* usa ancora al tempo nostro: Ne i disagi di chi diventa moglie. 
lo sento dir che, se avete una figlia, Lp. mettono in orrore il matrimon io: 

Volete maritarla a modo vostro; Dicono, screditando il viril sesso , 

E non guardate poi se a lei somiglia Che son tutti d' un pel, tutti d*uu conio 

Lo sposo, o s'egli e un asino od un mostro; I mariti ed i giovani d'adesso: 
Se uguali sien tra lor, se l'uno vada Le dicono che il mondo ed il demonio, 
De l'altro a sangue, a ciò no» vi si bada. II che per altro oggi succede spesso. 

Sento dir che il marito a lei scegliete, '^ «"•'^ marito e moglic/Pcaccia le corna, 
Non co le sue, ma co le vostre mire : E la pace e il piacer da lor distorna. 
Che il vostro genio consultar solele: Pjssoroni, Cicerooe. 

^e a voi lo sposo aggrada, io sento dire 

Che il nodo ir tatlo; e pur voi non avete CLXllI. Sopra i mnsici. 

Ne da vegliar con lui, né da dormire; 

E non avete mica ad ess^r dui L'udir cantare ascoso fra le fronde 

In una car^e, o gcnitor, con lui. D'ombrosa pianta l'usignuol selvaggio, 

Sento dir che, se trovasi uno sposo E la calandra udir, che gli risponde 
Che si contenti d' una scarsa dote. Per le rime nel suo dolce linguaggio, 

Allor si stringe il laccio doloroso, Ci fa obbliar le cure alte e profonde, 

Che altri che morte sciogliere non puotie: E a l'allegrezza ci fa far p issaggio. 
Al più cercate che sia facoltoso, Meglio che i nostri mu>ici non fann o, 

Cercate quanto a Tanno egli rbcuote; E ci sgombra dal cor qualunque affa nno. 
Quasi bastasse a rendere contento Non dico che la musica non sia 

D' una ragaz^ il cuor l' oro e 1* argento. Un rimedio , un antidoto possente, 

E voi sapete ben che ciò non basta. Per discacciare la malinconia, 
E la mettete in ungran brutto imbroglio: Massime quando è un musico eccellente : 
IVIai se acconsente, e peggio se contrasta. Ma de gli uccelli il canfo e l' armonia 
Che vien sempre ad urtare in uno scoglio: Altrui solleva forse più la mente ; 
E talor si risolve a viver casta, E di loro messer Francesco ha detto. 

Per disposizione e per cordoglio: Ch'alzan da terra al ciel nostro intelletto. 

Si chiude in una cella, bendic ne abbia Vero è che, udendo degli uccelli ilcan- 
Poca voglia , ed uccel Aon sia da gabbia. N<m s'intende una sillaba, un accento, [tu, 

E più d' un padre ancor con fìnto zelo Ma tu, lettor , se il ciel ti faccia santo , 
In questa gabbia , anzi prigione oscura Quando a un musico stia ben bene attento, 
( Quando vi penso , al cuor mi corre un Credo, ne intenderai giusto altrettanto; 
Col pretesto di renderla sicura Cgclo) lo d'ordinario un certo romor sento, 
In questa valle, e di stradarla al cielo, Ma non giungo a capire una parola. 
L'incauta figlia di cacciar procura; Per quanto egli apra un musico la gola. 

HI quando ella è ingabbiata, non le giova Gli uccelli almeno non si fan pregare, 
Il dir: mi pentole molte il san per prova. Come fanno oggidì molti cantanti, 

Meglio quasi saria tirarle il collo , Che, prima che s* inducano a cantare, 
Dio mei pardon!, come fa il villano. Si fanno strapazzar da' circostanti: 
O la massara spesso con un pollo. Ma, se tu mostri avere altro che Care, 

Che u^ar con essa un atto sì inumano: O fingi non curar de' loro canti, 
£ pure da taluno, ed io ben sollo, Allora sì che, come dice Orazio, 

li. da taluna per rispetto umano, T: rendono cantando stucco e sazio. 

Se non si sforza, almeno si consiglia Basta che tiri loro una sassata , 

Sovente a farsi monaca una figlia. Se t'annojan gli augei, che l'armonia 

Comincian da la sua più verde etade E la musica è bella e terminata. 
Ad invaghirla, con qualche promessa, Che tacciono in queb punto, e vanno via; 
Delchiostro, benché il chiostro non le ag- Il che non si può far da la brigata 
Le dicon che sarà madre badessa; [grade: Co' musici: sebbene a l' età mia 
Che soa meo dritte al elei tutte altrc:>Irade; Multi di lor ii tiran dietro i sasii, 


•JIO CRESTOMAZIA POETICA 

Quai nuovi Orfei, lontan due mila passi. Un dramma musical ySupcri>aniente 

Quando La dato no uccel le prime mosse Ora un* arietta, ora un recitatilo 

Al canto suo, seguendo la natura, F<ite cambiare senz* alcun motÌTO. 
Canta, senza ristar, quattr* ore grosse, E pretendete che a la voAtra serra 

bà anche più, senza caricatura: La noslr'arte, il ch'è contro la Fagìooe; 

Un musico or si fa venir la tosse, Ed una bella poesia si snerva 

Or di far mille smorfie egli procura ; Da un musico in più d*una occasione; 

Per giunta poi vuol esser ben pagalo, E parlate di noi senza riserva, j 

E cantano gli uccelli a buon mercato. E avete in «lapo tal prosunzione. 

Passa in oltre tra lor questo divario, Che giudicar di Pindo u di P^umaso 

Che gli uccelli del becco anche gentile Voi volete, benché non siate in raso. 
Di vitto si contentano ordinario. Quando ve la prendete co' poeti, 

E loro basta un cibo scarso e vile: , Voi fate uno sproposito, e fareste 

I musici aMì nostri pel contrario Meglio, credete a me, distarvi cheti. 

Tengono a l'altrui mensa un altro stile: £ d'abbassare a* detti lor ie teste:- 

Voglion mangiar del meglio che vi sia, Se uomini foste un poco più discreti, 

E dopo il pasto han più fame che pria. Quando vedete uno di lor, dovreste». 

Io non voglio però che v'offendiate, Se aveste un'oncia e mezzo di cervello, 

Virtuosi cantori e caiitatrici , Inginocchiarvi, e fargli di cappello. 
Anzi voglio, se voi vi contentate. Perchè, se ciechi afiEatto voi non siete, 

Che fra noi siamo sempre buoni amici ; Katuralmente dovreste vedere 
Che cantiamo anche noi , se voi cantate, Quàì obbligo a' poeti oggidì avete, 

Ma cantiam co le debite appendici; Che vi tengono in credito il mestiere: 

E l'arte che poetica s'appella. Senza loro cantar voi non potete 

È madre de la vostra, anzi sorella. Altro che '1 Die» trae, o 'i Miier^ni 

Sicché quasi tra noi siamo parenti. Felici voi, che coli' altrui sudore 

Quantunque in questi tempi sciagurati Sapete farvi in questo mondo onore. 
ISou ci ahbiate né men per conoscenti, Passerotii, Cicfr<we. 

Perché siete di noi più fortuuati: 

Ma questo è colpa de' signor potenti, CLXIV. Sopra t comentatori, 

£ colpa de' moderni mecenati. 

Che, per tutte appagar le vostre brame, Color che fan comeati , 

I poeti morir lascian di fame. Dove la loro mente non arriva, 

Capisco anch'io che ad un che mi diletta La interpre'tazion tiran co' denti: 

E che consola la mia mente mesta, E non v'è autor, per chiaro ch'egli scriva, 

Non dee qualche mercede esser disdetta; Che in mano di costoro non diventi 

Ma poscia s'intende acque e non tempesta: Pieu di misteri e pien d'allegoria^ 

£ tanta roba dietro a voi si getta Che il poveruom non parpiù quel di pria. 
In quest'età, che maraviglia desta: Però disse il Petrarca in flebil suono, 

j<^, se la cosa non prende altra piega, Poiché si vide un gran comento ordire: 

1 letterali puon serrar bottega. Spero trovar pietà, non che perdono. 

Pur in questo di voi non mi lamento, Che or son rimaso in tenebre e in martire: 

Perché la colpa non e tutta vostra: Quand'era in parte altr'uom da quel ch'i* 
Se vi vuol caricar d' oro e d* argento, [sooo» 

Se con voi solo liberal si mostra A dame e cavalier piacqne il mio dire ; 

Chi può spendere, io non me ne risento, Or de'comentatori assai mi doglio» fglio. 

Perché porta così quest'età nostra. Che spesso mi fan dir quel ch'io non vo- 
Ne la qual sempre hanno i miglior hoc- E m'han lasciato in tenebroso orrore, 

Adulatori, musici e buffoni. [ coni Che appena riconosco ornai me stesso; 

E, se m'avessi a lamentar , più tosto E udendo ragionar del mio valore. 

Io mi lamenterei perché sovente Meco di me mi maraviglio spesso ; 

Nel recitar, con viso franco e tosto Che dcggio far, che mi consigli, Amore? 

Voi pi storpiate i versi malamente; Come m'avete in basso stato messo ! 

E ad un poeta, poich' egli ha composto Tornatemi a. l'antico stato mio, 


f ECO! O LFXn:01 TA vo 111 

àitmi chi puòf che m'intend^io . Se avessero a difendere e salvare 

disse il Petrarca; ed io Io scuso Tutti i termini lor contraddittori ; 

in rollerà, e certo non fu poco, Avrebbero i meschini un bei che fare: 

M comentator non ruppe il muso, Questa è fatica de gli espositori, 

lan fatto parere un uom dappoco. Che ne* comenti loro han da mostrare, 

un modo sì intralciato e astruso Per quanto e'sia palpabile e palese, 

nelcomentar, che in più d*un loco, €he*I loro autoro sbaglio mai- non prrse; 
dir meglio, in cento lochi e cento Hanno da sostener, quando si tratta 

iogno essi stessi di comento; D' uno scrittor cui facciano il comento, 

no costoro un don particolare. Contro color che vogliono la gatta, 

uni dirsi, di saltare il fosso: Che quel buon uom non fé mai manramen- 

'oscurità qualch* ombra appare, Hanno da sostenere a spada tratta [ to: 

fermano punto e bevon grosso, Contro chiunque è dMtro sentimento, 

intorbidar le acque più chiare; Che quell'autore èil quinto evangelista, 

ine ira lor si danno addosso, £ che, se pur v*è errore, è del copista. 
mo attaccar briga, sovente Anzi han da strapazzar quelle persone, 

ricopia V altro fedelmente. ^ Le quali sono di parer diverso; 

adergranchi è in lor cosa ordinaria; E hanno da tirar giù senza ragione 

adono de' grossi, e fanno spaccio Colpi fieri per dritto, e per traverso; 

ì dottrina poco necessaria ; K con cavilli ed ostinazione, 

di ciò di cui non sanno straccio. Se si trattasse bene anche d'un verso, 

più fanno castelli in aria, Hanno da sostenere il loro autore; 

1 bei passi di Giovan Boccaccio, Peggio che se v' andasse il proprio onore, 
te, delPetrarca,a quel che osservo, Passeroui, Cicerone . 
[>erder coslor la grazia e 1 nervo. 

)lti illustri e classici scrittori CLXVl. Sopra la moltitudine dei 

lilio tenebroso adesso involve , venificatori. 

lasciati in preda da' lettori 

!, verbi grazia, ed a la polve. Oggi non si addottora ale un, che prima 

j>a solo de' comentaibri» La sua dottrina in versi non si cauti : 

dottrina spesso si risolve Senza esser messo da più d'uno in rima 

: a chi li legge una tal noja, Oggi non si marita un par d'amanti; 

anda il testo ed il comento alboja. btoiA sonetti sotto questo clima 

ton costoro in vista tutti i detti l^on fassi officio a le anime purganti; . 

or aulore ha tolti da' più degni E monaca non fassi una ragazza, 
ri, e salloil ciel se gli ha mai letti. Se in versi da più d'un non si strapazza, 
incontrano spesso i begli ingegni: Chi vergine, chi martire T appella; 

Dentato autor tutti i difetti Chi dice che non sa quel che si taccia; 

IO in vista, e scoprono i disegni; Chi dice ch'essa ha spento )a facella 

'egli disse a mezza borea appena, A Cupido, che torvo la minaccia: 

voglioD dira bocca piena. Altri, quantunque non sia punto bella, 

cono color qualche menzogna , Lodano in versi la sua brutta faccia: 

- orpello vendono per oro: Chiaman nere le chiome, che son rosse, 

n cercare quel che non bisogna; E ne sballanpur anche de le grosse, 
rsi scrittori i nomi loro Vuol vrrsi, quando vesta irsute lane 

10 poi con biasmo e con vergogna Una fanciulla , e quando si professa 

ati per grazia di costoro , E fa sonare a doppio le campane ; 

jpo curiosi, or troppo arditi, E vuol versi quand'è madre badessa : 

idice de* libri proibiti. Vuol versi quando muore un gatto, o un 
Passórotu, Cicerone, ^ [cane: 

Vuol versi un prete quando dice messa : 

V. Sopra lo stesso argomento. Voglion versi da noi le cantalrici , 

I consanguinei, gli esteti, gli amici. 
:tarebbcro freschi gli scriltori O, per dir meglio, sono cosi stglJi 


112 CRESTOMAZIA lOETICA 

Oggi i poeti e tanto poveretti Ma chi df* altro cavai non si proveJc , 

( rsoa dico tulli, ma ve ne son molti }, Faccia pur conto d'andar sempre a piede. 

Che sopra magri, sterili soggetti , Voi su questo deslrier v' aliate a volo, 

Compongon mille e mille versi sciolti, O, a meglio dir , d'alzarvi voi sognate; 

Fan canzoni, capitoli e sonetti : E a un batter d'occhio l'uno e l'altro polo, 

Flutto quel che a' nostri dì succede, Senza patir vertigini, varcate; 

Lodato in versi subilo si vede. E or mille auree venture a uu fiato salo , 

Se nasce un iiglioaqualche gran signore, Or mille mali ci profetizzate^ 

Non v' è di lodi al mondo carestia : Ma crede a' falsi astrologhi e profeti , 

Tutto Parnaso mctiesi a rumore Chi crede a' valicinii de' poeti. 

Per uno il qual non sassi ancor chi sia : Povero papa , egli starebbe fresco , 

Si profetizza che sarà dottore, Se'l loro profetar non fosse vano : 

Che saprà varie lingue, e in poesia Non fassi un cardinale , o sia tedesco , 
Sarà unuuo\o Pelr. rva,unnuovo Dante, O francese, o spagnuolo, o italiano. 

Chi poi per suadis^raziaè un ignorante. O sia prete, o de l'ordine fratesco. 

Se prende moglie un ricco cavaliere, Che non abbia a sedere in Vaticino- 

UnOrlando,uu Achille, un nuovo A jace Almen più d'un poeta se la incapa. 

Fan nascere i podi ; e aste e bandiere Sebben più vecchio e il cardinal del papa . 

Vedono tolte al già tremante Trace ; Passeroni, Cicerooc. 
Additan di nepoti immensa schiere ; 

L'uusaràchiaroiaguerrae l'altro in pace: CLXVII. Sopra la vanitàdelte cure 

E faran gli uni e gli altri in pace e in guerra umane. 
Cosechéstar nonpuonnè incielnèinter- 

^^^' Se di profondo pojzo alcun vedessi 

Nascerà , Italia, Ifalia , il tuosoccorso , Tirar su l'acqua, e per l'imbuto l'acqua 

E fioùrauno in te virtù novelle , Versare in vase sforacchiato e fesso; 

Gridano i vati , e vendono de l'orso , Non rideresti, o Mei? non gli diresti: 

Prima che preso l'abbiano, la pelle; Lascia, o meschino: quanto tu di sopra 

E portano , di penne armati H dorso , Versi ostinato, tanto esce d i sotlo? 

I nascituri eroi lino a le stelle : Sciocco lavoro! giù nel bujo inferno 

E spesso accade poi, come Dio vuole , sia di Danao a le figlia eterna pena. 

Che muojono gli sposi senza prole. Ma perchè poi, rivolto a me, pur chiedi 

K voi, poeti, avrete ancor coraggio Ch'io m'affatichi; e l'infingarda mente 

Di dir che penetrate entro il luturo ; Svegliar procuri dal suo cupo sonno; 

Di dir che in voi scende un celeste raggio, E d'Epicuro e Melrodoro gli orli 

Chevirischiaraciò che agli altri è oscuro; Si mi rinfacci? lo dopo mille e mille 

Che parlate in profetico li ngiiaggio , Perduti stenti, alfin m'adagio e dormo. 

EcheunDiorendeilvostrodirsicuro? Chi vede a volo andare ogni speranza, 
Affé, se debbo anch'io far da indovino, Disperi, e cerchi in se la sua quiete. 



Tante bestialità , tante fandonie Grave doglia sentir; vedea da lunge, 

Daraccontarsiavegghiaindìdifesta: O vederli volea, travagli e affanni: 

Non son, compagnimiei, leninfeAonie; Fra pensieri e ripari, era la vita 

Non è Febo che U suo favor v'appresta : Sempre in burrasca;emai non vedea porto. 

In voi produce assai miglior effetto , Le cortine or calai; d'intorno a gli occhi, 

tehe r onda d' Aganipp*, il vino pr*tto. Di mezzogiorno, di mia man m'ho fatto 

Dovreste essere ornai disingannali, Bujo, tenebre e uollc; e quanto veggip 

E non dovreste dir più tante insanie : Venirmi avanti, è appparimenti ed ombre. 

Lasciar dovreste omai l' orror de' fati , Or, avvenga che vuol, dormendo dico: 

Le vie de' venti e altre parole stranie ; Ecco il sogno novello. Ho detto, e passa. 

E*l Pcgasco eavallo , e i cento alati Se l'immaginativa a noi dipinge 

Dcstriar , su cui fate colonie smanie : Il fiorilo giardin, l'ombrosa selva, 


SrCOLO BFXI MOTTA VO i43 

geTole rito lo per l*crha, Medoro, che interine ha di hamhagia, 

lensa, miniera, o scena lìeta<( Vivo non vivo, e d* un bel ghigno adornai 
idei sogno: e se da monti il nembo La pellicina de le argute labbra, 
scoppia la folgore, o cometa Chi seguirebbe in questo secol saggio 
e striscia con l'ardente coda; Kusiicitadi di silvestre vita? 
rerà la visione acerba. Scese dal cielo a rischiarar gl'ingegni 

ta èia mia vita. Ah, ne'primi anni Florida Volatlade, e da l'Olimpo 
nnò'l pedagogo. Odimi, o figlio, D' Epicuro ne gli orti i grati bulbi 
studia, t* affamna e t'affatica : Piantò di nuovi fortunati fiori, 
jra farai. Chiaro intelletto Per lei siam salvi. Abbiansi laude e Home 

lanterna è la dottrina, molto D'asta e di lotta i secoli remoti; 

lacquista: essoè onoralo! e inbreve Io del far buona pelle, e del riposo. 
• brama possiede. Era menzogna : Così detto, sonnecchia. Odi, Medoro^ 
d\ colpa n'ebbi io? Tetà fu quella Lcndin dappoco: questa tua sì bella 
la garrula vecchia, a lato al foco £ discesa dal dolo Voluttade, 
?'ate credea le meraviglie, Non la conosci: non è dea che voglia 

de le trinciate melarance Molli effemminatczze ed ozio eterno, 

er le donzelle. Come più giova cristallipa tazza 

joazi, Sermone Fi, al commenda lore Piena à^\ sagro dono di Lieo, 

Cosimo Mei. Che brilli e spumi, se il palato in prima 

Punse l'arida sete; e vie più grata 
III. Contro Vozioelamoìlczza. In gargozzo affamato entra vivanda; 

Cosi miglior dietro a^ pensieri e a Poprc 
indo leggiam che Pinclite ventrajc Vien Voluttade. A noi l'olimpio Giove 
Alridi e del figlio di Pcleo Mandò prima Fatica ; e dietro a lei 

vau di buoi terghi arrostiti; L'altra poscia ne vien, ma zoppa e tarda, 

tica rozzezza! esclamiam tosto, A terger fronti, a confortare ambasce, 
ti bocchini, e stomacuzzi Ne vien , ne dura, se non dove il sodo 

Ili cenci e di non nata carta, fg^ Zappator volta la diffidi terra, 
chéammiriampoijcheilsenooppon- E mesfi coglie; ove l'immenso mare, 
Scamandro burrascoso a' flutti Senza soffio temer di Borea o d'Austro, 
ìncabile Achilie , e porlin aste Solca il nocchiero, e mercatante industre 
isurate i capitani greci? Con util laccio nazioni annoda; 

I consumava ancor muscoli e nervi £ in fin dove ogni stirpe, alta ed umile, 
i morbidezze, trano in pregio, L' ingegno adopri e le robuste braccia, 
lembroline di zerbini inerti, Pensier comune, universal fatica 

tto immenso, muscoloso e saldo Vuole, ed invito, per venir fra noi, 
di braccio, e formidabil lombo. Da tutle l'alme ; ed al romor de l'arti 
u mariti s' offcrian le nozze Scende la Diva, od il suo carro arresta, 

i locuste, ognor cresciute a stento Di popoli ristoro. Essa le ciglia 
ine d' imbusti: era b^'l corpo Però sdegnata e dispettosa a{;grolta 

ro corpo; ed Imeneo guidava Contro a chi fatto e sol peso di letti 

>rti sposi, non balene o stringhe , di sedili, e fra gli altrui lavori 
itaoze di vita: e i bene scossi Uso faccia di ciance o di quiete, 

jngimenti avean prole robusta; Né solo ha cruccio: nel gastiga. Come? 

ino Achilli; ed i trastulli primi Vuoi tu saperlo? Di suo bel sembiante 
mani sfasciate eran le folte Veste la Noja. Una donzella è questa, 

lironi maestri ispide barbe. Che chimerizza, e immagina diletti, 

aii sudando; e l' anime, di petti Né mai li trova: un'invisibil peste, 
trici stagionati ed ampli, Che là dov'entra , fa prostender braccia, 

) anch'esse onnipossenti e grandi. Sbadigliar bocche; ed a volere a un tempo 
bari tempi; in zazzerin risponde Cupidamente e a disvoler sospinge, 
imasi pesce uno dei muscoli del braceio. Questa or viefl tcco, c Voluttà ti sembra ; 

lEOPARDi, Crestomazia, li. ^ 


ili CRESTOMxVZrA POETICA 

Che in tue brame soffiando, le travolve, i.anlerne che fan lume a* primi pasM 

Qual di stale talora in mezzo a l'aja De le vite novelle, e i mastri sono 

Vento fa pula circuir e foglie. Scelti a fondar de le città più chiare 

0immi: se fai si dilettosa vita. Gli aspettali puntelli e i oaloardi. 

Perchè rizzi gli orecchi e mille volte Chiamisi allor di Sofronisco il figlio^ 

De lo scocco de V ore al servo chiedi , £ provi s* egli può scuoter da tali 

Infastidito, e di tardanza incolpi Cresciuti allievi T incrostata muifa. 

Or il carro del sole, or de la notte? Quanto n*hai voglia, o Socrate, ti sfiata, 

£ perchè spesso : oh voi Leale, esclami, Predica, scrivi, l'onorato esalta 

Teste di plebe! se staggirà Cecco De gli studi! sudor: predichi a^ porri. 

Citarizzando, o va cantando Bimbo È già il vaso inzuppato, e son le pieghe 

In zucca per le vie, cencioso e scalzo? Prese cosi che più giovar non può te 

A te stesso nojoso , in te non trovi Del Fcrrarina ó d'Archimede ingegno. 
Di che appagai ti- t'accompagnan sempre Gozjsi, sermone XVI. 

Torpor, languore; e là dove apparisci , 
Sei tedio, hai tedio: Voluttà ne ride. CLXX. / caitelli in aria. 

Gozzi, sermune XII . 

' FATOLA. 

CLXIX. Cohtro la negligenza Andò la sciocca 

dell' educare i figliuoli. Villanella al mercato, e un vase avea 

Pìcn di latte sul capo: e fra suo more 
De le balie ì capezzoli le vite Noverava il danar. Ne togliea polli. 

Stillano ancora, è ver; na in un con esse Indi un porco, e con quel, vitello e vacca; 
Indole di lascivie e di mollezze Tutto a memoria: e fra sé dice: oh quanto 

Ne* novellini picciolctli infanti. Vedrò lieta balzar fra Paltre torme 

Né, divezzali da le poppe, scole 11 mio vitello! e per letizia balza. 

Trovano più corrette. Ecco il paterno Cade il vase, si spezza e vrrsa.il latte. 
£d il materno amor che gli accarezza; Castelli io aria. £ la fortuna chiusa 
Ma sol per passo, che di più non puote : Da nera nube. Parmi averla in mano: 
Tronca lor tenerezze un mare, un mondo Fa come seppia,- schizza inchiostro.e fugge. 
D'importanti faccende. Colà danza Gozzi, sermooe VI. 

Il tanto a lungo desiato Picche^ 

Commentator con gli atti e con le gambe CLXXI. / visitatori importuni. 
D* antiche storie di Romani e Greci. 

Qua tavola si mette; e la condisce O Diogene saggio, a cui di casa 

Cucinier nuovo, che i più rari punti Servìa la botte, e d*uno in altro borgo 
Tutti sa de la gola. Ivi la veglia. Potei * cambiarla e voltolarla sempre! 

Di qua la dauza, o l'assemblea gli attende Che facciam, folli! ognidì termi? Ognuno 
Del giuoco. Andar si dee; conviensi a forza Sa dove io albergo: e da le prime strida 
Squartar le notti in particelle e i giorni» Del gallo, insinu all'imbrunir del giorno, 
Senza speranza d'aver posa mai. L'uscio martella* Chi è là? da P allo 

£ ben si pare la fatica a' visi Suona: eh, son in; di fuori. £dorla fune, 

Di pallor tinti, e a l'ossa onde s'informa Ora i serrami, e i gangheri e le porte. 
La grinza, asciutta e scolorita pelle. Per aprir, per serrar, fanno rimbombo. 

Fra SI gravi importanze, a gli scommessi Donde faccende cosi gravi, e tanta 
Padri e ale madri con le membra infrante, Fretta han le genti? O miseri, s' apprese 
Qual più tempo rimane e qual quiete A le case la fiamma? O di soccorso 
Per darsi cura de gli amati germi? Altro v*èd'uopo?Honmano petto, e senio 

Col caguuolin, col bertuccin, col merlo, Pietà d'umani casi. Uno o due iarbìni 
S'accomodano a' servi: lor custodi Son le faccende; le oziose lacche 

Sono un tempo le fanti; indi i famigli. Ripiegar su i sedili; e tirar voce 
Malcreati, idioti, e spesso brutti Fuor de'polmoni, e non dir nulla; e dire: 

D' ogni magagna, e d'ogni vizio infami. Che abbia m di nuovo? iulliofi iBokslo! 
Questi ìc prìmt, questi son le prime • Potevi. 


SECOLO DKCIMOTTAVO ii5 

lor di stagione! A te che sembra? Da rombile immaginn materna, 

con 'ar^a mano amico cielo Che diresti, se Pilade», pietoso 

era gli arìdi campi? e quando IVmali suoi, per confortarlo allora 

i caldo, e tornerà frescura? Gli presentasse o passera o civetta 

imi allora ne le spalle, e taccio, Per passar tempo, ed uccellare al bosco? 

ro indotto. Oh com*è caro il cibo! Tu rideresti: ed io rìdo, cbe senio 

rtunali nostri antichi! allora Quanto ad ognun son le sentenze in bocta 

) era comperar beccacce o starne, De Pamicizia. Chi trovò l'amico, 

illina oggidì, l.c sporte vote Trovò il tesoro; e, se in bilancia metti 

no un occhio: e noi peggior nimico L'oro e l'argento, più l'amico pesa, 

bhiam oggi de'nemici denti. Ben è ver; ma noi trovi. Odo parok 

e ne dici? lo compero non molto Gravi, ma il cuor è vólo. Commedianti, 

molto non posso: e il ricco piatto Diciam la parte; e monimfnti ed arche 
tier cambio nel più sano bue. Mostriam belli epitaffi, e nulla è dentro. 
Hli? Nulla. Jo ni>n lo credo, amico Goxzì, sermone VlU» 
muse: tu détti. Io giuro allora 

>n détto; e sbadiglio, e fra me dico: QLXKll. Sopra i damerini del suo 
tentò, folle Prometeo, a farne tempo. 

di ciance? io mi rallegro quando 
su l'aita rupe il padre Giove Pensoso in vista, come soglio, edeniro 

1 l'uccel che il fegato ti rod^. Senza pensier, n'andava non jer l'altro 
i periti mortali, che ogni cosa Per la via de le merci. A passo a passo, 
m co'nomi, hanno si fatta noja Dotto moderno, i'rivblgeva il guardo 
nza chiamata, officio e norma Spesso a'iibrai, di qua, di là leggendo 
rizia, d'amor, di cortesia: Frontispizii di libri, eorquesto,or quello 
te stoltezze. A che, se io dormo, Comprando in fantasia. Come saetta 

uti ini svegli? a che, s'io scrivo,- Che fere e passa, sento darmi d'urto 

mia stanza il Galateo ti manda. Ne l'omero sinistro, e passar oltre, [chio? 
bm'empiailcervel di frasche e vento? Veggo.... ma chi? dirò femmina, o mas- 

tuo amico. Anzi tuo amico sei: Dica! chi legge. Un personcino veggio 

quando noncuranza, ed ozio grave In su la gamba, in manteltin di SPta 

nimati pesa, ed a te incrrsce. Terso come cristallo: il capolino 

ai mio albergo, e ricrear te sfesso Non ha torto un capei, che man maestra 

i, non Putii mio. Siedi: parliamo. A compasso ed a squadra la divina 

va, poetino? Ah gii aspri nembi Pilosa cresta ha con tal arte acconcia, 

itemo terren grandine dura Che infiniti capei sembran d'un pezzo, 

iversata: furioso vento Sotto al mantello che svolazza, a sorte 

tastò le campagne; enfiato il fiume Sitoproungherondel suo vestito. Oh Frine, 
!, gli alberi e i buoi seco mi'tragge. Quando mettesti al corpicino rn'O'rno 

1 tua risposta. Umani casi. Colori a un tempo sì diversi e vivi?* 

orali correnti: or son due lustri Vuoi saper come va? passini industri 

} stesso m'avvenne. E mi dipingi E frettolosi, ci-tpo intero, a vite 

sato tuo mal con tanta forza, 11 cullo; duro si rivolge, e guata 

novermi a pietà d' antichi danni Con la coda de l'occhio, ed una striscia 

ttc rovine oggi procuri. Lascia indietro d'odor, com" canestro 

do presente mal dentro mi cuoce, Di giardiniero, o profumiera ardente, 

amentanza di dolente amico. Cui fanticella in altra stanza apporti: 

ìba ascolti: e, se de'fìgli il peso Dissi allora fra me: donde vieii questo 

larro, o le febbri, o de' ligigi Coppier di Giove? mille oggi ne veggo, 

na rete; hai somiglianti rasi Ma non sì lisci. Ecco il modello: questui 

irrar del vicino, e mi conforti È semente di tutti. Aguzza, aguzza, 

S liciti, con chiacchiere, con fumo. Minerva, l'occhio mìo. Dietro gli trotto: 

Oreste trascorre per la scena, Vo'studiar quai pensieri han quelle teste, 

Furie cacciato, ed urla, e fugg* Ed in che giovinezza ogji s'iinr»i«%lù. 


^16 


CRESTOMAZIA POETICA 


Entra in una Lotlrga: in essa miru 
JWoFiii di ferro da frenar mascelle 
A foioso deslrier; veggo pennaccliì 
Di due colori da ingrandir l'onore 
De la fronte a Bucefalo, e di staffe 
Di rilucente fon o e giallo ottone 
Parecchi paja; e fra me dico: vedi 
Falso {giudizio ch'io facea di lui! 
D'animoso destrier premere il dorso 
Forse ei ^ftrrà: ca\alli>reschi arredi 


Mette a la lingua, e molle a te lo stende. 
Se il chiuso loco e la soverchia gente 
Riscalda l'aria, sringiie un nodo al petto, 
£ con r omero accenna: accorri tosto, 
Levale il mantellino; e gliel rimetti 
Se le spalle ti volta, e a' fianchi appoggia 
1 gombiti, e le man dirizza al collo. 
Se non l'intendi, vedrai tosto un lampo 
De l'accese pupille , e un tuono udrai 
D' amara lingua e subita tempesta 


Ecco egli acquista. Intanto, o bottegajo, Di c^po d'oca, di babbione e tronco. 


Dic'ogli, fuor le scatole e le carte 
De le spille fiamminghe, e fuori tosto 
Forchettine tedesche. Ecco le merci: 
Splegansi rarte; egli le mira; elegge, 
Fine conoscitor; cava la borsa; 
lo noto. Mentre novera i contanti, 
Giunge amico novello, che passeggia 
Anch'ei come cutrettola, e su l'anca 


Si fra me dissi, e fuor ne venni, e lieti 
Di lor fortuna ivi lasciai gli amanti. 

Gózzi ^ sermoue I. 

CLXXIII. J^opra i eattivi poeti. 

Sorgi, a l'erta, o Scghezzi; a te discopre 
Febo ambo i gioghi. i> gufi, o uccei di 
Or destra ed or sinistra il corpo appoggia I^e pendici radete; a voi sì aito [ notte, 
Leggiadramente. Oh bella gioja, ei grida. Volar non dassi: eccovi tronche l'ale ; 
Conosco i segni di novella fiamma: Egli le spieghi, e su e su s' innalzi. 

Forchette e spille! Servitor di dama In qual nido vesti piume si forti 

Tu se'novello. Il primo ghigna, e nega Cotanto augello?... Di figura usciamu: 
Con un risino, qual chi nega il vero. Scrivasi aperto. Solitario visse , 
Che! ti vergogni? Ha già tre volte corso Non infingardo: piccioletta stanza 
La luna il ciel, che ser\itor son fatto Che jiensier non isvia, poco ed eletto 
Anch'io di donna. Vuoi vederIo?Etraggc Numero di scrittori, una lucerna 
Da la saccoccia un lucido specchietto, Nel bujo de laTiolte, un finestrino 
Inverniciato un bossolo, ove chiude Che lo illumina il di, penna ed inchiostro, 
Polver di Cipri, un aureo scaiolino Anima ne gli studii, a lui son ale. 

Di nei ripiei.o, un pettine pulito O poeti godenti, le gentili 

Di bianco avorio, un vasellin di pu)-o Mammelle de le Muse hanno a dispetto 
Cristal con acqua, onde arrecar ristoro, Bocca piena di cibo , e che si spicchi 
Se mal odore il dilicato naso Allor dal fiasco.- O le pudiche suore 

Offende, o se de'ncrvi occulto tremito Seguite , o il vostro ventre : or l'uno, or 


Fa la dama svenir. Fra mio cor dico; 
Oh beali d'amor servi cambiati 
in pettipiere, in casscttine e bolge! 
Trotta, sesso più nobile e maschile, 
Come asincl (he sul mercato porti 
Forbici, cordelline, agucchie e nastri 
Di qua, di là su gl'incalliti fianchi, 
E del rigido legno a le percosse 
Desti l'anche, e le natiche a la voce 
Del severo padrone incurvi e affretti. 
Non aspettar che la tua dama chìegga 
Con domestica voce: a cenni impera. 


[ l' altro 

Seguir non dà dottrina. A le fatiche 
Amica e poesia: di là scn fugge 
Dove si dorme, e Dio fassi del corpo. 
Vengo mille quaderni : e chi mi spiiga 
Lunghe canzoni; con vocina molle 
Altri legge sonetti, e posa il fiato 
Or su-^' unquanco, or su le man di neve. 
Ma che vuol dir , che meùtr' ei legge il 

[sonno 
M' aggrava gli occhi , e cade il mento al 

[petto, 


't'u dunque apprendi , interprete novello, E se voglio lodar parlo e sbadiglio ? 
A far comrnto a' femminili cenni. Oh ciechi! quel che voi con sonnacchiosa 

Spilla vuol? Tragge fuor due dita, iu punta Mente scriveste, in me sonno produce. 
L'indicee il vicin grosso, allungali braccio: Così non detta quest'ornato ingegno: 
E se neo le abbisogna, a te con l' occhio Veglia scrivendo, ed io veglio s'ei legge^ 
Si vol^je, e il dito al pollice danpresso Se tu, che scrittor sei, fuggì il lavoro, 


SECOLO DECIMOTTAVO -117 

K ti basta ìmLraltar di righe i fogli , Diede a giialtrui costumi. I* vidi s^zsso 
Perchè presumi di tenermi a bada De la cailuta neve alzarsi al cielo 

Con la tua itcgligxnzae con gFimbratti? (Jast<:ila e torri, fanciullesca prova * 
Vcg^o la noja in te, m* annojo leco. Che a vederla diletta : un breve corso 
N >n uscir dì tua stanca : ivi ti leva Del Sol la strugge, e non ne lascia il se- 

Di là dove scrivesti , e^ come chioccia, Breve fu la fatica, e breve dura. [gno. 
Kkhiamazza, croccia, e su e giù rileggi. Fondamenta profonde, eletti marmi, 
Passeggiando contento, a le muraglie, Dure spranghe, e lavoro immenso e lungo 
Con qual voce più vuoi, Topra tua fresca. Fanno eterno edifizio. Or tremi, or sodi 
Me lascia in pace; senza le tue carte Chi salir vuole d'Elicona al monte; 

Io viver posso: se tu vuoi ch'io ascolti. Poi, salito lassù, detti o riprenda. 
Allettami, ammaestrami, e mi vesti Gli altri S' n voce. iV ogni lato ascolti 

L'amo di dolce e di gradito cibo. Nomi di fantasia, d' ingegno. Tutti 

Ho natura felice; in poco d'ora Proferir sunno buon giudizio e gusto : 

Detto quanto la man corre sul foglio. Paroloni che han suono. A l'opra, a i*Opva, 
Biasmo la tua natura, che sì spesso Bei parlatori. A noi dà laude il volga; 

Mi travagli gli orecchi. In prima, taglia Cerca laude comune. Allor fia d*uopo 
Una parte de* versi, lo paziente Cercar laudi volgar, quando da* saggi 

Sono a la rena tua, quando congiunta Cercherà laude la comune schiera. 
Sarà con l' arte. La feconda vena, Gozzi, sermone V, all'abate Mamanu 

'1 toppe -produce: l'arte soia, e magra. Martinelli» 

Rompe il coperrhio ogni soperchio. Sciogli 

D'ogni freno il destrier; corre pe* campi CLXXV. / buoni giudici di poesia. 
A lanci, a salti, e nulla non avanza. 

Strinici troppo sua bocca; esso è restio. Se in colto zazzerin Damo vagheggia^ 
'i idii nel mezzo. Misura occhiale, e vezzosetio morde 

Gozii, sermone IV, al signor Jntoti L'orlicciuzzin di sue vermiglie labbra, 
Federigo Seghezzi, ^ spesso mov« in compassati inchini 

La leggiadria de le affettate lacche , 
CLXXIV. Sopralostesso argomento. Il nobil cor di maestosa donna 

Hide di Damo; e vie più rid<> allora, 

Se tu allevi il bracco Che di lui vede imitatrice turba 

Ne la cucina fra tegami e spiedi. Di giovinotti svolazzarsi intorno. 

Quando uscirà la timorosa lepre Ride, ed ha sdegno che ai celeste dono 

Fuor di tana o di macchia, esso,inobblio Di pudica beltà iodi si dicno 
Posta la prima sua nobil natura. In sospir mozzi e da non saggc iingae, 

Lascia la lepre, e per appresa usanza A cui nulla giammai porse l' ingegno. 
De la cucina seguirà il leccume. Debbonsi a Frine, a CaUìni«*c, a Flora 

Molti a la sacra poesia disposti Si fatti incensi, o a l* infinito storno 

Intelletti son nati, e nas<'erann:i ; De le sciocche e volubili civette. 

Ma ciò che giova ? La cultura e l'arte Credimi , amico, da sì uobil donna 
£ Tarator fanno fecondo il campo Non è diverga la beata figlia 

Di dotnestiche biade; e chi noi fende D* Apollo, poesia, de* rari ingegni^ 
)r larghe solle, poi noi trita e spiana. Rara forza, e de l'anime ornamento. 
Vedrà nel seno suo grande abbondanza Tienloti in mente, è sua beltà celeste. 
Sol di lappole e ortiche, inutil erba. Non piace a lei che innumera bil turba , 

Ecco in principio alcun sente ne l'alma Viva in atti di fuor, morta di dentro. 
Foco di poesia. Sono poeta, Le applauda a caso, e mano a man percuota; 

Esclama tosto: mano a* versi; penna, Né si rallegra se le rozze voci, 
Penna ed inchiostro. E che perciò? vedesti Avveeze spesso ad innalzar al cielo 
Mai, Martiuelii mio , di tanta fretta Perito cucinier, sapor di salse, 
Uscire opra compiuta? Enea non venne Volgano a lei quelle infinite lodi 
InJtalia sì tosto., e non ,sì tosto Ch'ebber prima dajorquaglia ed acceggia. ' 

Il fatirico Orazio eterno morso Vanno al vento tai lodi, e nero obblio 


118 CRLSTOWAZIA FOtTICA 

Sii vi stende gran vele e le ricopre. Qui ten giaci quieto, e non soccorri 

Quei pochi cerca lodatori, acquali )l desolato figlio, e non Io vedi 
Dier latte arti e dottrine. Un liquor santo Comici si a£9igg<*. e si martira? braccia 
Questo è che nutre, nonossa, ubn polpe, Paterne; a me v'aprite e mi accogliete 
Ma la possanza del divino ingegno, Alfìn tra voi, rhè tal quiete è a tempo. 

Vita di dentro. £i vigoroso e saldo Qual durezza di vita ! Ov'è chi ciancia 

Pel suo primo alimento, allo sen vola» Che sì fragile e breve è il tìver nostro? 
£ può di poesia comprender quale Poco non dura, se fra tanti mali 

Sia l' eterna e durevole bellezza. Ostinalo si serba; e non so come 

Né creder già che di schiamazzi e strida Alma possa stanziar, dove la strazi! 
Largo a lei sia, ne che sue laudi metta Chiovo^ spina, tanaglia e orribil fiamma. 
Iji alte voci ed in romor di palme. Mecenate da Dio dato a Petade 

Tacito, cheto e fuor di se rapito, Nostra, che più dirò? perchè narrarti 

L' ammira , e seco la sua immagin porta, Che questa penna e l' intelletto mio, 
!Nè più Tobblia. Se «io nessun ti disse, Liberi nati, più volar non ponno 
Or r odi , onde a gli Dei caro intelletto. Dove gl'invita naturale affetto? 
Segui la bene incominciata via: Non è piccolo male ad oncia ad oncia 

liapisd l'alme, e non temer che noti Metter l'alma in bilance, ed il cervello 
A l'altre etadi i versi tuoi non sieno. Vendere a dramme; e peggìor male è an* 

Gozzi, sermone XV* [ COra, 

Ch'a minor prezzo l'anima e il cervello 
CfiXXVI. Sopra le proprie sventure. Vendansi, che di boe carne o di ciacco. 

Oh mio dolore ! oh^mia vergogna eterna! 

Semai vedesti in limpid'acqua un pesce Pur, poirh'altro sperar più non mi lice, 
Trascorrere, guizzar, girarsi intorno Almen potessi non indegna e alquanto 
Velocemente, colto indi a la rete, Men oscura opra far, che tragger carte 

Contrastando balzar, e sleso alfine , Dal gallico idioma, o ignote o vili, 

Agonizzare e boccheggiar sul lido: A la lingua d' Italia. Ho la testura 

Credi, o Viituri, somigliante ad esso Di grand'opra intrapresa. In quanti iati 
Fatto è r ingegno mio. Libero un tempo, Scorre eloquenza io dimostrar voIe«, 
Vivace, giubilando, aperto mare Volgarizzando ben eletti esempii 

Lievemente scorrea : fortuna tutto Di Latini o di Greci. Anzi una parte 

Di rete il cinse; dibattendo ei fece Ilo de l'opra condotta. A cui non sono 

Lunga battaglia per fuggir servaggio': Palesi i casi miei, par ch'io l'indugi 
Non giovò; giace, e a poco a poco manca Oltre il dover; e tu medesmo forse 
Vigor di vita, onde si stende, e pere Infingardo mi chiami , e tal mi credi. 

Spossato e vinto su l'asciutta arena. Ahi ! si discopra il vero. Io paziente 

Misero mei di non ignota stirpe Giobbe, tal nome soiferii mott'anni, 

Nacqui, ed'amicie servi era il mio albergo Pure tacendo altrui che in vili carte 
Ricovero una volta; io ne' primi anni E in ignote .«scritture io m'aiFatico 
Speranza avea di fortunata vita. Con sudt>r cotidiano; e già son pieni 

In dolce ozio fra' libri i dì passai I banchi de' librai di mille e mille 

£ gli anni più fioriti; allor crcdca Fogli e di carte, ammassamento enorme 

Dar cultura a lo spirto , e a tal guidarlo. Di mia mano apprestato a i men g/entili 
Che di vergogna al mio nascer non fosse. Popolari intelletti; e perciò tardo 
Questa sì bella e sì dolce speranza Sembro a' migliori che lo ver nod sanno. 

Sfiorì del tulio. Fra' miei pochi beni Ma che far posso ? Rondine che al nido 
Sol uno è quel che a me pace promette £ a' rondinini suoi portar dee cibo» 
K ricchezza sicura, lo di te parlo, Non può per l'aria s]»aziare invano 

Rigido sasso, in cui scolpito è il nome O dov' essa desia: però che intanto 
Infelice de' miei; te sol rimiro Le bocche vote de' figliuoli suoi. 

Con fiso sguardo, e desioso piango Dopo molto gridare e ingojar vento , 

Che per me tu non t' apri. Oh padre, oh Sarebber chiuse, e in sepoltura il nida 

[ padre ! 


SECOLO DECIMOTTA VO 1 19 

rebbe a* non possenti corpi. Che staura» in aria si sostiene appena ; 


I, «emione XIV, a sua eccellenza 
Bartolomeo yitiuri. 

LXV]]. Sopra lo stesso 
argomento. 

Misero! quale, 

pra guerra è 1* avvilir de l'alma 
isi, ed al suo nobil volo 
il corso ! Pattuir convenne 
vello , ed opera jo farlo 
ordi librai ; di giorno in giorno 
* parte. Come a filo a filo 
locchia vecchierclla Iragge 
ino, perrhè Topra a lei 
veglie il sabato compensi ; 
Tvello a fibra a fibra io spicco 
lette sue fra noja e stento 
magri non famosi , i quali 
) il fiato ne la gola e il nome, 
mpo, che il cor mi rode questa 
)rda. Ippocrate non vide 
•r malattia più crudi effetti, 
edioo greco, a gli aforismi 
>to ai^giungi; esperienza il detta: 
so, occhi affossali , corpo 
, secche guance, sonno 
ì , leggiero, interno crollo 
nervi, negligente obbiio 
auto si sa, narrarlo a caso, 
di dar noja a cui si parla ; 
I statua, tener chini gli occhi, 
:rchi di genti ; a chi domanda 
ndere a cenni, che a parole; 
li altrui costumi , e de la sorte 
gnarsi , segni son che langue 
le di librai spirto non vile. 

Gozzi, sermone XIII. 

IH. La madre degli uccellini 
ha perduto i figliuoli» 

dre che trovar i figli crede, 
3n Tesca in borea, a l'arbor fido; 
[ intorno, misera, e non vede 
e'I vóto e depredato nido: 

a tanto mal non sa dar fede , 
i chiama, e ne raccoglie il grido, 
:ino, o in più riposta fronda , 
e piange sì, qualcun risponda. 

vien da questa a quella parte 
a te, come amor la mena. 
I tanto errò rn P ali sparte, 


Dà un ramo , a l' aura miserabit parie 
Fa de la doglia sua, de la sua pena; 
E guarda il cielo, e guarda la campagna; 
£ non cessano momento che non piagna. 
Lorenzi, Coltivazione de' mooli. 

CLXXIX. La gelosia. 

Cessa: gli Diimì tolgano 
A l'odiata vista. 
]| crederai ? per lagrime 
Forza il mio sdegno acquista . 

Tuo mi chiedesti: arrisero 
Gli avversi Fati ; il sono: 
Godi, se puoi, rallegrati' 
Di sì funesto dono. 

Lasso ! così celava si 
Sotto al tessalic' auro 
11 sangue infausto ad Ercole 
Del traditor centauro. 

Ardo; un gelato incendio 
Pel vinto cor s'aggira. 
Se non è questa, ( ahi misero! ) 
Qual de Perinni è Tira? 

O gli occhi tuoi rivolgere 
Soavi in giro io veda: 
Tremo: tu sei colpevole 
Di ricercata preda. 

O i neri crin soggiacciane 
A leggi estranie e nove. 
Ohimè! di Leda piacquero 

I neri crini a Giove. 
Tremo se ignote grazie 

Ostenta il petto e *1 viso; 
A impallidir condannami 
Una parola, un riso. 
, Parli n segrete, accrescono 

Le ancelle i miei timori.* 
Guai &e il tuo seno adomasi 
Di sconi^sciuti fiori. 

M*è grave il dì; le tenebre 
, Sul mio dolor non ponno ; 
E indamo gli ocrhi invocano 

II fuggitivo sonno; 
Egli non ode : o il seguita 

D' ombre drappel nefando, 
E i sogni a me presentano • 
Quel eh' io temea vegliando. 

E nn freddo orror la torbida 
Quiete infetta e scioglie. 
Lascio l^ piume, e rapido 
Accorro a le tue soglie. 

Taccion le porte immobili; 


li 





CliKSTOMAZIA POETICA 


Begna profon.la pace: 
Ma nel comun silenzio 
11 mio terror non tare. 

£ scintillar Imifero 
Sul pai! ideasse io vedo; 
£ I* alba aifretto, e a i talami^ 
Gridando, il Sol precedo. 

Invan smarrita e attonita 
Rivolgi al cielo i lumi, 
£ chiami in testimonio 
Del' innocenza, i numi. 

In te di colpa indizio 
La mia ragion non trova : 
Il veggio» il sento: e crederti 
Spergiura e rea mi giova. 

D' ogni più nera istoria 
Gli esempii in te pavenLp. 
Inorridisci: io Biblide, 
lo Pelopea rammento. 

4Ji m' abbandona, e lasciami 
Preda a i rimorsi miei : 
No , tu con me dividere 
Lo strazio mio non dèi ^ , 

Ahi, questo dì medesimo 
Io barbaro, io profano, 
In te Yolea commettere 
La scellerata mano. 

Degni de V opra il Tartaro ^ 
Supplizii aver non puote: 
Non l' urne infami bastano. 
Non d' l^sion le ruoie. 

Né fuggi ? e in me s* afEssano 
Pietosi i lauguid' occhi; 
£ piangi, e supplichevole 
Abbracci i miei ginocchi ? 

Cessa: del rio spettacolo 
Tutto l'orrpr comprendo. 
Cessa. Tu segui? Ah, Furie, 
L* abisso aprite: io scendo. 

Savioti. 

CLXXX. All' Amala inferma. 

Odi; i mornenti volano; 
Odi una volta, e cedi: 
Ohimè, gli Dii ti perdono 
Se in Ksculapio credi. 

£i r erbe indarno e i farmachi 
In tuo favor prepara, 
Tue labbra indarno chieggono 
La pia corteccia amara. 

Lasso ! una Furia, immobile 
Veglia a le porte, e grida; 
J De,vi. 


L* altre d'infami aconiti 
Coiman la tazza infida: 

Morte r offerta vittima 
Impaziente affretta. 
Trema: il Ino capo, o misera, 
È sacro a la vendetta. 

Va ; con promesse e lagrime 
Stanca la tua Diana; 
Offendi il casto imperio 
Con servitù profana. 

Altro giurasti: intesero. 
Per danno tuo, gli Dei; 
Lo sa Diana: il Tartaro 
T'avrà, se mia non sei. 

£ssa al figli uol di Venere 
Turbar non osa il regno: 
Anzi il difende e il libera. 
Il serve , e n' è sostegno. 

Mentre Cidippe affidasi 
A le devote soglie. 
Si vede a pie discendere 
L' aurato pomo, e *i coglie. 

O Dea, sarò d* AeontiOy 
Ardito amor vi scrisse : 
Vide r incauta vergine 
Sarò d* Acanzio f e il disse. 

Del giuramento incognito 
Indarno il cor si dolse : 
Giurato i labbri aveano; 
Diana il voto accolse. 

L' accolse : invano i talaiqi 
Altro imeneo chiedea ; 
Febbre crudel vieta vali, 
£ il petto infido ardea. 

Ah, se ad uguale ingiuria 
Dar piena ugual li j^cc, 
Compi l'antico esempio. 
Gran Diva , e accorda pace. 

Pace: d'Amor la gloria 
Serba: costei si pente. 
Partite, o febbri indomite. 
Dal bel corpo languente. 

£ tu, che incerta e tacita 
Lasci a* sospiri il corso, 
O da terror derivino, 
O pur dal tuo rimorso : 

Deh, con più fido augurio, 
L' ignuda destra porgi ; 
Rompi il crudel silenzio; 
£ morte inganna, e sorgi. 

Qual speri onor se a V Èrebo 
Discendi ombra spergiura? 
Quai voti allor ti salvano 
Ùa Le roventi mura? 


SECOLO Di: 

a4'uaa vita inulile 
»o ilCH mi privi; 
a gli Dii ti rendano 
; promesse, e vivi. 

Savìoli. 

LXXXI. Al Sonno. 

1 sotto al carro i TÌgili 
'.ri atri aifaiica 
!gnator silenzio 
tebrosa amica; 
1 cielo e terra e oceano « 

è tranquillo e tace; 
3n però la tenera 
lilla nostra ha pace, 
a, d^Amor, che T agita , 

il lato raanco, 
a le piume incomode 
ov inetto fianco. 
;ià del fosco Mennone 
insolata madre 
tre volte a togliere 
bre agghiacciale ed adre, 
e pupille cernie 
trovò tre vohe 
be, e per veglia languide, 
veglia ancor non tolte, 
i, a ì bruni luoghi ov*a biti, 
ece, Sonno, arriva ; 
lesti mai , posandoti 

occhi a qualche Diva ; 
ni: il leteo papavero 
m le tempie ingombre » 
rand* ali fendano 
;re e rigid'ombre. 
ichiusi usci non vietino 
ile non t* inno! tri; 
servato e placido 
i a le fide coltri. 

cure aspre e sollecite 
3verai d* intorno, 
I di non rimoversi 
neppur col giorno. 

inaspettato, e carico 
io, liquor le asperga ; 

toccando, dissipi 
iturna verga, 
u la sponda assi desi 
, si corchi , e taccia ; 
ove il volo movere 
è tu stai; gli piaccia. 
ì manca ov' ei rivolgasi 
A^tancabilVally 


CIMOTTAVO 121 

Se al regno suo soggiacciono 
Gli Dii, non che i mortali. 

che più? se al chiesto ufficio 
Altro s*oppon, si toglia; 
E a te fedel Silenzio 
Guardi la muta soglia. 

Col dito al labbro , ei rigido 
li passo a ciascun vieti : 
Solo V entrar sia libero 
A miti sogni e lieti. 

l'igli di le, vestendosi . 
Di cento ombre leggiadre, 
Escan da l' uscio eburneo 
Accompagnando il padre ; 

Escano, e me presentino 
A la fanciulla mia : 
Oggetto indarno cercano 
' Che caro a lei più sia. 

Seco fra* sogni elP abbiami , 
Poich' altro a lei non lice ; 
E i sogni almen le fingano 
Il nostro amor felice. 

Ma deh però, che fervidi 
'Non sian ne 1' opra assai; 
Deh , che la gioja insolita 
Non la svegliasse mai. 

Sovente ancor Penelope 
Sognò del Greco amato , 
E nel sognar destandosi , 
Credette averlo a lato: 

Poi, fra le piume vedove 
Stesa l'incerta mano. 
De Terror, lassa, avvidesi, 
E pianse a lungo invano. 

Savioli, 

CLXXXII. Amore e Psiche. 

E tu, cura soave 
Di tacite donzelle , 

Cui mentre Ebe* sorride il giovin seno 
Penetri ardilo; i nostri carmi avrai: 
Né la candida tua Psiche, e le belle 
Forme, e la notte, e gli amorosi guai , 
Inonorati andranno. 
Or ella è tcco : e de 1* antico affanno, 
Che ricompensa uu più propizio lato, 
Dolce memoria suona 
Per l\ ili mpo beato. 

Vergine avventurata, in mortai velo, 
Di belleue immortali adorna apparve; 
Stupì vedendo, e l'adorò, la terr^. 
Venere al terzo cielo 
'LaGiuveotù. • . . ,. 


122 CRESTOMAZIA POETICA 

Tornò da* freddi suoi vedovi altari, E medicava la pietosa mano 

Te consigliando a la giurata guerra. L* offese de la tua dolce nimica : 

Ma la vendetta in vano Mentre la sconsolata 

Volgean* gli occhi di Psiche : Te richiamava, lagrimando^ invano. 

Ardesti ; e a te P antiche Parlò a lungo il dolore. 

Arme cadeau di mano. Poscia il furor non tacque; 

Vìttima incerta, entro a funereo letto E invocò morte, e si lanciò nel fiume: 

Tradotta al monte, abbandonata e pianta, Cara un tempo ad Amore 

Giù per valli profonde in ricco tetto , La rispeltaron l'acque. 
Peso a un seffiro amico, ella scendea. Lei. che raminga in traccia 

Là, di sé in forse, i vóti dì vivea , Del perduto signor scorrea la terra^ 

Fra tema e speme, a sconosciuto amante: Incoraggi soave 

£ tu le usate prove, LaDea che al crìn le bionde spicheallacdaf 

Terribil nume, esercitar solevi A lei stende le braccia, 
Sovra I^ettuno e Giove ; Racconsolando, e la compianse Giano: 

Poi, col favor de l' ombre , Solo Venere altera 
Ti raccQgliea ne la segreta reggia Non calmò 1* ire gravi ; e sa l' afflitta 

Talamo aurato d' immortai lavoro: Compier giurò la sua vendetta intera. 

Ivi a le tue fatiche Chi dir potria Poscara 

Offria dolce ristoro Carcere e i duri affici ? 

Il molle sen di Psiche. Chi 1* auree lane e la difficil onda? 

Irrequieta Diva Amor, dov' eri ? a te che tutto sai , 

Che ne legioje altrui t'angi e rattristi, Come furono ignoti 

Ta da l'inferna riva De la tua Psiche i guai? 
L*aure a infestar del lieto albergo uscisti : Elia, come imponea la sua tiranna^ 

La giovinetta intanto Osò d' entrar per la tenaria porta. 

Gli avidi orecchi a'iue menzogne apriva; E por vivendo il piede 

Kè vide più ne Pamator celato, Ne* tristi regni de la gente mortat , 

Che spoglie anguine, ed omicida artiglio: A lo splendor de Tauro, 

Finché il terror poteo ^ nel cor turbato Lei l'avaro nocchier pronto raccolse ; 

Strano eccitar d'atrocità consiglio. E varcò la palude. 

E già un placido sonno Latra Cerbero invano: 

Gli occhi d' Amor chiudea , Le gole il cibo, e gli occhi il sonno chiude: 

Quando a le qnete coltri Ella passa, e il soggiorno 

Perversa il pie volgea : Tenta di Pluto, e il fatai dono chiede: 

Apparia ne la manca Ricusa i cibi, e al giorno 

La lucerna vietata; Da Proserpi na riede. 
Era r infida e mal secura destra Deh, qual ti mosse feminil disegno, 

D* ingiusto ferro armata. Psiche, ad aprir la chiusa lima fatale? 

Primi s'offrirò a i desiosi sguardi, Là de Tira immortale 

Sovra 1* estrema sponda, Era il più orribil pegno: 

Amor , gli aurei tuoi dardi : Ed ecco un vapor nero 

Psiche gli tocca appena, e n* è ferita. Uscia, la cara a te luce togliendo,* 

Scorge la chioma bionda, E rendea Palma al mal lasciato impero. 

Il volto e Pali; Amor conosce, ed ama; Ma vide Amor da Paltò, 

E cade il ferro; e la lucerna incanta Vide, e pietate il prese; 

Coli* ardente liquor P omero impiaga. Sentì P antica fiamma , 

Fuggiva il sonno. A lei vergogna e duolo Ed obbliò le offese; 

L' alma pungean: tu rapido movevi E a più heata sorte 

Per Paure lievi a volo. La conservò da morte. 

Te ritenne Citerà. Ivi t'accolse E volgea ratto al sommo Olimpo Pali, 

La rosata di Psiche emula antica; E innanzi al re che i maggior Diigovema, 

* YolgeaDO io vaDo , cioè mandavano vota Narrò di Psiche e di se stesso ì mali, 

d^etìTetto, » Potè. E cfaiedea modo a tanta ira «atenia. 


SECOrO DECIMOTTAVO 123 

LosÌTa il gran Tonante: e Imene, £, rompendo i capestri , ir da le staile 
ne piacque a Citerea placata, Correndo incerti a la campagna. Oh come 

) versò su le fraterne pene : Fnggian da i boschi i paurosi augelli 

ibrosia celeste £be ministra A cercar tra noi tetto: uh quante schiere 

a Psiche porgea: Di topi immondi e di schifosi insetti 

evve, e fu Dea. Da i nascondigli uscir; che Tabborrita 

Savioli, Luce già più non abborriano. A un tempo 
Mirò nel porto un ondeggiar di navi 
KXlll. Napoli, e suoi contorni, Tra l'onde in calma; ed alberi ed antenne 
veduti la sera dal mare. Strìder , piegar, strapparsi. Allor , la 

bocca 
li già di lontan fumar le ville; Già rosseggiando da le cime ardenti» 

3C0 a poco dileguarsi in giro; Ecco fumo, ecco lampi, ecco scintille, 

giorno venir manco gli obbietti Etuoni, e fiamme, e folgori. Oh qaalvaski 
pareva or or tutta ingemmarsi Vomitar d* infocati ignei torrenti! 

er le due gran braccia inn^ar distese Quai ri?i e fiumi, ridondante piena, 
arvata riviera, e i lidi opposti. Di bitume, di zolfo, e di metalli 

vedi , ai primo uno spetiacol novo Disciolti, in giù movea tra le volute 
icceder più vago , ove si stende Di fumo immense, e i nebulosi globi 
i, e siede quasi «entro al cerchio. Di cenere, di calce, e di rotanti 
in col cielo a gara in ogni parte Enormi massi; onde coperte ed. arse 
e stelle e inordinati fuochi Qua e là campagne, e con gli armenti op- 

là, da i tetti, e da le logge, e lungo l presse 

ina Vi* ogni colle e d*ogui spiaggia ; Ville e pastor, città, capanne, e genti, 
Q mar riverberando, a noi rassembra Ebbero mortela un tempo solo e tombat 
avvampar d'incendio la marina. Bettinelli 

olo intanto, scintillando, e a Chiaja, 

la nova via, scorrono ardenti CLXXXIV, AlV orologio,. 

ile, a cento e cento cocchi avanti, 

le ignee strisce in sul sentier lascian- O d^ Anglia nata su i* estreme rira 
i rappresi e fermentati in alto L do. Macchinetta gentile, onde 1* eterna 
1 effluvii, che, rompendo in fiamma, Virtù motrice misurando alterna 
on segnando in ciel lucidi solchi, L^ore diurne e de la luce prive; 
gravi di pingue atro bitume , Su le tue ruote assiso il Tempo virt, 

ambendo il terren; larva notturna. Ed ituoi giri equabili governa» 
or grave al peregrino ignaro, Che poi distinti, su la faccia esterna, 

più fuggendo, più sei vede a tergo, Volubil freccia in numeri descrive, 
che, col fuggir, seco lo tragge. Escon divise intanto, ad una^ad una, 

quale, ahimè, fiamma improvvisa L'ore fugaci; e mentre fuor sen vola, 

L io miro Col suono accusa il suo partir ciascuna, 
lell'erlo apparir giogo fumante? Deh: fra tante che t'escono dal seno, 

nella certo, del Vesuvio è quella Macchinetta gentile, un'ora sola, 
tremenda, onde qui spesso udimmo Segna un'ora per me felice almeno, 
er la gente e ragionare insieme. Sondi, 

occhier, dàne i remi; e quinci ratto 

im la proda, e rifuggiam ne l'alto. CLXXXV. Alla tg^emoria, 

li rammenta ancor quai ne sostenne 

'un' antica etade orridi sccmpii: O tu, memoria, che i passati eventi 

do da prima i sotterranei chiostri Rapisci al tempo, e da l'obblio difendi; 
urlar sordo, d'un muggir profondo E al cupido pensier rinnovi e rendi 
dar segni, indi annerarsi tutta Quante un tempo provò giojeo tormenti; 
, tremare, il suolo, e gli animali Deh tu ne gli anni miei primi e recenti 

anti vedea perdere il molo. Con sollecito voi ritorna e scendi, 

manto abbajar, nitrir cavalli, £ quei che incontrerai; trasce({li e prendi» 


ìH cuf.stomazia iof.tica 

Di più puro piacer porhi momenti. Ma, poi che in lui, quasi in suo trono. 

Poi lutti insieme al mio pensier gli a- [ assiso 

K di questo ristora estremo ajulo [duna; Un Lei decoro amabilmente altero 

L'alma, d*ogni altro ben (alla digiuna. Vide, e la rosea guancia, e rocchio nero, 

Onde al misero cor, che il ben perduto Dove, qual lampo in ciel , balena il riso; 

Non ha di più goder speranza alcuna, Fcrmossi a contemplarlo; e del ritorno 

ttesti il conlorto almen d*avcr goduto. Già dimentico ornai, stupido e muto, 


Da quel di sempre gli sì aggira intorno. 
D*avcrgli aperto il varco invau si pente 
L'anima, e il chiama invan: sorcio, e per- 

[ dui» 
Nel dolce i ncanto,ei non si scvotcosente. 

£ondL 


lì OH di' 

CLXXXVl. / beni umani. 

No il posseder, ma lo sperare alletta 
L' uom; che nel senso e ne l'idea d'un be- 

[ne 
Sempre trova minor qnelh) che olfiene, CLXXXIX.i^ partenza dalia reffffia 
Finge sempre maggior quello cli'as|)etla. del Piacere. 

Mesto può fare un cor gioja perfetta, 
Se è tal, che di maggior tolga la spene : Vagan gli ospiti intanto, e in ogni parte 
Se non lusinga l'avvenir, già sviene, Godono esaminar la reggia aprica. 

Nato appena, il piacer che ora diletta. ^ Il liaccr mai dal fianco lor non parte, 

Per prova il so. T'amai, d'essere amato E mostra, iin ch'ei può, la faccia afliica; 
Presi lusinga; e il tuo futuro amore, Ma innoltra sempre; che in quel loco mai 
Sperato solo, mi Iacea beato. Non è concesso di fermarsi assai. 

M'amasti, il seppi: ah che in quel sol Molti il bramano, è ver; ma noi coBseute 

[ momento 11 Tempo inesorabile, che avanza. 
S' esaurì la natura ; or langue il core, Lieve ci corre cosi che non si sente; 
Fatto incapace di un maggior contento! Né indietro ha mai di ritornare usanza: 

Bondi. Spingesi innanzi l'affollata gente, 

Che di mal grado va cangiando stassa; 
Ei pur la incalza, e di partir fa fretta. 
Ne per preghiere o per lamenti aspetta. 
Da lui sospinta, al declinar del giorno, 
Passa la turba , e di partir s* attrista: 
Altri intanto sottentra, e il bel soggiorno, 


^LXKXVW, A novella sposa. 

Ricca di fregi, dal materno nido, 
Che te difese in chiuso asil contenta. 
Del mondo approdi a V incantato lido, 
Giàdelsuon pieno che i tuoi vanti ostenta. Che vanno i primi abbandonando, acqai- 


Fórse n'esulti*, e di tue lodi il grido 
L'inesperto tuo ror lusinga e tenta : 
Ma, scopo ai voti rei di stuolo infido, 
Le ignote insidie e i pregi tuoi paventa. 

Tal d'indico tesor ricco naviglio 
Giunge aspettato de l'Europa a i mari; 
E ne la sua ricchezza ha il suo periglio: 

Che de l' Affrica rea da i lidi avari, 
Aguzzando vèr lui l'avido ciglio. 
Corrono a i remi i predator corsari. 

Jìondi; 

CLXXXVIIL 11 pensiero. 
Corri, ma presto riedi, al caro viso; 


tstJ. 
Giran quelli, partendo, il guardo intorno, 
Ne più il Piacer né la Speranza han vista; 
Che sol con loro il Desiderio resta, 
E la Memoria sterile e molesta. 

S'avvian taciti, soli, e senza scorta; 
Che mai chi parte accompagnar noB s'usa: 
La scontentezza sul sembiante porta 
Ognun dipinta, e il suo destino arcosa. ' 
Giungono in (ine a la dolente porta. 
Che guarda a sera, ed è a l'uscir dischiost; 
Dove ognor veglia su marmoreo scanno, 
Invan pentito, il tardo Disinganno. 

Come uom che di se stesso ha maravi- 

C Rlia» 
Slupidoha il guardo, el'ariagra^e elenta; 


Disse l'anima un giorno a un mio pensiero: Stringe le labbra, e ficca al suol le ciglia, 
Ed ei, con volo rapido e leggiero, E il fronte chino con la man sostenta: 

Jl^aseipergVì occhi e corsevi impro v viso . Fatto cauto per prova; .altrui consigliai 


SFCOLO DECIMOTTAVO l^^i 

i scorsi con dolor rammeula; Che forza è pur che suo malgrado ascolti: 
idielro sovente, e poi sospira, Qual pellegrin che per deserta via, 
n onde uscì, bieco rimira. Collo a 1* aperto da improTvisa pioggia, 

Ira parte, iu Tc<lpvile spoglia, Kicoyra al tronco di ramosa qncnia, 
r con lui Vecchiezza siede. E in se, ristretto e rannicchiato, aspetta 
n lei non cangiar pensieri o vo- Che passi o scemi il tempestoso nembo* 

[ glia; K qual por frenoa l'impeto che il norta? 
à incurvi, e le vacilli il piede-: Digli che taccia: ei non t'ascolta. Parla 
ter più entrar parche le doglia; Tu slesso: ei grida, e ti sopprime. Dormi: 
tizie a chi vien fuor richiede; Egli segue a parlar. Svegliati: e il trovi 
voce tremolante e bassa. Che parla ancora; e con perpetuo suono 

co accomiata ognun che passa. Ti senti intorno l'iustancabil voce, 
cian l'aIbcrgo,allorche il raggio Come notturno svegliarin se scocca 
china a T occidente, e manca. L' interno gioco , al turbinoso giro 
està a compiere il viaggio; De la veloce sprigionata ruota , 

'appressa, e il lardo pie si stanca . L* elastico martello il cavo seno 
rrando van muto e selvaggio. Celere batte dei sonoro bronzo; 
destra declinando e a manca: Onde, a i colpi frequenti, e quai di densa 
re acutissima; e di stenti Grandine spessi, dal percosso orccriiio 

. strada , e di pensier pungenti, lapido fugge e spaventato il sonno; 
van, che inevitabii ombra, Tal non mai ferma la sua lingua o muta, 
», aununzia la l'unerea sera; - Di molle sembra artifizinso ordigno , 

sonno i lumi stanchi iugom- E si mota volubile e sonora, 

[ bra; Che il capo introna, lo stordisce e assorda, 
hiude la mortai carriera. E, con le mani ne gii orecchi , sforza 

lora il breve incanto; e sgombra A cercar scampo con la fuga altrove, 
bergo, e non appar dov'era. Ma fuggi ind.irno; ch'ei t' incalza, edove 
seri, gli occhi;ein quel momento Non giunge il passo, alza la voce, e parla 

01 nebbia dileguarsi al vento. Fin che ti vede ; e poiché sol limane, 
Bendi, Della Fclicilà, canto II» A parlar segue; e, di parlar contento, 

Poco si cura poi che alcun l'ascolti. 

:XC. Il Cianciatore. n„^!'t^ T ì' "'•'"'■'' •" """,,?'■,'«'"' 

(guanto il silenzio: ne a null'attro nacque 

Fuor che a parlar. Parlando visse, e vuo'e 

\ gliorccclii, amico, e dal torren- Parlar morendo, e ne la tomba ancora 

se e rapide parole [ le Continuando de la lingua il moto, 

, se puoi; sento che giunge Di franger spera il ferreo sigillo 

3 Alcimon. Odi già come Che morte al labbro taciturno imprime. 

a soglia ancor da lungi grida Bondi, Conversa «io ne 

voce, e a le atterrite crei chic 

irrivo suo non dubbio avviso. CXCI. Lo scioperato dormiglioso. 

te timpano o sì forte 

che un'ora a la incrc<iibil regga Egli non ha nemico 

quacità. Dovunque ei giunge, Maggior del tempo: e a consumarloeì suda 

ppena, interroga e risponde E mette ogni pensier. L'ozio e la noja 

i solo: e mille cose ei chiede , A lui numeran i' ore, e dangli avviso 

informa; logico ragiona. Del souar di ciascuna: oud'ei «i aggira 

tarra, ed orator perora: Solo occupato de l'impiego eterno 

rende: e, se altro a dir non resta, Di chieder sempre e di aspettar che arrivi 

cora; e senza posa ei parla. Ora il meriggio, ed or la sera; e intanto 

incontro ne paventa, e schiva ' 11 lunghissimo dì passa e distrugge 

li appresso. Misero colui Su i Caffé in parte, e poi di casa in casa 

;lie incauto. Ei si contorce invano L'obeso ventre strascinando, e il peso 

ole al diluviar dirotto; De resistenza sua. Grave egli giunge 


125 CRESTOMAZIA POETICA 

lu ogni luogo; e al suo venir si stringe A scuoter i distratti. Al suol talora 
Ne gii omeri ciasGuuo, ed ogni labbro China gli occhi dimessi, e fa un'occhiata 
Freddamente il saluta. Egli non bada-. Lungamente aspettar; poi, quando intenti 
Stupido avanza, e ad occupar s'affretta Crede gli spettatori, alza improvviso 
Quel che entrando adocchiò libero ancora Le sicure pupille, e gli occhi incontra 
Più morbido sofà. Mira: ei da prima Di chi meno Taspetta, e fino al fondi 
l<e vesti dietro ad ambe man raccoglie; De l'alma il cerca, e lo sconcerta: ìnditiu 
Poi tutto altìn vi si abbandona, e lento Di sicuro trionfo. Indi abbandona 
Vi si sdraja gemendo. Ìl frale scanno La vinta preda, facil opra e breve 
Cigola sotto l'improvviso incarco Di un sol guardo fugace. Or mira come 

Di tanta soma. Ei guarda iutornoalquanto; Sul volto a Tirsi lanj^uida e cadente, 
E poiché nulla del discorso intende, Diresti a caso e involontaria, fisa 

E l'orecchio digiuno allunga indarno, D'amoroso desio le luci accese 
Per fuggir Tozio al solito s'appiglia Pietosamente. Immobile si arresta 

Ingegnoso ripiego ; e a poco a puco A contemplarlo, e poi si scuote a un tratto, ' 

Le palpebre inchinando a sop;)r lento. Come allor se ne accorga; e, russa in volto, 
La vegetabil macchina e lo spirto Si volge altrove, vergognando quasi 

Colloca alfine ne l'anfibio stato Di avere incauta del suo cor tradito 

Che in mezzo è posto tra la veglia e il sonno. Il geloso segreto, e fa sembiante 

Bello il. vederne l'anima impotente Di sconcertarsi, e timida e confusa 
Con lunghi sforzi contrastare indarno, Finge schivar de le sue luci accorte 
E resbler cedendo. A l'occhio intanto, 11 nuovo incontro. Misero se il crede: 
Già semichiuso, gli appannati oggetti Che tardi poi de l'error suo pentito, 
Mostransi appena ; e d'indistinte voci £ deriso sarà. 

Lieve susurro mormora a l' orecchio Vondìj CoDverr'iiofic. 

Semisopito. IVIa il sospetto eterno 

De'sguardialtrui,gustar non lascia in pace CXCIII. La bella affettata. 

La furtiva quiete: e tratto tratto 

Scuotesi d' improvviso, e le luci apre Bella saria, ma troppo 

Attonite, e sogguarda; e tosse intanto', Gliel dissero gli amanti; ond' ella, vana 
Con accorto consiglio, onde dar segno De' plausi lor, la prodiga natura 
Ch'egli è pur desto. iVla di nuovo il preme Viziò con l'arte, e per piacer dispiacque. 
Il vincitor letargo; e a lui sul petto Breve viaggio a gì' itali confini, 

Ricade il capo languido. E di nuovo In poche lune l' arricchì di mille 

Pur si riscuote, e il nobil gioco alterna. Ridicole maniere. Ai patrio lido 

£, poiché tutta l'onorata impresa Straniera ritornò. Già ul le suona 

Alfin compiè, ne di dormir più spera; Il nativo idioma, e tratto tratto 
Si rizza in piedi risoluto, e in fr«*tta Chiama in soccorso le adunale frasi 

Da lo stuol si congeda : e caldo allora (Pedantesco tesoro ) e i molti arguti 
Di nuovi spirti e di sublimi idee, Che da la Senna volano leggeri, 

Passa animoso a pigliar sonno altrove. K a pie de l' Alpi poi rancidi e stanchi 

Bolidi, Conversazione. Cadono in bocca de* lombardi Adoni 

E de l'itale Veneri, che a gara 
. CXCIl. Le occhiate della donna Se li rubano in giro, e senso e accenti 
civetta. Storpiano gentilmnte. Or tu l'o.^serva 

Come languida avanza. 11 breve' passo 
K chi potrebbe i movimenti e il muto Modera il fianco dondolando; e spira 
Vario linguaggio, il magistero e l'arti La grandmarla di corte. Oimè, frenate^ 
Tutte scoprir de le maestre luci, (Giunta sul limitar, sembra che imploTÌ\ 

Al fido specchio, consiglier secreto, Vulgari lingue ( ed a l' orecchio offeso 

Lungamente educate? Òr vibra il guardo Forma riparo con la man ), frenate 
Quasi lampo che abbaglia; or lento e inerte L'incondito garrir; che troppo , ahi, soffn 
Errar il lascia indifferente: il niega L'organo molle e delicato a l' urto 

Òorente s chi io cerca, e irl vol^e intaito D' una voce sonora Inuollr^, o alunni 


SECOLO DECIMOTTAVO 


iil 


E di sereno giubilo improvviso 
Fa gli occhi scintillar. In simil guisa 
Si modifica e sforza; e ad aver vanto 
Di sensitiva ed irritabil fibra, 
Cangia moti e color, e mille affetti, 
Che vorrebbe sentir, simula. 

Bondiy Conversasiooe* 

CXCIV. /; discioglimento della 
conversazione. 

Ma già la notte del suo cheto giro 
La metà segna, e un non so che diifoude 


llichc Grazie; e voi V udite 
il labbro semichiuso ad arte , 
ppena sortir, di suono in vece, 
ito sibilo soave, 
sommessi non uditi accenti 
orecchie tormentando bea. 
labbro solo l'armonia presiede; 
è, l'occhio e la man, tutto risente 
e legge. Il metrico compasso 
i moti; ed aniinan le molle 
ìtudiato meccanismo questa 
la armoniosa. Ogni suo gesto 
laun vezzo; ogni momento scopre 
> nuova beltà di brio vivace, ^ Che gli occhi aggrava, ein un gli spirile t 


to languor. Sovente obbliqua 
a molle guancia, oud'altri possa 
iplarne il giustissimo profilo 
ente declinar: poi d'>po 
. ed attonita richiede 
sa cosa, cui da lungi accenna, 
agendo d'ignorarla, e allunga 
ra intanto, e del tornito braccio 
COSI la degradante e liscia 
ita. Che se gentil novella 
prende a narrar, mirala come 
to a chi ragiona immobìl ferma 
nte luci: dal loquace labbro 
; estitica penda; e pur non ode 
o non bada , e medita frattanto 
i vezzi far pompa, e come usarne 


Intorpidisce e allenta. 1 dritti suoi [sen^i 
Morfeo ripete, e con la molle verga 
Or questo or quello lievemente tocca: 
£ da quel tocco inimpedibil segue 
Scherzo gentil. Tu, prode Erasto, il primo 
Fosti che in arco .spazioso apristi 
Le tue labbra sonore. Il noto segno 
Non fuggi inosservato: emula gara 
Di mano in mano Io propaga e addoppia. 
Quii se al gambo lalor d'arida canna 
Fuoco s' apprende, su i fogliosi nodi 
Fino a l'estrema cima in un momento 
Lieve serpeggia la scorrevol fiamma; 
Tale, a l'esempio tuo, diffuso in girò. 
Di bocca iu bocca per la lunga fila 


Tacito vola un languido sbadiglio, 
insegreto,eadogniaccento,adogni Che noja e sonno universale accusa, 
r diverso ì movimenti adatta. Altri chiede de 1' ora, altri oziando 

ride improvviso; e pur non v'era L'orologio consulta, e co 1 vicini 
Te cagion: ma il bianco avorio Confrontando il registra. Esauste e tote 
ti, minuti, uguali dènti llan del garrir le fonti: e già più rare 

scoprir. Poi cangia scena, e mostra E più dimesse suonano le voci, 
turbarsi, e ricompuusi a un tratto; Tarde e interrotte ; e del silenzio sono 
la speme ed il timor sospesa, Gi' intervalli più lunghi. Alfin pur s'ode 


il respiro volontaria : e intanto 
lati palpili frequenti 
» pretesto a l'anelare alterno 
osa'pevol sen. Che se il racconto 
&£Ìoso narratore intreccia 
iti eventi; o d'improvviso scossa 
lisce con gentil ribrezzo, • 
tria di pietà sul volto chiama 
:o pallor, che il dolce imita 
ir d' un gigli » m )ribond(): e poi 
ne face che, a spirar vicina, 
il soccorso d' alimento amico, 
viva a scinlillar ritorna; 
e la storia a lieto fin si volge, 
1) spino le rivenga, anch'ella 
orte guance scolorite avviva, 


Per le sassose taciturne vìe 
De i lungamente desiati cocchi 
11 sordo pria romoreggiar lontano. 
Che a poco a poco s'avvicina, e cresce 
Gradatamente ; ed a la soglia innanzi , 
E pur ne Patrio, volgouo gli aurighi 
E arrestano i destrier. Le orecchie allora 
Tendonsi, e gli occhi disiosi; e ognun«4 
Il proprio nome impaziente spera 
Dal servo anuunziator. Poiché più volte 
Sperarlo invano, alfin di tutti arriva 
11 bramato momento. Ecco già in piedi 
Balzano i lieti, e a subito congedo 
Si atlej;gian destri, a la fede] memoria 
Chiamando intanto il formulario usal^ 
Che suqI Hirsi al partir. A le lor dam^ 


128 


Cr.ESTOMAZU rOETICA 


Porgon le destre i cavalier compngiii: 
Tutti sorlon altìn; col sacro patto 
Di tornar pronti la ventura sera, 
A V ora islessa, quelle istesse cose 
A ripetere e udir, e con la speme, 
Sempre delusa, di godervi un'ora 
Di piacer vero, e poi partir di nuovo 
Non di. sé stessi e non d'altrui contenti. 

Bolidi, ConversazioDC. 

CXCV. La polenta. 

L* opera ferve; e già del pranzo ornai 
L'ultima parte a terminarsi è presta: 
Di lesso e arrosto n' han mangiato assai; 
E sol l'estremo e miglior cibo resta. 
Ognun l'aspetta, e volge avido i rai, 
E con la man fa cenno e con la testa. 
Ma già l'accusa il vivo odor fragrante, 
Già l'aspettalo vien piatto fumante. 

Come talor se rondine discende 
Con l'esca usata in bocca al tetto fido, 
Lo stuol digiuno de'pulcin, che attende, 
A l'arrivo di lei solleva il grido; 
Ognuno a gara il collo allunga e stende, 
E il rostro aperto mostra fuor del nido; 
Tale, al recarci il cibo saporito. 
Ognun sorge # veder dal proprio silo. 

Cresce nei nostri campi un seme eletto, 
Che grosso e lungo ha il gambo, ampia la 
Dal natio rido,grano turco è detto; [fronda; 
K mette, al maturar, pannocchia bionda, 
Che curva piegar suol sul gambo eretto 
( Si numerosa di granelli abbonda); 
Ha lunga barba, e conica figura; 
Ed è d' un palmo e più la sua misura. 

Ben macinata la farna e sciolta, 
Che gialla è di color, morbida al tatto, 
Dentro uno staccio s'agita e si volta, 
E d'ogni crusca si rimonda affatto . 
Indi in bollente e cavo bronzo accolta. 
Si mesce a l'onda; e poi per lungo trailo 
Sul focolar uom di robusta lena 
Con un grosso baston l' aggira e mena. 

Né cessa dal lavor infin che, colta , 
In sodo impasto si restringe e addensa. 
Dal foco allor si toglie; e mentre scotta , 
Sopra si versa a ripulita mensa. 
Indi su lei, che in fette è già ridotta, 
E burro e cacio larga man dispensa; 
E, condito così, grato diventa 
Il caldo cibo: e chiamasi p denta. 

Giaeque lunga stagion, esca abborrita, 
Soì Ira'viìbggìf inonorata e vile; 


E, da le mense nobili .^bandita, 
Cibo fu sol di rozza gente umile: 
Ma poi ne la città, meglio coadita. 
Ammessa fu traU popolo civile; 
E giunse atfin le delicate brame 
A stuzzic;)r di cavalieri e dame. 
Giunse il gran piatto adunque ; e fece 

[ in fretta 
Aprir la bocca, ed inarcar le ciglia:. 
Ne solo giunse già; che seco eletta 
Venne d' angei multiplice famiglia, 
Altri selvaggi, ed altri da civetta. 
Ma buoni e cucinati a maraviglia. 
Chi gli assaggiò vi dica il lor sapore : 
Tocca il fumo a'poeti, e il solo odore. 

Bondi, Giornata villereccia, canto il. 

QX^CVl. Il caffè. 

Or mentre questi con'dolcezza rara 
Del gentil Silvio l'armonia diletta, 
i.a turba de gli Dei silvestri a gara 
Ne la cucina si affaccenda in fretta; 
E, com'è l'uso, a gli ospiti prepara 
L'egiziana pozione eletta, 
Che, sdrajali su i morbidi sofà, 
Bcvon pipando i b irbari bassa, 

Chi di lor nel fornello allo a tal uso 
Fa fuoco, e soffia nel carbone ardente; 
E chi nel cavi» rame il caffè chiuso 
Volge intorno abbrostendo,in{in che sente 
Misto cui fumo il grato odor diffuso , 
E de* granelli il crepitar frequente: 
Dal foco allora il toglie, e il gitta fuori*, 
Vestito a bruno di novel colore. 

Altri in ordigno addentellato il trita, 
E polvere ne trac minuta e molle : 
Altri l'occhio e la man pronta e spedita 
Sul vaso tien che gorgogliando bolle . 
Fin sopra l' orlo in un momento uscita 
L'occhiu'ta spuma, pel calor s'estolle: 
Ma poi lascia il liquor purgato e mondo 
L' impura feccia, che ricade al fondo. 

L' opra è compiuta: e su la mensa èprf- 
Già la bevanda in porcellana fina. [ sta 
Silvio il zucca ro infonde, e destro appresta 
Le colorate tazze de la Cina : 
Indi, colma e fumante, or quella or questa 
Con gentil atto a ognun porge e destina. 
Gustanla a sorsi: e la bevanda amara 
Poscia corregge il rosolin ^i Zara. 

Bondìy Giornata villereccia, cant0 li. 


SECOLO PEGIBiOTTAVO iS9 

Se tolto noi concenifion solo obbietto^ 
VII. Sopra il WMtrimonio, Erra distratto, e vóto langoe il core^ 

Uom, cerca il bel cbe non declina o more, 
soscoU terra; ivano a squadre £ s^^rà stabil cagion costante effetto, 
errando, esi mesccanqoai fere: Né ié senza Wrtù, né senza fede 
seo da ie celesti sfere, Amor, né senza amor gioja aver puoi: 

sanza ab di qoal ben fu madre! Mal abbia il guasto cor che ciò non crede. 
»mi s' udir di sposo e padre; Per chi sacra a Virtode i pensier suoi, 
i virtù fessi il piacere; Ventila Amore ad Imeneo le tede, 

enne amor, dolce dovere. Sposi, non sogno; no: favello a voi. 

:ggi, cittadì, arti leggiadre. Cesarotti. 

imi^lia uria, quel che fu poi CXIGVIII. A Fille. 

patria: che ad amar s* apprese 

'. stesso, e ne la patria 1 suoi. Odi, Fille, e m* aita. Ardo; e delpetto 
i&r chiari nomi, avite imprese; Tengo a lei, che il destò, l* ardor celato, 
mbiàrsi, e s' inuestaro eroi: Ellaol' ignora, o il finge; edelmio stato 
iene a tal fin sue faci accese. Prendesi (e il crederò?) crudel diletto. 

Mandai nunzio del core un sospiretto. 
Iti il gregge vii, secol che detto Che piaupian mormorava il home amato: 
•rto de V oro; io ti condanno. £i gemea verso lei; passoUe a lato: 
ato tuo bene ombra ed inganno:. Ma tornò non inteso, ovver negletto. . 
a é piacer , se noi condisce af- Fille, teco ellaé sempre: ah dille ch'io 

[ fé Ito. Per lei, solo per lei, peno e mi sfaccio, 
a in culla il desio facil diletto ; Ma tu chiedi qual sia: scherzi, o noi sai? 
to onor non si dicea tiranno : No, non é Silvia o Nice.Eurilla? oh Dio. 

I, senza scelta, e senza affarfno, Licori? ah no. Chi dunque? ah, Fille, io 
pice istinto, un cespo il letto. [ taccio: 

) fessi il comun; leggi e pudore Vattene a qoesta fonte, e la vedrai, 
istodi: onde il desio, che sciolto Cesarotti» 

ìsì pei sensi, invase il core. 

. parti respinto, in ceppi avvolto, CXCIX. Alla itanza della tua 
ossi in un punto: e nacque amore: donna > 

'Eliso é in questo nome accolto. 

Fida stanza romita, ove si spesso, 
lome é dover: d'ogni diletto Co* suoi dolci pensier, trova ricetto [to, 
ke mani inaridisce il fiore. Quella rh'é de'miei voti il sommo obbiet- 

ingo riposo alato Amore, £ mi fa, perché suo, caro a me btesso ; 

ccio a sicurezza assonna affetto. Poiché il mio fato ancor non leggo es- 
hiude tutto il bello un solo oh- [ presso, 

[ bietto; Dimmi: vedesti mai fuor di quel petto 
t di tutto libello ha vago il core. Uscir lento e furtivo un sospiretto 
nasce desio, s'allenta, e more: Mormorante il mio nome in suon som- 
varia cagion, non dura effetto. [ messo? 
I è d'accesa mente , eterna fede: Ah, se ciò fu, se un dì mai fosse (oh 
ffri, natura; uom, tu noi uuoi; Serbami quel sospir,serbalo intero; [Dei], 
ige é tiran, folle chi '1 crede. fa eh' io sugga quell' aure, e il cor ne bei. 
irla il mondo cogli errantisuoi: Velerà, fidai stanza, un bel mistero 
pradita al del, felici tede, ^ Mia gioja occulta; ed ii mio sguardo a lei 
1* empio linguaggio opra é da voi. Dirà sempre che bramo, e non che spero. 

Cesarotii, 

dover, tu di terren diletto 

il fimtc, e ingentilisci il fiore. CC. Alla iua donna, 

scorta tua che fora amorel 
a d' alma, e periglioso affetto. Già la Ragion eoa più severo volto 

OPABDI; Cnstomaiia. IL ^ 


430 CRESTOMAZIA POETICA 

S* appresenta de l*a1ina in su le soglie. Feroce apparve di virtù selvagg^e^ 
£ a sé chiama dinanzi aifetti e voglie, La dura Sparta, memorando esempio 
£ sgrida ogni pcnsirr fallace e stolto. Di quanto possa di robusta mente 
Un more, un iangue, in fuga un altro Ardito genio, che con forza afferra 

[evolto: Alto principio dicivil governo, 
Questo nodo si spezza, e quel si scioglie: E le disperse e mal composte partì 
Sgombro intanloil mio cor di vane spoglie, A quello trae con violenta destra. 
Beala sol di tue forme impresso e sciolto. Ed in un tutto armonico le annoda 
Verna su Talma, ed Aquilon campeg- Tenacemente, e abbatte e svelle e spezza 

[ già; Senza pietà quanto ripugna ed osta 
Di fronde e fior tutta la piaggia è sgom- Ai maschi sforzi de la man sovrana. 

[ bra: Sparta, che a tutte passioni umane. 
Ma V immagine tua solo verdeggia. . Di natura stupor, travolve il corso; 

£Ua un deserto, unica pianta , adom- Ed amìstade, umanitade o sangue 
Tutto colle radici il cor passeggia: [bra: Doma e calpesta ed ala patria n'erge 
E Ragion con Amor siedevi a T ombra. Atroce ed ammirabile trofeo, 

Cesarotti, £ l'uom fa fera per cangiarlo in nume. 
Ma senza sforzi e violente prove, 
CCI. Il sospiro. Quasi del suol latin spontaneo frutto, 

Mira, il Genio direa, semplice e bella, 
A i fidi amici, a i cari poggi Estensi Far di se mostra la virtù di Roma: 
Tornate voi per me, caldi sospiri, Roma, che de la Fama ancor già spenta 

Nunzii di ricordanze e di desiri; Tutta riempie la capare tromba: 

Onde il cor se ne allevii e si compensi. Roma; di tutte Tarti alta maestra 

Vedrete là chi di me parli e pensi. Di conquistar, di conservar gì' imperi: 
£ chi del mio partir dolce s' adiri: ^ Ch*e, a forza d' indomabile costanza, 
Qual di voi grazie renda, e quale spiri Dietro il suo carro incatenò Fortuna; 
D» affetto e d' amistà teneri sensi. ^ E, a tempo enorma, or generosa oraspra. 

Ben volerà ciascun pronto e giulivo, Or audace or accorta, e grande ognora,"" 
Mormorando quel nome a cui l'invio; 1)' occasion gì' impercettibil punti 
Sol un fra tutti andrà tacito e schivo. Preparando o cogliendo, e misto a forza 

Felice me se un gentil viso e pio, IMeghevol senno, ed a virtudi eccelse 

Mentr' ei sen passa timido e furtivo, Viaii abbaglianti ed a virtù simili; 
Dolce il sogguarda, e fra sé dice: è mio. Fé T universo, attònito e sorpreso 

Cesarotti, Di rimirarsi sua provincia fatto 

Per insensibìl via, baciar contento 
CCII. Alene r Sparla e Roma, Le sue felici e splendide catene. 

Fatai grandezza, che il vigor vitale 
Ecco al suo sguardo, del gran Genio a De i gran principii, e de le leggi antiche » 

[ i cenni, Stemprò, disperso in sì remote parli: 
Mostrarsi Atene, luminoso misto Che troppo denso impcnelrabil velo 

Di difetti e virtù; d'eroi nudricc, Tra il guardo altier d'imperiosi duci, 

Punitrice d' eroi; leggiera e grande; £ de la patria l'adorata immago. 

Solo in suo danno del parlar regina; Frapponean l' Alpi; e si perdea la voce 

Sempre ondeggiante in popolar procella. De l'alme leggi, in tanti mari assorta. 
Sempre discorde; zelatrice ardente Quindi l' incauta plebe, e le supi<!l)e 

Di libertade, a liberlade inetta^ Italiche città chediero a Roma 

Splendida madre e forsennata amante 1 ar>e di cittadini, e compri voti; 
D'aiti ah per lei troppo leggiadre e belle, Vile si fér ' d' ambizìon strumento: 
Che in alto soa\ issimo letargo Onde l' antico salutar conflitto 

L'immerser tutta, onde poi scossa indarno De i dritti alterni de i diversi corpi^ 
Al suon de la guerriera emazia tromba Rotto il costante edequilibre moto,, 
Svegliossi in braccio di fatai servaggio. Ch' era di libertà iermenta e vita, « * 
B/ir petto a Ì€Ì la fiua rivale altera, ' Fecero. 


SECOLO DECIMOTTAVO 131 

M in aspra e torbida tempesta; Le difese abbandona , e invan s' asconde 

giacque, in alto mar funesto Dietro un leggero focosetta velo, 

sangue civil naufraga e spenta. Che più che di vergogna è di desio, 
està ialina, o sacro nome, Così scorrendo ognor di bella in bella, 

» di gloria, « sudor vani, Pago non è se trionfante in Guido 

lustri è più d*alte virtudi, Non entra, e cinto de Pidalio mirto, 

iungeste! £cco depreda il frutto Conquistator de V amoroso regno. 

imprese, e le midolle e il sangue Miser: dhe, sempre Hi piaceri in caccia, 

stato, e lo dinerba e spolpa Gii sfuggon sempre; in un forato vaso 
nia, queir esecrabil mostro Versa un'onda infìnila; e quasi a un punto 
ì braccia, e di sanguigna bocca Gli germogliano in cor diletto e noja. 
ice di giustizia e leggi: Sfasciasi intanto il corpo; e move il pa$so 
ito da i baratri profondi, Aifrettata vecchiezza, li van desio, 

a terra a sèsimil, V Inferno. Che sopravvive alle defunte membra, 

:rrà, ma verrà pur, vendetta Lo fa segno di scherni: e al fm consegna 

che troppo a cor romano acerba); De la sua vita gli spossati avanzi 
le* prischi eroi, cui fu di morte A vergogna, a rimorsi, a doglie in -preda, 
di servitù, dolce 1' aspetto. Cesarotti, 

;roci popoli selvaggi 

freddo Aquilon torbido nembo, CCIV. V autunno. 

li stragi, che pe i larghi vóti 

onnesso e vacillante impero Già s'accorciava il giorno;e iltempera- 

l'on rovinoso orrido scroscio. Ottobre ergea la pampinosa fronte. [ to 
olosso smisurato, enorme, Incominciava a impoverirsi il prato 

asto giarda mille vizii interni, D' erbetta , e il verde a impallidir del 
'A no, ma si reggea col peso; [ monte; 

>strato, e colle sparse membra E frequenti stridean del viandante 
il mondo, che copria coli' ombra. L' aride foglie già sotto le piante. 

Cesarotti. L' anno maturo dechinava: ed era 

Il suo modesto ammanto assai più caro 
CU. X' amatore leggero. Che quello della steril primavera. 

De gli avidi bifolchi a V occhio avaro: 
colà doTe, in dipinte logge La pingue oliva, l'auree e rosee poma 

1 teatro le beltà raccolte. La curvata prcmean ramosa chioma, 
tacol si fan che spettatrici. 11 dì sorgeva: era sereno il cielo; 

a messe amorosa! £i la divora Mentre, qual mar^stendea su le soggette 
n l'alma, che, divisa e sparsa. Valli la nebbia un biancheggiante velo* 
bbri di Silvia, e s'iede a l'ombra Fuori i colli sorgean, quasi isolette; 
lìglio di Nice; a Cloe tra i crini Kd apparian su le lor verdi spalle 
, e strìscia , e si perde a Fille in I rozzi tetti e le fumanti stalle. 

[ seno. Del sol mezio scoperto e mezzo ascoso. 
Ite a un punto; e d'un sospiro ì- Tra iìrossi grappi, e pampani stillanti, 

[ stesso Tremolavano i raggi: al pasco erboso 
>io k per Delia, il fin per Clori. Già i greggi si movean, lenti e belanti: 
ispetto, ingegno, età diversa E ora apparian gli augelli entroil sereno, 
ente l' alletta. Aria vivace Or disparlan di folta, nebbia in seno, 

danza, ritrosia l'irrita, Pìg notti, noveìW HI, 

cotto l'adesca; e, se riscontra 

;uardo di gentil fanciulla CCV. / palloni volanti. 

udore ed innocenza alberghi, * 

vana idea gii empie la mente De lo stupor che desta . 

r de le prime amorose orme Un volante pallone, 

; intatto; e di veder già pargli A dirli il ver, non vedo la ragion*». 

, che, sedotta e palpitante, Qnal è mai la virtù che io sublima? 


i32 


CRESTOMAZIA POETICA 


Che asconde entro di se, da cui la forza 
Per gire in aito e per volar rieere? 
Fumo sol wì si asconde, ed aria lieve. 
Onde la meraviglia? e quando fu 
Nuovo vedere il fumo andare in su? 
Or sai la diiferenia, e perchè il ciglio 
Ciascun V* affisa, e si riman stupito? 
È fumo, è ver; ma fumo rivestilo. 

Con varie fogge per attrar io sguardo, 
In ampio globo ascoso, in varia veste 
Il fumo si traveste; 

Ora in più vile.ora in più ricco invoglio; 
Ma il più comun vestito è quel di foglio. 

Scuotousi i polverosi scartafacci, 
£ cento e cento per vestire il fumo 
Pongonsi in opra letteraril stracci. 
Quanti intarlati, né finora aperti. 
Vergini libri, già vecchi, e coperti 
Di quella ancor che vi cade primiera 
Polvere inonorata. 
Libri cui si fé nolteinnanzi sera; 
A le tignole tolti. 
Si schiudono; e disciolti 
Dal manto, che quantunque aureo gl*iu- 
A r oblio non li tobe, [ vobe, 

Ora impastati al fumo intorno intorno, 
CJon meraviglia a Ifin veggono il giorno! 
Qua s' ìnnaLÌzsL un pallone , e ne 1* alzarsi 
Mostra su V ampio suo ventre distesi 
I magnifici titoli 
Di teologiche tesi. 
Sdrucite, e insiem confuse, 
Volano le poetiche Raccolte . 
O quante odi pindariche. 
Sol di vano rumor pompose e caricfaei 
Che con sonanti rime, 
Mentendo in stil sublime» 
luvitaron si spesso gli uditori 
A rimirare il loro eccelso volo, 
Ne si mosser dal suolo; 
Ecco, con nuovo inaspettato salto, 
Pregne di fumo, alfin volano in alto! 

Voi pur (chi '1 crederia) mostri di Pindo 
Che, col coturno in pie, da pulcinelli 
Travestendo gli eroi. 
Montate in palco; e voi 
Che, impastati di un quarto di commedia, 
D'un altro di tragedia, 
£ il resto di follia, 
Daniello ed £tìa 

In lungo, strano e non ^inteso gergo 
Ragionar fate; e per le colpe sue, 
Nabucco in scena trasformate in bue; 
yoi che, nati, restate ognor sepolti 


De l'oblio fira le tenebre onicide; 

Gioite: alfiu v'arride 

11 fato amico: è giunto 

Il fortunato punto 

Che tragghiate del pubblico gli sguardi: 

£ mentre, in giri ora veloci or lardi, 

V* inalzate a le nubi. 

Quei che speraste in sul teatro invano 

Lieti plausi sonori. 

Grazie al fumo, vi fan gli spettatori. 

Ma questi benché adofuo 
De le dotte fatiche di Parnaso 
E di più d' un Liceo, 
Quest'abito del fumo è il più plebeo. 
Altri di tela il cinge, 
Che di vaghi colori orna e dipinge; 
Altri di nobil più, serica veste, 
Su cui scorrono, inteste, 
K in vago ordine miste. 
Auree cpurpuree liste. 
a il vario suon di gioja ed il clamore 
Del volgo, pare a me che sia mafj^iore 
Quanto più ricco e bello 
È del fumo il mantello. 

Di questa folle ammirazion, di questo 
Strano evento tu ridi? e pure in esso 
Ravviserai, se eoa attento sguardo 
Prendi a mirarlo ben da capo a fondo, 
L' immagine di ciò che avvien al mondo. 
De gli uomini l' immensa 
Folta che scorre inosservata e queta 
Per r usata e secreta 
Via de la vita, rassomiglia appunto 
Al fumo non vestito ancor, che sotto 
La sua vera figura naturale. 
Senza attrarre un'occhiata. 
Per la solita strada in aria sale. 
Ma vedi come a un tratto, 
Rapidamente tratto, 
Da destrieri spumanti. 
Di ricchi fregi adorni ed aurea brigl ia, 
Stride su i ferrei elastici sostegni 
Fastoso cocchio, e il popolo scompiglio* 
Vedi come la turba 

Stupida il guarda, e risguardandoamnQ* 
Quei servi rapidissimi e volanti, C ta 
Che gli scorrono avanti , 
Come i destrieri anch'essi orAati d*oiO| 
E resi eguali a loro; 
Quello stuol d'oziosi impertinenti 
Dietro al cocchio pendenti; 
L'aureo fulgor, lo strepito, il rimbooiio» 
Che la vista così fere ' e .l' udito, 

* Ferisce. 


SEGOLO PECIÌfOTTAVO i 33 

l forno un nagnifico Testilos Ma si raffredda il fumo; e già ricade 


DO, o sia di quel ricco e dorato 
,chesdrajato 
irstosa impertinema siede 
ante guanciale e la pedestre 
d'un guardo sol degna non crede, 
rapido cocdiio 

i, strideDdo in minaccioso metrò, 
uperfao indietro 
?olgo cencióso: ed a punirlo 
ui tri^po appressò , mentre tra- 


Stt quelle, onde partì, fangose strade: 
£ allora, ad onta de la nobil vesta. 
Senza degnarlo d' una occhiata sola. 
Vi passa sopra il volgo, e lo calpesta. 

Pienotti» 

GCVI. Il gatto e il pesce éUtrato. 


FATOLA > 

Sopra marmorea vasca, ove il cristallo 

a, o, allor eh' ei fiogge, [ passa, Emula van le pure onde tranquille, 

e fimgoso spruizo asperso il lassa. Ed a l'argentee conche ed al corallo 

un fumo negletto era poc'anzi Faceano specchio, e a le petrose stille; 
li piegànsi innanxi Infra i gatti il più bel, JBuricchio, as- 

fronti umili. £ ben, che avven- [ siso, 
:hiave*dorata, che gli pende [ne? Stavaammiran do entro il cristallo ondoso 

fianco*, quello l.e negre orecchie, ed il rotondo viso, 

titolnovello, Le candide basette, e il pel nevoso. 

ne la tHKca alteramente, e suona Mentre contempla la sua bella imago, 
nposo rimbombo E in basso e rauco suon va borbottando, 

ibora de' servi ogni momento; Mira sotto di se nel picciol lago 

Un non più visto pesce ire ondeggiando. 
Aguzza i lumi allor, la serpeggiante 

G)da inarcando, e in lui s'affisa attento; 

Che di dorate squame fiammeggiante, 

Per l' onda se ne va fastoso e lento. 
Buricchio allor, che sotto un serio e 
igon, qnai zodiaci, oblique il seno Venerabile aspetto ricopria [ grave 

del forno: sì, gemmato fumo, Indole ghiotta, e voglie ingorde e prave; 
pomposi, e tremule scintille Sì bel pesce assaggiar tosto 'desia* t 

lo, le pupille E crede che, di vaga e pellegrina 

j;o abbaglia sì, che in lui s'affisa, Spoglia sì ricca un pesce rivestito, 
' fumo nessun più lo ravvisa. Più de l' argentea trota e de l' ombrina, 

1 fumo il più leggiero, il più set- De lo storion sarà più saporito, [ruote: 
che il ^olgo umile itile; Guizza per l'acqua il pesce in spesse 

con più stupor; quello che abba- Stende la zampa il gatto, e l'unghia al- 
ibi troppo fiso lo rimira , [ glia I tuffa 


fuino un fastoso abbigliamento, 
el fumo son quelle splendenti 
»ntif legacce,e stelle, e fere; 
tinte, altere 

fasce, d* a urei fregi ornate 
nme stellate, 


I strana vertigine 
il capo gli gira; 
le cangia ogn' istante 
> e di scmbbnte, 
veste i più pomposi e vani; 
no lusinghier de' cortigiani. 
3r fosca e torbida atmosfera, 
i d' incostante aura leggera, 
crei palloni, errar li mira, 
a le più instabili vicende: 
lonta, altri scende. 
[uando il favore, 
àtal calore, 

a il fumo, vedi come s' alzi 
simo il globose in un baleno 
a le niu^ insano. 


Ne l'onda alquanto, e la ritira e scote; 
E accostali muso,, tocca l'acqua e sbuffa. 

Sorge alfine a fior d'acqua, apre la bocca 
Il pesce incauto, e più e più s'innalza: ' 
Buricchio attento il fatai colpo scocca; 
L^adugna e tira, e sopra il suol lo sbalza. 

Si dibatte su II' erba egro e languente 
Il pesce: e il gatto a lui saltando addosso. 
Straccia coll'ungbia, e ficca avido il dente 
Ne l'aurea pancia e nel dipinto dosso. 

Ma quando poi l' insipida e stopposa 
Polpa gustò, che già sperato avea 
Trovar sì saporita e preziosa; 
Burlato, malamente la rodea. 

E abbandonando il nesee non finito, 
Fra sé concluse, pien di mal umore^ 


434 CKESTOMAZIA POETICA 

Che creder non si deve a un bel vestito, 
Né rinterno apprezzar da quel cb*è fuore. 

Pignoni, 


CCVII. La mosca, 

FAVOLA 

Da V infiammate rote 
Febo scotea sul suol V estivo ardore; 
£ il robusto aratore 
Stava a Tarso terreno 
Col vomei^e tagliente aprendo il seno. 
Accciso iii voltO; di sudor bagnato, 
Col crine scompigliato, 
Curvo le spalle, il cigolante aratro 
Con una man premea, 
Cbe col chino ginocchio accompagnava; 
£ coir altra stringea 
Pungolo acuto; e colla rozza voce, 
£ co i colpi freq uen ti , 
Affrettava de' bovi i passi lenii. 
Stava sopra l'aratro in grave volto 
Una mosca arrogante, 
Ch'or su l'irsuto tergo 
De' stanchi buoi volava, 
£d ora al tardo aratro 
In fretta ritornava; 
£ quasi in alto aifar tutta occupata, 
Smaniante ed affannosa, 
Corre, ronza, s'adira, e mai non posa. 

Un moscherino intanto 
Passando ad essa accanto. 
Le disse: e perchè mai 
Tanto sudi e t'affanni? e cosà fai? 
Rispose con dispetto 
Queir arrogante insetto: 
Noi vedi? è necessario il domandare 
Qual importante affare 
Ci occupi tutti adesso? Ad ignorarlo 
Veramente sei s«»lo. 
Non lo vedi, balordo? ariamo il suolo. 

È assai comune usanza 
Il credersi persona d' importanza. 

Pignoni. 

covili, ilrosignuolo e il cuculo. 

FAVOLA 

Già, di zefìra al giocondo 
Susuirare, erasi desta 
Primavera; ed il criu biondo 
S'acconciava, e l'aurea vesta. 

L'aer tepido e sereno^ 
De la terra il lieto aspetta 


Già destava a tutti in seno 
Nuovo brio, nuovo diietto. 

Sopra l'erbe e i fior uovellt 
Saltellavano gli armenti; 
Ed il bosco, de gli angeilt 
Risonava a i bei concenti. 

Con insolita armonia 
Entro il vago stuol canoro 
L' usignuol cantar s' udia, 
Quasi principe dei coro. 

Le leggiere agili note 
Sì soave or lega or parte, 
Che dimostra quanto puote 
La natura so{n-a l'arte. 

Ora lento e placidissimo. 
Il bel canto in giù discende: 
Or con volo rapidissimo, 
Gorgheggiando, in alto ascende. 

Tra le frondi ei canta solo; 
Stanno gli altri a udirlo intenti: 
Ed avean sospeso il volo 
Fin P aurette riverenti. 

Sol s'udia di quando in quando 
In nojoso e rauco tuono 
Un cuculo andar turbando 
Il soave amabil suono. 

K lo stridulo rumore 
Importun divenne tanto,. 
Che del bosco il bel cantore 
A la fin sospese il canto. 

L' importuno augel nojoso. 
Dispiegando allor le penne, 
Al cantore armonioso 
A posarsi accanto venne: 

E con ciglia allor di grave 
Compiacenza e orgoglio piene, 
Disse al musico soave: 
Quanto mai cantiamo bene! 

L'ignorante ed impudente 
D' accoppiarsi al saggio ha l' arte, 
E con lui tenta sovente 
De la gloria esser a parte. 

Pignoni- 

CCIX. La rosa, il gelsomino 
e la quercia. 

FAVOLA 

D' un rio sul verde margine. 
In florido giardino, 
Su siepe amena stavano 
La rosa e il gelsomino: 

Che, con piacer specchìaiidosi 


SECOLO DECIMOTTAVO 


135 


Eotro del* onde chiare, 
Insiem de* proprii meriti, 
Presero a ragionare. 

1 fior diletti a Zefiro 
Noi siam/dicea la rosa: 
Noi sceglie sol, per tessere 
Ghirlande a la sua sposa. 

Alcun non è che uguaglici; 
Alcun non ci somiglia, 
Fra tutta la più nobile 
De* fior vaga famiglia. 

Leggiadri ed odoriferi 
Noi siamo; è a noi permesso 
Di lusingare e molcere 
Due sensi a un tempo istesso. 

Punta da dolce invidia, 
Btn mille volte e mille 
11 mio colur desidera 
Fin la vezzosa Fiile, 

Quando davanti al lucido, 
Fido cristal si pone, 
E a la sua guancia accostami 
Per fare ilparagone^ 

Noi l'auree chiome a cingere 
SiaUio sii gli altri eletti, 
O i palpitanti a premere 
Turgidi eburnei petti: 

Trattati ognor da morbide 
E delicate mani, 
D* Amor spesso partecipi 
De* più soavi arcani. 

In somma, o tra l* ombrifere 
Piante, o tra l'erbe e i fiori, 
Non V* è chi al nostro merito 
Non ceda i primi onori. 

1 detti lusinghevoli 
Con gioja altera intese 
Il fior stellato e candido, 
£ poi così riprese: 

Vedi là queir altissima 
Deforme quercia annosa? 
Guarda che foglie ruvide, 
Che scorza atra e callosa. 

Chi mai qui presso poscia? 
La semplice sua vista, 
Se in parte non detarpami. 
Almeno mi rattrista. 

Ella, cpme sei merita, 
Da la callosa mano 
Trattata è sol del rustico 
Durissimo villano. 

Tra 1* opre sue mirabili 
Certo sbagliò Natura 
A prodnccasì sotica. 


Pianta, si roiza e dura. 

In vece d* olmi e frassini| 
Di querce, abeti e pini, 
Crear sol si dovevano 
E rose e gelsomini. 

Scosse la nobil arbore 
Le chiome maestose, 
£ a le arroganti e garrule 
Voci c\m rispose; 

Frenate i detti frivoli^ 
O mesrhinelti, o vani\ 
Che forse il vostfo pregio 
Non giangerà a domani. 

Tanti morire t nascere 
Sa questa piaggia amena 
Di voi vid'io, ch'esistere 
Voi mi sembrate appena. 

Solo per pompa inutile 
Dei suol voi siete nati; 
Quasi a un tempo medesimo 
E colti ed obbliati. 

Io da la spessa grandine, 

10 da gli estivi ardori 
Presto un grato ricovero 
Al gre^e ed a i pastori. 

Co* miei rami prolifici 
Son già cent* anni e cento 
Ch' io porgo un util pascolo 
Al setoloso armento. 

E quando, fiacca ed arida, 
Sarò a morir vicina, 
Spero di sopravvivere 
Anche a la mia mina. 

Del minaccioso oceano 
Andrò solcando l' onde, 
£ tornerò poi carica 
Di merci a queste sponde. 

E voi, che siete, miseri. 
Da tutti oggi odorati; 
Demani, guasti e putridi, 
Sarete calpestati. 

Del saggio arbor non erano 
Compiti i detti appieno. 
Che i fior -già cominciavano 
Lancruidi a venir meno. 

Già inariditi perdono 

11 lucido colore; 

£ al suol negletti cadono^ 
Sformati e senza odore. 

'Ìlu, che qua! bruto ruvido, 
Ogni uom di senno spregi, 
Lesbiu, se non adornasi 
De* tuoi galanti fregi; 

Ne' miei fior la tua imagiHe 


iù6 • CHESTOMAZIA POETICA 

Non vedi al vivo espressa? La ragion ne diro: perchè i segreti 

La vedrai tosto: aspettati De la natnra san meglio i poeti. 

Tu ancor la sorte istessa. Quando uscì da le man de la natura 

Fignotii, II cigno, anch' esso nacque 

Con voce rauca^ dissonante e dura, 
Come gli augei che vivon» ne l'acque. 
Niuoiv di lui però prendeasi gioco; 
Perciocché presso a poro 
Cantavan tutti su l' istesso tuono. 
Per sua disgrafia un giorso 
Infra i rami d' un orno 
Sentì del rosignuob il dolce snono: 
£ allor vedendo quanto 
L'armonia del pantano era discorde, 
Del rosignolo chiese a Giove il canto: 
Che sul principio fé l'orecchie sorde; 
Ma, quando ei volle poi. furtivo entrare 
Di Leda ne le soglie, 
Si fece allor prestare 
Dal cigno le sue spoglie; 
£ allor concesse al candido animale 
Canto del rosignolo a quellovegnale. 

Di questo nuovo pregio il cigno adorno, 
Credette esser più illustre 
Infra i compagni de lo staol palustre. 
Ma quei gii furo intorno 
Con sibili di scorno. 
Gridando che il cantar così, non era 
Il tuono e la maniera 
Conveniente a la palnslre starna. 
Invidia forse fu, forse ignoranxa: 
L'altrui doti sprezzare, avere in pregio 
Le proprie solo è naturale istinto: 
Ognun sa come i mori hanno in dispregio 

I bianchi, e il dia voi bianeii hanno dipinto. 
Fosse insomma ignorante ovvcr maligno 

II gracidante stuol, con schenn e basse 
Perseguitò tanto e poi tanto il cigno, 
Che, disperato essendo» egli s' indusse 

Pigmtti. A richiedere a Giove alfin l' antica 
Voce discorde: e in quella 
Ora soltanto canta, ovver &veU«, 
£ quella schiera, a lui tanto nemica, 
I fisici più gravi e gli eruditi Sol si potè placare 

Fecer ne' tempi addietro, e fanno ancora» Quando l' udì gracchiare. 

£ lunghe e dotte e strepitose liti, Infra i balordi, per istar d' accordo, 

Perchè una voce armonica e canora Spesso, o lettor, c<mvien far da balordo. 

£bbe ne' tempi antichi il cigno» ed ora fignouù 

}fon canta no, ma gracchia, 

Appunto ecune un'oca o una cornacchia: CG^II. Il eavallo, il fttM, U manton9 

£d hanno mille lune acutamente e l' a$ino» 

Dette, piene però d'erudizione, »AVAt * 

Or 10 per risparmiar d un innocente 

CrJsihm iAchioitro tanta effosione» Quattro animai» divani 


CCX. La ehieehera e la pentola, 

FAVOLA 

Una dorata chicchera 
Dì porcellana fina. 
Spezzata in più minuzzoli, . 
Tornò mesta in cucina. 

Pria che i rottami inutili 
Fosser gettati via: 
Che t'aweime, una pentola 
Disse, sorella mia? 

La chicchera sarehbesi 
Sdegnata un' altra volta 
A tal nome; ed ora umile» 
Per pietà, disse» ascolla. 

Tu sai con che mirabile» 
Con che sottil lavoro . 
Cinese man, di porpora 
M'avea fregiata e d'oro. 
Sopra^ bacile argenteo» 
D'argento circondata. 
Da la}>bra e mani nobili 
Ognora palpeggiata; 

La mia fragile origine 
Alfin dimenticai; 
£ in un vaso che cadere 
Von volle il luogo, urtai. 

£ra il vase metallico: 
£d a la prima botta. 
In pezzi minutisùmi 
Caddi schiacciata erotta. 
Forse su V argomento 
Di questa favoletta 
Necessario è il comento? 


CCX). Jl cigno, 

FAVOLA 


i e d'umore;. 

sorridere, 

le serio e piea di gravità, 

ia parca di qualità, 

lo vontoac, ed nno anello 

to asinelio; 

ndo di fame in meizo a tasta 

pianura, 

cando ventura. 

ungo viaggio 


SECOLO DEC1M0TTÀV0 " J37 

Così si fa fortuna in questo oiondo. 

Pignottì, 


CGXIII. La iueea» 

FAVOLA. 

Dolevasì «na zucca 
D' esser da la Natura condannata 
A gir serpendo sopra il suolo umile. 
Io, dicea, calpestata 


afflitti, a&aiati, in aria trista Mi trovo ognor da ogni animai più vile; 


alfine in vista 
'deggiante, ameno 
rasso terreno, 
tea turba impaziente 
urava ed arrotava il dente: 
tgendo dappressso, 
vago prato 
circondato 


£ dentro il limo involta, 
£ nel crasso vapor sem|>re sepolta. 
Che denso sta su l' umido terreno. 
Mai non respiro il dolce aer sereno. 

A cangiar sorte intenta, 
Volse e rivolse i rami serpeggianti 
Ora indietro or avanti, 
Strisciando sopra il suol con gran fatica; 


rgo fosso , e da una siepe folta; lanto che giunse a un'alta pianta anti- 


iico varco stava assiso, 
) e brusco viso, 
> villano, 
dia colla mano 
» bastone, e si pesante, 
ggir la fame in un istante, 
r generoso» 
ne al* aspetto 
oersi io petto 
non so che, 
me passar tosto gli fé: 
le tremava: 
liberava; 

unga deliberazione, 
star lungi dal bastone. 
) allor, senza pensar di pia, 
^ro un salto, . 
U>n va incontro al fiero assalto: 
ano il custode, 
duro legno in arsa scote, 
percole, 

resfùnge, invan lo pesta: 
ipra tempesta 
orrendi V asino s* avanza; 
de a dispetto, 
orfe nel florido ricetto, 
t in mezzo a V erba 
ita superba. 
si allora a* tristi amici 
cessi felici 
dnatoeroe 

con occhio invidioso; 
pinmaraftey 
volto placido e giocondo; 


I pieghevoli rami avvolse allora [ca. 
Al tronco de la pianta intorno intorno. 
Strisciando chetamente e notte e giorno: 
Talché, fra pochi dì, trovossi giunta 
De Palbero a la punta: 
£, voltandosi in giù, guardò superba 
Gli umii virgidti che giacean su l'erba. 

Questi, ripieni allor di meraviglia, 
Chi mai, dicean fra loro, 
Portò con lieve inaspettato salto 
Quel frutice negletto tanto in alto? 
Bispose il giunco allora: 
Sapete con qual arte egli poteo* 
Giungere a l'alta cima? 
Vilmente sopra il suol strisciando prima. 

Pignottì» 

CCXIY. AW Italia. 

Italia! me felice! 
Sotto il ciel più sereno» 
Bella d'arti e d'artefici 
Begina e genitrice, 
Nacqui anch' io nel tuo seno. 

Le mani alzo a gli Dei, 
Eil dond'iulacuna 
Pregio piò che in estrania 
Terra non pregerei 
Don di regia fortuna. 

Se naequer lungo il Nilo, 
Se Grecia le fé beile. 
Nacquero e s'abbellirono 
Sol per prende! asilo 

' Polc. 


158 


CHESTOMAZIA POETICA 


Tra noi l' arti sorelle. 

Quante man corser pronte! 
Quant*alRie innamorate! 
Ecco a le Dee risplendere 
Tutta la hice in fronte 
De la natia Leltate: 

D* eccelso orgoglio oh come 
Inusitati moti 
L'acceso cor m' investono, 
Sanzio, s' odo il tuo nome, 
S' odo il tuo, Buonarroti! 

Ovunque il guardo io giro, 
Cento m*invitan segni 
D' are che al Gusto alzaronsi: 
Quanti r aure eh* io spiro, • 
Spirar sovrani ingegni! 

De l' arti io vi saluto 
Monumenti diletti: 
In voi pascendo l'anima, 
In genio anch'io mi mulo, 
£bhro de' vostri aspetti. 

Altri fra il tuon de' cavi 
Metalli ami aggirarsi 
Fra monti di cadaveri; 
E l'irto crin si gravi 
Di allòr di sangue sparsi: 

Tu, Italia, in mezzo a l'arti 
Pacifica ti resta; 
Italia, ecco il tuo imperio: 
No, il Ciel non potea darti 
'Sorte miglior di questa. 

Grecia potuto avria 
Lagnarsi? un sol sospiro 
Trasse ella mai d' invidia 
Su l'alta signoria 
De' successor di Ciro? 
^ Ma de l' onor più vero 
Sempre, se vuoi, ti sono 
Tutte le vie domestiche: 
Scopristi un emisfero, 
E altrui ne festi ' un dono. 
Di tue ricchezze il fonte 
Avrai tu sola a vile? 
Se, mal suo grado, apprezzale 
D'oltremar, d' oltremonte 
Ogni spirto gentile? 

Qiial corra a te non pensi 
Estrania oguor ^miglia, 
Su' tuoi tesori estatica 
£ in prede a mille sensi 
D' invidia e maraviglia? 
Reso a le patrie rive, 
Se oltraggi alena frappone 
' Facesti, 


Al vero inevitabile; 

Quel che sua invidia Scrive, 

Detesta sua ragione: 

Ma, se l'invidia cede, 
L' industre peregrino 
Giura, per te dimentica 
D'aver la patria; e chiede 
Farsi tuo cittadino.. 

BertUa, 

CCXV: Partendo daPosilipo. 

Addio, beato margine, 
S icro per tanta età 
A l'aurea voluttà, 
Sacro a le muse. 

Se ne le fibre languide 
Mi ribolli vigor, 
Se nettare sul cor 
Mi si diifuse; 

Se più letea caligine 
A l'etra un.vel non fa, 
Se a l' arti é a P amistà 
Dolce io rivivo; 

Tutto a te deggio: e deggioti 
L' insolito avvenir 
Ond' eccito i desir 
Pigri ed avvivo. 

Come veloce a serpermi 
Per le midolle fu 
La provida virtù 
Di questo sole! . 

Così pietoso penetra 
Raggio del dì novel 
Entro r esangue stel 
De le viole. 

Com' io sentia, ne l'agili 
Vicende del réspir, ' 
Me stesso rifiorir 
De' tuoi bei doni! 

Su cento sassi inciderli 
LMndustre man tentò: 
Forse gli eternerò 
Con grati suoni. 

Se ben d'Azio ' ne'nomer 
Pinta e famosa è già 
La magica beltà 
Del mar, del lido; 

De' colli, che pompeggiano 
1 n curvo ordine àltier; 
De gli antri, ove i piacer 
Formato hau nido. 

lo quindi alzarsi, io créscere 

' DelSjiaaaszarOt 


SK<!:OLO 

Quindi i noTelK albor, 
b TÌdi i salsi amor 
D* oro poi farsi. 

£ numerava i fulgidi 
Solchi pai mar y pel ciel , 
Qoai da mortai pennel 
Non pon * ritrarsi. 

lo di Vese?o sorgere 
Da la montagna foor, 
Ke l'ampio suo cbiaror, 
Cinzia vedea; 

£ da i'-alte vulcaDÌche 
Foci la fiamma uscir, 
Che il sommo orlo lambir 
Di lei parca: 

£ vidi in manto argenteo 
I fluttti tremolar, 
E P ali ivi tuffar 
L* aura leggiera. 

Da l' arenoso margine, 
Dai sasso al mar vicin, 
Più non vedrò il mattin, 
))oQ più la sera. 

Addio, ^e iberno turbine, 
Coir arme d' Aquilon, 
De r umile magion 
Flagella il piede; 

Gr incisi sassi a frangere 
Non mova il suo furor: 
Lunga d' un grato cor 
Far deggion fede. 

Addio. Se, allor che d'esperò 
L* amabil lume appar, 
Vrrraii solcando il mar 
Gli eletti amici; 

L' erma mia stanza guardino 
Dicendo: or più non v*è: 
Come sou brevi, oimè, 
L' ore felici ! 

Oh, il più gentil fra i Zeffiri, 
Erra tra i cedri e i fior, 
£ de* ben misti odor 
L' ale ti carca; 

£ ne profuma 1* aere 
Quando s* appressi qui, 
Dov*io raaolst un dì. 
L'amica barca. 

Avvezzi, o bel Posili pò. 
Te gli occhi a vagheggiar, 
Te cupidi a cercar 
Sempre verranno. 

£ spesso in parte scorgerti 
Da lunge ancor potran: 
* Poonot Possono. 


DECIMOTTAVO 

Ma invan fra poco, invan 
Ti cercheranno. 


ìi^ 


Bertela : 


CXVL II fiore del prato, 

PBa NOZZE DI UN AMICO 

È pastorella, h semplice 
Nel volto, e più nel core; 
£, quella che innamorali. 
Come del prato un fiore. 

Sta fra l'erbette incognito, 
De' pregi suoi contento: 
£ s* ha men Sol che scaldilo, 
Non ha timor del vento. 

Altri d' un bello è cupido 
Che sia fior di giardino; 
In vasi accolto, è celebre 
Per nome oUramariuo 

Ma che far mai d' un titolo 
Che dal capriccio è nato ? 
O quanto è meglio scegliere 
Un fior di mezzo il prato! 

Sì, le fogliuzzze ha tenui. 
Poca fragranza spande; 
Ma è delicato, ingenuo. 
Se non robusto e grande. 

Come l'avea nel nascere, 
Ha sempre il suo candore: 
£ perchè tutto è candido. 
Ami del prato il fiore. 

Gli sguardi non solletica 
Con variopinta testa; 
Ma quel candor soddisfati, 
Ma quel candor i' arresta. 
Ah , non di tanto strazio 
Sarìa cagione amore. 
Se ognor le belle fossero 
Come del prato un fiore. 

Sai ch'egli ancora è suddito 
De' fiori al comun fato; 
Ma sai eh' è più durevole 
De gli altri, il fior del prato. 

Non cerca ombra o ricovero; 
A sdegno ha la coltura; 
¥1 da sé solo vegeta. 
Come lo fé natura. 

Tal, deh, si serbi Fillide 
Nel volto, e più nel core; 
£ sempre per te serbisi 
Come del prato un fiore. 

Striate. 


i40 


CRESTOMAZIA POETICA 


CCXWÌ.L'ineostanxa. 

Ve* che freme su per l'onda 
I^a più nera traversia; 
Che farà la barca mia? 
La mia rete che farà? 

Disse Cromi, che sedea 
Sur un greppo con Nigella: 
£ risposegli la bella: 
Sei qui meco, e pensi là? 

Cromi allora: né a la barca 
Né a la rete io penserei, 
Se tu fossi come or sei 
Sempre tenera con me: 

Ma voi, ninfe, al par de l'onda 
A cangiarsi usate siete: 
Troverommi sènsa rete. 
Senza barca, e senza te. 

Bertela, 

CCXVIII. La malinconia. 

Non ha, non ha sul viso 
L'asprezza, o la burbanza; 
In atto è di sorridere; 
£ pinge il suo sorrìso 
Le idee de la speranza. 

Fisse ha le ciglia; e pare 
Che ^1 pianto abbian versato; 
Ma già noi versan; simili 
Ad aspetto di mare 
Quando il turbo é cessato. 

Ama i poggi romiti, 
£ lo speco odoroso; 
Ama le sere tacite: 
£ son suoi favoriti 
Il silenzio '1 riposo. 

Ma quel silenzio dove 
Al cor Natura parla; 
£ '1 cor risponde, e palpita, 
£ gli spontanei move 
Sospiri a corteggiarla* 

h quel riposo in cui. 
Se al sonno s' abbandona, 
Certa é d' un sogno placido; 
Onde co'pensier sui 
Scherza, se non ragiona. 

Malinconia! qui sede 
Meco perpetua eleggi; 
Qnì fonda un regno; dettami, 
In premio di mia fede. 
Tutte qui le tue leggi. 

Ed or che rìede aprile, 


Cerchiamo il sen del bosco. 
Fra i solinghi ricoveri 
So dove é il pia gcatile: 
Ogni arbor «e conosco. 

Aprii su la Terrore 
Voglio che teco asiiflo 
Mi trovi. Ah, sonnùuncaroerc 
Le cittadine mura; 
£ quella, un vero EJdso. 

Pur fn le piante e l' erbai 
£ntro i patemi lidi. 
Te, di pochi delisia,* 
Te, al volgo ignota o acerba, 
La prima Tolta io vidi» 

lo su la destra palma 
Il mento e l' una gota 
Appoggiava; ne' languidi 
Sguardi la suddit* abóna 
Del fanciul ti fu nota. 

Poi, ne l' età fiorente, 
D* indole mansueta 
Per te, l' arti m' ornarono; 
£ fra l'itala gente 
Fui creduto poeta. . 

£ a' boschi fei ' ritorae, 
Ospiti de la pacei 
Cantai de' boschi; ingenuo 
Fu il canto e disadorno; 
Pur so che piacque e piace. 

£ Talma apersi a tanti 
Amabili tumulti. 
Quanti de l' alba il zefira 
Desta fioretti e quanti 
Fa tremolar virgulti. 

Tu i fantastici oggetti 
Moltiplichi, e colori 
Di quel dolce patetico. 
Per cui piaccion gli affetti 
Del cor laceratori. 

£ tu Y anima infondi 
Ne' sassi e ne le piante; 
Per te gl'insetti parianow- 
Tu crei novelli modi. 
Amabilmente errante. 

Un dolce tuo consiglid 
Fu che i tesor m' aprio 
De' pensieri britannici; 
Onde con ierma ciglio 
Guardai la morte anch'io» 

Tranquillamente fiero» 
De le tombe su V orlo* 
Esaminai gK schektrs: 
Entusiasta pel reiOi 
«Feci. 


SECOLO 

al'ottibreftGorlo! 
cor mei posi, e *1 trassi 
ttadi meco, 
ck'ìo posso perderlo, 
leerli mìei passi 
agon sempre teco, 
tu a consigliarmi 
iva. i campi aprici, 
il rbchio togliermi 
to, e di tant* arti 
iasidiatrici. 
i udir fammi rivo 
rgogli fra sassi? 
pioppi che il cingano, 
ìuol fuggitivo, 
ai frescura, e stassi? 
qoaad* espero è fuore, 
di selva bruna 
ciò, ove penetri 
tio il chiarore 
orgente luna? 
he così t* adoro, 
ni si contrasta 
in drappei ' festevoli: 
far mai di loro? 
ico mi basta. 
: al tempo il mio nome: 
re a più begli estri 
le il lauro porgono, 
su le mie chiome 
ose silvestri, 
i genio non mi chiama 
ii portenti: 
potrei lagnarmene? 
)lo di fama 
>oi tanti stenti? 
rivo, e per me slesso 
mio cor 1* immago. 
1 per me gli oracoli 
co consesso, 
nistade appago? 
ido nojato o stanco 
no tetto arrivo 
identi tenebre, 
3nia m* è al fianco; 
a un verso; io scrivo, 
re, o mio ritiro, 
pen$ier; costumi 
e genti io visito; 
ape m' aggiro 
tti volumi! 
I mia giovanezza 
, eh* io sol amo, 

lU. 


DBCIMOTTAVO 


141 


Fra voi, fra l'amicisia 
Mi trovi la vecchiesza. 
Coi non odio e non bramo: 

'É fra' campi mi trovi, . 
Sempre cultor di schietti 
Canti, sempre sensibile, 
Quando aprii si rinnovi, 
A i boscherecci .oggetti. ' 

Tu, come dio maggiore 
Del genial tempio, e come 
Dlspensator d'un nettare 
Che spirto inebbria e core, 
(Onorate il gran nome) 

Tasso, tu meco; e sempre 
Con te vegliar mi giova; 
In quel tuo dolce pelago 
Di patetiche tempre. 
Sé stesso il cor ritrova. 

Ma in te quanti gran semi 
Di divin foco pregni! 
Che gelo in me! che spazio 
Fra questi punti estremi, 
padre de gl'ingegni! 

Berloia. 

CCXIX. Epigrammi, 

Chi più, di lor, potesse, 
Tra Fortuna ed Amor contesa nacque. 
Nerina il brutal Davo a sposo elesse: 
Chi più? dbse Fortuna; e Amor si tacque. 

Pasci cupido il guardo in quel bel volto; 
Ma in van dal roseo labbro aspetti accenti. 
Forse nuda è d'ingegno? Anzi n'hi molto; 
Ma vuol vanto di bella, e non ha denti. 

perversa e vezzosa, 
Non dir che tosto avran tuoi vizii fine. 
Specchiali ne la rosa; 
Perde prima le foglie, e polle sj^ne. 

A Torquato Tasto. 

Due chiare itale genti entrano in guerra 
Per te già estinto, e ti vuol suo ciascuna: 
£ vivo, ignudo errar di terra in terra 
Ti vider tutte, e non ti volle alcuna. 

Al Colómbo. 

Tu scopri un mondo, e il doni al so- 

[ gì io ibero; 
£ chiudi i tristi giorni in ceppi indegni: 


142 CRESTOMAZIA BOETICA 

Dà il soo nome al tuo mondo altro nocchie- 

[ro: 
Questa ban mercede! sovrumani ingegni. 


Seriola, 


CCXX. FAVOLBTTE. 

La Serpe velenosa 
Rampogne al Riccio Tea ', 
CV altre arme non a\ea 
Che una scorza spinosa: 
JBen con arme sì frali 
Ad assalir tu vali 
De gr insetti la plebe, 
Cbe striscia fra le glebe; 
O meglio ancor fai guerra 
A i grappoli vicini, 
Fra cui, lordo di terra, 
T' avvolgi e ti strascini. 

E il Riccio: e pure ho fede 
Esser meco cortese 
Più cbe con te natura. 
Tanto solo mi diede 
Cbe basti a le difese: 
Dolce vita e sicura: 
Cbè altrui timor non movo,- 
D'altrui timor non provo. 

Ne la lingua cb' Esopo 
Primo intese fra noi, 
Così parlava un topo 
A due de* figli suoi: 
Del nemico al ritratto 
Mente, o figli, ponete; 
E a fuggirlo apprendete. 
Un mostro orrendo e il gatlo: 
Occhi cbe gìttan foco; 
Eternamente ingorda 
fiocca, di sangue lorda; 
A' pie, feroci artigli: 
Ecco il ritratto, o figli: 

A fuggirlo apprendete. 
La coppia fanciullesca 

Cerca fortuna ed esca. 

Un di, mentre a l'amore 
Fea con un caciofiore, 

A un tratto ne la stanza 

Vispo gattin s'avanza. 

Buffoneggiando va, 

Corre qua, corre là, 

•Salta, volteggia; e ogni atto 

È un vezzo, è un giocolino. 

Non è già questo un gatto, 
' Face 


Van dicendo coloro, 
Intenti a' fatti loro. 

Ma l'amabil micino 
D'improvviso si slancia. 
Uno afferrò a la pant'.ia 
Colle zampe scherzose; 
E r altro in fuga pose: 
li qual per la paura 
Si chiuse in buca oscura; 
E prima cbe morisse: 
Padre, di fame io pero; 
O padre, tra se disse, 
Tu non dicesti il vero. 

Mal prendi al colorire 
Deforme il vizio ognora: 
Mostra cbe sa vestire 
Ridenti forme ancora. 

Una sera al focolare 
Sì sedean Dori Ilo e Nina: 
Ei dicea: veder regina 
Ti vorrei di terra e mar: 

Di superbe vesti adorna, 
E di gemme preziose. 
Ma perchè, Nina rispose, 
L' impossibile bramar ? 

Se formar desiri godi, 
Brama il prato ognor più erboso, 
Brama il gregge numeroso; 
Quello alfin che aver si può. 

A cbe prò? l'altro rispose: 
Se provai finor, bramando, 
Che il piacer vieii meno, quando 
L'alma ottien quel che bramò? 

In erma piaggia solo, 
Di canti un rosignuolo 
Empieva l'acr bruno, 
Non udito da alcuno: 
Se non che ì vanni foschi 
Movea per quel contorno 
Gufo; elle disse un giorno 
Al musico de' boschi: 
Perchè cantar così 
L'intera notte e il dì, 
Quando per darti lode, 
Nessun qui passa e t' ode? 
Quello non gli rispose: 
Ma da le armoniose 
Note che pur sciogliea, 
Dolcemente parea 
Questa sentenza espressa: 
Yirlù premio è a sé stesssa. 


SVXOLO DI CINOTTAVO 


143 


i zefirelto lic^e 
ai r agili penne, 
fior, clw parea Bete, 
eggiar sen f enne, 
d moUemente 
;lia compiacente; 
, -sei ripiegarsi, 
be goda incontrarsi 
ato dolce dolc& 
ento che la molce. 
to a poro a poco 
•e Tamabil gioco: 
ro s* avanza 
orza, con baldanza; 
! far distaccate 
ambo ad una ad una 
glie delicate. 
ent«» intanto? il vento, 
ndo altra fortuna, 
spiegò pel prato, 
efìro spietato! 
miglia al zefiretto 
cer scd ultore: 
innocente petto 
magine è del fio^e. 

raresi gioghi a V officina 
stre scultor tratta una pietra, 
pietre che giacean qui' sparte 
terrogata: a che, sorella, 
Ipina patria hai tu lasciata? 
io son venuta a farmi bella, 
ir r immago [so, 

me di un ero^: negletto mas- 
a sepolta in ermo loco; 
tra poio 

atta m' ha fuor, dl^semi il vero) 
aurata o in ricco tempio altero. 
1 tuo desio; ti si prepara 
n, riprescr Taltn; allora: 
jardar non dèi * le statue sole^ 
, come noi, pietre deformi: 
a qua, sorella, 
ferri, e là martelli enormi, 
ne di un eroe pria che V im- 
liveuire, [ mago 

y\i e percosse hai da soffrire! 

uoi saper che sei tu? disse 
Capriccio 'un giorno Amore: 
sempre; e ne l'errore 
[ inulil libertà, 
n leggier desio ti guida, 


Che n' ha mille in $è raccolti. 
Che si slancia a quanti volti 
Gli presentano beltà. 

Vola intorno il tuo diletto; 
Ma non entra in mezzo al core» 
Ne sa mai di quei licore 
Che si chiama voluttà. 

Non conosci tenerezza, 
Non raffini il sentimento; 
Forse privo di tormento, 
Senza aver felicità. 

Vuoi saper che sei tu, Amore? 
Il Capriccio gli rispose: 
Tu di lunghe idee nojose 
Malinconico inventor. 

La tua brama ti dà pena; 
Soddisfatta, te 1' accresce: 
£ indistinto in te si mesce 
Il contento coi dolor. 

£ d'un folle non è questo 
Il carattere più espresso? 
Forse sono un folle io' stesso; . 
Ma di noi chi folle è più? 

Vario è il corso d'ogni cosa,* 
Vario ancora è il genio mio: 

10 più godo. E non son io 
Folle men che non sei tu? 

Sì, rispose Amor, tu passi 
Più di me giorni ridenti, 
Perchè poco o nulla senti: 
Sempre al volgo avvien così . 

Ah, S(m l'anime gentili 
Nate al duol: ma quando viene 

11 momento del lor bene, 
Val per mille de' tuoi dì. 

Era il verno; e fean ^ gli augelli 
Essi ancor conversazione: 
Giovin, vecchi, brutti, belli, 
D' ogni pelo e condizione» 
Dopo il lieto desinare 
Divertivansi a ciarlare. 

Una lodola, famosa 
Per tragitti in lido estrano. 
Era sempre la vogliosa 
Di tener le carte in mano. 
Or narrava aver veduto 
Animai ^ di forme rare; 
Ur, fra i turbini perduto 
Un naviglio in alto mare: 
Cose belle; ma tal gente. 
Ne la storia poco esperta, 
S' annoiava fieramente. 
' Facevano. ° Ammali. 


144 


CRESTOMAZIA POETIGA 


Per più giorni fa soffcrUs 
Indi alcun par che borbotti ; 
Sopra tatti i passerotti. 
Un de'qoai, più petulante, 
Disse altau: cne? un verno intero 
Sopportar qaesta seccante? 
Non fia vero, non fia veros 
Eh si cacci, eh vada altrove 
A spacciar quelle sue nuove. 
£ accettato il suo consiglio, 
£ la lodola ha V esigilo. 

Vuoi tu agli uomini piacere? 
Parla a ognun del suo mestiere. 

VCCElll 

Pesci, o pesci, felici 
Più di noi quanto siete! 
Se vengono nemici 
O con amo, o con rete, 
Tosto giù nel profondo 
Correr v' è dato. In fondo 
ì)t\ mar, de' fiumi e chi 
Mai d* assalirvi ardì? 

PESCI 

Augelli, augelli, voi 
Felici più di noi! 
Che a ritrovar lo scampo, 
Libero avete il campo; 
£ gir v' è dato Innge 
Ove fucil non giunge. 
Presso a le nubi e chi 
Mai d* assalirvi ardì? 

UCCELLI 

Ma quale aere a parte, 
O quale erma campagna. 
Dal rischio ci disparte 
De i' aquila grifagna? 

PESCI 

E noi chi salvi tiene 
Da le immense balene, 
£ da gli altri pirati 
Pesci, disumanati? 

Non ti lagnar de' mali; 
Non creder soli i tuoi: 
Ognuno de' mortali 
Ha da soffrire i suoi. 

Fra' sommi augelli accolto 
Era un augel civile: 
£ con benigno volto 
V aquila signorile, 
li falco e gli altri grandi 
Lo volevano a' prandi, 
A k feste, a le cene; 


Non si godea d' un bene 
A cui r Augello amato 
Non venisse chiamato. 
Curioso a vedere 
Era un furor di gare: 
Che ognun seco tenere 
Volealo a pernottare. 
Festevole, giocondo 
Di molto era e facondo; 
E i grandi insieme uniti 
Tcnea ben divertiti. 

Abitator di un lido 
Remoto ei si dicea; 
Ma fatto sta che nido 
11 miser non avea; 
Né farsen un poteri. 
Sentia qualche vergogna 
A dir la sua bisogna; 
Altin tra sé discorre.* 
Eh, son questi i momenti 
Onde frutto raccòrre 
Da amici sì potenti. 

Col suo narrar faceto, 
Un dì, dopo aver messo 
fn umor assai lieto 
Tuttala compagnia. 
Parlar, disse, è permesso 
De la persona mia? 
Nulla celar più vo': 
Stanza ove prender possa 
Sappiate eh' io non ho; 
Né trovarne ho speranza 
Or che il verno s' avanza» 
Di fabbricarla io stesso. 
Ho invan brama nutrito; 
Invan tantalio , e spesso: 
Ne le gambe ferito, 
Sono di forze privo; 
Ed è mirabil cosa 
Se dopo il colpo io vivo. 
Questa che tra voi meno 
Vita, è ben dilettosa; 
Ma potria venir meno. 
Di tanti augei magnati 
Alcun può facilmente 
Un de' nidi più usati 
Cedere all' indigente. 

Ognuno a lui sorrise, 
E monti e mar promise. 
Ma da quel giorno innanzi 
Alcun più non gli fea . 
Invito a cene o a pranzi; 
E quando lo vedea, 
Servo a vossignoria, 


SECOLO DECIMOTTAVO 


143 


:ea da lunge, e yia. 
ispro ver ti si svela, 
loi da gli uomini- ajulo? 
uo bisogno cela: 
il mostri, sei perduto. 

Bertola. 

\. Conchiglie^ pescied ossa 
fossili. 


\t ami più de l' eritrea marina 
ite Gonchiglie, inclita Ninfa, 
vivi color, di quante forme 
fi il bruno pescator da Tonda! 
ira forse le spruzzò de' misti 
e godè talora andar torcendo 
rosata man lor cave spire. 
] collo tuo le perle in seno 
verginella; a 1* altra il labbro, 
anguigna porpora ministro, 
e; di questa la rugosa scorza 
:on l'or su la bilancia, evinse; 
i fér * (ma invan dimandi come) 
e nido ingrembo al sasso. A quelle 
lea del mar d' incognite parole 


Col verde pian 1* attrice terra apparve: 
Conobbe Abldo il Bosforo; ebbe nOme 
Adria ed Eusin. Da l'elemento usato 
Deluso il pesce, e sotto l'alta arena 
Sepolto, in pietra rigida si strinse: 
Vedi che la sua preda ancora addenta. 
Queste scaglie incorrotte, e queste forme 
Ignote al nuovo mar, manda dal fiolca 
L' alma del tuo Pompei patria Verona. 

Son queste l' ossa cne lasciar sul margo 
Del palustre Tesin, da 1' Alpe intatta 
Dietro a la rabbia punica discese. 
Le immani afriche belve? o da quest' os* 
Già rivestite del rigor di sasso, [ sa. 
Ebbe lor pie non asp(>ttato inciampo? 
Che qui già forse italici elefanti 
Pascea la piaggia; e Roma ancor non era; 
Né lidi a lidi avea imprecato, ed armi 
Contrarie ad armi la deserta Dido. 

Mascheroni, tuvito a Lesbia Cidonia* 


ce XXII. Orto botanico. 


Andiamo, Lesbia: pullular vedrai 
Entro tepide celle erbe salubri, 

l'eburneo dorso? E chi di righe, Dono di navi peregrine: stanno 
itervalli, sul forbito scudo Le prede di più eli mi in pochi solchi. 

1' arcana musica? Da un lato Aspettan te, chiara bellezza , i fiori 

e ferrigne giaccion molte : e grave De T Indo: avide al sen tuo voleranno 
nane peso, assai rosa da 1' onde, Le morbide fragranze americane, 
ica di Triton buccina tace. Argomento di studio e di diletto. 

)adun tempo è pesce ed e macigno, Come verdeggia il zucchero tu vedi, 
I è qual più la vuoi; chiocciola o sei- A canna arcade simile; qual pende 

C ce. 11 legume d' Aleppo dal suo ramo, 
npo già fu che le profonde valli A coronar le mense util bevanda; 
ibifero dorso d' Apennino, Qual sorga l'ananas; come la palma 

nOki salsi flutti; pria che il cervo Incurvi, premio al vincitor, la fronda, 
està scorresse, e pria che l' uomo Ah non sia chi la man ponga a la scorza 
gran madre antica alzasse il capo. De 1' albero fallace avvelenato, 
rica allor su le pendici alpine Se non vuol eh' aspre doglie a lui prepari, 

irmorea locò famiglia immensa: Rossa di larghi margini, la pelle, 
tilo contorto a l' aure amiche Questa, pudica, da le dita fugge; 

a vela, equilibrò la conca; La solcata mammella arma di spino 

ico poscia al minacciar, raccolti [bo. Il barbarico cacto; al Sol si gira' 
ilil remi, e chiuso al nicchio in grem- Clizia amorosa. Sopra lor trasvola 
t il mar: scola al nocchier futuro. L'ape ministra de V aereo mele: 
>va intanto di sue vote spoglie. Dal calice succhiata in ceppistretta 
;i de la morte, il fianco al monte. La mos<*a,in seno al fior trova la tomba. 
10 da lungi preparato e ascosto Qui pure il sonno con pigre ali , molle 

rtal guardo da V eterne stelle, Da 1' erbe lasse conosciuto dio 

vvennedeslin. Lasciò d' Aliante S'aggira; e at giunger d'Esperò rinchiude 
Tauro le spalle, e in minor regno Con la man friesca le stillanti bocce, 

Che aprirà ristorate il bel mattino. 
£ chi potesse udir de' verdi raxn.1 


isse il mar le sue procelle e l'ire: 


cero. 


.''OPARDi, Crestomazia, II. 


146 CRESTOMAZIA POETICA 

Le segrete parole allor che i furti Di quai lagrime amare il petto inondo 

Dolci fa il vento, su gli aperti fiori* I^el veder eh' oggi ìnoDorata resti! 

De gli odorati semi, e in giro porta Prezioso diaspro, agata ed oro 

La speme de la prole a cento fronde ; Foran debito fregio, e appena degno 
Come al marito suo parria gemente Di livestir sì nobile tesoro. 

L* avida pianta susurrar! Che nozze Ma no: tomba fregiar d' uom eh* ebbe 

Uan pur le piante: e Zefiro leggiero, [ regno 

Discorritor de V indiche pendici, Vuoisi, e por gemme ove disdice alloro; 

A quei fecondi amor plaude aleggiando. Qui basta il nome di quel divo ingegno. 
Erba gentil (ne v* e sospir dì vento) Al/ieri. 

Vedi inquieta tremolar su! gambo. 

Non vive? e non dirai ch'ella pur senta? CCXXV. Partendo dùlV Italia. 
Bicerca forse il patrio margo e '1 rio; 

£ duolsi d' abbracciar con le radici Italia, o tu che nulla in te comprendi 

Estranea terra, sotto stelle ignote; Di grande ornai, che 1* aurea tua favella, 

E in-europea prigion beverc a stento E la donna che a me fra tutte è bella, 

Brevi del Sol^ per lo spiraglio, i rai. [mi Ch'or rattener contro sua voglia imprendi; 
£ ancor chi sa che in suo linguaggio i ger- Verrà quel dì ch'io 'Iduro fallo ammendi 
Compagni, di quell' ora non avvisi Itria, D' esser libero figlio a madre ancella, 
Che il Sol, da noi fuggendo, a la lor pa- Col non ripor mai piede entro tua fella 
A la Spagna novella il giorno porta? Terra, ove il varco a virtù sol contadi? 
Mascheroni, Invito a Lesbia Cidonia. Rapido vento orleutal m' invola 

Già da la vista di tua infausta*riva; [la. 
CCXXIII. Sopra gì' invidiosi. Ma il cor, l'alma, il pensiero indietro vo- 

Fatal contrasto in cui forsaè eh' io viva! 
O gran padre Alighicr,se dal ciel miri 1' amata mia donna lasciar sob, 
Me, tuo disccpol non indegno, starmi, O rivederla ove di pace è priva. 
Dal cor traendo profondi sospiri, Jljlert. 

Prostrato innanzi a' tuoi funerei marmi; 

Piacciati, òthy propizio a i be" desiri, CCXXVI. Ritornando VultimavoUa 
D'un saggio di tua luce illuminarmi. in Italia. 

Uom che a primiera eterna gloria aspiri. 

Contro invidia e viltà dò' ^ stringer Par- Per la decima volta or l'Alpiìo varco: 

[ mi? E il ciel , deh, voglia eh' ella sia l' estrema: 
Figlio, i' le strinsi : cassai men duol: L'italo suol queste ossa mie, deh, prema; 

[ch'io diedi Poiché già inchina del mio viver l'arco. 
Nome in tal guisa a gente tanto bassa. Di giovanile insofferenza carco, 

Da non pur calpestarsi co' miei piedi. Quando la'mente più di senno è scema, 
Se in me fidi, il tuo sguardo a che si lo di bìasmarli, Italia, assunsi il tema, 

[ abbassa? Ne d'aspre vcritadi a te fui parco. 
Va, tuona, vinci: e, 'se fra' pie ti vedi Doma or da lunga esperienza, e mite 

Costor; senza mirar, sovr' essi passa. Da i maestri anni, a i peregrini guai 

Aljkri. Prepongo i guai de le contrade avite. 

Meco è colei eh' oguor seguendo andai. 
CCXXK.^fZa camera del Petrarca. Sol, che sian pari le due nostre vile 

Chieggioti, Apollo, s' io fui tuo pur mai. 
cameretta, che già in te chiudesti Alfieri. 

Quel grande, a la cui fama angusto è il 

[ mondo, CCXXVII. Viaggiando per luoghi 
Quel SI gentil d'amor mastro profondo, corsipochi innanzi dalla sua don- 
Per cui Laura ebbe in terra onor celesti; na. 

O di pensif r soavemente mesti 
Solitario ricovero giocondo; Per questi monti stessi, or son due lane, 

'JScJ, BclU, » Dee. Deve. Passava il raggio, la cui striscia aurata 


SKCOLO DECIMOTTAVO Hi 

egiiendo; e fea ' di se beata 

ispra terra da le selve brune. CCXXX. La vita umana, 

i via sol mi accade aver cornane 

, ma il tetto spesso; e m' è toccata Sperar, temere, rimembrar, dolersi; 
talor sua coltre arventurata, Sempre bramar, non appagarsi mai; 

r me non andò di baci immune. Dietro al ben falso sospirare assai, 
dico, rio cammin noja le dava: Né il ver (che ognun V ha in se) giammai 
scogli quel lago un piacer muto , [ godersi; 

ave trblezza, le arrecava. Spesso da più, talor da men tenersi; 

i* atterriva questo bosco irsuto: Né appien conoscer sé, che in braccio a* 
li te fors* anco sospirava. E, gì unto a l'orlo del sepolcro omai, [guai; 

lien pago in lagrime tributo. De la mal spesa vita ravvedersi: 

Aljicrì. 'l'ai, credo, è l'uomo,- o tale almen son io: 

Benché il core in ricchezEe, o in vili onori, 
XVIII. Sopra la tua donna, Non ponga; e gloria e a more a me sien Dio.. 

L' un mi fa di me stesso viver fuori, 
lido cor, che in sul bel labro stai De P altra in me ritrammi ' il bel desio: 
llaschietta^cheilmiotuttoiochia- Nulla ho d'ambi finor, che i lor furori. 

^Cmo; MJÌeri. 

più sempre che me slesso io T amo, 

m'iucendi che i suoi negri rai. CGXXXI. La malinconia, 

di beltà, chi di lusinghe, e assai 

on d* arti e di menzogne a l'amo: Solo, fra i mesti miei pensieri, in riva 
; che, in prova, libertà non bramo; Al mar, là dove il tosco fiume ha foce, 
no è il nono de' miei lacci omai. Con Fido, il mio destrier, pian pian men 
dirmi ognor soavemente il vero, [ giva: 

che spiaccia; ed a vicenda, un breve £ muggian l'onde irate, in suon feroce. 
I in udirlo, indi un perdon sincero; Quell' ermo lido, e il gran fragor , mi 
profondo sentire in sermon lieve; [empiva 

lezzo del mondo animo intero: 11 ruor(cuifiammainestinguibil cuoce) 
tgi;a cui servir, non fiamai greve. D' alta malinconia, ma grata, e priva 

Àljieri, I^i quél suo pianger,che pur tanto nuoce. 

Dolce oblio di mie pene e di me stesso 
CIX. Effetti nobili dell'amore] Ne la pacata fantasia piovea: 

ben collocato. £> senza affanno, sospirava io spesso. 

Quella ch'io sempre bramo, anco parca 
ta è la forza dì ben posto amore, Cavalcando venirne a me dappresso: 
co in contrarie barbare vicende Nullo error mai felice al par mi fea. 
rò mai 1' uom disprcgevoi rende. Alfieri. 

li allarga e vie più inalza il core. 

h' io son fatto albergo di dolore, CCXXXII. La libertà- 

) fin dove il gran poter si estende 

, che a cor gentil tanto siapprende. Neri panni, che sete a ognor di lutto, 
regna egli, virtù mai non muore. O veroo finto, appg^ ogni altro insegna; 
donna mia, mi narri in quelle note lo per sempre vi a*ssumo , oggi che degna 
li di lontananza il duol mi tempri, Libertà vera ho compra al fin del tutto, 
ni dì la pietade in te più puole; Botti ho i ceppi in cui nacqui: a ciglio 

me pur vien » che il pianto altrui ^ ^ [ asciutto 

[ mi stempri Gli agi paterni dono, e in un la indegna 
e, in guise a me pria d'ora ignote: Lor servitù, che a star tremante insegna 
n, che i mali nostri omai contem- E a non cor mai d'altointelletto il fruito. 

[ pri. L'ostro, l'infamia, i falsi onori, e l'oro 
* ^ Alfieri, Abbian quei tanti in cui viltade è innata, 

ccv«. • Avviene. * Mi ritrae. • Siete, 


448 


CRESTOMAZIA POEUCA 


Pregio, il servire; il non pensar, decoro. 

lo, per me, sorte estimo assai beata, 
Non conoscer ne ambire altro tesoro. 
Che fama eterna col sudor roercata. 

Alfieri. 

CCXXXIU. Sopra i proprii serUti. 

Io '1 giurerò morendo; unica norma 
Sempre <^ser stato il core alcompor mio, 
Cui mai servii menzogna non deforma, 
!Nè doppio scopo, o pueril desio. 

Rapida innanzi passami la torma 
De* molti scritti; in cui sbagliai fors'io; 
Ma da ignoranza il loro errar s'informa, 
Non da malizia: e testimon n' è Iddio. ^ 

Muto e sepolto il mio nome si giaccia, 
Pria di quest'ossa annichilato, in tomba; 
S*ìo non cercai del vero ognor la traccia. 

Cigno, non Toso io dir, bensì colomba 
Dovrà nomarmi, ove di me non taccia , 
Quella ch'eterna Tuom coll'aurea tromba. 

Alfieri. 

23. Le moiche e V api, 

FAVOLlSTTA ALLEGORICA 

(1789) 

D'api un libero sciame 

Industriosa e lieto 

Se ne vivea felice : 

Stuol di mosche inquieto 
A cui la fame — anco l'invidia accrebbe^ 
Un suo mascott per capo eletto s'ebbe ; 

E l'una sì gli dice : 
— Noi siam pur tante ! 

L'api pochissime. 

Ciò non ostante 

Son potentissime. 


Esca abbondante, 
Secaro tetto, 
l'ace e diletto.... 
£ che non hanno 
Quelle iniqubsime? 

E il tutto fanno 
Rette a repubblica. ] 

£ noi chi siamo ? 
Noi pur vogliamo 
Libertà pubblica. — 

£ra il moscone 
Un vero omone. 
Saggio, prudente, 
E deir api sapiente. 
Onde a quel dir« oppone 
11 ragionar seguente : 

— Care mie figlie, è facile 
11 chiacchierar ; ma il fare 
Dà un pò 'più da studiare. 
L' api son insettoni. 
Aspre di pungiglioni, 
Che le fan rispettare. 
Ma noi di tempra gr&cile. 
Che faremmo in battaglia, 
Se un soffio ci sparpaglia? 

Le pure api si pascono 
Dittamo erbette e rose: 
E in noi sempre rinascono 
Mille voglie golose. 
^ La libertà di svolazzar qua e là, 
Col periglio temprata 
pi una qualche ceffata, 
Sia dunque ognor h nostra : 
Ne questa a noi giammai tolta verrà 
Se il senno il ver dimostra. — 
Così il dotto moscon , lor viste (osa 
Rai luminando, apria 
Che non potria—mai farsi un PopOL MO 

[SCB8 
Alfieri. 


PRIMA METÀ 


DEL 


SECOLO DECIMONONO 


XX^CXIV. Al geniit. 

o scintilla de Teterno lume, 
in. Tu poiché uri'alma accendi, 
tossa la informi! e4}ual la rendi, 
»ra per poco non rassembra un 

[ nume! 
pupilla di si forte acume, 
nétri ove lo sguardo intendi; 
ngon tuo voi, se U volo estendi, 
velocissima le piume, 
le obbietti svariati e sparti 
mponi, e d' un mille ne crei, 
mille diffuso e mille parti, 
reato ideal mondo ricrei; 
ppi natura; e tue son V arti 
3 i mortali d'emulargli Dei. 

Mazza. 

^XXV, Soprala musica 
e i musici antichi, 

)ei giorni de la eulta Atene, 
le le belle alme ornamento; 
7Ìrtù col tragico lamento 
echeggiava e da le scene, 
ivi padri a le prodotte cene 
decoro il dorico* stromeoto 
àn cor periglio era e tormento: 
IO apparir d' empie sirene, 
lomini'i cantor sacro, eda*numi 
irgive discorrea contrade, 
;i custode e de'costumi: 
deggiavan di popolo le strade, 
i fatte di letizia fiumi, 
giorni! ahi tralignala etide! 

Mazza, 

tXVI. V opera in musica, 

al mai s'apre d'improvvisa scena 
tro, che l' orecchio e il guardo 
1* assale e mi lusinga! È questo, 
' inganno, il travaglioso aringo 
r arti emulatrici. Or fanno 


Qui vaga pompa di gentil contesa; 
Ori' una a l' altra qui s'abbraccia e fona 
Presta e riceve, ed il piacer ricresce, 
Raddoppiando l'incanto. Al cicl là spazia 
Sublime reggia; e là s'incurva; e posa 
Su marmoree colpnne il facil arco: 
Quella è del mar ronda,che spumaebolle; 
£ questa, ingombra di squallente musco, 
È d'Averno la via. Qual fammi invito 
Romor concorde di discordi voci, 
E a qual l'alma s'atteggia atroce imago! 
Che sento; oimè! Freme la pugna; ascolto; 
Anzi m'aggiro tra il rimbalzo e l'urto 
De'spessi dardi e de'pcrcossi acciari: 
Odo le voci languide di morte, 
Miste a le grida che vittoria innalza. 
Ah! mugge il mar,l'etra sfavilla e tuona; 
Ratta scende la folgore, e fa scoppio. 
E, fra l'orror de la tempesta, il core 
Mi compungon de'naufraghi i singulti . 
Ma te, te ben ravviso; oimè, ti duoli 
Del trojano infedel, misera Dido. 
Tero mi dolgo, generosa Alceste: 
Va, ch'io ti seguo pe'l cammin de l'ombre. 
Me pur tra l'ombre stesse avrai compagno, 
Sventurato cantor, vedovo sposo, 
Oagrio garzon. Elisia chiostra, 
Soggiorno di piacer, campo di pace , 
Quanto se'bella! Mormorate, o fonti; 
E bisbigliate pur, garrule aurette: 
E per le nari cupido l'olezzo 
Suggo de'vostri graziosi fiori, 
E del vostro seren conforto i lumi. 
Torna, amata Euridice, al palpitante 
Sen de lo sposo, che varcar poteo, 
Solo per te riaver, la pallid'onda 
Che ritorno non ha. Furie, tacete ^ 
Torna Euridice. Tal dolce me prende 
Di me medesmo obblio; tal mi ricerca 
Tutta la facil anima, vittrice 
Forza di note lìdie, erranti in mille 
Giri di melodia, cui spinge e frena, 
E in sè'Stesse ripiega, aggruppa e snoda 
La voce penetrabile e soave. 

Mazza, 


450 


CRESTOMAZIA POETICA 


CCXXXVII. A Giovanni Ansani 
cantore ed attore illustre. 

Odio i Lassi concenti 
Di citarista indegno 
Uso a far coi potenti 
Vii traffico d'ingegno, 
£ ii delitto e la frode 
Avvolti in bisso e in porpora 
A coronar di lode. 

Degno è Nas&n che accolgal o 
Del freddo Istro la foce, 
Quando a colui querelasi 
Che il Perugin feroce 
Spinse a Torribil fame, 
£ a l'altro ond'è lo scoglio 
Tultor di Capri infame. 

Cadon, derisi serti, 
£ inaridita fronda, 
I lauri al lusso offerti. 
Ma eterno il cri u circonda, 
£ contro gli anni è scudo, 
Lauro non compro, e libero 
Fregio dì merlo ignudo. 

O Ansani, a le non pieganst 
Dome proviucie e genti, - 
Ne gli atriì tuoi rimbombano 
Al fragor di clienti; 
E pur ( difficil vanto ) 
Per te a la parca cetera 
Sposai due volte il canto. 

Tal da Teleo ronflitto 
D*£nessidemo il figlio, 
Due volte al corso invitto 
£ al pugillar periglio, 
Movea al trinacrio tetto 
A doppio inno di Pindaro 
Invidiato oggetto. 

De'prischi eroi le immagini 
A suscitar rivolto, 
Qual non fosti d'Flacide 
L'ira imitando e il volto? 
£ chi te non ammira 
Sotto il sembiante indomito 
Del figlio di Semira ^ ? 

Perfida! e che giovolle 
Alma oltre il sesso ardita; 
Vincer, con l'Indo molle. 
Il faretrato Scita; 
Se di rimorso atroce 
Eterna romoreggìale ♦ 

Nel vinto cor la voce? 
/ Seioiraonde, 


Invan le cure a tergere 
Da l'empio sen profano 
Voluttà veglia, e libale 

I don più scelti invano, 
Che a lei nutre e colora 
Col soggiogato oceano 
La tributaria aurora. 

Misero il reo se crede 
Vita condur serena: 
Tardo ha talvolta il piede» 
Ma certa è ognor la pena: 
Ecco, il feral delitto 
Presto a punir, lo squallido 
Spettro di re trafitto. 

Come diverso il veggono, 
Lasso! le regie mura 
Dal dì che scese a l'Èrebo 
Tradita ombra immatura! 
Gli aspidi di Megera 
£i scote, e il sen circondane 
De l'infedel mogliera. 

b^sclania: empia, t'affretta: 
Vieni, infallibil preda, 
Devota a la venaelta: 
Meco scender ti veda 

II nero Abisso; e tenti 
A nove colpe orribili 
Novi eccitar tormenti. 

Questo pugnai percossemi. 
Da cara man vibrato; 
Questo, sacro a le Eumenìdi, 
Vindice del mìo fato. 
Pena di te più amara 
Prendasi, e il sen ti laceri 
Spinto da man più cara. 

Cerrvtti- 

CCXXXVIIl. Sopra la filosofia 
morale» 

Altri studii, altre cure, altro diletto 
Grave filosofia qui al core infonde: 
Non quella che, sprezzando umano affetto, 
Superbi» il capo oltre le nubi asconde. 

Spazii ella pursul ciel; scorga i portenti 
Noti d'Etrurìa e d'Albione al saggio; 
E il corso agli astri, e a le comete ardenti 
Prescriva i moti del fatai viaggio.* 

Emulo de gli Dei, Parduo iutelletto 
Contempli pur dietro i suoi voli ardito 
A l'in fai li bìl calcolo soggetto 
L'ampio giro de'mondi e l'infinito. 

Ma poi che prò? squarci il suo vcl Ni- 
Vincasi deldestin l'ordine immoto; [turai 


SKCOLO DKCIMONON'O 


451 


Modi d*Alcea franco tonai fra imrltelie 

Popol di scliiavi. 
£ mentre o£Frir godean plebei cantori 
A i coronali vìzii aonio serto, 
Io le neglette osai cinger di fiori 

Are del merlo. 
Alii,qual etàlqual PindoIQv'è chiac- 


E\icco d^natil lume, in nebbia oscura 
Sarò poi sempre, a me medesmo ignoto. 

Te dunque seguono Dea,te che comprendi 
Tutte de l'uom le passioni ascose, 
£ a la patria e a àè stesso utile il rendi 
"Ne'varii officii ove la sorte il pose. 

Per te, dovuti al Cielo, incensi e voti 
Saigon su l*are;earuora Taltr'uomo ècaro: Vanti fra noi di patrio zelo il seno? [ censo 
Per te al candido cor son nomi ignoti Chi un Omero oggi imita, ochiPimmenso 
Ambiziose voglie o genio avaro: Lume d'Ismeuo? 

Quindi è che insulti a l'uccisor di Clito , Che se ,tra il crocidar d'immondi augei , 
Che angusto il mondo finse ale sue brame; Qualche emerge talor voce sublime, 
lEi a lui che il mar coperse e ingombrò il Qual obietto, qual segno a dì sì rei 
4jrià per la morte di Leandro infame, [lito Scelgoa sue rime? 

Intrepida per te mostrasi un'alma Quanti a te giungeran nomi dMngcgni 


Al furiar de la contraria sorte.- 
Tal lira i ceppi serbar la prima calma 
Socrate e Focione, in faccia a morte. 

Tu intanto odimi, oDea.Se tuo seguace 
Il cammin di virtù correr degg^ io; 
Schifo d'adulator suono mendace, 
Se aver dee nobil meta il canto mio; 
Sien lunghi i giorni miei. 'me d'Egle in seno 
D*un bramato imeneo scorgan le faci; 
Finche in tremola età venendo meno, 
Porgaumi i labbri suoi gli ultimi baci. 

Ma, se, a me stesso e a le tue leggi infido. 
Dando al sentier de la virtù le spalle, 
Levar di me dovessi infame grido 
Del vizio sednttor battendo il calle; 

se un dì, mia mercè, su le mie soglie 
Sparger dovesser mai singulti amari 
L^orfano derelitto e Torba moglie. 
Dal sen divelti di paterni lari; 

Prima sul fato mio pianto immaturo 
Versi la madre; e tra profurai eoi 
Disponga i membri sovra il rogo oscuro 
Del figlio, che dovea comporvi i suoi. 

Cerreiti, 

CCXXXIX. Alla posterità. 

Idolo de gli eroi, terror de gli empi; 
Spesso delusa in tanti bronzi e marmi, 
Posterità,*' se a te ne'tardi tempi 

Giungon mìei carmi. 

Odili, ne temer che de'nepoti 
Tradisca il voto, o falso a te ragioni: 
Che a me deVicchi e de'polenti ignoti 

Furono i doni. 

Unirò forse, de le ascree sorelle 
Infra i seguaci, io libero, ione'gravi 


Ammirandi a la plebe, e vili al prode! 
£ quanti obblio ne coprirà che degni 

£rau di lode! 

Cerrctii, 

CCXL. Canto nuziale. 

Dal sacro orror Pimpleo, 
Da le materne selve, 
Scendi, Imene Imeneo. 

Te d'ogni stirpe chiamano 
Speme le madri, e i tremuli 
Vecchi con voce fioca; 
Te il garzoncello imberbe, 
Té ogni donzella invoca. 

O di costumi a gli uomini 
Dolce maestro ed arbitro. 
Dal sacro orror Pimpleo, 
Da le materne selve. 
Scendi, Imene Imeneo. 

Tu a i re sdegnati e a i popoli 
Pace ridoni, e candida 
Fé di pensier concordi; 
Tu in àmistade unisci 
Le famiglie discordi: 

£ tu soave imperio 
Stendi da Paustro a borea. 
Dal sacro orror Pimplco, 
Da le materne selve, 
Scendi, Imene Imeneo. 

Per te la zona timide 
L'intatte spose sciolgono 
A lusinghiero invito; 
R cedon, lagri mando, 
A cupi'lo marito. 

Per te fama non temono 
Casti Cupido e Venere. 


io2 CRESTOMAZIA rOETlCA 

Dai sacro orror Pimpleo, Però qualor so?ra Tiisafo scanno 

Da le materne selve, A mensa ì'siedo, uve in un cerchio i figli 

Scendi y Imene Imeneo. Chini d'intorno e tacitami stanno; 

Scendi, dator benefico Forza è che ne'lor volti io mi consigli. 

Di gioja e di dovizia; £ or questo or quel vo'chemi ven^ alialo, 

Protettore^ fecondo Qual più a la madre parmi che assomigii. 
De le città, de i campi; Pasco alcun poco il ciglio affascinato: 

Animator del mondo. Ma la dolce illiision fugge, e m'accorgo 

Quale improvviso strepito? ' Che la sposa non è quella ch'io guaio. 
Strider su i ferrei cardini Sul desco allora smanioso ì' sorgo. 

Odo la porta. £i viene. £ a temprar la bevanda, e condir l'esca, 

Sposa, o/e fuggi? ah, semplice, D'amarissimo pianto un fiume sgorgo. 
Hon lo ravvisi? è Imene. Timor nuovo ne'figli avvienche cresca; 

Invan la chiamo: pavida Tutti tendon le braccia, ognun mi dice : 

Corre, e la madre abbraccia; Deh , padre , per pietà, di noi t'incresca. 
£ vergognosa e mesta, Orfani de la cara genitrice, 

A l'altrui guardo celasi Per noi chi resta? a noi, pensa che or sei 

Con la pudica vesta. Tu genitor, tu madre, e tu nutrice. 

Deh non temer, non piangere, Si dividon così gli affetti miei: 

Bella de l'Adria figlia: Tenerezza, cordoglio; amore e pena; 

Quel che da te sen viene, Quello che mi restò, quei che perdei. 
È il dio che brami: ah, semplice, Salomone Fiorentino' 

Non lo ravvisi? è Imene. 

Fantoni, CCXLII. // rimorso della cotcì'ciw** 

CCXLl. In morte della sua sposa, M'apparveintruceaspetto,edogm«n> 

Il fier rimorso ad agghiacciar si accifise; 

Pur quasi serbi ancora e senso e mente, Indi armato d'artigli e di catena, 
A lei, che più non m'ode, e muta giace, Senza pietà mi lacerò, m'avvinse. 
Talor rivolgo il mio parlar dolente. Quale, oh Dio, mi scoperse orrida soen^. 

Ahi sposa, ahi sposa ! un voi d'ombra In quai tetri color la penna tinse 

[ fugace Per linearmi in ogni parte scritto 
Fu il breve trapaf;sar de'iuoi verdi anni, 11 giudice, la pena, e il mio delitto! 
£ un voi fu la mia gioja e la mia pace. Volgea la nottere notte nnqna più voi 

Mira del tuo fedel gli acerbi affanni; Di quella non vid'io. Torbidi, inq«ieti 
Mira, al tuo dipartir come s'accuora, S'aggiravan fantasmi; e priva eli'era 
Vedovo, sconsolato, in negri panni. De'suoi momenti placidi e segretb 

Qual resta il fior se una nemica aurora Pareanmi estinti io la stellata sfera 
Trattien sul grembo l'umida rugiada, £ gli astri erranti, e i lucidi pianeti: 
Che il curvo stelo e l'arse foglie irrora; Tante ombre e tante noje ivano attorno, 

Tale io restai poiché l'adunca spada ChealCielchiedea,per respirare,il gi'>ri'<^' 
Di Morte a me ti tolse, e lunge spinse £ il dì pur venne: allor su l'universo 

Te per ignota interminabil strada. Fosco vedea caliginoso velo, 

Ma, come il fato in pria nostre alme Sbiadate l'erbe, ed ogni arbusto aspèrso 

[avvinse. Di quel color di cui lo tinge il gelo: 
£ poi quaggiù provido amor ci uuio. Pallido, altrove ciascun fior converso, 

Sicché due salme in una salma strinse; Da me torceva l'adoggiato stelo: 

Scemo de la metà de l'esser mio. Pare» sospiro il moto de le fironde. 

Or cerco te, come assetata cerva Flebil laménto il mormorar de l'onde. 

Ne l'ardente stagion ricerca il rio. Forse rosi, seguito il reo consiglio, 

Così parlo e vaneggio: e benché i' ferva L'Eden comparve al genitore antico. 
D'un insano desir, tanto è l'inganno, Invan spirava odor la rosa e il giglio» 
Che ragion signoreggia, e vuol che serva . £ il lusingava invano il rezzo amico; 


SECOLO DEGIMOiNONO 455 

ae egli temea danno o periglio , Superbì, fra le gemme e gli agi avvolfo; 

indo il suo crudel nemico; Languiron gli altri, e nome ebber di plebe, 

ribil saoD Torecchie ingombre, -Dannati a incìder tronchi,e a fendergiebe. 

remante a rirovrai fra l'ombre. S arsero allora le ciitadi eccelse, 

Salomone Fiorentino, Di torri incoronate e d'ardue mara ; 

L'olmo, il faggio, l'abete, il pin si svelse, 

IXLUl. V Innocenza. E fidossi il naviglio a l'onda oscura; 

Da i trucidati greggi allor si scelse 

nza sonalo, che il basso mondo, L'esca, il vin si prepose a l'acqua pura ; 

0, fei ' di mia presenza degno , Allor temprossi il ferro, che al desio 

) temprai con fren giocondo. Servir fu astretto di un metal più rio. 

e duce del saturnio regno ; Su i vanni allora, più che in pria ve^ 

icor non gemea la terra al pondo [ loci , 

che a mal far poser Tiugegno, Esultò quella che a null'uom perdona, 

de'pensieri avari e rei Traendo seco da le stigìe foci 

berbe ascondean gli antri dittei. Nuova di febbri e di dolor corona. 

>er le odorifere colline, Di brando armati, su i cursier feroci, 

in valle di begli arbor cinta, Nomi ignoti, apparir Marte e Bellona : 

:tti da legge o da confine, Venian con essi a desolar la terra [ ra. 

omini avean sede indistinta: (Ahi fiera compagnia) Discordia e Guer- 

: le fonti cristalline Violenze, rapine, odii, omicidi, 

;>, e l'onde fean a la sete estinta: •'^cque di occulto tosco infette e torbe, 

tessa pianta erano a tutti Insidie, fraudi, e giuramenti infidi, 

ide,ombrairami,epascoifrutti. Come torrente dilagarnn l'orbe ; 

iondi fanciulli il vergin stuolo Assordarono il ciel d'urli e di stridi 

ra pei clivi a sceglier fiori, Orfani parvoletti, e vedove orbe ; 

inli, per l'erboso suolo E di pianto, e di sangue, oscuro nembo 

in danza,alsuond'augci canori. Contaminò de le cittadi il grembo, 

le di duo cor Tea sempre un solo^ ^^ prima solo infra le urbane torme 

gjoventute in casti amori; Andòoaccando la Licenzia iniqua, 

cchiezza il gel de gli anni sui E invan trar seco de i pastori l'orme 

al foco de le gioje altrui. Argomeotossi, per la strada obbliqua: 

me talor sotto V impero Ne i campi ancora, ov'era gita a porrne ', 

desmo pastor caste agnelletle , Dileguò infine l'onestate antiqua ; 

cer mai pie dal buon sentiero , Né più vidi, fra quante il Sol ne scalda , 

; turbe al mio voler suggctte : Terra in vera virtù fondata e salda, 

giro di lor vita intero Or, dacché nulla in questa bassa valle 

pre ; elle ognor da me dilette , Ove accor mi potessi ostel non v'ebbe 

■ liete, e al trapassar sicure, ( Taut'oltre scorso per P indegno calle 

chermo del sentirsi pure. Fu il moudo, e tanto l'empietà s' accrcb- 

ui,più che il Sol chiari e lucenti. Che ), 

arse di nebbia e di tenèbre? A l' ingrato morule i' die' « le spalle; 

videndo a le beate genti, E lungo fora a dir quanto m' imcrebbe; 

ti penetrò T ime latebre, E vergognando, e chiusa nel mio velo, 

r oro, e il fé co' lampi ardenti II cammin disegnai prender del cielo, 

su le allonlle palpebre: Teneri infanti, e verginelle intatte, 

tal ! l' inusitato obbietto Non anco esperti di malizia a i danni, 

a abbagliò, scosse ogni petto. Con pie mai fermo e con voce di latte 

A allora la volubil destra Vennermi un tratto , vezzeggiando , a i 

►, e il vago crine a l'àure sciolto, ^ ^ [ paoni : 

•tuna a la magion terreslra ; Ma in mezzo del sentier volgeano ratte 

dutolla il mondo stolto ; Le piante, vinti da i terrestri inganni; 
mto qnal l'ebbe amica e destra , E spogliati i costami almi e leggiadri, 

B Faceaoo. x Pormi* 'Diedi, 


154 CUESTOMAZIA POi:TIC\ 

Si rag{;iiingean coi traviati padri K di pianti e vagiti a mille a mille 

Sola così, studiando il passo, e insieme AJi pcrcosser ^orecchia impietosita, 
Scontrar bramosa al diiiartire inciampi, Pei campi, e per gli spocchialsole ignoti, 
Non ascoltata, le parole estreme [campi; GÌ* infermi figli, e i mal cresciuti Eloti. 

Lamberti» Popolazioae di Sanloleuc«. 


CCLIV. Il cannocchiaU 
della Speranza. 


Dissi , fra il pianto , a le cìttadi e a i 
Poi spinsi il volo per le vie supreme, 
£ mi purgai del maggior lume ai lampi; 
Lieta beend()^la purissim'aura, 
Cui lo splendor di tanti Soli inaura. 

Ma come io mossi a la più larga spera, Un giorno la Speranza 

Pel lucido scntier m'occorser donne Per ciaschedun mortale 

Che, insieme ragionando, ivano a schiera Fece un bel cannocchiale. 

Avvolle in bianche e luminose gonne. Questo, come è d'usanza, 

Eran Virtudi, che a stagion men nera I^a Tun de' lati suoi 

Del buon viver quaggiù furon ctdonne; Ingrandisce l'oggetto oltremisura; 

Ma, poiché il mondo reo lor ruppe lede, Da l'altro lato poi 

Tornavansi a l'antica alma lor sede. Mostra piccola e lungi ogni figura. 

E ben ratto di me s' addieron ' elle, Se l'uomdal primo lato il guardo gir*, 

E n<» gioirò, e mi fér a cerchio intorno: ^l hen futuro mira; 


Quindi, scorse le fisse e vaghe stelle 
Che del ciel fanno lo zaffiro adorno, 
Tutte per mano a le superne e belle 
Sedi varcammo, ov'è perpetuo il giorno , 
E dove l'anno i mesi non alterna, 
Ma olezza e ride in primavera eterna. 

Ivi, raccolte ne' bei troni d'oro 
Che al trono di Saturno fan ghirlanda. 
De la vita immortai dolce ristoro 
Ne si porgea di nettare bevanda ; 
E il canto ci godeam che il vergin coro 
De le figlie di Giove attorno manda. 
Mentre loro, deposto arco e faretra, 
l'enor fa Cinzio con l'arguta cetra. 

E già scorsa era il tremillesim'anno 
Da poi ch'io di quaggiù diedi la volta; 
Né m'era dal giocondo alto mio scanno 
A questo secol guasto unquapiù volta; 
Quando, con l'altre Dee che meco stanno, 
Tornai quaggiuso una seconda volta; 
E posto il piede fra la gente achiva. 
Locai mio seggio de l' Èurota in riva. 

Ivi ad un'alma di ben fare accensa 
Mi strinsi ; e mi godei nel fausto clima, 
Or, fra i consigli oe la parca .mensa, 
Onor locando a tulle voglie in cima ; 
Ora partendo con egnal dispensa 
I campi, e i doni de la terra opima; 
Or traendo a lottar la gioventude 
Sol coverta col vel de la virtude. 

Breve però fu ne l'ebalie ville 
Mìa stanza, e presto mossi a la partita: 
Ch' ivi ancor le guerriere empie faville 
Turbarci! l'ore di si dolce vita; 

'^Fvidero* ^ Fecero. 


Guarda da l'altro lato, 
E vede il ben passato. 


Fiacchi. 


CCXLV. Favole tarib. 

In ameno bosco ombroso 
Quando aprii riveste il suolo, 
Dimorava un amoroso 
Soavissimo usignuolo. 

Qui spiegando i suoi concenti 
In dolcissima maniera, 
Ne arricchiva i ipolli venti 
De la bella primavera. 

O sorgesse il Sol da l'onda, 
la notte in bruno ammanto; 
Ogni colle ed ogni sponda 
Echeggiava al suo bel canto. 

Ne la stessa piaggia aprica 
Slava arguta rondinella. 
Che, ai narrar di fama antica, 
L'usignuolo ha per sorella. 

Essa, udendo l'armonia 
Dal suo rustico ricetto, 
L'ammirava: e ne sentia 
Un dolcissimo diletto. 

Venti volte in oriente 
Avea il Sol portato il j^iorno, 
Quando udì ( he men frequente 
Risonava il canto intorno: 

Anzi udillo sì dimesso, 
E ristretto a si poch'ore. 
Che parca non de l' istesso 
Ammirabile cantore. 

Onde là rivolse il volo 


SECOLO DECIMOiNONO 


155 


Ofe il caro albergo avea 
11 già tacito usignuolo; 
£d a lui così dicea: 

O mio caro, e perhè mai 
La tua voce or non s*acolta? 
Onde vien che non ci fai 
Rallegrar come una volta? 

lo temea non fosse occorso 
Tristo caso a te di pena, 
Che turbato avesse il corso 
De la tua vita serena. 

L'usignuolo a' detti suoi 
Sì rispose: Vieni e vedi,* 
Vieni e vedi, e dirai poi 
Se mi scusi e se mi credi. 

Quel che vedi, è il nido mio; 
Son nel nido i figli miei: 
Or, se pascerli degg* io , 
Come mai cantar potrei? 

Molto, è vero, ai dì passati 
Apprezzai decersi il vanto ; 
Or che i figli a me son nati , 
Penso a lor, non penso al canto. 

Così disse. Or voi che avete 
Già di padre il dolce nome, 
Deh pensate che ora siete 
Sottoposti ad altre some: 
Date a i figli ogni pensiere, 
Non al frivolo piacere. 

Un uom riposto il suo tesoro avea 
1 un gran fesso d'uo antico muro: 
he quivi occulto renderlo credea y 

da l'altrui rapacità sicuro, 
er non scemarlo, eglisofFria lo stento; , 

soldi vagheggiarlo era contento. 

Una gazzera un dì vide costui 
he stava al fesso a far V innamorato; 
, curiosa de gli affari altrui, 
!uand*ei si fu rivolto in altro lato, 
a, corre al muro, e da persona accorta, 
'isto il tesoro, in altro luogo il porta. 

Non guari andò che ritornò l'avaro 
er vagheggiar le amabili monete, 

vide (ahi reo spettacolo ed amaro) 
ólo il nido affidato a la parete, 
e usar si può comici restò di fuore , 
'. qual gelida man gli strinse il core. 

Pur, del primostupor rimesso un poco, 
osto si pose ad aguzzar V ingegno ; 
d alfin s'avvisò che da quel loco 
olto avesse la bestia il caro pegno: 
orse, cercò, trovollo in un istante: 
hi l'amato tesor cela a l'amante? 


Onde si pose disdegoosamcnle 
A rampognar la gazzera rapace. 
Dimmi, le disse, bestia impertinente: 
L'oro sei tu di consuinar capace? 
Forse mangiar lo vuoi? forse i denari 
Kendon satollo un animai tuo pari? 

Signor, per me l'oro non è: lo vedo: 
Disse la bestia, tntta in penitenza: 
Se colpevole io son, perdon vi chiedo: 
Ma, quanto a l'uso poi, la differenza 
Stata già non saria grande tra noi ; 
Ne avrei fatt'ìo quel che ne fate voi. 

In un de' più cocenti 
Giorni -di colma estate, una cicala 
Cantato avea per venti ; 
Sicché de gli altri insetti il vicinato 
A una tal cantilena, 
Che certo non parea d'una sirena , 
Erasi alfin nojato. 

Si fé notte: ella tacque. Allora un grillo, 
Che avea ritiro di quel palo al piede, 
Ch'era de l' insaziabil cantatrice 
Musico palco e gloriosa sede. 
Uscì su l'erba al fresco 
De le notturne aurette, 
£ con tremula voce a dir si pose 
Le solite amorose 
Sue belle canzonette. 
L'udì da l'alto la cicala; e, in tuono 
Di disdegnosa' maestà: Tu duuque. 
Vile animai, gli disse, ardilo sei 
Rompere i sonni miei? 
Se fosse almen tua voce 
Armoniosa, e variato il canto. 
Potrei soffrirti alquanto: 
Ma così replicando ognor gli stessi 
Striduli acuti accenti, 
Nojoso, anzi insoffribile, diventi. 
Il grillo alzò la testa, 
E a lei disse: Sorella, 
lo non so se cantando 
Voi vi facciate un'armonia più bella; 
Ma so bensì che quanto è lungo il giorno 
Voi cantate, ed io taccio e non mi lagno. 
Perciò, s' io pure or canto. 
Datevi pace; e, s'io 
Soffro il vostro cantar, soffrite il mio. 

V* e chi nojar la gente 
Pretende impunemente; 
Ma, se da gli altri poi noja riceve. 
Sopportar non la vuole, ancor che lieve. 

Mentre la notte taciturna e bruna 


i56 


CRESTOMAZIA POETICA 


Sleso avea su la terra il nero velo, 
£ pochi raggi di falcata luna 
Bompeano in parte il cupo orror del cielo, 
Una lepre affamata uscì del folto 
Bosco, e ne venne in uu terrcn più coltq. 

Quivi cercando o frutti o dolci erbette 
Per dar sollievo a la molesta fame, 
Sotto un gran melo giunse ; e li ristale, 
Quasi in loco opportuno a le sue brawie : 
Poiché credea che qualche pomo iu terra 
Trovatoavria, di quei che il ventoatterra. 

Cercò; ma invano. Oi pomi avea raccolti 
Diligente il cultore innanzi sera, 
O uniti essendo ei fortemente a i folti 
Bami, caduto alcun di lor non era. 
Ond'ella già» piena di doglia, in suso 
Verso gli onusti rami alzando il muso; 

E dicea sospirando: Oh potess' io 
Di tanti frutti un solo averne almeno. 
Ma il destino crudel, per danno mio. 
Ne pur lascia cadérne un sul terreno. 
Dunque perch'io morir debba di stento , 
Fin cessa i rami d'agitare il vento? 

Da l'alto udì la sua querula voce 
Il melo, e del suo duol pietade il vinse. 
£, poi che in tanti fruiti a luì non nuoce 
Perderne un solo, a terra uno ne spinse .• 
£ il diresse sì beo, che de la mesta 
Lepre il pomo cadente urlò la testa. 

Al colpo in^pettato essa, che ignora 
Donde venga e da chi, timida fugge; 
£ la paura prevalendo allora. 
Di fame eslingue il senso, che la strugge: 
Bicovra al bosco, e la selvaggia e rozza 
£rba, sospinta dal bisogno, ingozza. 

L'altra notte ne venne, e a poco a poco 
La tema si calmò del Citso antico: 
Ond'ella uscendo del selvaggio loco, 
Sotto il melo tornò, nel campo aprico; 
Ne trovando del suol sul verde smalto 
Pomi, volgea Pavide luci a l'alto. 

Allora il melo a lei disse: £ che mai , 
Folle, da me pretendi? lo ne la scorsa 
Notte un pomo per te cader lasciai, 
E tu altrove fuggisti a tutta corsa. 
Tu dunque allor che quanto vuoi ti dono. 
Disprezzi ingrata il donatore e il dono? 
La lepre,udendociò, disse: Or comprendo. 
Signor, de l'altra notte il caso strano. 
Mi percosse quel pomo : io, non sapendo 
Che fosse ciò, me ne fuggii lontano. 
<ìr, perchè grata appieno esser vi possa, 
Fate che il vostro don non dia [percossa. 


Un fancinllin prendevasi 
Mirabile diletto 
Ne lo scherzar festevole 
D' un gatto giovinetta. 

Ei gli porgea la tenera 
A mica man sovente» 
Cui la giocosa bestia 
Mordea soavemente. 

£ ne l'inGoto mordere 
Far gli solea mille atti 
Sconci così, che un abile 
Buffon parca tra i gatti. 

Ora in aguato sta vasi. 
Or si movea pian piano, 
Or d' un salto avventa vasi 
Su la vicina mano; ^ 

Poi si f uggia; poi rapido 
Tornava al gioco usato, 
Dal moto lusinghevole 
De i diti richiamato. 

Così alquanto durarono 
Quelle mentite risse; 
Alfin da senno il perfido 
L' incauta man trafisse. 

Pianse il fanciul : ma dis^egli 
Il genitor severo : 
Chi suol da scherzo mordere, 
Alfin morde da vero. 

La finzion del vizio 
A vizio ver declina. 
A can che' lecca cenere, 
Non gli fidar farina. 

Un gatto professore in ghiottornia, 
Che a rubar cominciò fin £i la cuna, 
£ che, a rapire uu boccon buono, avria 
Fatto un salto mortai fin so la luna ; 
Saltò d'un usignuol su la prigboe, 
£ del raro can lor fece un boccdit. 

Al comune padron fu nota appena 
Del domestico musico la sorte^ 
Che sdegnato giurò di dare, in pena 
Del misliaitto crudel, (errìbil morte: 
Onde ciascun de la famiglia intento 
Era in cercar l'autor del tradimento. 

Frattanto il reo l'uni versai minaa'ia 
Da un canto udiva; e gli tremava il core: 
Pur disinvolto con sicura faccia 
Stava dissimulando il suo timore. 
Un reo talor da lo spavento è collo, 
E se il labbro negò confessa il volto. 

Ei non così; ma con tranquilla cera 
La tempesta dei cor si bene ascose, 
Che pur un sol de la sdegnata sc^ia 


SECOLO DECfMONONO 157 

lon mai tal reità suppose , Tu sì bassa ti stai, eh' io non ti scorgo. 

orrer parea già con la caima, Ma ti compiango: forse è sì meschino 

1 Tolto apparia, quella de V alma. Il tuo stato, e si vii, che far non puoi 

lei colmo però del suo timore Quello che facciam noi ; 

ch'ei fé tacitamente nn toIo: Onde così tu segui il tuo destino. 

:he se quel suo commesso errore Udì la vantatrice 

estalo al suo padrone ignoto, Zucca un ranocchio astuto, 

rebbe mai più preso o mangiato Che, per quanto si dice, 

i, carne d'animale alato. Assai genti e costumi a?ea veduto . 

il voto non fu : brev'ora estinse Costui tosto si volse 

e rimase il traditore intatto: A la superba, e questi detti sciolse: 

i, sicuro, ad osservar s'accinse zucca, zucca vera, 

enza penosa al cor d'un gatto. Non far tanto l'altera 

sntre a l'osservanza ei si dispone , Su i pregi che non hai, 

in una fiera tentazione. Né dispregiar cotanto 

ne sotto ì* artiglio un pipistrello, La tua sorella che ti nuota accanto, 

bei chela notte unqua vedesse: Sai tu perchèti stai 

irchè ha l'ali, e passa per uccello, A galla più di lei? 

imenta al pensier le sue promesse: Perchè più vota sei. 
da l'appetito, al cibo aspira; 

ipolo l'avverte, e io ritira. In un certo villaggio 

l'animai passò; passò con lui Un artefice saggio 

iJTon precipitosa e lieve ; Di terra cotta una campana fc; 

;atto mantenne i voti sui: Poscia un color le die 

perchè la tentazion fu breve. Tanto al color del bronzo somigliante, 

folle pipistrel, dando di volta. Che ingannato sariasi un negromante, 

sotto l'artiglio un'altra volta. A veder la campana, 

•ser lo gatto allor gli salta addosso, Qual opera sovrana, 

icrupoli serba a miglior uopo. Corse la turba villereccia: e mentr« 

:ide tra sé, mangiar lo posso, Stav^ a mirar con inarcato ciglio, 

uccello non già, ma come topo. Udivasi un bisbiglio 

9U dottorai temperamento In questa parte e in quella, [ bella! 

fé l'appetito e il giuramento. Che replicava: Oh quanto , oh quanto è 

In questi universali 

» di pioggia un orgoglioso fiume Applausi de le genti, [ti? ) 

le anguste sponde. Un vento (è dunque invidia anco nei ven- 

Dndo il suo barbaro costume, [de. Nel pendente battaglio urtò con P ali: 
erseun campo, e il depredò con roa> Il battaglio agitalo 

prede ch*ei fece, eran due belle Battè, sonò da V uno e V altro lato: 

.e tra lor sorelle, £ allor dal rauco suono ed infelice 

lon potendo far forse altramente, Conobbe il pnpol gonzo 

secondavan la corrente. Che la bella campana ingannatrice 

li lor su l'acque Era di terra cotta, e non ii bronzo. 
;giava assai più; l'altra più grave Tal un con l* apparenza 

>érdea tra i flutti Impone a le persone, 

torbida piena, E creder fassi uom d' alta conseguenza: 

ior d'acqua si mostrava appena. Ma, se mai parla, si conosce allotta 

prima, che vedea sé più sublime Che quel che bronzo pare, è terra colta, 
sorella sua tener viaggio, 
r seggio de' flutti in su le cime; Un giovìn merlo, ch'era un po' tondo; 

1 orgoglio; e con aspro linguaggio Né ancor sapeva gli usi del mondo, 
disse: infingarda. Vide una piuma che, a 1* aure in seno, 
'ofondo ehe fai? Guarda me, guarda Andava a spasso pel ciel sereno. 

:o di te più salgo: ^ Oh! vedi,^ madre, quell'augelletlo, 


438 CB ESTOMA ZIA POETICA 

Disse» che mostra piccolo aspetlo, 
£ la volar tiene foggia noveila. 
Dimmi, tra i boschi come s'appella? 
Non è un augello, la madre allora 
Rispose; è piuma spinta da Pòra. 
Ma come? il figlio riprese: il volo 
Gli augelli vivi non hanno solo? 
Che altri pur voli credo a fatica. 
£ a lui la madre: Se han Taura amica, 
(Credi: del mondo questo è il costume) 
Volano ancora le morte piume. 


In un campo di canapa, che avea 
Il seme ben granilo, 
A beccare ogni giorno andar solea 
Di varii uccelli un numeroìnfinito. 
Nel medesimo silo 
Stava una Botta di sotlile ingegno; 
Che si pose a l'impegno 
D'indagar la cagion per cui cotanta 
Turma d' uccelli s'adunasse insieme 
A divorar quel seme. 

E diceva fra sé: Con quella pianta 
Si forma il filo; e poi col tìl le reti, 
Che in aguati segrei i 
Tesedal'uom preudon gli uccelli. Urque- 
Si danno a tollerar tanta fatica L sti 

Perchè di questa pianta, a lor nemica, 
La semenza non resti. 
Questa mia conclusione è veramente 
Lampante ed evidente: 
Ma ciò non basta: io voglio 
Che noto sia con quale agevol modo 
D' una quistioue io sciòglio 
Il più diffidi nodo; 
E tome di leggieri 

Io tocco il fondo de gli altrui pensieri. 
Perciò si volse, e disse a un calderino, 
Ch' erale il più vicino: 
Olà, parla sincero: io so il motivo 
(inde voi questo seme divorale. 
Eccolo; voi cercate 

Che la canapa manchi, e manchin poi 
Quelle reti, che a voi 
Kecan tante sventure. 
Madonna, no, non ci pensiam ne pure. 
Oh come no? dunque perchè venite 
Cosi a turbe infinite, 
Con un desio sì fervido e vorace. 
Questo seme a mangiar? — Perchè ci piace. 

Di qualche fatto spesso 
£ la vera cagione a noi ben presso.* 
Mache?-sottil pensiero 
Lungi la cerca, e va di là dal vero. 


A la mosca il leone 
Disse: Fuor di passione 
Parla, e accennami quale 
Credi che sia 'l più perfido animale. 
E rispose la mosca: 
Fra quanti io ne conosca, 
Di nessuno mi lagno: 

Ma gl'iniquison due: rondine e ragno. 

Fate simil domanda 
A l'uomo: ei vi dirà di por da banda 
Ogni rancore antico; 
Ma vi nomina intanto il suo nemico. 


Passando un fiume ^rbido 
Con soma assai pesante, 
Sentia dal fango un asino 
Imprigionar le piante. 

Dovea sforzi incredibili 
Far per uscir di pena, 
E guadagnava il margine 
Con affannata lena; 

Un dì con ragli queruli 
Il misero somaro 
Al fiume rivolgendosi, 
Fere un lamento amaro. 

Perchè mi dai, dicevagli , 
Un sì diflicii guado? 
E forza del mio spirito 
S'io non vacillo e cado. 

E, per maggior disgrazia, 
A questo reo cammino 
Sovente riconducemi 
Il mio crudcl destino. 

Dal fiume, in slil laconico, 
Fu a Tasi nel risposto: 
Va: si porrà rimedio 
A questo mal ben tosto. 

Dopo due lune, trovasi 
Al Consuelo varco 
Lasso e anelante l'asino 
Sotto pesante incarco: 

E vede in alto sorgere 
Avanti al suo cospetto 
Un ponte, alquanto ripido. 
Novellamente eretto. 

Egli si ferma immobife, 
E sospirando dice: 
Dunque or, sì stanco, ascendere 
Dovrò quella pendice? 

O fiume, tu mi liberi 
Da un mal con altro male. 
Ma il fiume: Taci, o querulo^ 
Stoltissimo animale. 


SECOLO DFCIKONONO 


450 


cotante smorfie, 
ir tu TUOI, 
ii guado scegliti: 
ritar non paoì. 
di fiume torbido 
i nostra vita: 
aspettar dobbiamocì 
;o, la salita. 

bel can sul grasso tergo 
Ice prese albergo, 
chiargli il sangue intesa, 
anzo a di lui spesa. 
tu, le disse il cane, 
:ar fra le mie lane, 
palle il gius pascendi? 
»io, rispose allora 
lulce adulatora, 
ostra serva umile, 
imirando la gentile 
i fh'è in voi riposta, 
ula a bella posta 

regni del Perù 
rvi servitù, 
cane a questi accenti 
*ece complimenti: 

a dirla, egli non era 

caoi d*alta sfera, 
hiaman cittadini; 
un can da contadini, 
astrandosi cortese, 

tergo più d'un mese 
lice lasciò fare 
na e il desinare, 
do un giorno, sovra un monte, 
er trovossi a fronte; 
0, e pien di vaglia, 
ò dura batttaglìa: 
fu sì avverso il fato, 
tiase strangolato, 
pulce, al caso reo, 
perse in piagnisteo 
lorle del padrone; 

lupo sul groppone 
ì\ salto si lanciò, 
li diede il buon prò. 
. lupo: E tu chi sei, 

plauso a i vanti miei? 
serva, ammiratrice: 
imìl, la pulce dice, 
oi tu? — Mangiar con voi. — 
f mangiar tu puoi, 
a pulce con maniera 
dee e lusinghiera, 


Fé de i pranzi assai felici 
Sul groppon di due nemici. 

Forse alcuno in questo fatto 
Vuol saper chi sia ritratto. 
Io per me nessuno addilo; 
V'è chi dice un parasito. 

Fiacchi. 

CGXLVI. Sopra l* amore del danajo. 

O gregge affascinato, o stuol grifagno, 
tu che il pasto affama, e il fonte asseta; 
Tu, lungi da ogni amor, solo al guadagno 
Intendi; e sei nel resto anacoreta: ~ 
Vòff che rivo esser dee, diviene stagno 
Per tey che dal matlin fino a compieta 
Stretto t'aggiri intorno al chiuso argento. 
Come intorno a la macine il giumento. 

Benché ogni via t'impregni la scarsella. 
Col tuo tormento, che gli eredi ingrassa; 
Qual manigoldo^ assidua ti flagella 
Miseria, frutto de la piena cassa. 
Lacero hai tetto e manto; e ogni procella 
Franca fino a le viscere 'ti passa: 
Ne di scherno li cale, ne d'ingiuria; 
Ma col di sorgi a meditar penuria. 

Il giro de' tuoi campi e l'aja immensa 
Mille nibbii, o Arpagon, stancar potria: 
Ma le messi sottrai che il suol dipensa. 
Già colte; e ubertà cangi in carestia. 
Così de i Traci a l'imbandita mensa 
Le vivande togliea l'immonda arpia, 
£ di Fineo su i cibi invali presenti 
Stendea l'unghlon tra la forchetta e i denti . 
Con ten ne vitto il ventre a i servi strigne ; 
Né a' figli è più cor tese, o a l'egra moglie. 
Hape e lattughe egli in lucerna intigne ; 
E conta del basilico le foglie. 
]l pozzo e la cisterna son sue vigne: 
K avarizia il fatò da tutte voglie: 
Ne spende infermo in medici prudenti, 
Ma le membra consegna a esperimenti. 

tu sordo a ogni pianto,e cor di pietra , 
Ne febbre o morte del vicin ti scuole; 
Ne ottien giustizia, né favore impetra, 
Né ti pare uom chi le bisacce ha vote. 
In te non senti il più bel don de l'etra? 
Non sai che l'altrui duol del nostro écofe? 
Che amor di sé, d'altrui, noi da le selve 
Richiama, e ne distingue da le belve? 
Né dottore al bel nodo, né dottrina 
Noi trae: ne l'uomo carità é natura, 
E indizio ver di parte in noi divina. 
Che non teme pietron di sepoltura» 


I 


i 00 CRESTOMAZIA POETICA 

Noi sforza a lagrìmar pietà regina L*uccideste; e fremè l*ombra patema. 

Se l'esequie incontriam d*età immatura, Ne denaro si vuol per trarne onore; 
Se svien su Turna orfano nido, o trema Ma onor si vuol per trarne poi denaro: 
Pentito il ladro su la scala estrema. Sì che tal ch'esser può legislatore, 

Gli orti al villano, al cittadino i tetti Per guadagno maggior resta notaro. 
Questa munirne inventò siepe o chiave: Vedi Olao, che del bene ostenta amore, 
Quei d'altri al nostro, e il nostro a gli al- Se il ben si vende in certi dì più caro; 

[ trui petti Ma di virtù poi merca il vilipendio, 
Fé scudo; e patto a noi dettò soave, [ti; Se dal vizio ha più nobile stipendio. 
Poi l'uomoalternòal'nom soccorso e affet- Muori,guerrier,perlemonete,incanip»; 
Né il danno altrui del suostimòmen grave. Piloto, in mare offri per l'or la vita: 
Come insegnò a la manca aitar la destra, Non temer d'armi né di nubi il lampo, 
Sì l'uomo a l'uom necessità maestra Siegui la Furia che ricchezze addita: 

Pur l'uomo al'uom per fame d'oro Uupo. Sia del tesor, nun de la patria, scampo 
Ma il vitto a i lupina te il danaro è sprone, Jl rischio tuo. Né nobile ferita 
Che ti caccia per bosco e per dirupo, T'accresce onor: ma, se denar t*appresh, 
Per via,per piazza, a esercitar l'unghione. La cicatrice anco nel dorso è onesta. 
Forse a l'incude l'oro vien dal cupo, D'Elei, satira V. 

Sol perchè effigie esprima , arme e iscri- 

C zione ? CCXLVII. Sopra la nobiltà. 

Perchè vien? dimmi, o tu che lo zecchino 

Come un quadro contempli del Guercino? Siapurne gli avi tuoi, ma inqueis*arresU 
Ma peggioan<'.or,$e apri la man, se n'esce Nobiltà, né in te, Ciacco, si trasfonda, 
L*oro, e dal sacco il trae maggior delitto. Mentre il nome di quei col tuo funesti, 
Ahi, u'esce a stille, tornaa fiumi; e cresce E il chiaro fonte va in palude immonda. 
In ampie somme, che mentì lo scritto. Mostrami i proprii merti; io far con questi 
Come s'offre l'uncin nel pasto al pesce. Voglio il tuo stemma, e d'onorata fronda 
Così a l'uoin nudo e da l'inopia afflitto Voglio al tuo busto circondar le chiome: 
Tu spietat(f offri un laccio per sostegno, Ne a te dia*l sasso,ma tu al $asso,il nome. 
E ne vuoi tutto, fin le membra in pegno. Se la plebe illustrissimo te chiama. 

Gema indarno il mendico in atrio algen- Piangi : schernodivien l'ossequio ingiusto: 
Spogli l'are, i parenti; esponga i figli; [te; In te voglio del tenue Arpin la fama 
Ma Tusure ti paghi, e colla mente Più che ne Parme l'aquila d'Angusto. 

Veggia,ancoin sogno, i tuoi vicini artigli. Benché di nobil tempra, èinutiilama. 
Questi teme del debito l'urgente Se ruggine le toheil fil vetiuto, 

Pena, e tu del danar temi i perigli: Durindana e Frusberta *: e quercia antica, 

Miseri entrambi. Son d'affanno in gara Quando è secca, si spianta come ortica. 
Così la gente povera e l'avara. Signor, conosci in te Guelfo e Rinaldo; 

Sotto apparenze di virtù si cela Merita gli avi; e ponga te in senato. 

U vizio, e di bel titolo s'onora. Il tuo senno, non quel del prisco Ubaldo: 

Par modestia, par senno e cautela Ne vanti chi mal vive, esser ben nato. 

Quell'avarizia che in serbar divora. Siegui il tuo Pio; ne uscir da eroi ribaldo 

Ma ne scrigni, né figli a tal tutela E degno di frodar l'oncia in mercatQ. 

Mai fiderò: chi sua pecunia adora. Se giusto e mite sei, scendi da Giove, 

A i vezzi de l'altrui non è di sasso: £ dà il tuo cor di nobiltà le prove. 

Da l'avarizia al furto è un breve passo. D'Elei^ »»tir» ^^ 

Quante Erifili, ohimè, vegg'io! Né inulti 
Starian tanti sotterra i Polidori, CCXLVUt. Dori, o la felicità. 

Se mesti a noi parlassero i virgulti 

Cornea Enea,spie del sangue e de i tesori. Riedi, riedi, incauta Dori: 
Pur la prole spogliar co i graffii occulti E non vedi che ne Tonde 
Osaste, madri, e superar tutori; Febo asconde i suoi splendori? 

Pur voi ( tante non fe« » tigre io cavenia) i jy^^j delle spade di Orlando e di Rinal- 
X Fectf» do ^paladini. 


SECOLO DECIMONOIVO 


461 


Gridò Cloe da an^alta vetta 
A la figliagioviuetta. 

Ella torce allor le piante: 
Ma però con volto tetro 
Mentre il piede affretta avante, 
Volge V occhio irato indietro. 
£ anelante e lassa, alfine. 
Già dei colle sul confine , 
Dice : madre, un vago augello, 
Che, poc' alto ognor dal suolo, 
D* arboscello in arboscello 
Dispiegava incerto il volo, 
Inseguia; eh* ogni momento 
Mi parea con man sicura 
D' afferrarlo; e quegli al vento 
Dando r ale.^a mesi fura. 
Breve è il voi, ma sempre nuovo; 
Si che i passi ognor rinnovo: 
Ma r augello ògnor si svia. 
Quanto mai, quanto sudore 
Ahi mi costa, o madre mia, 
QuelP augello ingannatore! 
A colei, che irata accusa 
L* augellin che T ha delusa. 
La prudente genitrice 
Pria sorride, e poi le dice: 
Cara figlia, di que' vanni. 
Del sudor eh* oggi spargesti, 
Ah col volgere de gli anni 
Il pensier vivo ti resti. ^ 
Qnal tu errasti sconsigliata 
Per r augel che t*ha iogannaU, 
Co5Ì 1* uomo errando va 
Per la sua felicità. 
Ognor prossima la vede, 
D* afferrarla ognor si crede: 
Ma, colei spiegando V ali 
Ad un volo più lontano, 
Corron sempre, e sempre invano. 
Fin che giungono i mortali, 
Tra 1* inganno (; tra la speme. 
Infelici a Tore estreme.— i>e Rossi* 

CC^LIX. Le uve dipinte da Zeuit. 

Quando II pittore acheo. 
Emulo di Natura, 
La bionda uva matura. 
Sacra al padre Lieo, 
Pìnse; e il pennello espresse 
Uve si belle e vere. 
Che le pennute schiere 
Venner sovente ad esse; 
A mirar quel portento 

Leopardi, Crettomaxia, II. 


De 1* arte de* colori 
Correano a cento a cento 
Gli argivi spettatori . 

Un dì, nel punto i&tesso, 
A quella tela appresso, 
SuMelusi augeilìni 
Ridoan, tra lor vicini, 
Un ricco mercadante, 
Un senatore altero, 
E un giovinetto amante. 
Ma, ne 1* udir quel riso. 
Filosofo severo 
Gridò, sdegnato in viso: 
U stolti, e voi ridete 
De gì* ingannati augelli? 
E voi simili a quelli ^ 

Forse, o stolti, non siete? 

Verso felftitade 
Tutti, da varie strade, 
Spiccate un volo insano: 
La passarne intanto. 
Che in vostro cor si cela, 
Ed a volar vi spinge. 
Sta col pennello in mano, 
E il fin bramato tanto 
In seduttrice tela 
A voglia sua dipinge. 

A te avarizia indegna 
Felicità disegna 
Quando dal flutto infido 
Vien la tua nave al lido. 
A te cieca ambiiione 
Ne la gloria del brando. 
Ne 1* onor del comando, 
La pi n gè e la compone. 
Di voluttà il pennello 
Fa «*he tu averla speri 
Nel posseder quel bello, 
Che t* invita a* piaceri. 

Ma dite: un sol tra voi 
V l^a che P ottenga poi? 
Dal desiato oggetto 
Non partite affamati 
Qual parte V angelletto 
Da*grappi simulati? — D^ Rossi» 

CCL. £* arco di Amore . 

Prendi, mi disse Amore, 
Questo arco feritore, 
Di cui ti lagni tanto; 
Spezzalo pur, se vuoi: 
Quando quest* arco è infranto. 
Cessano i mali tuoi. 


Ì6S 


CRESTOMAZIA POETICA 


Incaato giovinetto, 
D'Amor 1* offerta acretio; 
E in cento modi e cento 
Spezzar queli* arco tento. 
Ma ogni forza mortale 
Contro queir arco è frale. 

Cercando allor men vo 
Chi diami a 1* uopo aita. 
L' arco a Io Sdegno do: 
Quegli con mano ardita 
Franco l' opra intraprende. 
Ma k latto poi mei rende. 

A Gelosia lo porto* 
£ coli* arida mano 
L' avea colei già torto. 
Io n* esulto: ma invano; 
Che forte più di pria 
Mei rende Gejiosia . 

Volgo al Capriccio ì preghi; 
Che a P impresa s'accinge. 
L'arco par che si pieghi 
Mentre colui lo stringe: 

breve contentezza! 

Lo piega^ e non Io spezza. 
Allor le Muse invoco: 
Arso queir arco indegno 
Spero dal sacro fuoco 
Che m' accende V ingegno: 
Ma è van che a quelle esprima 

1 miei tormenti io rima. 

Così passando gli anni 
Fra tristezza ed affanni, 
Alfin le bianche brine 
Caddero sul mio crine: 
Vecchiezza, che al mio fianco 
Mosse il pie lento e stanco, 
Vide queir arco, rise, 
Lo spezzò, lo divise. 

Or r empio faocinlletto 
Impaziente aspetto; 
Che de' trionh miei 
Farlo certo vorrei. 
Ma indarno, oh Dio, lo bramo, 
Indarno a me lo chiamo: 
Passa lunge, e qual vento 
Da gli occhi miei si fura; 
£d or che noi pavento, 
£i più di me non cura. 

Ve Rossi, 

CCLI. La Gelosia. 

Quando il fanciullo Amore 
Mancar de la sua face 


Mirava lo splendore; 

A farlo più vivace 

Ora chiamar soleva il Riso, ilGioc 

Or le Lusinghe e i Vezzi; 

Anche l' Ire e i Disprezzi : 

£ ravvivato ognor vedeva il foco. 

La face un dì languia: 
A l' uopo Amor chiamò la Gelosi 
£ssa ubbidirlo volle: 
Ma r importuno fiato, 
Indiscreto, gelato, 
Mentre eccitar fiamma più viva ten 
Besta la face spenta. 

De Rossi» 

I 

CCLII. Amore dà udienza. 

UdYenza solenne 
Amore un giorno tenne: 
Il regolar l' ingresso 
Fu ai Capriccio commesso. 

£ntraro il Riso e il Gioco: 
Ma si trattenner poco 
Con Amor assai più 
Parlò la Gioventù. 
Fu la bellezza udita; 
Ma colle Grazie unita. 
Dopo la Gelosia, 
Ascoltò la Follia; 
£ momenti non brevi 
Ad ambedue concesse. 
Perchè affari non lievi 
Suole affidare ad esse. 
Torbido in viso e tetro, 
Passò poi il Tradimento; 
Ma nel tornare indietro 
Parve lieto e contento. 
£ntrò lo Sdegno ancora 
A favellar col nume: 
£ benché ad esso ognora 
Avverso di costume, 
Pur gli si lesse in volto, 
Che avealo bene accolto. 
Fu ammessa la Costanza 
Coli' Innocenza a lato: ' 
Ma iisciron da la stanz a 
In aspetto turbato. 

Avea già udito Amore 
Tutto l'accorso stuolo; 
E la Ragione solo 
Aspettava al di foore: 
Che a lei jper odio antica - 
11 Capriccio nemico. 
Aveva per dispetto 


SKCOLO DtCIUONOKO 


D' «nniiiici*rl> DCglctlo. 
E alloT che il nume rìde 
Dd luogo niìrt ilauco; 
V è la Hagioo pni anco, 
Dieej e fr* ai mi ride. 

Quando <\at\ aamt accolla, 
Pensoso abbassa i guardi, 
Poi dice Amorei è lardi: 
Che passi un' altra toIU. 


ElàriTolge il piede: 
Alaquando ella si appreui 
A quella plaoU slessa. 
Attonita limirn 
Che carca è sol di fronde ; 
Epiauge, ese n'adira. 

li il giardiaier risponde: 
Bramati I frulli, o Dorlf 
Perchè coglieili i fiori? 


stille 


yXKl. Amore ineaitna Cerbero. (X-iyi. Le piante di geliomini. 

RodoM cbia strinse, Poicbt diTenne Fille 

ci leone tisIì 1' orride spoglie. Del su 

DOTO Alcide si finse, 

discese Cupido^ l'atre soglia, 
teso a la frode de l'aitulo dio , 
erbeia, per tintor di maggior danno, 
remante il collo a la catena offrio. 

Oh quante Tolte con eguale inganno 
'uomo crede il suo core 
'into da fona, quando il rince amore. 


CCUV. ZaGioventà e il Piacere. 

NelEÌardin del Piacere 
lalTÒ V incanta Giovenlude un dì ; 
^tese il glardiuicie 
suoi fiori le offrii 
ih lutti in nn istante 
liida possederli essi Tolea; 
itrcise, svelse, calpestò le piante. 
Ma quando, paga di sua vana idea, 
'' ardossi in EremiM, rilrovoUi tutti 


tXLV.l^ fanciulla e il giardini 

Mentre odorosa pianta 
r' aranci, entro il giardino 
Di nuovi fior s' ammanta; 
Scende a quella vicino 
Una gentil donzella. 
Che lutti gli raccoglie, 
E per sembrar più btila,. 
Tra il crine e tra le spoglie, 
E del sen tra gli avori, 
Al velo intreccia i fiori. 
Ne la stagiou gradita 
Che il frutto al fior loccede. 
Dolce dcMO la invila, 


Lasciò le re 

Per abitar la corte. 

Però venia talora 

Del padre a l' umil tetto; 

£ conservava ancora 

Per la camjngna afièll". 

Sopra tesiepi un giorno 
De l'orlicel del padre 
Mirando d' ogn' intorno 
Piaule folle e leggiadre 
D' aRresti gelsomini 
Fiorir tra dumi e spini. 
Diceva: e d'onde avviene 
Che questo fiarellino, 


Là non sembra più quello? 

Rispose il padre: o figlia, 
Quell' odoroso fiore. 
Nel puro suo candore, 
A innocenza somiglia: 
Le siepi ama e le spine. 

Le pompe cittadine 
Far che con lei rigetti. . 
Dimmi: nelachlade > . 
Ia Ina innocenza i quel b 
Che fra queste coubade 
Serbasti, intatta e bella? 

CCLVII. WI8BAMIH B scBWii ta«i 

Amore un di per gioco 
La benda al ciglio tolse, 
EdallabroTavvolse. 
Ha nei bwjto pcnsier duo ben poce; 


iu 


CUESTOMAZU POKTICA 


Perchè mancar sentiva il suo valore 
Quando era mulo, Amore. 

Amor, tu al mar m*lnTÌti; 
£ tranq[uilli mi additi, 


Disse l'austero Uranio a Blaterone: 
Marchese, cavalier, conte, barone 
Tu chiamarti potrai-, 
tinest'nomo giammai; 
Questo titol coiroro non si merca. 


ì^t lo scioglier dal lido, il vento e l'onda. Blaterone rispose: e chi lo cerca? 
Vengo: ma poi, se la pentita prora 

Torcer vorrò a la sponda, Pingea Laurino la Crocifissione: 

L'onda e il vento saran tranquilli allora? Dai ritratto d*(Ludoro 

Interrotto il lavoro 


Amor volea schernir la Primavera 
Su la breve durata e passeggiera 
De i vaghi fiori suoi. 
Ma la bella stagione a lui rispose: 
Forse i piaceri tooi 
Vita più lunga avran de le mie rose? 

Non so con qual pensiero, 
Donar mi volle un oriolo Amore. 
Io Taccettai : ma sempre è menzognero; 
Che del piacer ne Tore 
Corre troppo veloce; e troppo lento 
Ne Tore del tormento. 

In grembo al fior più bello 
Non sempre posa la farfalla errante. 
Vezzoso garzoncello, 
Che tanto fidi nel tuo bel sembiante. 
Un fior tu sei; ma Cloe, la tua diletta, 
Forse è una farfalletta. 

Le colombe amorose; 
Le porporine rose; 

Intorno al seno, de le Grazie il cinto: 
Ne la man, l'aureo pomo in Ida vinto; 
Tutto tutto mi dice 

Che in Citerca vuoi trasformarti, o Nice. 
£ pur, tra tanti segni, io non ravviso 
In te Ciprigna ancora. 
Quella maschera sol togli dal viso: 
Sarai Ciprigna allora. 

Vezzoso garzoncello a Febo caro 
Fu questo fiore un dì: 
Febo a caso nel giuoco lo ferì, 
£ n'ebbe duolo amaro. 
Tu ne'tuoi giuochi volontaria uccidi 
Mille amanti, o Nigella; e poi sorridi. 


Il grande, il ricco Eglon qui estinto giace. 
Non fé al mondo quei ben ch'egli dovea: 
Ma prega al cener suo riposo e pai.'e; 
Perchè il male non fé che far potea. 


Chiami senza ragione. 

Laurino in quel ritratto, 

Del cattivo ladron lo studio ha fatto. 

Mescer devi,Laurìn, più d'un colore 
Mentre d'Eudoro vai pingendo il volto: 
Il nero basta se ne pingi il core. 

Il ritratto di Eudoro è sì perfetto, 
Che,ad ogniistante,che bestemmi aspetto- 

De Ronfi. 


CCLVIII. FAVOLBTTB. 

D'acqua una vena limpida 
Discendea da la rupe: e ad ogni pa^o, 
Ora a l'urto d'un tronco, ora d'onsasso, 
Frangeasi, divideasi, e gorgogliando 
Ridotta in spume candide, 
A la rupe così già mormorando: 
Pure al fin giungerò sul verde prato, 
Che, di te meno ingrato, 
A' mìei limpidi umori ^ 

Letto gentile appresterà di fiori. 
Un sasso, che l'udì, 
Le rispose così: 

In quel letto gentil gli umuri tuoi 
Chiari saran com'ora son tra noi? 


Ne l'angusto campicello 
Un meschino agricoltore 
Vide errar stuolo rubelhi 
Di locaste, che nemiche, 
Con famelico furore, 
Divoravano le spiche. 
Al rimedio, a la vendetta 
Pronto pensa: e a notte bruna, 
Quando insieme si raduna 
La masnada maledetta, 
Egli attento segua il loco. 
3pini e paglie unisce aliora, 
È allumando un ampio foco. 
Spera, al sorger die l'aurora, 
Di trovarle tutte tutte 
Consumate, arse e distrutte. 
Ma l'evento non arrise 


SECOLO DECIMOiNONO 


165 


)eme lusingliiera. 
' del foco uccìse 
ie madri la schiera; 
^el iQogo aveau la cova; 
lor fé schiuder Puova; 
lacque altra famiglia, 
la prima rassomiglia, 
eschino agricoltore 
mico stuoT noTello 
lelico furore 
sposto il campicello; 
rgli danno eguale 
tdio Tide e il male, 
n focoso letterato, 
'critici sdegnato, 
batterli si affretta, 
sacro, o favoletta. 

:hè sì umile e china, 
i io SI dritta e bella 
quasi regina 
'asta pianura? 
verde sorella 
spiga matura, 
risponde quella: 
i di grano; allora 
verai tu ancora. 

ae di nobile palagio 
io bell'agio 

, padrona d*un tesoro, 
;emmeed'oro, 
ancor fresche e delicate; 
te e serrate 
tenea gelosamente, 
lovizia de la lor parente 
e risanno; 

sotto al balcon sen vanno, 
I ogni arte 
le parte, 
iascuna espone 
» ragione, 
ccia prega: 
sempre nega, 
vuol tutti 
utli, 

ir la scorza 
afToIlate: 

idegno, vengono a la forza, 
un assalto. 
la Tallo 

il fesa: e, per tener lontane 
ìche insane, 
àcco, e incomincia colle noci 


A lanciar colpi atroci. 

Dopo lunga battaglia, yindtrice 
Fu Tassali ta scimia, e in fuga pose 
La turba assalitrice. 
Ma, quando, in voci di piacer festose, 
Ringraziava de l'armi la fortuna, 
Rivolti gli occhi de le noci al sacco, 
Non ne trovò pur una, 
£ s*avvide che spesa 
La sua ricchezza avea ne la difesa. 

Raro non è che, trattane la glorSi, 
A la perdita egual sia la vittoria. 

Il toro al corso disfidò il destriero: 
£ questi vincitor fu ne la sfida. 
Gli altri animali incontro gli si fero ' 
Con plausi di trionfo, e liete grida: 
Sol taceva la volpe. A lei Paltero, 
Dammi ragion del tuo silenzio, grida. 
£ssa risponde: i plausi miei conservo 
Pel dì che vincitor sarai del cervo. 

Allor che il vivo sangue 
De la Diva di amor 
Fé vermiglio quel fior 
Che Tavea punta, 

Provonne invido duolo 
De le piante lo stuolo 
Chesorgeva ne i prati di Amatunta. 

£ ciascuna dicea: 
Ah, perchè, avaro Ciel, 
Non mi desti uno stel 
Di spine cinto? 

Che di color novello. 
Più ridelite e più bello. 
Forse il mio fior vedrei vestito e piato. 

L*aspro, pungente cardo 
Quei lamenti ascoltò: 
£ di sue spine andò 
Superbo tanto. 

Che già, con folle idea. 
Acquistar si credea 
Al negletto suo fior nobile ammanto. 

£ mirando in quel punto 
Venire un Amorin 
A córre un gelsomin. 
Che gli era alialo; 

Spinse le punte ardite; 
£ da crude f'erile 
Il tenero fanciul restò piagato. 

Domandando vendetta 
Contro chi lo ferì, 
A la madre fuggì 
I Fecero. 


166 


CIIESTOMA.ZIA POETICA 


Piangendo il figlio: 

£ la madre sdegnata 
La rea piatita malnata 
Fuori del prato allor mandò in esiglio. 

Poiché vider le piante 
Che in pena del ferir 
Ebbe il cardo a soffrir 
L*ire divine, 

Del primiero desio 
Ognuna si pentio, 
E al Ciel non più ridimandò le spine. 
Quando cieca fortuna 
Assegna al mal oprar larga mercede. 
Misero chi, cedendo al folle esempio. 
Dal sentier di onestà ritratto il piede, 
L*orme segue de l'empio. 

Mentre de rnsignolo un fanciulletto 
Al manco piede ha un breve filo attorto, 
liO spinge al voi, con barbaro diletto. 
Ma quanto è corto il filo, il volo è corto. 
Grida il fanciul con puerii dispetto: 
Di Tolatore usurpi il nome a torto; 
^olar non sai. Risponde l'usignolo: 
Spessa quel filo; e allor vedrai se volo. 

Da i roveti che fauno ombra a lo speco, 
L*usignoI, soavissimo cantore, 
Sciogliea la vocer e, ripetendo Teco 
Le dolcissime sue note canore, 
Un altro augello che garrisca seco 
La crede Pusignol con folle errore. 
Vuol rispondergli sempre: enon s'accorge 
Che dal suo canto il suo nimico sorge. 

I desideri! a l'eco rassomiglio: 
L*altimo cui rispondi, 
E padre ognor di più importano figlio. 

Al cipresso crtsi Tolmo parlò : 
Se del tuo non minore 
Sorge il mio tronco da la terra fuore. 
Comprender poi non so 
Perchè giunger non possan le mie cime 
A la meta sublime 
Oye t'inalzi a contrastar conventi. 
Il cipresso rispose a quegli accenti : 
S'ergerti eccelso al par di me tu brami , 
Perchè il tronco dividi in tanti rami ? 

Stuol d'augelli di rapina 
Ghermì un dì la chioccia, i figli, 
A una vecchia contadina : 
Che, ripiena d'aspra doglia^ 
Dei poliajo su la soglia 


Afifittissima sedea, 
£ la perdita piagnea. 

Quando un falco, che il suo Tok, 
Non a caso, in ampii giri 
Abbassava intorno al suolo ; 
Ne r udir tanti sospiri, 
A la vecchia donna chiese 
Perchè pianga, chi l'offese. 
£ non vuoi che mi lamenti? 
Replicógli allor colei : 
Fieri augelli, tuoi parenti , 
Involando i polli miei, 
Guarda, guarda come tatto 
11 poliajo hanno distrutto. 

Donna misera, infelice! 
«A quel pianto il falco dice: 
Troppo giusto è il tuo dolore. 
Qual pietà sento nel core ! 
Al tuo pianto piango anch' io ; 
Odio anch' io lo stuolo rio, 
Che crudele ti ha distratti, 
Ti ha rapito i polli tutti, 
E col furto scellerato 
Un per me non ne ha lasciato. 

Conosco più persone 
Piene di compassione 
Al par del mio falcone. 

D^ Rum, 

CCLIX. Sopra igiUdixii e le opinioni 
degli uomini intorno ai poeli t^ 
ai versi, 

Gii corse 

Quattro gran giri il Sol dacché mi tolù 
Dal gregge de le Muse: e, se furtivo 
Pindo rividi ancor, da le lusinghe 
Vinto, e dal non sopito amor del loco; 
Oggi son fermo che un eterno esilio 
Me ne divida. E eh' utile è il consiglio 
E sano, s'ozio hai per udirmi, asrdta. . 

Se alcun (così meco talor ragiono) , 
Marre e pali operando , un pian fondasse 
Di viva selce; e coli' aratro poi 
Lo rigasse di solchi ; e il concimasse ; 
E il cigoesse di rivi e di dens' ombra, 
Contro gli sdegni d'Orione e il foco 
Del Can uascente; ove potria costai 
Volgere il pie, che non destasse a rìso 
E la procace e la severa etade? 

Ma forse è folle men chi notti e gìorv 
Vigila e suda in vote imagin fiso ; 
E ,' poiché , registrando alcune voci, 
Ed altre ributtandone, de l'agne 


SECOLO DECIMOxNONO 167 

io fece e del crln , noja e dbpetto Non attender cVei dica : al mio palaU 
tmbascia ne trae? Già non contendo Non garba quel «apor.Bensì, usurpando 
ri talvolta d* onorato nome EìsoId^ dritti del comun parere, 

!gi lui: pur sia: ma, corso un giorno È tosco, griderà ; quella vivanda 
che gli riman? sotto l' Aquario Ha ferrea gola chi V inghiotte, O cibo 
» perciò si vestirà che V asse ' O poema è lo stesso. A me non piace , 

i consenta? o a sé più mondo vitto Pessimo è dunque : non ci ha mezzo. £ 
e lodi fornirà? men grave [pure 

[uartana sentirà il ribrezzo? Col retore Longin degni del cedro 

se, plaudendo mille, anzi secento Valgio que* versi pronunciò. Mal sente. 
i di mille, un sol di tanto Chi dissente dame. Se peschi al fondo, 

i il naso, fia cangiata in fiele Questo e non altro d' entimemi involgo 

olcezza. Quindi le mordaci £ di soriti il favellar confuso 

ze han fonte, e con grinsultt l'acri Del volgo de' saccenti e de* dottori, 
te, e i caldi piati , e gli odii, ahi Né tacerò, condizione acerba 

C troppo Sopra ogni altra a portarsi, che ignoranza 
ifamia de* vati. sogni forse , £ sede e voto d'arrogarsi ardisce 
a Marone e al Venosin negato, Nel giudizio de* vati ; e che sovente 
pieni voti il pubblico comìzio Danna gì' ingegni perchè a gli occhi inerti 

andi assoluto? Ove diverso Le fero ' offesa di soverchia luce, 

dal Zanni, che tra sé fantastica: Arroge a ancor che, con iniqua legge, 
uomin tutti in un sol uomo, e II fallir d*uno a tutti i vati è apposto. 

[ gli alberi Garrulo e d*essi alcun? cicale e gazzere 
albero e i sassi in un sol fossero Tutti fien ' detti . Un pò* leggero è questi, 
racco2<tT Varie in ogni mente E fa contrasto d'ammassati temi 
1 gusto sue leggi ; e non farai Nel suo discorso , che non trova uscita , 

riposi in un giudizio solo, O fuor riesce del cammino? inetto 

I non cresci d* un medesmo latte A* gran consìgli udrai nomar Finterò 
bambini, e in un meaesmo clima Delfico gregge. Vuoi di più? lo scudo 
1 gli educhi fra vicende eguali. Giltò , minor de la virtù seguita, 
l'irsuta libertà di Dante Quinto a Filippi ; s'appagò di sguardi 

simula ; quegli ad uno ad uno Tra lunga e cruda servitù Petrarca : 
i cari modi, ed il sottile Tutti imbelli in amor, vili nel campo 

vaneggiar del cinquecento ; Si predican tra'l riso oggi i poeti. 

> di metafora e traslato Giovanni ParaeUsi,€ermoais al conte 

lllido a i nomi ; altri le fiamme Luigi Bellencmi Bagaesi. 

ironzo sudar ^; Meviole selve 

in celtico stilBavio de' mesti CCLX. Giudixii del popolo sopra 

fischiar fa per le saie il vento. gV indegni fortunati , onorati , 

)6rre in te sol così lontani potenti, 

i ambbci, t'è mestier d* un'arte 

]uella difficile che mesce A par di lince 

iste il iicor del lucid'oro , Vede acuto la plebe; e dopo il vano 

sembiante in ogni verso acquisti Bagliore sa spiar la torbid* alma , 
irio e magniloquo, d'austero II rozzo ingegno, il ferreo cor , che tatto 

reto» d*aspro e di gentile, L'utile si fa giusto; il falso aspetto, 

) e .di moderno. Assai pur anco II doppio labbro ed i mal fidi orecdrì 
[nel eh* io diro. S»un cibo incresce Di chi crebbe sul merto, al soffio cieco 
mvitato sol di venti o trenta, De la fortuna: e in suo pensier l'abborre • 

E il vilipende allor che meglio il pasce 

'°,*^*l'^' ^ ., . ,,, . ,.„. . Di maenifici nomi e di servile 

ade al famoso sonetto deir Achillioi, ~r., " . p * t\ «j^ 

ofuochi,a preparar meiaili.- il qoale Abbassamento. Ecco trapassa Ormondo, 

■a esempio del pessimo abuso de'iras- Eretto in mezzo a 1 inchinate teste 

li faceva nel seicento. ' Fecero. a Aggiungi* ' Saranno* 


i68 


CRESTOMAZIA POETICA 


Del valgo pauroso. Odi, se Tozio 
Te ne riman . Non volano sì fitte 
Sul passeggier le paludose mosche. 
Quanti scoccan su lui da' labbri accolti 
Proyerbii e villanie. Mida ; i^jano; 
Console di Caligola. Puoi tutte , 
S*hai veloce l'udito, a un punto solo 
Raccor le infamie de T oscena vita. 
Ma chi, parco di voglie e dì bisogni, 
Ogni dono del Ciel pone a guadagno; 
Chi modesto misura ogni sua forza, 
Né, di se presumendo, osa inoltrarsi 
Sia dove offenda il pubblico consenso; 
A* suoi caro e a gli amici i giorni umili 
Guida tranquillo , e più pregiato assai 
De* gran possenti* e fuor del suo disegno, 
Talor poggia al fastigio ove mi raro 
Colle colpe e i sudor miil* altri iavano. 

- Giovanni Paradisi, Sertncme al conte 
Ippolito Malaguzzi. 

CGLXI. I Sepolcri. 

A IPPOLITO PINDKVONTB. 

A l'ombra deVipressi, e dentro Turne 
Confortate di pianto, è forse il sonno 
De la morte men duro? Ove più il sole 
Per me a la terra non fecondi questa 
Bella d*erbc famiglia e d'animali; 
£ quando, vaghe di lusinghe, innanzi 
A me non danzeran l' ore jfuture ; 
Ne da te, dolce amico, udrò più il verso, 
E la mesta armonia che Io governa ; 
Né più nel cor mi parlerà Io spirto 
De le vergini muse e de T amore, 
Unico spirto a mia vita raminga; 
Qual fia ristoro a* d'i perduti un sasso 
Che distingua le mie da le infinite 
Ossa che, in terrae in mar, semina Morte? 
Vero è ben.Pindemonte: anche la Speme, 
Ultnna Dea, fugge i sepolcri; e involve 
Tutte cose Tobblio ne la sua notte ; 
£ una forza operosa le affatica 
Di moto inmpto;el'uomo,e lesuetombe, 
E r estreme sembianze e le reliquie 
De la terra e del ciel traveste il tempo. 

Ma perchè pria del tempo a sé il mortale 
Invidierà rilluslon che, spento, 
Pur lo sofferma al limitar di Dite? 
Non vive ei forse anche sotterra, quando 
Gli sarà muta l'armonia del giorno, 
Se può destarla con soavi cure 
Ne la mente de' suoi? Celeste è questa 
ConrispondeDza d'amorosi sensi, 
Celeste dote è ne gli umani : e s^e^so 


Per lei si vive con l'amico estinto, 
£ l'estintOvCon noi ; se pia la terra 
Che lo raccolse incinte e lo nutriva, 
Nel suo grembo materno ultimo asilo 
Porgendo, sacre le reliquie renda 
Da l'insultar de' nembi, e dal profano . 
Piede del vulgo; e serbi un sasso il nome; 
E di fiori odorata arbore amica 
Le ceneri di molli ombre consolf. 

Sol chi non lascia eredità d'affetti 
Poca gioja ha de 1* urna : e , se pur min 
Dopo l'esequie, errar vede il suo spirto 
Fra'l compianto de* templi acherontei, 
O rìcovrarsi sotto le grandi ali 
Del perdono d'Iddio; ma la sua polve 
Lascia a le ortiche di deserta gleba, 
Ove ne donna innamorata preghi. 
Né passeggier soiingo oda il sospiro 
(^.he dal tuoiulo a noi manda Natwa. 
Pur nuova legge impone oggi i sepolcri 
Fuor de'guardi pietosi, e il nome a*ittQrti 
Contende. E senza tomba giare il tao 
Sacerdote, o Talia, che a te, cantando, 
Nel suo povero tetto educò un lauro 
Con lungo amore, e t'appendea corone: 
E tu gli ornavi del tao riso i canti 
Che il lombardo pnngean SardanaptiO; 
Cui solo è dolce il muggito de' buoi 
Che da gli antri abdnani e dal Ticino 
Lo fan d' ozii beato e di vivande. 
O bella musa, ove sei tu? non sento 
Spirar l'ambrosia, indizio del tnoBimc, 
Fra queste piante, ov' io siedo e sopirò 
Il mio tetto materno. E tn venivi 
E sorridevi a lui sotto quel tiglio, 
Ch' or con dimesse frondi va freinesdo 
Perchè non copre, o Dea, l' ama del ^f^* 

[dio 
Cui già di calma era cortese e d'ombre. 
Forse tu fra plebei tumuli guardi 
Vagolando, ove dorma il sacro capo • 
Del tuo Parini. A lui non ombre pose 
Tra le sue mura la città, lasciva 
D' evirati cantori allettatrice; 
Non pietra, non parola: e forse l' ossi 
Col mozzo capo gì' insanguina il ladro, 
Che lasciò su 1 patibolo i delitti. 
Senti raspar fra le macerie e i bronclii 
La derelitta cagna ramingando 
Su le fosse, e famelica ululando, 
£ uscir del teschio, ove f uggia la luna; 
L' upupa, e svolazzar su per le croci 
Sparse per la funerea campagna, 
E r immonda accusar coi luttuoso 
S\ft^\A.VQ vx^\d\dvft son pie le stelle 


SECOLO 0ECIHONONO 16^ 

biiate sepolture. Indarno Da' lor mariti V imminente fato: 

poeta, Dea, preghi rugiade Ivi Cassandra, allorché il nume in petto 

[ualUda notte. Ahi, sa gli estinti Le fea parlar dì Troja il dì mortale, 


rge fiore oye non sia d' amane 
orato e d' amoroso pianto. 

« te che il regno ampio de' venti, 
), a' taoi verd anni correvi! 
piloto ti drizzò l' antenna 
' isole egee, d'antichi fatti 
idisti sonar de 1* Ellesponto 
ì la marea mugghiar portando 
rode retee l' armi d' Achille 
'ossa d'Ajace. A' generosi 
di glorie dìspeifsiera è morte: 
10 astuto, ne favor di regi 
ICO le spoglie ardae serbava, 
ia poppa raminga le ritolse 
, incitata da gP inferni Dei. 


Venne; e a l'ombre cantò carine amoroso; 
£ guidava i nipoti, e l' amoroso 
Apprendeva lamento a* giovanetti. 

E dicea sospirando: oh se mai d'Argo, 
i )yit al Tidide e di Laerte al figlio 
Pascerete i cavalli, a voi permetta 
Ritorno il Ciel; invan la patria ▼ostri 
Cercherete: le mura opra di Febo 
Sotto le lor reliquie fumeranno. 
Ma i Penati di Troja avranno stanza 
In queste tombe: che de' numi e dono 
Servar ne le miserie altero nome. 
E voi, palme, e cipressi che le nuore 
Piantan di Priamo, e crescerete ahi pre- 
Di vedovili lagrime innaffiati; C sto. 


Proteggete i miei pédri : e chi la scure 
e, che i tempi ed il desio d' onore Asterrà pio da le devote frondi, 
r diversa gente ir fuggitivo, Men si dorrà di consanguinei lutti, 

evocar gli eroi chiamin le muse, E santamente toccherà l'altare. 


Drtale peusiero animatrici, 
custodi de' sepolcri: e, quando 
pò con sue fredde ale vi spazza 
'Ovine, le Pimplee fan lieti 
canto i deserti; é l'armonia 
di mille «ecoli il silenzio, 
i ne la Troade inseminata 
splende a' peregrini un loco ', 
per la ninfa > a cui fu sposo 
ed a Giove die Dardano figlio, 


Proteggete i miei padri. Un di Tedrete 
Mendico un cieco errar sotto le vostre 
Antichissime pmbre; e brancolando, 
Penetrarne gli avelli, e abbrarciarl' urne 
E interrogarle. Gemeranno gii antri 
Secreti; e tutta narrerà la tomba 
Ilio raso due volte, e due risorto 
Splendidamente su le mute vie 
Per far più bello- l'ultimo trofeo 
A i fatati Pelidi. Il sacro vate, 

ur Troia, e Assaraco, e icinquanta Placando quelle afflitte alme col canto, 

, e il regno de la Giulia gente. I prenci argivi eternerà per quante 

le, quando Elettra udì la Parca Abbraccia terre il gran, padre Oceano, 
da le vitali aure del giorno £ tu onore di pianti, Ettore, avrai 

iva a' cori de l' Eliso, a Giove Ove fia santo e lagrimato il sangne 

I il voto supremo; e se, diceva. Per la patria versato, e finché il sole 

ir care le mie chiome e il viso Risplenderà su le sciagure umane. 

)lci vigilie, e non mi assente Foscoi». 

ì miglior la volontà de' fati, 

ta amica almen guarda dal cielo, 

i' Elettra tua resti la fama. 

'andò, moriva. E ne gemea 

pio;e, Ti m mortai capo accennando, 

da i crini ambrosia su la ninfa, 

ero quel corpo, e la sua tomba. 

ò Eriltonio, e dorme il giusto 

d'Ilo: ivi l'iliache donne [cando 

ean le chiome, indarno ahi depre- 


!centi viaggiatori alla Troade scoperse* 
'eliquie del sepolcro d' Ilo , antico 
ide. Fosoélo, 

atra figlia d' Atlante. 


GCLXIi. A Luigia Pallamoini, 
caduta da eavallo. 

I balsami beati 
Per te le Grazie apprestino, 
Per te i lini odorati 
Che a Citerca porgeano 
Quando profano spino 
Le punse il pie divino. 

Quel dì che insana empiea 
Il sacro Ida di gemiti, 
E col crine tergea 
E bagnava di lagrime 


1 


ilo 


CRESTOMAZIA POETICA 


Il sanguinoso petto 
Al Ciprio giovinetto. 

Or te piangon gli amori, 
Te fra le dive liguri 
Regina e diva! e fiori 
Votiri a 1* ara portano 
IT onde il grand* arco soona 
Del figlio di Latona. 

E te chiama la danza 
Ove V aure portavano 
Insolita fragranza, 
Allor che a* nodi iojocile 
La chioma al roseo braccio 
Ti fu gentile impaccio. 

Tal nel lavacro immersa, 
Che fior, da V Eliconio 
Clivo cadendo, versa, 
Fidia da^r elmo i liberi 
Crin su la man che gronda 
Contien fuori de 1* onda. 

Armoniosi accenti 
Dal tuo labbro volavano, 
£ da gii occhi ridenti 
Traluceano di Venere 

I disegui e le paci. 

La speme, il pianto e i baci. 

Deh! perchè hai le gentili 
Forme e l'ingegno docile 
Volto a studii virili? 
Perchè non de V Aonit 
Seguivi, incauta, l'arte, 
Bla i ludi aspri di Marte? 

Invan presaghi i venti 

II polveroso agghiacciano 
Petto e le reni ardenti 
De r inquieto Alipede, 
£d irritante il morso 
Accresce impeto al corso. 

Ardon gli sguardi, fuma 
La bocca, agita V ardua 
Testa, vola la spuma, 
■Ed i manti volubili 
Lorda, e l' incerto freno, 
Ed il candido seno; 

E il sudor piove, e i crini 
Sul collo irti svolazzano, 
Suonan gli antri marini 
A Io incalzato scalpito 
Da la zampa che caccia 
Polve e sassi in sua traccia. 

Già dal lido si slancia 
Sordo a i clamori e al fremito. 
Già già fino a la pancia 
Nuota.,*, e ingorde si gonfiano 


Non più memori T acque 
Che una Dea da Inr nacque: 

Se non che il Re de ronde, 
Dolente ancor d'Ippolito, 
Surse per le profonde 
Vie dal tirreno talamo, 
E respinse il furente 
Col cenno onnipotente. 

Quei dal flutto arretrosse 
Ricalcitrando, e, orribile! 
Sovra Tanche riao^se; 
Scuote Tarcion, te misora 
Su la petrosa riva 
Strascinando mal viva. 

Pera chi osò primiero 
Discortese commettere 
A infedele corsiero 
L'agii fianco femineo, 
E apri con rio consiglio 
Nuovo a beltà periglio! 

Che or non vedrei le rose- 
Dei tuo volto sì languide, 
Nou le luci amorose 
Spiar ne* guardi medici 
Speranza lusinghiera 
De la beltà primiera. 

Di Cintia il cocchio aurato 
Le cerve un dì traeano: 
Ma al ferino ululato 
Per terrore insanirono, 
E da la rupe etnea 
Precipita la Dea. 

Gioian d' invido rìso 
Le abitatrici olimpie 
Perchè T'eterno viso 
Silenzioso e pallido 
Cinto apparia d' un velo 
A i conviti del cielo; 

Ma ben piansero il gior no 
Che da le danze efesie 
Lieta facea ritorno 
Fra le devote vergini, 
E al ciel salia più bella 
Di Febo la sorella. 

Foscolo * 

CCLXIII.^Zramtca risanata. 

Qual da gli antri marini 
L'astro più caro a Venere 
Co' rugiadosi crini 
Fra le fuggenti tenebre 
Appare, e il suo viaggio 
Orna col lume de l'eterno rag(po; 


SKCOLO DECIMOTTAYO 171 

Sorgon còsV tue dive Lei predicò la fama 

Membra da l'egro talamo. Olimpia prole; pavido 

E ia te beltà rivive, Diva il mondo la chiama, 

L* aurea beltate oud* ebbero £ le sacrò l' elisio 

Ristoro unico a' mali ^ Soglio, ed il certo telo, 

Le nate a vaneggiar menti mortali. £ i monti e il carro de la lam ia M»» 

Fiorir sul caro viso Are così a Bellona, 

Veggo la rosa; tornano Un tempo infitta amazsone, 

I grandi occhi al sorriso Die i^ vocale Elicona: 

lasidiando; e vegliano Ella il cimiero e l* egida 

Per te ia novelli pianti ^ Or contro T Anglia avara 

Trepide madri e sospettose amanti. £ lecavalleed il furor prepara. 

Le Ore che dianzi meste E quella a cui di sacro 

Ministre eran de* farmachi. Mirto te vef^ dogcrc 

Oggi 1* indica veste, Devota il simulacro, 

E i monili cui gemmano Che presiede marmoreo 

Effigiati Dei, A gli arcani tuoi lari, 

tefito studio di scalpelli achei, Ove a me sol sacerdotessa aippari, 

E i candidi coturni Regina fif; Citerà 

E gli amuleti recano, £ Cipro, ove perpetua 

Onde a' cori notturni ^ Odora primavera. 

Te, Dea, mirando obbliano ' Regnò beata, e l* isole 

I garzoni le danze, Che col selvoso dorso 

Te principio d* affanni e di speranze : Rompono a gli Euri e al grande Ionio il cor - 
quando V arpa adorui Ebbi in quel mar la culla: C so, 

£ co* novelli numeri Ivi era ignudo spirito 

E co' molli contorni Di Faon la fanciulla; 

De le forme che facile E $e il notturno^ zeffiro 

Bisso seconda: e intanto C to Blando su i flutti spira, 

Fra il basso sospirar vola il tuo can- Suonano i liti un lamentar di Ura. 

Più periglioso; o <juando Qnd' io, pien del nativo 

Balli disegni, e 1* agile Aer sacro, su l* itala 

G>rpo a 1* aure fidando, Grave cetra derivo 

Ignoti vezzi sfuggono Per te le corde eòlie, 

Da i manti e dal negletto E avrai, divina, i voti 

Velo scompostosi sommosso petto. Fra gì* inni miei de le insubri nepoti. 
A l'aggirarti, lente Foscolo, 

Cascan k trecce nitide 

Per ambrosia recente, CCLXIV. J)Ì8Corso ^di un contadino 

Mal fide a l* aureo pettine in lode della vita conjugale. 

E a la rosea ghirlanda 
Che or con rai ma salute aprii ti man- Diamante bella, io non ho pan bianco; 

Così ancelle é* Amore [ da. Cacio non ho; ned ova ne giuncata, 

A te d'intorno\olano Da farti onor di questi doni almanco; 

Invidiate l* Ore; Che da molti anni una trista brigata 

Meste le Grazie mirino Fatto ha di me quel che de*greppiilver- 

Chi la beltà fugace .[no: 

Ti membra, e il giorno de l* eterna Ilpollajo e la madia han vendemmiata. 

Mortale guida trice [pace. Abbiali tutti Iddio nel loco etemo; 

D* oceani ne vergini E vada a la malorcia tutta quella 

La parrasia pendice Peste di veri diascol del nioferno. 

Teuea la casta Artemide; Ma per questo non fia, Diamante bella, 

E fea terror di cervi Che 'l cuor del tuo Mencone a te non doni 

Lungi fischiar d'arco cidonio i nervi. Quel che non sa la magherà scataelU. 


n2 CRESTOMAZIA FOETICA 

V Yo* del matrimonio ì cari doni, S' io ho l'aratro meco, eli' ba il cestello; 

Il mele. Toro, le soavità, S*io schiudo il solco, ella vi getta ilseme: 

Le gentilezze, le consolazioni SMo cantando do dentro a T orticello, 

Mostrarti in parte. Né mi penso già Ella cantando lava e i panni sbatte: 
(Parla ardito un villano, e non inganna) S'ella fa nulla, ed io gratto il porcello: 
Queste cose mostrarti a la città, Finche poch'erbe e bruno pane e latte 

Ma ne la pace de la mia capanna, In sul far bruzzo a un desco assiem cipo« 
Dov'è l'amor di moglie e di marito Dove la fame co l'amor combatte, [ne, 

Dolce più de la sapa e de la manna; Quando la faccia d' oro il Sol ripone , 

Che in villa non si caccia anello indilo E le bocche s'acconciano a i badigli. 
Per satollar de lo argento la fame. Quanta è la gioja del tuo Menicone! 

Ma ne spinge a le nozze altro appetito. Si fa la casa nn covo di conigli: 

Là non si veggioo le dolenti dame S'adunan tutti; e mi ballano a canto 

Del ben de io zecchino innamorate Sino i figli de' figli de* miei figli. 

Pigliar de i brutti visi di tegame: [tate. Io non rattengo per la gio)a il pianto, 

Poi'n paggi, *n cocchi, 'n vesti inargen- E li palpo e li stringo, e più beato 
£ in chiassi ire accattando alcuna gioja, De' principi e de i re mi credo intanto. 
Perchè vivon del meglio in poverlate. Vien, fanciulla, a veder che dolce stato! 

Là non vien Gelosia, la sozza boja. Vieni, fanciulla,e ti so dir che un branco 
Quella strega, quel drago avvelenato, Sempre vorrai di figlioletti a lato. . 
Che co gli occhi trae l' uom fuor de le É chiusa la capanna; per lo bianco 

[ quoja: Ciel la neve s'addensa, e '1 freddo vento 

La Vergogna in gamurra di broccato Soffia e sbalte a iet{uerce il nudo fianco. 
Dietro il povero Onor là non galoppa, Dan le appese lucerne un lume lento, 
Che, se lo giugne , l* ammazza col fiato: £ fa di pochi stecchi un focherello 

Là non trova bugiardo e fianco e poppa Picciola fiamma e picciol movimento. 
Lo sposo meschinel, né fa disegno Qua Menichetta sta presso un £aLstello 

Due terzi aver di carne ed uu di stoppa: Di lunghe paglie,eincerchiolecontesse, 

ì^h vede come l'ossa meltan regno Onde '1 nonno la state abbia il cappello. 
Proprio in mezzo del petto, e di vermiglio Più là Cecchino verdi giunchi intesse 
Tinga le gialle guance il matto ingegno: A farne fiscellelte pel mercato, 

Né fresca giovinetta ivi al cipiglio E comperarne ilsajoe le bracbesse. 
Trema di tal, che fradicio e canuto Strimpella Pippo il cembalo scordato, 

Empie ogni cosa di lungo bisbiglio, E s'appronta la Tancia a mattinare; 

E pare in faccia il diavolo cornuto , Che Pippo per la Tancia è ammartellato. 
E l' orco ne la pancia, ed è importuno Nencia sua suora s'acconcia a ballare, 

Più del singhiozzo e più de lo starnuto. E alzando co la destra il gnarnelletto 

Vieni, fanciulla mia , vien dentro il Fa la sinistra al fianco ciondolare. 

[ bruno Ella è di Menicon Palma e 'l diletto, 
Mio capannel: vedraivi il matrimonio Quand' ella compie il ballo s' inchina 
Tutto fiorito, e^enza spino alcuno. [cH^) 

Figlioletti vedrai tutti d' un conio. Poi torna indietro,e fiimmi unoscambiet- 
Leggiadri tutti e da una mamma fatti , > [ to. 

Ch* è piena d'ogni ben del comprendonio. Io come '1 sale str%gomi a vedellia, 

Ella fa de la casa tutti i fatti: E, tremolando per gioja, appuntello 

Dìspon Je masserizie tutte quante, Sovra i polsi la barba e la mascella. 

Cura il porco, il marito, i figli e i gatti; Nudo e paffuto intanto nn bambinello 

Levasi al lume de le stelle, e innante A le ginocchia veggiomi venire^ 
Che mi si rompa il sonnellin de )' oro Che ognor che'l veggo eglimi par più bello: 
Risvegliali foco dal tizzon fumante; Sembra che di parlarmi; abbia desire; 

Apre osci e serra; un cigolar sonoro Ma il me' che sappia è il farmi un risolino 
Di carrucole senti; ed alto freme E guatarmi nel viso ed arrossire, [fino; 

De* percossi telai l' aspro lavoro, [sieme, Le gambe ha in arco; il capo ha d* oro 

Quando moviam per la campagna in- Grosse le braccia, e le guance han colore 


\t siepe mai, ne per giardino 
oa vide si polito fiore, 
bujo: tu una stella il credi, 
enue: è V angiolel d' amore. 


SECOLO DECIMONONO HS 

Strinse il laccio, e col corpo abbandonato 
Da Tirto ramo penzolar Tu visto. 

Cigolava lo spirito serrato 
Dentro la strozza in suon rabbioso e tristo/ 

>eco e Ciapo, come tu mi vedi, E Gesù bestemmiava, e il suo pec cato 

r veggio, e saltanmi sul collo, Ch* empiea V Avernodi cotanto acquisto. 

braccia, ale ginocchia,a i piedi: Sboccò dal varco al fin con un ruggito . 

mi corre giù per lo midollo Allor Giustizia TaiFerrò, e sul monte 

Nel sangue di Gesù tingendo il dito, 

Scrisseconquello al maledetto in fronte 
Sentenza d* im mortai pianto infinito, 
E lo piombò sdegnosa in Acheronte. 


li dolcezza una tal vena, 
il cuor ne porto e '1 ciglio mollo . 
ai intanto la culla dimena, 
lin, che dentro le sorride, 
lormircon lunga cantilena, 
a da Tarcolajo il fil divide, 
una, che presso la balocca 
i e di fate, attenta ride; 
le fugge di mano la rocca, 
do e inchinando appiè del foco, 
, le muor sovra la bocca. 


Piombò quell'alma a l' infenial riviera, 
E si fé gran tremuoto in quel momento. 
Balzava il monte, ed ondeggiava al vento 
La salma in alto strangolata e nera. 

Gli Angeli dal Calvario in su la sera 
Partendo a volo taciturno e lento. 


è più fiamma: solo ilcarbon fioco La videro da lunge, e per spavento 


e il lume per le negre gole 
erne cade a poco a poco, 
i le donne,, né fan più parole: 
isso la sera si stan quete 
tte quand* è morto il sole, 
cento carezze oneste e liete 
nun sua persona a disbramare 
3 sonno la soave sete. 
:rc, Ganlileoa di MenicoDe Frufolo. 


Si fér de 1* ale a gli occhi una visiera. 

I demoni frattanto a T aer tetro 
Calar r appeso, e l'infocate spalle 
A r esecrato iucarco eran feretro.^ 

Così ululando e schiamazzando, il calle 
Preser di Stige, e al vagabondo spctro 
Resero il corpo ne la morta valle. 


CLXV. Sopra la Morte. 

'., che se' tu mai?Primo de i danni 
rile e la rea ti crede e teme; 
tta del Ciel scendi a i tiranni, 


Poiché ripresa avea 1' alma digiuna 
L' antica gravità di polpe e d' ossa. 
La gran sentenza su la fronte bruna 
In riga apparve trasparente e rossa. 
A quella vista di terror percossa 
Va la gente perduta: altri s'aduna 
Dietro le piante che Cocito ingrossa, 
[gilè tuo braccio incalza e preme: Altri si tuffa ne la rea laguna, 
infelice, acui de i lunghi affanni Vergognoso egli pur del suo delitlo 
r incarco, e morta in cuor la spe- Fuggia quel crudo, e, strettala mascella, 

[me. Forte graffiava con la man lo scritto. 

Ma più terso il rendea l'anima fella. 
Dio tra le tempie gliel avea confitto, 
Né sillaba di Dio mai si cancella. 

Vincenzo Monti. 


To implora troncator de gli anni, 
l'appressar de l'ore estreme, 
polve di Martee le vicende 

il forte, che ne' rischi indura; 


;io senza impallidir ti attende. 

j, che se' tu dunque? Un'ombra CCLXVIl.PflZ ritratto di sua figlia. 

[ oscura, 
e, un male, che diversa prende Piùlaconlemplo, più vaneggio in quella 
ifetli do r uom forma e natura. Mirabil tela; e il cor, che ne sospira, 
Vincenzo Manti. Sì ne l' obbietto del suo amor delira, 

Che gli amplessi n'aspetta e la favella. 
:VL Sulla morte di Giuda. Ond'io già corro ad abbracciarla. Ed 

[ella 

l'infame prezzo, e disperato Labbro non move, ma b sguardo gira 
> ascese il venditor di Crisloj Yér me sì lieto, che mi dice: or mira, 


* 74 CRESTOMAZIA 

Diletto genitor, quanto son bella. 

Figlia, io rispondo, d' un gentil ser eno 
Ridonine forme, e questa imago è diva 
Sì che ogni tela al paragon vien meno. 

Ma un'imago di te vegg* io più viva , 
£ la veggo sol io; quella che in seno 
Al tuo tenero padre Amor scolpiva. 

Vincenzo Monti, 

CCLXVIII. Proiopopea di Pericle, 

ALLA santità' di PIO SESTO. 

lo de* forti Gecropidi 
Ne 1* inclita famiglia 
D' Atene un dì non ultimo 
Splendore e maraviglia, 

A ri veder io Pericle 
Ritomo il ciel latino, 
Trionfa tor de* barbari. 
Del tempo e del destino. 

In grembo al suol di Gatilo 
(Funesta rimembranza!) 
Mi seppellì del Vandalo 
La rabbia e 1* ignoranza. 

Ne ricercaro i posteri 
Gelosi il loco e l' orme, 
£ il fato incerto piansero 
Di mie perdute forme* 

Roma di me sollecita 
Sen dolse; e a* figli sui 
Narrò Tinfanda eccidio 
Ove ravvolto io fui. 

Garca d* alto rammarico 
Sen dolse 1* infelice 
Del marmo freddo e ruvido 
Bell'arte animatrice; 

£ d* Adriano e Cassio, 
Sparsa le belle chiome. 
Fra gP insepolti ruderi 
M* andò chiamando a nome: 

Ma invan;chè occulto o memore 
Del già sofferto scorno 
Temei novella ingiuria, 
£d ebbi orror del giorno. 

£d aspettai benefica 
£tade in cui sicuro 
Levar la fronte, e 1* etere 
Fruir tranquillo e puro. 

Al mio desir propizia 
L' età bramata uscio, 
£ tu sul sacro Tevere 
La conducesti, o Pio. 

Per lei già l'altre caddero 
Men luminose e conte. 


POETICA 

Perchè di Pio non ebbero 
L'augusto nome in fronte. 

Per lei di greco artefice 
Le belle opre felici 
Van del furor de* secoli 
Edel'obblio vittrici. 

Vedi dal suolo emergere 
Ancor parlanti e vive 
Di Periandro e Antistene 
Le sculte forme argive. 

Da rotte glebe incognite 
Qua mira uscir Biante, 
Ed ostentar 1* intrepido 
Disprezzator sembiante: 

Là sollevarsi d' fischine 
La testa ardita e balda. 
Che col rivai Demostene 
A la tenzon si scalda. 
Forse restar doveamì 
Fra tanti io sol celato, 
£ miglior tempo attendere 
Da l'ordine del Fato? 

Io. che d'età sì fulgida 
Più eh' altri assai son degno? 
lo de la man di Fidia 
Lavoro e de l' ingegno? 
Qui la fedele Aspasia 
Consorte a me diletta , 
Donna del cor di Pericle, 
Al fianco suo m' aspetta. 
Fra mille volti argolid 
Dimessa ella qui siede, 
£ par che afflitta lagnisi, 
Che il volto mio non vede. 

Ma ben vedrallo : immemore 
Non son del prisco ardore : 
Amor lo desta, e serbalo 
Dopo la tomba Amore. 

Dunque a colei ritornano 
I Fati ad accoppiarmi. 
Per cui di Samo e Gamia 
Ruppi r orgoglio e ì' armi ? 
Dunque spiranti e lucide 
Mi scorgerò dintorno 
Di tanti eroi le immagini 
Che furo Elleni un giorno? 

Tardi nepoti e secoli, 
Che dopo Pio verrete , 
Quando lo sguardo attonito 
Indietro volgerete. 

Oh come fi^ che ignobile 
Allor vi sembri e mesta 
La bella età di Pericle 
Al paragon di questa l 


SECOLO DECIMONONO 


i75 


£ppur d* Atene i portici^ 
1 templi e V ardue mura 
Noa mai più belli apparvero 
Che quando io 1* ebbi in cura. 

Per me nitenti e morbidi 
Sotto la man de' fabri 
Volto e vigor prendevano 

I massi informi e scabri. 

Ubbidiente e docile 

II bronzo ricevea 

I capei crespi e tremoli 
Di qualche ninfa o dea. 

Al cenno mio le parie 
Montagne i fianchi aprirò , 
E da le rotte viscere 
Le gran colonne uscirò. 

6i lamentaro i tessali 
Alpestri gioghi anch* essi 
Impoveriti e vedovi 
Di pini e di cipressi. 

Il fragor de l'incudini, 
De* carri il cigolio , 
De' marmi ofiesi ih gemere 
Per tutto allor s'udio. 

11 cielo arrise: Industria 
Corse le vie d* Atene , 
£ n' ebbe Sparta invidia 
Da le propinque arene. 

Ma che giovò ? Dimentici 
De la mia patria i !Numi , 
Di Roma alfin prescelsero 
Gli altari ed i costumi. 

Grecia fu vinta , e videsi 
Di Grecia la mina 
Keuder superba e splendida 
La povertà latina. 

Pianser deserte e squallide 
Allor le spiagge achive , 
E le beir Arti torsero 
Del Tebro su le rive. 

Qui poser franche e libere 

II fuggitivo piede , 

£ accolte si compiacquero 
De la cangiata sede ; 

Ed or fastose obbliano 
L' onta del goto orrore , 
Or che il gran Pio le vendica 
Del vilipeso onore. 

Vivi , o 'Signor ; tardissimo 
AI mondo il Ciel ti furi, 
£ coli* amor de' popoli 
Il viver tao misuri. 

Spirto profan de l' Èrebo 
A r ombrie avvezzo io sono ; 


Ma i voti miei non temono 
La luce del tuo trono. 

Anche del greco Elisio 
Nel disprezzato regnò 
V* è qualche illustre sfiAìo 
Che d' adorarti è degno. 

Fincenso Mauté, 

CCLXIX. Al signor di Montgolfier. 

Quando Giason dal Pelio 
Spinse nel mar gli abeti , 
£ primo corse a fendere 
Co' remi il seno a Teti , 

Su l' aha poppa intrepida 
Col fior del sangue acheo 
Vide la Grecia ascendere 
Il giovinetto Orfeo. 

Stendea le dita eburnee 
Su la materna lira ; 
£ al tracio suon chetavasi 
De' venti il fischio e l' ira. 

Meravigliando accorsero 
Di Doride le figlie ; 
Nettuno a i verdi alipedi 
Lasciò cader le briglie. 

Cantava il Vate odrisio 
D' Argo la gloria intanto , 
E dolce errar sentivasi 
Su l' alme greche il canto. 

O de la Senna, ascoltami , 
Novello Tifi invitto : 
Vinse i portenti argolici 
L'aereo tuo tragitto. 

Tentar del mare i vortici 
Forse è si gran pensiero , 
Come occupar de' fulmini 
L' inviolato impero ? 

Deh! perchè al nostro secolo 
Non die propizio iPFato 
D' un altro Orfeo la cetera , 
Se Montgolfier n' ha dato ? 

Maggior del prode Esonide 
Surse di Gallia il figlio. 
Applaudi , E'uropà attonita , 
Al volator naviglio. 

Non mai Natura, a l'ordine 
De le sue leggi intisa , 
Da la potenza chimica 
Soffri più bella offesa. 

Mirabil arte , ond' alzasi 
Di Sthallio e Black la fiuna^ 
Pera lo stolto Cinico 
Che frenesia ti chiama. 


J76 


CRESTOMAZIA POETICA 


De' corpi entro le viscere 
Tu l* acre sguardo avventi , 
E invan celarsi tentano 
Gì' indocili elementi. 

Da le tenaci tenebre 
La verità traesti , « 

E de le ranche ipotesi 
Tregua al furor ponesti. 

Brillò Sofia più fulgida 
Del tuo splendor vestita , 
E le sorgenti apparvero , 
Onde il creato ha vita . 

L* igneo terribil aere , 
Che dentro il snoi profondo 
Pasce i tremnoti , e i cardini 
Fa vacillar del mondo , 

Reso innocente or vedilo 
Da* marzii corpi uscire , 
E già domato ed utile 
Al domator servire. 

Per lui, del pondo immemore, 
Mirabil cosa ! m alto 
Va la materia , e insolito 
Porta a le nubi assalto. 

Il gran prodigio immobili 
I riguardanti lassa , 
E di terrore un palpito 
In ogni cor trapassa . 

'J'ace la terra, e suonano 
Del ciel le vie deserte : ; 
Stan mille volti pallidi, 
E mille bocche aperte. 

Sorge il diletto e i' estasi 
In mezzo a lo spavento, 
E i- pie mai fermi agognano 
Ir dietro al guardo attento. 

Pace e silenzio, o turbini: 
Deh ! non vi prenda sdegno 
Se umane salme varcano 
De le tempeste il regno. 

Aattien la neve, o Borea, 
Che giù dai crin ti cola ; 
1/ etra sereno e libero 
Cedi a Robert che vola. 

Non egli Ti«^n d* Orizia 
A insidiar le voglie : 
Costa rimorsi e lagrime 
Tentar d' un dio la moglie. 

Mise Teseo ne i talami 
De V atro Dite il piede : 
Pusillo il Fato, e in Èrebo 
Fra ceppi eterni or siede. 

Ma già di Francia il Dedalo 
Ne] m» de P aure è lunge : 


Lieve lo porta Zeffiro, 

E r occhio appena il giunge. 

Fosco di là profondasi 
Il suol fuggente ai lumi, 
E come larve appajono 
Città , foreste e fiumi. 

Certo la vista orribile 
L' alme agghiacciar dovria ; 
Ma di Robert ne l'anima 
Chiusa è al terror la via. 

E già 1* audace esempio 

I più ritrosi acquista ; 
Già cento globi ascendono 
Del cielo a la conquista. 

Umano ardir, pacifica 
Filosofìa sicura, 
Qual forza mai, qual limite 

II tuo poter misura ? 
Rapisti al ciel le folgori. 

Che debellate innante 
Con tronche ali ti caddero, 
E ti lambirle piante. 

Frenò guidato il calcolo 
Dal tuo pensiero ardito 
De gli astri il moto e Forbite, 
L'Olimpo e 1* infinito. 

Svelaro il volto incognito 
Le più rimote stelle, 
Ed appressar le timide 
Lor vergini fiammelle. 

Del sole i rai dividere. 
Pesar quest* aria osasti ; 
La terra, il foco, il pelago, 
Le fere e l* uom domasti. 

Oggi a calcar le nuvole 
Giunse la tua virtute, 
E di natura stettero 
Le leggi inerti e mute. 

Che più ti resta? Infirangerc 
Anche a la Morte il telo, 
£ de la vita il nettare 
Libar con Giove in cielo. 

Vincenzo Monti. 

CCLXX. Ad Amarilli Etrusca, 

Nembo di guerra intorno fremeemortC; 
E di Gradivo la crudel sorella 
Gli anelanti cornipedi flagella 

Su l'ifaliche porte. 
Sotto Pugna immortai fuma e si scuote 
De l' Alpe il fianco; da i percossi fonti 
Alzano i fiumi le atterrite fronti 

Al^passar de le rote. 


SECOI.O DECIxMONONO 


477 


E tortuose giù per V erta china 
Cercano l* onde liquefatte il calle , 
Meste avvisando per l'ausonia valle 
La marzìal mina. 
Che faremo, Amarilli? A i dolci canti 
De le fanciulle ascree, T aspre tenzoni 
Mal di Bellona si confanuo, e i tuuni 
De* bronzi fulminanti. 
Ne questo, che le fiere alme lusinga, 
Clangor di trombe, e nitrir di cavalli, 
Ben si concorda a gli apollinei baili , 
£ al suon de la siringa. 
E nondimeno sacerdoti e servi 
Non siam d'imbelle iddio. Come la cetra, 
Febo al fianco sonar fa la faretra, 

E di grand' arco i nervi. 
Delfo e Troja lo sanno , il sa di Tebe 
La mal feconda donna, e un giorno tutte 
Del sangue de' Ciclopi orride e brutte 
Le siciliane glebe. 
Lungi dunque il timor; che non s'offende 
Impunemente la castalia fronda , 
E quel crine è fatai che si circonda 
De le delfiche bende. 
Di Crìse il dica la vendetta acerba , 
Quando Apollo sonar fé l'omicide 
Frecce su i Greci, e castigò d' Atride 
La ripulsa superba. 
Auspice un tanto diOjSciogli tranquillo, 
Ninfa divina, il canto, e l'alme scuoti 
A i severi difficili nipoti 

Di Curio e di Camillo. 
O far ti piaccia le virtù romane 
Segno a gli strali de* veloci carmi, 
d'Ilici campi lagrimosi, o l'armi 
£ le colpe tebanc; 
O de r Aurora i furti, o le fatiche 
Narrar d' Argo ti giovi, e maga in Coleo 
Impallidir su l'incantato solco, 

O sospirar con Psiche. 
Teco vien la pietà, teco il diletto, 
lego eleganza ne' bei modi ardita , 
E quel che al cor si sente, e non s'imita^ 
Parlar facondo e schietto. 
Questa di carmi amabii arte in alto 
Di Teo levò la gloria e di Venosa, 
E r onor di colei che dolorosa 

Spiccò dì Leuca il salto. 
Di lesbia musa che le valse il vanto ? 
Che le valse il favor di Citerea, 
Che i passeri aggiogando a lei scendea 
Ad asciugarle il pianto ? 
Nume più grande Amor con le divine 

Leopardi, Crestomazia, lì. 


Eterne punte le piagava il fianco. 
Finché l'Ionio a l'egro spirto e stanco 
£ al suo furor die fine. 
Vincenzo Monti. 

CCLXXI. Visione d'Ezechiello. « 

Colà dove il real padre Erìdàno 
Da i campi ocnei scendendo urta con fiero 
Corno la riva a la diritta mano, 

A respirar d' un venticel leggiero 

I molli fiati , che venia dal monte , 

Mi trassi in compagnia del mio pensiero. 
Del chiaro sole mi feria la fronte 

II raggio mattutin , tal che più schietto 
Non comparve giammai su l' orizzonte. 

Vista sì dolce a l'affannato petto 
Di mie cure togliea 1' aspro tormento , 
Insolito spirando almo diletto. 
Quando mugghiar da l'Aquilone io sento, 
£ repente appressarsi un procelloso 
Turbo, forier di notte e di spavento. 

Cclossi il dì sereno, e al minaccioso 
Passar del nembo V onda risospinta 
Si sollevò da l'imo gorgo ascoso; 

E quindi in giro strascinata e spinta 
Dal vorticoso vento ecco scagliarsi 
Nube di lampi incoronata e tinta, 

£ tutta a me d'intorno avvilupparsi, 
£ in un baleno colle gravi some 
De r oppresse mie membra alto levarsi. 

A quel trabalzo per terror le chiome 
Mi si arricciaro; ed io da tergo intanto 
Voce sentii che mi chiamò per nome. 

Scrivi(gridò)quelchetu vedi. — Al santo 
Suon di queste parole un terso vetro 
Si fé tosto la nube in ogni canto. 

Guardai davanti, e mi rivolsi indietro, 
E campo d' insepolte, inaridite 
Ossa m' apparve abbominoso e tetro. 

O voi , che sani d' intelletto udite 
Gli alti portenti e il favellare arcano^ 
Quel ch'io già scrivo nel pensier scolpite. 

Vidi. In aspetto spaventoso e strano 
Di scheletri facea 1' orrida massa 
Funesto ingombro al desolato piano. 

L' altere ciglia in riguardarli abbassa 
Il fasto umano, e balda'izosa in atto 
Morte col piede li calpesta e passa. 

Io timido mi stava e stupefatto 
A l'oggetto fera), quando spiccossi 
Un lampo , e corse per l'immenso tratto. 

X Per UQ celebre predicatore iu Ferrara. 

12 


<78 


CRESTOMAZIA POETICA 


\ 


Tremò del del la porta, e spalancossi, 
S' incurvar rispettosi i firmamenti, 
E da le sfere un Cherubin calossi ; 

Volò su le robuste ale de* venti. 
Carche di foco e fumo avea le spalle , 
K un cerchio in fronte di carboni ardenti. 

Venia rotando per 1* etereo calle 
Di baleni una pioggia, e ritto alfine 
Fé r mossi in mezzo a la tremenda valle. 

^e misurò col guardo ogni confine ; 
Fé poscia un cenno colla destra, e inuante 
Uom gli comparve di canuto crine. 

£ra placido e grave il suo sembiante , 
E lunga a lui da gli omeri una vesta 
Sacer dotai scendea fino a le piante. 

Chinò la faccia riverente onesta 
Quell' ignoto ministro, e il Cherubino 
La mano gli posò sopra la testa; 

Poi staccossi dal capo aureo divino 
Un acceso carbon diffonditore 
Di spirito possente e pellegrino , 

£ i labbri gli toccò. L' igneo calore 
Avvampò su le guance, e via discese 
Più violento a ribollir nel core. 

£ dopo il portentoso Angelo prese 
Di mele un favo, e su la bocca intero 
Del buon servo io sciolse e lo distese. 

Parla (quindi gli disse in tuon severo)' 
Parla a quest' ossa algenti, e riverito 
Fia di tua voce il sacrosanto impero. 

Ed egli ubbidiente alzando il dito 
Gridò: Sorgete, aridi teschi, or ch'io 
£ membra e polpe a rivestir v'invito. 
Tacqùe;c tosto un bisbiglio, un brulichio. 
Ed un cozzar di cranii e di mascelle 
£ di logore tibie allor s' udio. 

Già tu le vedi frettolose e sn^^IIe 
Ricercar >i a vicenda, e insiem legarne 
Le congiunture , e vincolarsi in quelle. 

Vedi su l'ossa rbalir la carne, 
Intumidirsi il ventre, e il corpo tutto 
Di liscia pelle ricoperto andarne. 

Ma giacca questo ancor vóto ed asci ulto 
])el vivo spirto, che dal colle eterno 
1 Jn dì si trasse a passeggiar sul flutto. 

Che fai, lent()?(esclamòl'Angel superno) 
Lo spirlo eccitalor d'aure viventi 
Di queste salme ornai chiama al governo. 

l.e ispirate di Dio voci possenti 
^^^in|sc P altro dal labbro, e tosto venne 
Quello spirto da i quattro opposti venti. 

Si dolcemente dibattea le penne, 
(he soffiando ne i corpi a poco a poco , 
Ve rizzarli su i piedi, e li sostenne. 


h 


I 


Svegliò nel petto de It riti il foco« 
Scosse le fibre ed agitò le vene, 
Ed ogni caldo umor corse al «uo loco. 

Dispensa Irice di novella spene 
Allor rifulse un* iride tranquilla 
Su le volte del cielo ampie e serene. 

La mia nube d'incontro arde e sfavilh 
Di pacifica luce, e mi percuote 
D' ineffabili raggi la pupilla. £ 

Più forte intanto s' infiammar le gote [ 
Di lui, che fu dal Cherubin prescrìtto 
Operator di sì beli' opre ignote ; {) 

E a quelli che ascoltando il santo editto •: 
De la divina inimitabil voce 
Fatto da morte a vita avean tragitto , 

Piantò in faccia un feral tronco di croce, ; 
£ nel sembiante scintillò di zelo 
Divorator che l' alma investe e caoce. 

Piegossi allor per rìverenia il cielo 
A r arbore adorato, e curvo a gli occhi 
Si ff coli' ale il Cherubino un velo. 

Al grand' esempio inteneriti e tocchi 
Di penitenza i figli umilemente 
A bbassaro la fronte ed i ginocchi; 

E un cupo pianto udissi, ed un frequente 
Picchiar di petti,e un sospirar cheti Nomi i 
Come fumo ascendea d' incenso ardente. \ 

Quindi alzòl'oom di Dio tre volte ilumit 
E favellò. Dal labbro amico e dolce 
Gli uscian soavi d' eloquenza i finrai; 

Qual mattutino venticel che moke 
La fresca erbetta, e in margine al ruscello 
Lambisce i fiori, li lusinga e folce. 

Egli parlò d'un mansueto Agnello; 
E fu sì mite il suo parlar , che il eoie 
Mi sentii tutto innamorar per quello: 

Parlò de la pietà del mio Signore ; 
E fu SI caro il suo parlar, che in viso 
Spirommi il fiato de l' eterno amore : 

Parlò de la beltà del paradiso; 
E fu sì vago il suo parlar, che attenti 
L* udirò i cieli, e lampeggiar d*an riso: 

D' una madre narrò gli aspri tormenti; 

~E fu sì mesto il suo narrar, che i monti 

Squarciaro il fianco a i dolorosi accenti. 

Poscia degli empii a sgomentar lefìron- 

Le parole vibrò, qual furibondo [ti 

Torrente che rovescia argini e ponti. 

Tuonò sul fuoco del tartareo fondo; 
E fu sì forte quel tuonar, che spinto 
Mi credetti a l' abisso imo e profondo. 
D' ira nel volto e di squallor dipinta 
Tuonò nunzio di stragi e di procelle, 
E Libano si scosse e l'creUnto: 


•| 


SKCOLO DFCliMONONO i 79 

sul giorno in cai verran le agnelle Là del Crealo so le rive estreme 
retti divise, e al saon di tromba S* odon le mura flagellar del mondo; 
i in cielo vacillar le stelle; Simili a un mar che per burrasca fre** 

re un fiero turbine che romba £, sdegnando il confine, le bollenti [me, 
oso per Tarla, e alfìn sui campi Onde solleva, e il lido assorbe e preme, 
isi trabalza e piomba. [pi Poi ministra di luce e di portenti, 

|uesto mezzo per gli eccelsi rdam- Delciel volando pe i deserti campi, 
Olimpo il Cherubino un nembo Seminasti di stelle i firmamenti. 
li tanti e si focosi lampi, Tu coronasti di sereni lampi 

{morto io caddi e abbarbagliato AlSollafronte;eperteavviencheilcrint 

C in grembo De le comete rubiconde. avvampi; 
ia nube che al disotto aprissi; Che agliocchìdiquaggiùspogliatealfi- 

onato da quel denso lembo Del reo presagio di feral fortuna, [ne 

[ui su l'erba, e quel che vidi io Invian fiamme innocenti e porporine. 

[ scrissi. Di tante faci a la silente e bruna 
Vincenzo Monti. Notte trapunse la tua mano il lembo, 

£ un don le festi de la bianca luna; 
CCLXXII. La bellezza £ di rose a l'aurora empiesti il grembo, 

deWuniverso. Che poi sovra i sopiti egri mortali 

Piovon di perle rugiadose un nembo, 
mente di Dio candida figlia, Quindi a la terra indirizzasti l' ali, 

'Amor germana, e di Natura £d ebber dal poter de' tuoi splendori 
: compagna e maraviglia. Vita le cose inanimate e frali. 

s de' dolci affetti , e dolce cura Tumide allor di nutritivi umori 
m che varca pellegrino errante Si fecondar le glebe, e si fér manto 
ralle d'esilio e di sciagura; Di molli erbétte e d'olezzanti fiori, 

tu, diva Bellezza, un risonante Allur, de gli occhi lusinghiero incanto, 
IO di lode, e nel mio petto Crebber le chiome a i boschi, e gli arbn- 

iio tramandar del tuo sembiante? [scelii 

la luce tua l'egro intelletto [no Grato stillar da le cortecce il pianto, 
oscurato, e i miei pensier sen van- Allor dal monte corsero i ruscelli 
in faccia al nobile subbletto. Mormorando, e la florida riviera 
nal principio al canto, o Dea, da- Lambir freschi e scherzosi venticelli. 
f e dovè mai degne parole [ranno Tutta del suo bei manto primavera 
gine tua trovar potranno? Copria la ferra: ma la vasta idea 

il ancora la terrestre mole Del gran Fabbro compita ancor non era. 

i sepolta ne l' abisso informe, Di sua vaghezza inutile parca 

i con lei la luna e il sole; Lagnarsi il suolo; e con più bel desiro 

del sommo Facitor su V orme Sguardo e amor di viventi almeattendea. 
o con esso preparavi Tu allor raggiante d* un sorriso in giro 

mondo l'ordine e le forme. De i quattro venti su le penne tese 
l'eterna Sapienza, e i gravi L'aura mandasti del divino spiro, 
sier ti venia manifestando La terra in S''n l'accolse e la comprese, 

a santi d'amor nodi soavi. £ un dolce movimento, e un brividio 

correa per T infinito; e quando Serpeggiar per le viscere s' intese ; ^ 
>e del nulla ombre ritrose Onde un fremito diede, e concepio,* 

>ssente creator comando £ il suol, che tutto giàs' ingrassa e figlia, 

fé tulle le mondane cose, La brulicante superficie aprio. 

rreggiar de gli elementi infesti Da le gravide glebe, oh maraviglia! 
e calma Inaspettata impose. Fuori allor si lanciò scherzante e presta 
i essa a la grandeopra scendesti, La vaga de le belve ampia famiglia: 
sscnte man del furibondo £cco dal suolo liberar la testa, 

cnebre indietro re«pingesti. Scuoter le giubbe, e tutto uscir d' un salto 

m muggito orribile e profondo 11 biondo imperator de la foresta: 


180 CRESTOMAZIA POETICA 

Ecco la tigre e il leopardo in allo £ passeggi sul dorso a le tempest c: 

Spiccarsi fuora de la rotta bica. Ivi spesso d'orror gli occhi sereni 

£ fuggir ne le selve a snito a salto. Ti copri, e mille intorno al capo accenso 

Vedi solfo la zolla, che IMmplica,. Rugghiano i tuoni, e strisciano i baleni. 

Divincolarsi il bue, che pigro e lento Sia sotto il vel di tenebror sì denso 

Isviluppa le gran membra a fatica. Non ti scorge del vulgo il debil lame, { 

Vedi picn di magnanimo ardimento Che si confonde ne l* error del senso. ' 

Sovra i piedi balzar ritto il destriero, Sol ti ravvisa di Sofia l'acume, ' 

£ nitrendo sfidarnel corso il vento; Che ne le sedi di natura ascose | 

Indi il cervo ramoso, ed il leggiero Ardita spinge del pensier le piume. I 

Daino fugace, e mille altri animanti. Nel danzar de le stelle armoniose 

Qual mansueto, e qual ritroso e fiero, Ella ti vede, e ne P occulto amore 

Altri per valli e per campagne erranti, Che informa e attragge le create cose. 

Altri di tane abitator crudeli, Te ricerca con occhio indagatore 

Altri de V uomo difensori e amanti. Di botaniche armato acute lenti 

E lor di macchia differente i peli Ne le fibre or d* un' erba ed or d' un fiore: 

Tu di tua mano dipingesti, o Diva, Te de i corpi mirar ne gli elementi 

Con quella mano che dipinse i cieli. Sogliono al gorgoglio d'acre vasello 

Poi de' color più vaghi, onde l'estiva 1 chimici curvati e pazienti. 

Slagion de le campagne orna l'aspetto, Ma più le tracce del divin tuo bello 

E de' freschi ruscei smalta la riva. Discopre la sparuti anatomia 

L'ale spruzzasti al vagabondo insetto. Allorché, armata di sottil coltello, 

E le lubriche anella serpentine ' 1 cadaveri incide, e l'armonia 

Del più caduco vermicciuol negletto. De le membra rivela, e il penetrale 

Ne qui ponesti a l'opra tua confine; Di nostra vita attentamente spia. 

Ma vie più innanzi la mirabil traccia uomo, o del divin dito immortale 

Stender ti piacque de l'idee divine. Ineffabil lavor, forma e ricetto 

Cinta dunque di calma e di bonaccia Di spirto e polve moribonda e frale, 

De le marine interminabil' onde Chi può cantar le tue bellcMe? Al petto 

Lanciasti un guardo su l'azzurra faccia. Manca la lena, e il verso non ascende 

Pi^netrò ne le cupe acque profonde « Tanto che arrivi a l'alto mio concello. 

Quel guardo, e con bollor grato Natura Fronte che guarda il cielo, e ti ciclo 

Inliopidille, e diventar feconde; [tende; 

£ tosto varii d'indole e figura Chioma che sopra gli omeri cadente 

Guizzare i pesci, e fin da l'ime arene Or bionda,orbruna, il capo orna e difende; 

Tutta increspar la liquida pianura. Occhio, de l'alma interprete eloquente» 

I delfiu snelli colle curve schiene Senza cui non avria dardi e faretra 
Uscir danzando; e mezzo il mar coprirò Amor, né l'ali, ne la face ardente; 

Col va.<;lissimo ventre orche e balene. Bocca d'onde esce il riso che penetra 

Fin gli scogli e le sirti allor sentirò Dentro i cuori, e l'accento si dbserra. 

Il vic[»>r di quel guardo e la dolcezza, Ch'or severo comanda, or dolce impetra; 
E di coralli e d'erbe si vestirò. ilczza, Mano che tutto sente e tulio afferra, 
Ma che? Non son , non sono, alma Bel- E ne l' arti incallisce, e ardita e pronta 

H mar, le belve, le campagne, i fonti Cittadi innalza, e opposti monti atterra ; 

H sol teatro de la tua grandezza: Piede su cui l'uman tronco si ponta , 

Anche sul dorso de i petrosi monti E parte e riede, e or ratto ed or reslip 

Talor l' assidi maestosa, e rendi Varca pianure, e gioghi aspri sormonta 

Belle de 1' alpi le nevose fronti: E tutta la persona entro il cuor mio 

Talor sul giogo abbrustolalo ascendi La maraviglia piove, e mi favelb . 

Del fumante Etna, e ne l' orribil veste Di quell' allo saper che la compio. 

De le sue fiamme ti ravvolgi e splendi. Taccion d'amor rapiti intorno ad ella 

Tu del nero aquilon su le funeste La terra, il cieh; ed io son io, v' è sculto, 

Aie per l'aria alteramente vieni. De le create cose la più bella. 


SECOLO DECrMONONO \Bi 

]aal nuovo dMdee dolce tumulto! Del tuo vate guidasti, e la parola? 
iggio amico dele membra or viene Torna, amabile Dea, torna al primiero 
liararmi il laberinto occulto? Cammin terrestre, né mostrarti schiva 
go muscoli ed ossa e nervi e vene, Di minor vanto e di minore impero, 
il sangue e le fibre, onde s'alterna Torna; e, se cerchi errante fuggitiva 
loto che la vita urta e mantiene; Devoti per T Europa animi ligi, 
ne i legami de la salma interna, E tempio degno di si bella Diva, 
randa prigton! cerco, e non veggio ^ou t* aggirar del morbido Parigi 
to che la move e la governa. Cotanto per le vie, né su le sponde 

sento io ben che quivi ha stanza e De laNeva, de Tlstro e del Tamigi, 
a luce di ragion guidato [seggio, Volgi il guardo d'Italia a le gioconde 
le parti il trovo, e Io vagheggio: Alme contrade, e per miglior cagione 
)irto, oim mago del' Jìterno, e fiato Del fiume tiberin fermati a Tonde, 
ille labbra, a la cui voce il seno Non è straniero il loco e la magione, 

irciò de l'abisso fecondato/ Qui fu dove dal Cigno venosino 

e andar l'innocenza ed il sereno Vagheggiar ti lasciasti e da Marone; 
pura bfltà, di cui vestito E qui reggesti del pittor d'Urbino 

idesti nel carcere terreno? I sovrani pennelli, e di quel d'Arno 

i, misero! t'han guasto e scolorito « Michel più che mortale Augel divino, 
ia, ambizTon, ira ed orgoglio, Ferve d'almesi grandi, e non indarno, 

la colpa ti fero il turpe invito! Il genio redivivo. Al suol romano 
tua raf^ione trabalzar dal soglio, D' Augusto i tempi e di Leon tornarno. 
ro, deluso ed abbattuto Vedrai stender giulive a te la mano 

andonàr ne l'onta e nel cordoglio, Grandezza e Maestà, tue suore antiche, 
^ome incauto pelicgrin raduto Che ti chiaman da lungi in Vaticano, 

man dei ladroni, allorché dorme T' infioreranno le beli' Arti amiche 

idostanco e d'ogni luce muto; La via dovunque volgerai le piante, 
pur sul volto le reliquie e l'orme, Te propizia invocando a le fatiche, 
turbo de gli aifetli e la rapina, Per te a l'occhio divien viva e parlante 

pur anco de l' antiche forme: La tela e il m<isso; ed il pensiero è in forsi 

cor de l'alta origine divina Di crederlo insensato, o palpilante: 

i segni riconosco; ancora Per te di marmi i duri alpestri dorsi 

Ilo e grande ne la tua rovina. Spoglian le balze tiburline, e il monte 

al ardua antica mole, a cui talora Che Circe empieva di leoni e d' orsi; 
Igore del cielo il fianco scuota, Onde poi mani architettrici e pronte 

tempo che tutto urta e divora. Di moli-aggravan la Ialina arena , 

na di solchi, ma pur salda e immota D' eterni fianchi e di superba fronte: 
, e d'offese e danni carca aspetta Per te risuona la notturna scena 

emico maggior che la percota. Di possente armonia, che l'alme bea, 

a i' eccidio e 1' orror de la soggetta E gli affetti lusinga ed incatena; 
vole Natura, ove l'immerse E questa selva, che la selva ascrca 

i lusinga e una fatai vendetta, Imita, e suona di febeo concento, 

i bella intanto la Virtude emerso, Tutta è spirante del tuo nume, o Dea: 
astro che splendor ne l'ombre ac- £ questi lauri che tremar fa il vento, 

[ quista, E queste che premiam tenere erbette, 
riso i pianti di quaggiù converse. Sono d' un tuo sorriso opra e portento: 
r lei gioconda e lusinghiera in vista E tue pur son le dolci canzonette 
resenta la mortcj e l'amarezza Che ad Imeneo cantar dianzi s'intese 

ni sventura col suo dolce è mista: L'arcade schiera su le corde elette. 
i guarda il ciel da la superna altezza Stettero al grato suon l' aure sospese, 
amanti pupille; e per lei sola E il bel Parrasto a replicar fra nui 

•parenta de 1' uomo a la bassezza. Di I<uigi e ( ostanza il nome apprese. 
i dove, Diva del mio canto, vola Ambo cari a te sono, e ad ambidui 
Jace immaginar? dove il pensiero 3u Taroabil sembiante un feritore 


482 CRESTOMAZIA POETICA 

Reggio imprimesti de*l>eglì occhi tui; E sol del nome fa tremar la terra. 

Raggio che prese poi la via del core, Stanle intorno l'Erinni, e le fan piazza, ì 

£ di Virtù congiunto a l* aurea face E allacciando le van Pclmo e la maglia { 

Fé ne l' alme avvampar quella d' Amore. De la gorgiera e de la gran corazza; 

Vien dunque, amica Diva. 11 Tempo Mentre un pugnai battuto a la tanaglia 

Fatai nemico, co la man rugosa [ edace, De*fabbri di Oocito in man le caccia, 

Ti combatte, ti vince e ti disface. E la sprona e V incuora a la battaglia. 

Egli il color del giglio e de la rosa Un' altra Furia di più acerba faccia , 

Toglie a le gote più ridenti, e stende Che inFiegragià del cielo assalseilmiffo, 

Dappertutto la falce ruinosa. E armò di Briareo le cento braccia; 

Ma , se teco Virtù s'arma e discende Di Difagora poscia e d' Epicuro 

Nel cuor de l' uomo ad abitar sicura, Dettò le carte , ed or le Franche scuole 

Bassa il veglio rapace, e non t'offende; Empie di nebbia e di blasfema imporo ; 

E solo allorché fia che di Natura E con sistemi e con orrende fole 

£i franga la catena, e urtate e rotte Sfida 1' Eterno ; e il tuono e le saette 

De 1' universo cadano le mura, Tenta rapirgli , e il padìglion del sole. 

£ spalancando le voraci grotte Come vide le facce maledette 
L' assorba il Nulla, e tutto lo sommerga Arretrossi d' Ugon 1' Ombra turbata , 

Nel muto orror de la seconda notte. Che in inferno arrivar la si credette ; 

Al fracassato Mondo allor le terga E in quel sospetto sospettò cangiata 

Darai fuggendole su l'eterna sede. La sua sentenza^ e dimandar Volea 

Ove non na che Tempo ti disperga, Se Ira l' alme perdute iva dannata. 

Stabile fermerai l'eburneo piede. Quindi tutta per tema si stringea 

Vincenzo Monti. Al SUO conducitor , che pensieroso 

Le triste soglie già varcate avea. 

CCLXXIII. Partii ne* tempi della ri- Era il tempo che sotto al procelloso 

voluzionc, e morte di Luigi XVI, Aquario il Sol corregge ad Eto il morso, 

Scarso il raggio vibrando e neghittoso ; 

Curva la fronte, e tutta in sé racchiusa E dieci gradi e dieci avea trascorso 

La taciturna coppia oltre cammina, Già di quel segno, e via correndo in quella 

E giunse alfine a la città confusa, Carriera , a l' altro già voltava il dorso; 

A la colma di vizii atra sentina, £ compito del dì la nona ancella 

A Parigi, che tardi e mal si pente L* officio suo , il governo abbandonava 

De la sovrana plebe cittadina. Del timou luminoso a la sorella: 

Sul primo entrar de la città dolente Quando chiuso da nube oscura e cafa 

Stanno il Pianto, le Cure e la Follia L'Angel coli' Ombra inosservato e qnrto 

Che salta e nulla vede e nulla seute. Ne la città di tutti i mali entrava. 

Evvi il turpe Bisogno, e la restia £i procedea depresso, ed inquieto 

Inerzia co le man sotio le ascelle. Nel portamento , i rai celesti empiendo 

L'uno a l'altra appoggiati in su la via. Di largo ad or ad or pianto segreto ; 

Evvi l' arbitra Fame, a cui la pelle £ P Ombra si stupia quinci ? edei^ 

Informasi da 1' ossa , e i lerci denti Lagrimoso il suo dura, e possedute 

Fanno orribile siepe a le mascelle. Quindi le strade da silenzio orrendo. 

Vi son le rubiconde Ire furenti , Muto de' bronzi il sacro squillo, emute 

E la Discordia pazza il capo avvolta L' opre del giorno , e muto lo stridore 

Di lacerate bende e di serpenti. De 1' aspre incudi e de le seghe argute : 

Vi son gli orbi Desiri , e de la stolta Sol per tutto un bisbiglio ed un terrore, 

Ciurmaglia i Sogni , e le Paure smorte Un domandar , un sogguardar sospetto j 

Sempre ilcrin rabbuffate e sempre in volta. Una mestizia che ti piombaci core; 

Veglia custode de le meste porte, E cupe voci di confuso affetto, 

E le chiude a suo senno e le disserra Voci di madri pie che gì* innocenti 

L'ancella e insieme la rivai di Morte; Figli si serran trepidando al petto ; 

La cruda , io dico , furibonda Guerra, Voci di spose che a i mariti ardenti 

Che nei sangue s' abbevera e gavazza , Contrastano l' uscita, e su le soglia 


SECDLO DECIMONONO 183 

li lagrime intoppo e di lamenti. Lassù per sangue diventar divine. 


tenerezxa e carità di moglie 
: è da Furia di maggior possioia , 
la Tamplesso coojugal gli scioglie. 
che fera menando oscena danza 
san di porta in porta affaccendati 
smi di terribile sembianza; 
' Druidi i fantasmi insanguinati, 
eramente da la sete antiqua 
time nefande stimolati , 
bramarsi Tenian la vista obliqua 


Il duol di Francia intanto e i gran litigi 
Mirava Iddìo da Talto, e giusto e buono 
Pesava il fato de la rea Parigi 

Sedea sublime sul tremendo trono, 
E su le lance d*Ar qninci ponea 
L* alta sua pazienza e il suo perdono ; 

De l'iniqua città quindi mettea 
Le scclleranze tutte; e nullo ancora 
Piegar de* due gran carchi si vedea. 

Quando il mortai giudizio e l*ultim*ora 


aggior de' misfatti, onde mai possa De T augusto Infelice alfin v' impose 


o superbir semenza iniqua, 
no in veste d' uman sangue rossa, 
e e tabe grondava ogni capello, 
adea una pioggia ad ogni scossa. 
issan altri un tizEone,altri un flagello 
:lidri e di verdi anfesibene , 


V Onnipotente : cigolando allora 
Traboccar le bilance ponderose,* 
Grave in terra cozzò la mortai sorte, 
Balzò l'altra a le sfere, e si nascose. 

In quel punto al feral palco di morte 
Giunge Luigi. £i v'alza il guardo, e viene 
m nappo di tosco, altri un coltello. Fermo a la scala , im perturbato e forte. 
m quei serpi percotean le schiene Già vi monta, già il sommo egli ne tiene; 

£ va sì pien di maestà l'aspetto, 
Ch' a i manigoldi fa tremar le vene . 
a già battea furtiva ad ogni petto 
La pietà rinascente , ed anco parve 
Che del furor sviato avria T effetto. 
Ma fier portento in questo mezzo apparve; 
Sul patibolo infame a l' improvviso 
Asceser quattro smisurale larve, [triso, 
Stringe ognuna un pugnai di sangue in- 
A la strozza un capestro le molesta, 
l'orvo il cipiglio, dispietato il viso; 

£ scomposte le chiome in su la testa , 
Come campo di biada già matura » 
Nel cui mezzo passata è la tempesta. 
£ su la froutc arroncigliata e scura 
Scritto in sangue ciascuua il nome avea, 
Nome terror de' regi e di natura. 

Damieus l'uno, Ankastrom l'altro dicea, 
E I' altro Ravagliacco; ed il suo scritto 
Il quarto co la man si nascondea. 

Da queste Dire avvinto il derelitto 
Sire Capeto dal maggior de' troni 
a che spetrar potea le rupi. [so, A la mannaja già facea tragitto. 
*ar lerupi,esciorre in pianto un sas- K a quel Giusto siinil che fra'ladroni 
galliche tigri.. Ahi ! dove spinto Perdonando spirava, ed esclamando: 
!,ocrude?£dei v'amava? Oh lasso! Padre, Padre, perchè tu m' abbandoni ? 
piangea il sole di gramaglia cinto. Per chi a mortelo tragge anch'ei pregan- 

Il popol mio, dicea, che sì delira, [do, 
£ il mio spirto , Signor, ti raccomando. 

In questo dir con impeto e con ira 
Un de gli speltri sospingendo il venne 
incoi pianto anch'esse in su le gote; Sotto il taglio fatai; l'altro ve'l tira, 
ime che contanti e pellegrine Per le sacrate auguste chiome il tenne 

causa di Cristo e di Luigi La tersa Furia, e la sottil rudente 


'onti mortali, e fean, toccando 
i arsi tizzi, ribollir le vene. 
>ra de le case infuriando 
1 le genti, e si foggia smarrita 
ti i petti la pleiade in bando. 
)r trema la terra oppressa e trita 
ralli, da rote e da pedoni; 
ormora l'aria sbigottita; 
ile al mugghio di remoti tuoni, 
tturno del mar roco lamento, 
fondo ruggir de gli aquiloni, 
cor, misero Ugon,che sentimento 
>ra il tuo , che di morte vedesti 
» vesaiJIo volteggiarsi al veulo ? 
terrìbile palco erto scorgesti, 
ita la scure , e al gran misfatto 
•ramosi i manigoldi e presti ; 
lobuon rege,il re più grandc,inatto 
innocente fra digiuni lupi, 
to de' ladroni a morir tratto; 
a i silenzi! de le turbe cupi 
•eno avanzar la fronte e il passo 


ì in forse di voltar le rote 
sta Tebe che l'antica ha vinto, 
gevan l' aure per terrore immote, 
me del cielo l'iltadine 


iS4 CRESTOMAZIA POETICA 

Quella quarla recise a la bipenne. Di vita la richiami^ infin che scioglie 

A la caduta de l* acciar tagliente L* ultimo volo , e sfavillando muore r 
S' aprì tonando il cielo, e la vermiglia Tal quest'alma gentil, che Morte or to- 

Terra si scosse^ e il mare orribilmente. A V italica speme, e su lo stelo CgHe 

Tremonneilmoudo, e perla maraviglia Vital , che verde ancor iioria, la coglie ; 
£ pel terror dal freddo al caldo polo Dopo molto aifannarsi entro il su^o yelo, 

Palpitando i potenti alzar le ciglia. E anelar stanco su l'uscita, al fine 

Iremo Levante ed Occidente. Il solo L'ali aperse, e raggiando alzossi al cielo. 
Barbaro Celta in suo furor più saldo Le virtù, che diverse e pellegrine 

Del ciel derise e de la terra il duolo. La vestir mentre visse, il mesto letto 

E di sua libertà spietato e baldo Cingean bagnate i rai, scomposte il crise. 
Tuffò le stolte insegne e le man ladre y. Monti, Cantica ia morte 

Nel sangue del suo re fumante e caldo. di L. Mascheroni, canto I- 

Vincenzo Monti, Basvilliana, canto II. ' 

CCLXXVI. // Mattino. 
CCLXXIV. Ultimi momenti 

di Luigi X VI. Allorché il sole (io lo rammento spesso) 

D'Oriente sul balzo compariva 
Uom d'affannosa, ma regal sembianza, A. risvegliar dal suo silenziosi mondo, 
A cui rapita la corona e il regno, E a gli oggetti rendea più vivi e freschi 

Sol del petto rimasta è la costanza, I color che rapiti avea la sera^ 

Venia di morte a vii supplizio indegno Da l' umile mio letto anch' io sorgendo, 
Chiamato, ahi lasso! e vel traevan quelli A salutarlo m'affrettava, e fiso 
Che fur de l'amor suo poc'anzi il segno. Tenea l'occhio a mirar come nascoso 
Quinci e quindi arcorrean sciolte i capelli Di là dal colle ancora ei fea da luuge 
Consorteesuoraa.dabbracciarlo,e gli occhi De gli alti gioghi biondeggiar le cime; 
Ognuna avea conversi in due ruscelli. Poi come lenta in giù scorrea la luce 

Stretto al seno egli tiensi in su i ginocchi II dosso imporporando e i fianchi alpestri» 
Un dolente fanciullo , e par che tutK) E dilatata a me venia d' incontro, 
Ne gli amplessi e he'baci il cor trabocchi; Che a' piedi l' attendea de ia moniago'» 

£ sì gli dica : Da' miei mali istrutto Da l' umido suo sen la terra allora 
Apprendi, o figlio, la virtude, e cogli Su le pienne de l' aure mattutine 
JDi mie fortune dolorose il frutto. Grata innalzava di profumi un nefflbo= 

Stabile e santo nel tuo cor germogli E altero dì sé stesso, e sorrìdente 
Il timor del tuo Dio , ne mai d'^un trono Su i benefizii suoi, l' aureo pianeta ' 
Mai lo stolto desir Talma t' invogli. Nel vapor, che odoroso ergeasi in alto > 

E, se l' ira del ciel sì tristo dono Già rinfrescando le divine chiome, 

Faratti, il padre ti rammenta, o figlio ; £ fra il concento de gli augelli eilpl^^'^ 
Ma serba a chi \ uccide il tuo perdono. De le create cose egli sublime 

Questi accenti parea , questo consiglio Per l' azzurro del ciel spinge» le rote. 
Profferir l' infelice ; e chete intanto Allor sul fresco margine d'un rivo 

Gli discorrean le lagrime dal ciglio. M'adagiava tranquillo in su l'erbetta 

Piaogeantutli d'intórno, e da l'un canto Che lunga e folta mi sorgea dintorno 
Le fiere guardie impietosite anch'esse E tutto quasi mi copriva; ed ora 
Sciogliean, poggiate su le lance, il pianto. Supino mi giacca, fosche mirando 
Vincenzo Monti, Basvilliana, canto IV- Pender le selve da l'opposta balza 

£ fumar le colline, e tutta io faccia 
CQiXXV. Morte di Lorenzo Di sparsi armenti biancheggiar la n)p<= 

Mascheroni. Or rivolto col fianco al ruscelletto 

lo mi fermava a riguardar le nubi. 
Come face al mancar de l'alimento Che tremolando h vedean riflesse 
Lambe gli aridi slami, e di pallore Nel puro trapassar specchio de l'onda: ] 

Veste il suo lume ognor più scarso e lento; Poi di gentil spettacolo già sazio, 
E guizza irresoluta, e par che amore Tra i cespi, che mi fean corona e lellOi 




SECOLO DECLMONONO iSò 

iva il mio sguardo, e attento e che- Giove a i figli dovea de l'empia Terra. 

[to Tutte di ferro esercitato e greve 
:iol mondo a contemplar poneami ; Son T orrende saette, ed ogni strale 
'a gli steli brulica de l'eroe, Tre raggi in sé di grandine riceve, 

igo e vario de gì' insetti ammanto, £ tre d' elementar foco immortale, 
iole diversa e la natura. Tre di rapido vento, e tre ne beve [ le. 

i torma e fuggenti in lunga fila D' acquosa nube, e larghe in mezzo hal'a- 
no e van per via carchi di preda ; Poi di lampi una livida mistura 
ita solitario, altro 1' amico £ di tuoni vi cola e di paura; 

cammino arresta, e con lui sembra £ di furie e di fiamme e di fracasso 
:ose conferir: questi d' un fiore Che tutto introna orribilmente il mondo. 
»rosia sugge e la rugiada; e quello Prende il Nume quest'arme o move il pas- 
) rivai ne disputa l'impero, [so: 

ir tosto a lite, ed azzuffarsi, 11 ciel s' incurva, e par che manchi al pon- 

iticchia ti insieme ambo repente [do. 

1 la foglia sdrucciolar li vedi. Sentinne il re Piuton l'alto conquasso 

lor manca in quegli angusti petti, £ gli occhi alzò smarrito e tremebondo., 
lenza, consiglio, odio ed amore. Che le volte di bronzo e i ferrei muri 
i alcuni tra lor miti e pietosi A l* impeto stimò poco securi. 

usi aita ne' bisogni assai; Da' fulmini squarciata e tutta in foco 

>riinciòdel' uom,chealsuo fratello Stride la terra per immensa doglia. 
e la stessa povertà fa guerra: Rimbombano le valli, e caldo e roco 

ri poscia da vorace istinto Con fervide procelie il mar gorgoglia, 

trage chiamati ed a gl'inganni , Vincitrice di Giove in ogni loco 
morte d'altrui vivono, e sempre La vendetta s'aggira; e par che voglia 
ù gagliardo, come avvien tra noi. Sotto il carco de' Numi il gran convesso 
più scaltro la ragion prevale. Slegarsi tutto de l'Olimpo oppresso. 

icenzo Montiy Sciolti al priuclpe Ghigi. E in cielo, e in terra, e tra la terra e 

m [il cielo 

XXVn. Battaglia de' Titani. Tutto e vampa e mina e fumo e polve. 

Fugge smarrita dal signor di Delo 
>ì cantar de l'orbe giovinetto La luce, e indietro per terror si volve. 

Iti esordii le Muse e l'incremento, Fugge avvolta ogni stella infosco velo, 
insolito errava almo diletto Ed urtasi ogni sfera e si dissolve: 

)r de' Numi a l' immortai concento. E immoto ne l'orribile frastuono 
sser come dal profondo petto Non riman che del Fato il ferreo trono. 

Tra suscitò nuovo portento, Ma coraggio non perde la terrestre 

iel marito nequitosa e rea, Stirpe, ne par che troppo le ne caglia, 

suoi figli, crudcl, spenti volea. Di divelte montagne arman le destre, 
indi i Titani dì cor fero ed alto £ fan con rupi e scogli la battaglia, 
•arto ella creò nefando e diro, Odonsi cigolar sotto l' alpestre 

turati con Olo ed Efialto Peso le membra, e ognun fatica e scaglia, 

«pugnar T intemerato Empirò. Tre volte a l' arduo ciel diero la scossa, 

ovenlù superba al grande assalto Sovra Pelio imponendo Olimpo ed Ossa. 
;rani]cnrf^oglioc gran possanza usci- £ tre volte il gran padre hilminando 
gorosa la tei ra tremava [ ro, Spezzò gì' imposti monti e li disperse: 

i vasti lor passi, e il mar mugghia va. £ da le stelle mal tentate in bando 
Piracmon, da l'altra parte, eBronte, Nel Tartaro cacciò le squadre avverse; 
tr fratelli affumicati e nudi, Nove giorni le venne in giù rotando, 

r gocciando da l' occhiuta fronte £ nel decimo al fondo le sommerse: 
i selva de' petti ispidi e rudi, Orribil fondo d'ogni luce muto, 

mente facean l'eolio monte Che da perpetui venti è combattuto. 

Te al suon de le vulcanie incudi, £ tanto de la terra al centro scende 

lini temprando, onde far guerra Quanto lunge dal ciel scende la terra. 


186 


CRESTOMAZIA POETICA 


Di piantola mezzo ima fiumana il fende; Da le cose i colori, e a la pietosa 
Di ferro intorno uìia muraglia il serra; Nolte del mondo concedea la cura» 


£ di ferro son pur le porte orrende 
Che Nettuno vi pose in quella guerra. 
I Titani là dentro eterna e nera 
Mena in Tolta la p io^gia e la bufera. 

Ivi Giapeto si ri?olve e Ceo, 
£ 1* altra turba che i celesti assalse. 
Ivi Gige, ivi Goto e Briareo, 
Cui la forza centimana non valse. 
Fuor 'de Taira prigion restò Tifeo, 
Ch* altrarafute punirlo a Giove calse: 
Su IMneffabil mostro in giù travolto 
Lanciò Sicilia tutta; e nou fu molto. 

Peloro la diritta, e gli comprime 
Pachin la manca, e Lilibeo le piante. 
Schiacciai* immensa fronte Etna sublime, 
Di fornaci ed*incudi Etna tonante. 
Quindi, come il dolor dal petto esprime, 
£ mutar tenta il fianco il gran gigante, 
Fumo e fiamme dal sen mugghiando erut- 

[ta. 
Ne trema il monte e la Trinacria tutta. 

Del sacrilego ardir sorti compagna 
£nceladn a Tifeo la pena e il loco. 
Gli altri su la flcgrea vasta campagna 
Rovesciati esalar di Giove il foco. 
Ond'ivi ancor la valle e la montagna 


Ed ella, del regal suo velo eterno 
Spiegando il lembo raccendeane gli astri 
La morta luce, e la spegnea sul volto 
De gli stanchi mortali. Era il tùon queto 
De' fulmini guerrieri, e ne vagiva 
Sol per la valle il fumo atro, confuso 
De le nebbie de* boschi e de' torrenti: 
Eran quete le selve, eran de l'aure 
Queti i sospiri; ma lugubri e cupi 
S' udian gemiti e grida in lontananza 
Di languenti trafitti, e un calpestio 
Di cavalli e di fanti, e sotto il grave 
Peso de' bronzi un cigolio di rote, 
Che mestizia e terror metlea nel coi e. 

Vincenzo Monti, Bardo della Selva 
JVera, canto I, 

CCLXXIX. Sul monumento 
di Giuseppe Parini *. 


I placidi cercai poggi felici , 
Che con dolce pendio ciugon le liete 
De l' Eupili lagune irrigatrici; 

E nel vederli mi sclamai: Salvete, 
Piagge dilette al ciel, che al mio Parini 


Mandan fumo, e rumor funesto e roco.* Foste cortesi di vostr' ombre quete; 


De la divina Creta alcun satolle 
Fé del suo sangue le feconde zolle. 

£ tu pur desti a gli empii sepoltura, 
Terribile Vcsevo, che la piena 
Versi rugghiando di tua lava impura 
Vicino ahi troppo a la regal Sirena. 
Deh sul giardin d' Italia e di natura 
1 tuoi torrenti incendilori aifrena: 
Ti basti, ohimè! l'aver di Pompejano 
1 bei colli sepolto e d'Ercolano 

Il sacro de le Muse almo concento 
Del ciel rapiti gli ascollanti avea. 
Tacean le dive; e desioso e attento 
Ogni Nume l'orei^hio ancor porgea. 
Del nettare il ruscello i pie d'argento 
Fermar^ anch' esso, per udir, parca, 
£ lungo l' immortai santissim'onda 
ISk fior r aure agitavano ne fronda. 

yincenzo Monti, MasogoaiBi* 

CCLXXVIII. Notte dopo 
una battaglia. 

Pallido intanto su l' abnobie rupi 
// 5o/ cadeaào raccogliea d' intorno 


Quando ei fabbro di numeri divini 
L' acre bile fé dolce, e la vestia 
Di tebani concenti e venosini. 

Parca de' carmi tuoi la melodia r de 
Per queir aure ancor viva, e l' aure e T on- 
£ le selve eran tutte un'armonia. [de 

Parean d' intorno i fior, l' erbe, le fron- 
Animarsi, e iterarmi in.suon pietoso: 
Il rantor nostro ov'è? chi lo nasconde? 

Ed ecco in mezzo di recinto ombroso 
Sculto un sasso funebre che dicea: 
A I SACRI VANI ni Parin riposo. 

E donna di beltà che dolce ardea 
(Tese l'orecchio, e fiammeggiando il vate 
Alzò l'arco del ciglio, e sorridea) 

Colle dita venia biancorosate 
Spargendolo di fiori e di mortella, 
Di rispetto atteggiata e di pietate. 

Bella la guancia in suo pudor; piùbella 
Su la fronte splendea l'alma serena. 
Come in limpido rio raggio di stella. 

' Le parole sono in bocca di Pietro Verri, 
uno de* quattro Spiriti descritti sai fioc àii 
terzo caalOi— Parlai « uno degli ascolUnti* 


SECOLO DKCIMONONO i87 

Poscia che dati ì mirti ebbe a man pie- Troppo su V ale dell* ingegan s* alza. 
Di laaro, che parea liete Borisse [ na, Tutti, io noi niego , ad un festivo detto 
Tra le sue man, fé al sasso una catena. Danno in un riso; ma, se ben gli adocclii, 

£ an sospir trasse affettuoso, e disse Guizzo del cor, che sulla faccia splende, 
Pace eterna a 1* amico: e te chiamando, . If on è quel riso in molti : è storcimento 

I lumi al cielo sì pietosi affisse. Di labbra , come avesse altri l' incauto 
Chegli occhi anch'io le vai,certa aspet- Dente in acerba melagrana impresso. 

[ tando Non per questo io consiglioti che , dove 

La tua discesa. Ah qual mai cura, o quale Ti venisse su i labbri un motto arguto , 

Parte d' Olimpo ratteneati, quando Tu sempre il debba rimandare in petto ; 

Di que* bei labbri il prego erse a te Tale? Consiglioti lasciare al negro il volto 

Se onesta indarno V udir tuo pen note, £ i panni variopinto Orobio mimo 

Qua! altra ascolterai voce mortale? L*arte sua propria. Chi mattina e sera 

Riverente in disparte a le devote Questa d'esercitar mai non si stanca, 

Ceremonie assistea, colle tranquille Gli applaude, e a un tempo lo dispregia 
Luci nel volto de la donna immote, [il mondo. 

Uom d*alta cortesia, che ilciel sortille Taccio che spesso una faceta lingua. 

Più che consorte, amico. Ed ei che vuole Mentre alletta il vicin, l'assente offende: 

II voler de le care alme pupille. Poiché tra quei, che cotidiana impresa 
Ergea d' attico gusto eccelsa mole. Dell'arguzia si faiino, a corvo bianco 

Sovra cui d' ogni nube immaculato Colui somiglia , che giammai non arma 

Raggiava immemor del suo corso il sole. Di satirica punta i suoi concetti. 

E Amalia la dicea dal nome amato Sen guarderà da prima : indi la lode 
Di costei,che del loco era la Diva , Sì a poco a poco lo imbrìaca e infiamma, 

E più del cor, che al suo congiunse il fato. Che, quando il caso di un leggiadro colpo 

Al pio rito funebre, a quella viva Gli si presenta , non va salvo nom vivo. 
Gara d'amor miraudo, già di mente Come , se l'arco in man teso sta sempre. 

Del mio gir oltre la cagion m' usciva ; Non partirà 1* ambizioso strale ? 

Mofsi alfine, e quei colli, ove si sente Quindi il più fido ancora e vecchio amico, 
Tutto il bel di natura, abbandonai. Che altrove siede de' suoi rischi ignaro, 

L' orma segnando al cor contrarie e lente. Riceve 1* invisibile ferita; 

Vincenzo Monti, Frammento del canto IV ^ ^*""« '" H^^^^» che con SOave affetto 
iaedito della Maschefoniaaa. Parla di chi ferillo, e dall' accusa 

Che di labbro maledico gli appicca 
Non a torto qualcun, forse il difende, 
il raccomanda caldamente a un grande. 
Vuoi placeread altrui? Modcrncoanti- 
Storie, accidenti curiosi, pronte [che 
24. Avvertimenti per la Risposte , intese per ventura o lette, 

eonvenazione , Sempre che il destro n'hai, racconta brevt. 

Diletto non darà d' invidia misto 
Garzon bennato, che alle frondieaifio- Sì fatta prova non snperba, in coi, 
Onde t'ornò benignamente il Cielo, [ri, Più che l'ingegno, la memoria vale. 
Già mostri in te sì rispondenti i frutti, Giocondo achi odcil raccontar pur torna. 
M'accorgo io ben che Damo, il qual nei Perchè, ciò che in un loco udir glv^ccasca, 

[crocchi Potrà recar senza gran sforzo altrove; 
Di buoni sali il favellar condisce, Ma recar non potrà detto che frizzi; 

T'entra molto nell^alma. Ah! nont'abba- Che, quasi di licor, che dall'un vaso 
Prode garzone, un periglioso dono, [gli, Passi nell'altro, dell'arguto motto, 
Ch'èdi quel che a te pare, assai men bello. Ove dall' una varchi all' altra bocca, 
Credi forse che grato a tutti Damo ]l volatile spirto esala e sfuma. 

Riesca? In error sei. Difficilmente Vuoi piacer ad altrui? Scolta mai sempre 

Sogliono perdonar gli uomini, in giro Con viso attento chi favella; e, qoanao 
Sedenti e confrontati; a chi tra loro Giunge dei favellare a te la volta^ 


488 CRESTOMAZIA POKTICA 

Non il fanciul, the la ilipinta palla E qual fia la cagion ? Soavemente 

Lancia e rilancia solitario in allo, Ricondurli a virlù, se ne van Innge; 

Ma quello imita, cheal fanciul compagno Far che virlù, di cui leggiadra e viva 
La manda, ond'ei rimandila, e al diletto Lor mostrerà un* immagine in se stesso, 
Del compagno non men che al proprio ser- Li prenda tosto, e del suo amor gliscaldi] 

[ve; Virtù, ninfa bellissima, che dadi 
Studia inoltre che l'uomo , a cui tu parli, L' intera notte non maneggia o carte. 
Si mostri anch' egli , e spicchi ; e i non Che non riceve in cor fiamma impudica, 

[ignoti Pronta le offese a perdonar più gravi, 
Tasti in lui tocca, che rispondon meglio. E ne' proposti suoi ferma cotanto, 
E s' ei cosa talor, che in mente serra. Che giù non ne la toglie o risplendente 
Pena a espor fuori, dolcemente e in guisa Serto promesso, o minacciata scure. 
Che appena i 1 sen ta, a esporla fuor Taj uta . Ipp olito PhidemonU. 

Vuoi piacere ed altrui? Con mesti annunzi 
Non entrar mai. Conosci tu Damone? 25. Lamento di Arittp, 

Se alcun si ruppe delle gambe un osso , . .^ ^^^^^ ^. q. ToreUi famoso 

Se guasto la gragnuola a un altro i campi, i„ iett„e ^ scicozc; 

Se morì un terzo inopinatamente, 

Pria Damon non assidesi,rhe il duro Stracciò dal crine il mirto, onde solea 

Caso narrò. Perchè un' immagin trista La poetica fronte Aristo ornarsi; 
Gittareinmezzoalcomun gaudio, e porre Arìsto d' ermi campi, e d'erme selve 
Su le fronti serene un'atra nube ? Fatto pensoso abitatori dal crine 

Ma più ancor v'ha. Molte fiate incon- Quelle stracciossi allegre froodi, e il colle 
Che subita tra due pugna vocale, [tra Salì rapidamente, alla cui vetta 
Come son varie le sentenze, nasca. Sorgon bruni cipressi, ond'è ricinto 

Ne tai conflitti, purché il loco all'ira Del pallido eremita il sagro albergo, 
Ceder l'urbanità mai non si scorga, Ed un ramo ne. svelse, e intorno al capo 

Condannerem ; che da due bravi spirti. Sei girò, se l'avvinse; indi si fece 
Che si corrono a urlar, dotte scintille Sedil d' un sasso, di rincontro a balze 
Schizzan sovente. Ti parrà talvolta Di grato orror dipinte; e poi che alquanto 

Viuto restarti ? Confessarti \into [glio Con la mente vagò da se lontano, 
Ojsa, e cedere il campo,'eallor che il me- Trasse lungo dal core imo un sospiro, 
Ti sembri averne, ah! non voler chcgiun- E tai sensi innalzar l'udì la notte, 
Il duellar sino all'estremo sangue, [ga Che già in fosco tingeala terrae il cielo. 
Tutti del più, che contra il tuo nemico Queste del gufo , il qual duolsi alla lu- 
Potresti, s'avvedranno, e co'novelli Non son le voci flebili^ alhirgate, [ na, 

Colpi che riterrai cortese indietro, [dati. Che nel silenzio della notte bruna 
Più ancor che non per gli altri a lui già Ad un oppresso cor giungon sì grate? 
D' onesto lauro cingerai le chiome. O pensieroso augel, di ria fortuna 

Qui sorger veggo il tuo gentil Chirone, Portalor ti accusò la vecchia etate; 
Che non ad accordar la cetra, e dolci Ma udito, se ver fosse il detto antico, 
Suoni a cavarne, ma de' varii affetti T' avrei la notte, io < h'io perdea l'amico. 

T'apprese in vere a temperar le corde, Spirto pentii, la solitaria, vita, 

Donde fuor trarre all' uopo atti sublimi, E questi, ov' io mi chiusi, ermi soggiorni, 
Sorgere e dir, che pel desio fervente Fanno che alla mia scorsa età fiorita 
Di gradir troppo di Prometeo ai figli, Con la memoria, e a te più spesso io torni. 
Che stolti sono i più, spesso chi avea Ma da rimorso ho l'anima ferita; 
Nome di saggio in pria , stolto divenne. Che dappoi che tu vivi etemi giorni, 
buon maestro, benché a te non scenda Mille e più volte il sole uscio dall'Indo, 
Lunga barba sui petto, e non la fronte Né ti sparsi su l'urna un fiordi Pindo. 
Solchin rughe profonde, alta prudenza Pur chi di te sovra il mio canto avfa 
Dalle labbra l' uscì. Ma la cagione. Dritto maggior, che al fianco mio prende- 

Per cui gradir del Giapetidc ai figli Spesso il più erto della via dircea, [ sii 

L'Achille tuo vorrà, tei pone in s^lvo. E me; che vacillava^ in pie reggesti? 


SKCOLO DECIMO ONO i89 

Forse a chiaro d' onor segno io glungea, Compendialo in quel funesto segno. 

Se (u givi più tardo infra i celesii. Rapido cresce il fatai morbo, ed io 

Forse con gli anni tmu morte superba Con V arti inefficaci invan mi sdegno; 

Anco la gloria mia recise in erba. E la voce talvolta al cielo invio: 

Or più di questa gloria io non mijcuro, Più che d* eietti spirti il sommo regno, 

Che un nulla alfine la conobbi anch'essa. Forse non ha per tante macchie immondo 

Uh hen più assai, chejquel non è, sicuro, Mesticr di virtuosi esempli il mondo? 
Alma che sa cercar, trova in sé stessa. Mentre sì fatte cose in cor favello 

Mia delizia è il sedermi ove d'oscuro Presso i cari origlier (già notte andava. 

Bosco cader vegg* io V ombra più spessa , Ne maggior lume ivi splendea di quello, 

Ove con interrotto e tardo passo Che scarso e tristo una lucerna dava) 

Mormora un roco rio tra sasso e sasso. Ecco a un tratto veder panni un drappel- 

Come, se fosse meco in questi colli, Che al doloroso letto intorno stava, [lo 

Lieto vedresti i pensier fermi e gravi Di molte in vista ragguardevol donne; 
Tu, che spesso dii vani untempoe molli Ma con viso piangente, e fosche gonne. 
Con dolce improverar mi richia>navi; Eran le sagge a cui vien posto il nome 

E dalla schiavitù degli amor folli Dalle onorate lor belle fatiche; 

Sciorre 1* incatenata alma tentavi! Critica, Geometria con sciolte chiome, 

Io, benché amantedel miomal, la mano Poesia, Storia, e le favelle antiche. 

Baciava chevolea tornarmi sano. Giansi tra lor riconfortando, come 

Ma no, non fu con la mortai tua vesta S' usa in fortuna ugual tra fide amiche; 

11 suon per me della tua voce spento: Ma il fean cosi, che più che dar, di loro 

Entro mi parla, e chiara e manifesta L' una all'altra parca chieder ristoro. 
Dal fondo alzarsi del mio cor la sento: Poi dal letto scostarsi, e d' improvviso 

Tale sovenle, o non diversa inchiesta Le veggo in fila dall' un canto porsi, 

Le qìovo: E morte così fier tormento? Come a dar loco, riguardando fiso 

È l'arrestarsi nelP uman viaggio Verso la porta, ov'io pur 1' occhio torsi; 

Duro così? Non è, risponde*, al saggio. E la soglia varcar donna di viso 

Ed in vista dei ben falsi, e di quanto Maraviglioso, e d'atto augusto io scorsi; 

È nel mondo d* errore e di follia, Che al tetto giunge con la fronte, e in- 
Di bassa ambizTon, d'inutil vanto, [ torno 

Festoso ei dal suo fral si disciorria: Baggia dalle pupille un aureo giorno. 
Ma l'amistà, ma 1' amor fido alquanto Come vi lampeggiasse, il loco tutto 

Fanno al suo dipartir 1' alma restia; D' un tremolo fulgor si rivestiva. 

Ed ai più cari suoi languido e tardo Pur la nobile donna avvolta in lutto 

Rivolge indietro, e sospiroso un guardo. Tenea la faccia: or che saria giuliva? 

Con questo ultimosguardo io m'incon- Ma d' ogni piantoerailbel volto asciutto, 

[trai, Dolente sì, ma qual couviensi a diva, 

Che al tuo letto di morte era dappresso. Tal che il duol nel suo viso , e in un del 

E sì tenacemente lo serbai Duolo il trionfo si vedea dipinto, [vinto 
Da indi in qua negli occhi fidi impresso. Alle bende del crine, ed a quel bianco 

Che non pur eh' io vedessi oggetto mai, Velo, che ricopria le membra ignude. 

Che fitto si restasse in lor, commesso. Alla catena, ond' e sventura ir franco, 

Ma quel, e' ho innanzi, con sì vivi tocchi Temprata d' òr su non mortale incudc, 

Forse non si colora a me negli occhi. E all'aurea chiave,che pendea dal fianco, 

Oh fatai sempre e amara rimembranza, Ove sculto appariva: il del dischiude'. 

Ma cui non posso far eh* io non sia trai- ReligTon conobbi, e in fronte scritto 

Ogni più debil luce di speranza [ to , 11 divin mi parca leggerle editto. 
Quel primo orribil dì fu spenta a untrat- Ma mentre veggo che all'amico letto 

Che il Fisiio gentil entro la stanza Ha la celeste donna il pie rivolto, 

Venuto e messo di chi ascolta in atto, E ch'io già del ginocchio in terra metto, 

Toccò la vena, e di presaga stilla Da quella dolce vision fui tolto. 

L' amica a untempo inumidì pupilla. Egli moria; ma con sicuro aspetto 

Tutto allor mi si offrì l' eccidio mio Attendea l' ora che l' avria dìscioUo: 


190 CRESTOMAZIA POETICA 

l'on io COSI, eh* era a soffrir men forte Non invermigli aprii vergini rose» 
Quella» che mia parca, pìùche sua morte. E tu vuoi eh* io mi cinga il crine incolto 

Se la pompa farai di quella sera Di cipresso feral; di quei cipresso. 

Romper non vidi 1* orride tenèbre Che or di verde sì mesto invan si tinge. 

Coi tetro lume della bianca cera, Poscia che da* sepolcri è anGh*esso inhan- 

l^è il sacro udii di pace inno funebre, [ do. 

Qual prò» se tutto uelP orecchio m'era , Perchè i rami cortesi incurvi» e piagni, 
Tutto innanzi mi stava alle palpebre? O della gente che sotterra donne, 
Se della tomba sua ne*sentier bui» Salice amico? Né garzon sepolto» 

Benché lontano^ io discendea con lui? Che nel giorno primier della sua fama 
' Poscia in me tal sentii lugubre senso, La man sentì dell'importuna Parca, 
Come dal elei mi fosse il sol caduto: Né del tuo duolo onorerai fanciulla» 

Né che restasse mai notturno io penso Cui preparava d'Imeneo la veste 
^^ laudante per cammin deserto e muto, L* inorgoglita madre» e il dì che ornarle 
Com'io rimasi: né tra mare immenso, Dovea le membra d* Imeneo la veste, 
Senz'ago conduttor nocchier perduto , Bruno la circondò drappo funebre. 
Ed anche iu mezzo a cittadino stuolo Della fanciulla e del garzon sul capo 
Gran tempo andò» ch'esser mi parve solo. Cresce il cardo e 1*. ortica; e il mattutino 

Ma tu» eh* ove non é fiamma né gelò, Vento, che fischia tra l'ortica e il cardo » 
Godi, e di stella iu stella ora t' aggiri,. O Tinterrotto gemito lugubre. 
Queste ricevi, che ti mando in cielo» Cui dall* erma sua casa innalza il gufo 

Non so s* io debba dir lodi, o sospiri. Lungo-ululante della luna al raggio, 
Io sempre Notte pregherò, che il velo La sola éche risuoni iu quel deserto, 
Stenda, e nessuna in ciel nube si miri , Voce del mondo. Ahi sciagurata etade» 
Q nasi or vederti, anima grande e bella» Che il viver rendi ed il morir più amaro! 
Mi paia in una, ora in un* altra stella. Ma delle piante ali* ombra , e dentro 

Così Aristo cantò: poscia dond* era {.l'urne 

Toglieva il male riposato fianco» Confortate di pianto èforseiltonno 

Scendea dal colle, e a sua magion voltava Della morte men duro? Un mucchio 
Tra le compagne ombre notturne il passo: [ d*ossa 

Ma sentia poco raddolcita in core Sente l'onor degli acce rchianti marmi,. 

Dal balsamo febeo 1' antica piaga. de* custodi delle sue catene ^ 

Ippolito Pindemonte. Cale a un libero spirto? Ah non é solo 

Per gli estinti la tomba! Innamorata 
26. I Sepolcri '. Donna^che a brun vestita il volto inchina 

Sovra la pietra, che il suo sposo serra, 
A UGO FOSCOLO. Vedelo ancora, gli favella, l'ode, 

Qual voce è questa, che dal biondo Mela Trova ciò eh* è il maggior ne*più crudeli 
Muove canora, e eh* io nell* alma sento? Mali ristoro, un lagrimar dirotto. 
È questa, Ugo, la tua, ihe a te mi chia- Soverchio alla mia patria un tal conforto 

[ ma Sembrò novellamente: immota, e sorda 
Fra tombe, avelli, arche, sepolcri e gli e- Del cimitero suo la porta e ai vivi. 
Melanconici e cari in me raccende, [stri Pure qual prò, se all'amoroso piede 
Del Meonio cantor su le immortali Si schiudesse arrendevole? Indistinte 

Carte io vegghiava, e dalla lor favella Son le fosse tra loro, e un'erba muta 
Traeva io nella nostra i lunghi affanni Tutto ricuopre: di cadere incerto 
Di queir illustre pellegrin, che tanto Sovra un diletto corpo, e un corpo ignoto» 
Pugnò pria co* Trojani» e poi col mare a. Nel core il pianto stagneria respinto, [de. 
Ma tu» d* Omero più possente ancora» Quell'urna d*oro» c^e il tuo cener chiu- 
Tu mi stacchi da Omero. Ecco già ride Chiuderà il mio, Patroclo amato; in vita 
La terra e il cielo, e non é piaggia, dove Non fummo due, due non saremo in mor- 

r te 

* Vedi sopra a pag. i68. /^ » a i_mi • m ì i- * 

• Accenna alla sua versione dell' Odissea di Cosi Achille mgannava il SUO COldogllO, 

Ornerò^ a cui stava lavomudo. ^ Cioè: i sepolcri* 


SECOLO DECIMONONO 19/ 

Ed utile a Ini vi?o era quelP urna. Tempii che vider cento volte e cento 

Il divin figlio, se talor col falso, Riarder l' Etna spaventoso, e ancora [ ba 

Che Grecia immaginò, dir lice il vero, Pugaan con gli anni, e tra l'arena e 1* er- 
11 divin figlio di Giapeto volle Sorgon maestri ancor de IT arte antica; 

L* iiman seme formar d'inganni dolci, Quell' Aretusa, che di Grecia volve 
D'illusioni amabili, di sogni Per occnlto cammin l'onda d'argento, 

Dorati amico, e di dorate larve. Com' è l'antico grido; e il greco Alfeo , 

Questa» io sento gridar, fu la sua colpa; Che dal fondo del mar non lungi s'alza, 
Ciò punisce Taugel, che il cor gli rode E costanti gli affetti e dolci Tacque 
Su la rupe caucasea, e non le tolte Serba tra quelle dell'amara Teli. 

Dalla lampa del ciel sacre faville. Ma cosa forse più ammiranda e forte 

Quindi V uomo a rifar Prometei nuovi Colà m' apparve: spaziose, oscure 
Si volgono,e dell'uom, non che il pensie- Stanze sotterra, ove in lor nicchie, come 
L'intero senso ad emendar si danno, [ro, Simulacri diritti, intorno vanno 
Perdono appena da costoro impetra Corpi d'anima vóti, e con quei panni 

Qael popol rozzo, che le sue capanne Tuttora in coi l'aura spirar fur visti; 
Niega d'abbandonar, perchè de' padri Sovra i muscoli morti, e su la pelle 
Levarsi, e andar con lui non ponno l' os- Così l'arte sudò, così caccionne 
Perdono appena la selvaggia donna, [sa. Fuor ogni umor, che le sembianzeantiche , 
Che del bambin, cui dalle poppe Morte Non che le carni lor, serbano i volti 
I^ distaccò, va su la tomba e spreme, Dopo cent'anni e più: Morte li guarda. 
Come di se nutrirlo ancor potesse, E in tema par d'aver fallito i colpi. 

Latte dal seno, e lagrime dagli occhi: Quando il cader delle autunnali foglie 
O il picciolo feretro all'arbor noto Ci avvisa ogni anno, che non meno spesse 

Sospende, e il vede, mentrespira il vento. Le umane vite cadono, e ci manda 
Onoeggiar mollemente,e agli occhi illusi. Su gli estinti a versar lagrime pie, 
Pia che di bara, offrir di culla aspetto. Discende allor ne' sotterranei chiostri 
Ma questi grati ed innocenti errori Lo stuol devoto, pendono dall'alta 

Non furo ancor ne' popoli più dotti? Lampade con più faci; al corpo amato 
Ma non amò senza rossor le tombe Ciascun si volge, e su gli aspetti smunti 

Berna, Grecia ed Egitto? A te sia lieve Orca, e trova ciascun le note forme; 
La terra , o figlio, e i bassi tuoi riposi Figlio, amico, fratel trova il fratello, 
"Nulla turbi giammai, dice una madre, L' amico, il padre: delle fari il lume 
Quasi alcun senso, una favilla quasi Così que' volti tremolo percuote. 
Di vita pur nel caro corpo creda. Che della Parca immemori agitarsi 

Memorie alzando, e ricordanze in marmo, Sembran talor le irrigidite fibre. 
Tu vai pascendo, satollando vai Quante memorie di dolor comuni, 

L' acre dolor, che men ti morde allora. Di comuni piacer! Quanto negli anni 
Men da te lungi a te pajon quell'alme. Che sì ratti passar viver novello! 
Di cui lespoglie, ond' èran cinte, hai pres- Intanto un sospirar s' alza, un confuso 
Che dirò delle tue, Sicilia cara, [ so. Singhiozzar lungo, un lamentar nonbasso» 
Delle tue sale sepolcrali, dove Che per le arcate ed echeggianti sale 

Co' morti a dimorar scendono i vivi ? Si sparge, e a cui par che que'corpi freddi 
Foscolo, è vero! il regno ampio dei Rispondano: i due mondi un piceni varco 

[ venti Divide, e unite e in amistà congiunte 
Io corsi a' miei vercf annt, e il mar si- Non fur la vita mai tanto e la morte. 

[ cano Ma stringer troppo e scompigliar quaU 
Solcai non una volta, e a quando a quan- [ che alma 

Con pie leggier della mia fida barca [ do Questa scena potria. Ne* campi aviti 
Mi lanciava in quell'isola, ove Ulisse Sorge e biancheggia a te nobil palagio, 
Trovò i Ciclopi, io donne oneste e belle. D'erbe, d'acque, di fior cinto, e di molta, 
Co«e ammirande io colà vidi: un monte Che i tuoi padri educaro, inclita selva: 
Che fuma ognor, talor arde e i macigni Riposi là, se più non bee quest'aure 
Tra i globi delle fiamme ai cielo avventa. L' adorata tua sposa. Un bianco marmo. 


192 CRESTOMAZIA. POKTIG.i 

Simbol del suo candor, chiudala, e l'offra Bei sentieri, antri freschi, opachi seggi, 
Le sue caste sembianze un bianco marmo. Lente acque, e mute all'erbe e ai 'fiori 
Ma il solitario loco orni e consacri [ in mezzo, 

lleligìon, senza la cui presenza Precipitanti d*aIto acque tonanti, 

'JVopp ) e a mirarsi orribile una tomba . Dirupi di sublime orror dipinti , 
Scorra ivi e gema il rio, s' imbruni il bo- Campa e giardin, lusso erudito, e agreste 
E s' incolori non lontan la rosa, [ sco, Semplicità; quindi ondeggiar la messe, 
Gbe tu al marmo darai spiccata appena. Pender le capre da un'aerea balza, 
Non odi tu per simil colpo il fido La valle mugolar, belare il colle; 

Pianger vedovo tortore dall'olmo? Quiuri marmoreo sovra Ponde un ponte 

Quando più ferve il dì, quandopiùi campi Curvarsi , e un tempio biancheggiar tra 
Tacciono, il verde orror della foresta , [il verde, 

Che il sole indora qua e là , ti accolga. Straniere piante frondeggiar, che d'ombre 
Nel rio, che si lamenta, e in ogni fronda. Spargono americane il suol britanno. 


Che il vento scuota, sentirai la voce 
Della tua sposa* con le amiche note, 
Sotto il suo busto nella pietra incise. 
Ti parlerà: Pon, ti dirà, pon freno t 
CarOt a tanto dolor-' felice io vivo . 
£ quando il più vicino astro su i campi 
La smorta sua luce notturna piove, 
Pur t'abbia il bosco; candida le vesti, 
£ delle rose, che di propria mano 
Per lei spiccasti, incoronata il capo. 
La tua sposa vedrai tra pianta e pianta; 
Ambo le guance sentirai bagnarli 
Soavissime lagrime, e per tutta 
Scorrerti l* alma del dolor la gioja. 

Così eletta dimora e sì pietosa 
L*Anglo talvolta, che profondi e forti. 


£ su ramo, che avea per altri augelli 
Natura ordito, augei cantar d'Europa: 
Mentre superbo delle arb tree corna 
Va per la selva il cervo, e spesso il capo 
Volge, e ti guarda; e in mezzo ali* onde il 

. [ cign 
Del pie fa remo, il collo inarca, e fende 
L' argenteo lago: così bel soggiorno 
Sentono i bruii slessi, e delle selve 
Scuoton con istupor la cima i venti. 
Deh perchè non po>s* io tranquilli passi 
Muover ancor per quelle Jvie, celarmi 
Sotto r intreccio ancor di qu»».' frondosi 
Rami ospitali, e udir da Innge appena 
Mugghiar del mondo la tempesta, urtarsi 
L'un contro V altro popolo, corone 


Non meno che i pensier, vanta gli affetti. Spezzarsi e scettri! Oh quanta strage! Oh 

[ quanto 
Scavar di fosse, e traboccar di corpi, 
K ai condotlier trafitti alzar di tombe ! 
^ Ne già conforto sol, ma scuola ancora 
Sono a chi vive i monumenti tristi 
Di chi disparve. Il cittadin, che passa, 
Gira lo sguardo, il piede arresta, legge 
Le scritte pietre de' sepolcri, legge.» 


Alle più amate ceneri destina 
Nelle sue tanto celebrate ville. 
Uve per gli occhi in seno e per gli orecchi 
Tanta m'entrava e sì innocente ebbrez- 

[za. 
Oh chi mi leva in alto, e chi mi porta 
Tra quegli ameni, dilettosi, immensi 
Boscherecci teatri! Oh chi mi posa 


Su que' verdi tappeti, entro que' foschi , Poi,suo cammin seguendo,in mente volge 
Solilarii ricoveri, nel grembo Della vita il brev*anno e idi 


Di quelle valli ed a que' colli in vetta! 
Non recide colà bellica scure 
Le gioconde ombre, i consueti asili 
Là non cercaro invan gli ospiti augelli; 
Ne primavera s* ingannò, veggendo 
Sparito dalla terra il noto bosco. 
Che a rivestir venia delle sue frondi. 
Sol nella man del giardinier solerte 
Mandò lampi «olà l' acuto ferro, 


perduti, 
£ (lice: Da qual ciglio il pianto io tersi? 
Non giovan pun lo, io sol lo, i carraresi 
Politi sassi a una grand'alma in cicb, 
Dove altro ha guiderdon, che gl'inlagliaK 
Del Lazio arguti accenti, o" le scolpite 
Virtù curve su V urna e lagrimose. 
Ma il giovinetto, che que' sassi guarda, 
Venir da loro al cor sentesi un foco, 
Che ad imprese magnanime lo spinge. 


[mi 
Che rase il prato, ed agguagliollo, ei ra- £igli mirar, di cui risplenda il nome 
C-he tra lo sguardo e le lontane scene Ne* secoli futuri, o mia Verona, 
Si ardivano frappor, dotto corresse. Non curi forse? Or via, que* simulacri, 

Prospetti faghif inaspettati incontri, Che nel tuo foro in miglior tempi ergesti; 


SECor.O DECIMONONO 193 

i danqot al suol : cada dairalto Sonni anch' ei dormirà non meno illu- 

divioo Fracastor; dairallo CWi le non mal note aline dai lan'xì [ siri, 

liti f spezzato in cento parti D^ un vile ozio sciorriansi; e di novelli 

ingrato terrea MafTei rimbombi. O in f;aerra o in nare salutari eroi 

io vorrei nelle città piii illustri Feconda torneria la morfa polve. 
to sacro ove color che in grande Bella fu dunque e generosa e santa 

o in nmìt cose più graudi opraro La fiamma che t'accese, UGO,e gli estremi 

•er con unor pari in superbo DclPuom soggiorni a vendicar ti mosse, 

giacer sul lor guancial di polve. Perche talor con la febea favella 

umano signor per la cui morte Sì li nascondi eh' io ti cerco indarno? 

enti sol non si vedran que'\oUi £ vero chiodi a poco innanzi agli occhi 

el cenere regio adulatrice Più lucente mi torni, e mi consoli : 

di Fidia su la tomba sculse ; Così quel liumc che dal pnro laco 

servo che recò la patria in corte Onde lieta è (jiuevra escecilestro ', 

niubtro e cittadino a un tempo; Poscia che alquanto viaggiò, sotto aspri 

luce che col nudo acciaro in pugno Sassi enormi si ceia, e su la sponda 

IO amar .<eppe, e che i nemici tutti, Dolente lascia il pcilegrin, che il passo 

sso ed anco la vittoria vinse ; Movea con lui : ma dopo via non molta 

saggio che trovò gli utili veri Sbucare il vede dalla terra, il vede 

rovarli meritò; quel vate Fecondar con le chiare onde sonanti 

ritto el*be di por nel suo poema Di nuovo i campi e rallegrar le selve, 

tu, che nel petto avea già posta : Perrbè tra l' ombre della vecchia etade 

elio industre i veti lor sembianti Stendi Innge da noi voli sì lunghi ? 

streria : nella sua sculta imago Chi d* Kttor non cantò? Venero anch' io 
i, mirale, ^a la bontà che impressa >i//o raso due volte y e due risorto, 

►r portò ; quegli la fronte increspa L' erba ov' era Micene, e i sassi ov' Argo; 

omun bene ancor pensa nel marmo. ^}à non potrò da men lontani oggetti 

elle vene d' un eroe che trasse 1 rar fuori ancor poetiche scintille ? 

occhi sol de' suoi nemici il pianto Schiudi al mio detto il core : antica l' arte 

ì il bellico ardir : là un oratore Onde vibri il tuo strai, ma non antico 

tende la man, cosi le labbra Sia l'oggetto in cui miri : e al suo poeta, 

laover par cfa^ tu l'orercbio tendi ; Non a quel di Cassandra, Ilo ed Elettra, 

nella faccia che gli è presso, il sacro Dall'Alpi al mare farà plauso Italia. 
•0 furor vedi scolpito. Così delle ristrette e non percosse 

.'tra gode, e si rallegra il bronzo Giammai dal sole sotterranee case, 

rar qua e là scettri clementi , ^o parlava con te, quando una tomba 

sti brandi, e inviolati allori , Sottoallo sguardo mi s'aperse, e ahiquale ! 

soavi e non servili o impure. '^»^» >o s*«sso fuggir rapidamente 

lo la scena del corrotto mondo ^?**l« guance d'Elisa il so!it' ostro , 

ensi attrista od il cor prostra, io entro '^ languir gli occhi, ed un mortale affanno 

mitero augusto e con gli sguardi Senza posa insultar quel scn che mai 

di volto in volto; a poco a poco Sovra le ambasce altrui non fu tranquillo, 

una vena penetrar di dolce ^"^ del reo morbo l'inclemenza lunga 

imaro che inondami, e riprende l^Uenlar parve ; e già le vesti allegre 

ze prime e si rialza 1 alma. (chiedeva Elisa, col pensiero ardito 

n quel vólo colà 've monumento ^} ^^^ Novare suo 1* aure campestri 

' erge alcun, quali parole nere Già respirava ; ed io, credulo troppo, 

• vegg' io su la parete ignuda? Sperai che seco ancor non pochi soli 

t che primo di que' grandi aduno Dietro il vago suo colle avrei sepolti. 

elbel chiostro dormono con Co- Oh speranze fallaci! Oh mesti soli, 

[pre Che ora per tutta la cetesie volta 

glierày deporrà in questo loco ^" <^"n sospiri inutili accompagno! 

ita e,inmarminonminori chiù- Foscolo, vieni e di giacinti un nembo 

[ so, * Il llOi!a..o. 

>£OPARDi, Crestomazia. II. V^ 


194 CRESTOAAZIA POETICV 

Meco spargi su lei: ravvisti a tempo, £ nel vólo palagio ecco mi trovo. 

I miei concittadin miglior riposo fgu Stillan le volte, e per 1' aperte sak 

Giàconcedono ai morti; an proprio alber- Passa ululando l'aquiioo, né tace 

Quindi aver lice anco sotterra, e a lei Nel cavo sen dell' ozI«>se scale. 

Dato è giacer sovra il suo ccner solo. E pender dalle travi odo loquace 

Ecco la patria del suo nome impressa .* Nido, entro cui tenera madre stasst 

Che delle madri ali* ottima la grata I frutti del suo amor covando in pace: 

Delle figlie pietà gemendo pose. Quindi sul campo con gli erranti pasti, 

l\endi, rendi, o mia cetra, il più soave Per via diversa dalla prima, io torno: 

Suono che in te s'asconda, e chea traverso Veg<{0 persona tra i cespugli e i sassi. 

Di questo marmo al fredd'orecchio forse Sedea sovra il maggior masso, che un 

Giungerà. Che diss' io? Sparì per sempre [ giorno 

Quel dolie tempo che solca cortese Sorse nobil metà d*alta colonna : 

L'orecchio ella inchinare a' versi miei. Abbarbicata or gli è V edera intorno. 

Suon di strumento uman non v'ha che M'appresso; ed era ossequTabii donna: 

[ possa Scendea sul petto il crine in due diviso, 

Sovra gli estinti, cui sol fia che svegli E biauca la copria semplice gonna, [so 

De' volanti del ciel divini araldi Vat che lo sguardo al ctel rivolto e £• 

Nel giorno estremo la gran tromba d'oro. Ì^AÌt nubi si pasca, e tutta p(^ 

Che sarà Klisa allor? parie d'Elisa L' alma rapita nel beato viso. 

Un' erba, un fiore sarà forse, un fiore, Chi sei? le dico; ed ella, i rai pensosi 

Che dell'aurora a spegnersi vicina Chinando, Solitudine m* appello. 

L'ultime bagnerm roride stille. O diva, sempre io t* onorai, risposi. 

Ma sotto a qual sembianza e in quaicon- Metteadal mentoappena ilfiornoveilo 

Dell'universo nuotino disgiunti [trade Ed uscendo ( tu sai che parlo il vero ) 

Quegli atomi ond' Elis ì era composta , Dal folleggiar d' un giovauil drappello , 

Rluniransi e torneranno Klisa. In disparte io traeva; e se un sentiero 

Chi seppe tesser pria dell'uom la tela Muto e solingn a me s'aprìa, per esso 

Ritesserla saprà ; l' eterno Mastro Mi lasciava condor dal mio pensiero. 

Fece assai più quando le rozze fila Poscia delle città lodai più spesso 

Del suo nobit lavor dal nulla trasse ; Rustico asilo, e più che loggia ed arco, 

£ allor non fia per circolar di tanti Piacquemi un largo iaggio e un buon ci- 

Secoli e tanti indebolita punto [no. [ presso. 

Ne invecchiata la man del Mastro eter- Questoso ben: ma che sovente al varco 

Lode a lui, lode a lui sinoaquel giorno. Un nume t'aspettò, pur mixammento» 

Ippolito Pindemonte. Riìpose, e che per te sonar fé' l* arco. 

E stato fora allor parlar col vento 

27. La solitudine. II parlarti de' campi, e morte stato 

Far un passo lontan dal tuo tormento. 

Picn d'uncaropensierche mi rapiva, Ma tutto de' tuoi giorni era il gran fato 

Giunto io mi vidi ove sorgean d' antica '"Seguir la tua giovine maga, e meno 

Magion gli avanzi su deserta riva. Curar la vita che Io starle a lato^ 

Cinge le mura intorno alfa 1* ortica , E> dal torbido sempre o dal sereno 

K tra le vie della cornice infranta Lume degli occhi suoi pendendo, berne 

L' arbusto fischia e tremola la spica. L' incendioso ior dolce veleno. «» 

Scherza in cima la vite o ad altra pian- E vero, è ver : ma chi mirar l'eteroe 

[ ta , Può in man d' amor terribili quadrelli, 

In giù cadendo, si congiunge e allaccia, E non alcuna in mezlo al cor tenerne, 

K idi ghirlande il nudo sasso ammanta : S' egli al fianco si pon d'una donzella 

E con verde di musco estinta faccia Che ad una fronte che qual astro raggia 

Sculto nume qui giace, e 1' umil rovo Giunga iusè stessa ogni virtù più bella; 

Là gran pilastro rovesciato abbraccia. Chemodesta ci sembri e non selvaggia,. 

M'arresto; e poi tra la folt'erbamovo: Varia ne mai volubile ; che V ore 

Troppo di cardo o spina al pie non cale, Viva tra i libri e pur rimanga saggiaf 


SECOLO fìECIMONONO 195 

tii, l' esperienza e il core Gode Tolar; dì moudo in mondo passa , 

Passa di meraviglia in meraviglia. 
Levando allor la (roote trista e bassa, 


!0 ed il pensier, che ad altro è 

[ volto, 
esso potran farmi signore. 
; allor sorrriso tal, che al volto 
* maestà crebbe dolcezza, 
diva; e così dir 1* ascolto : 
di me seguir pnnge vaghezza ; 
)gnor come a poc' alme infondo 
verace della mia bellezza. — 
mi 5egue,perchè scorge immon- 

[ do 
di viltà quantunque ei mira: 
9n ama me, detesta il mondo. 
ma me chi del suo prence l' ira 
estossi ed in romita villa 
tiontario il pie ritira; 
Iure del treno, onde scintilla 
n balza, egli odia, odia Paspctto 
e livat che ne sfavilla, 
hi la lontananza d' un soggetto 
Ile prima il fea contento e pago 
sse partendo il cor del petto; 
un romito ciel si mostra vago > 
r vagheggiar libero e oscuro 
ir aere 1' adorata imigo. 
voti d' nn cor, ohe non è puro, 
li lui che in me cerca me slessa 
iltari e i sacrifizi io curo, 
auto a pochi è dagli dei concessa 
e sol di se si nutre e pasce ! 
dì che a lei spunta è sempre 

[ dessa ! 


Deh! grido, se ti piate il culto mio, 
E che pensi di me, saper mi lassa. 

Il tuo culto sprezzar no non poss' io : 
Ma scosso appena dalle gialle fronde 
Avrà r autunno il lor ramo natio, 

Che tu darai le spalle a queste sponde, 
E d'altro filo tesserai la vita 
Ove città sovrana esce dell* onde. 

Né però dal tuo core andrà sbandita 
La voglia di tornare ai bosco e al campo 
Tosto che torni la stagion fiorita. 

E se noi vieta di due ciglia il lampo, 
Se una dolce eloiquenza non ti lega , 
Ti rivedrò; né temo d^altro inciampo. 

Ciò detto, in pie levossi ; ed io: Deh! 

[ spiega 
Se ancor mi s^appareccbia al core un dar- 

[do. 
Ella, già mossa: Il labro tuo mi prega 

Di quel che dubbio pende ancoal mio 

i; sguardo . 
Ippolito PindemoHte. 

28. Origine del corallo. 


Pria che il nocchier pel regno ampio dei 
Levasse ardite vele,e potè umano [venti 
Cuore l' aspetto sostener dell' acque, 
D* orride forme albèrgo e di portenti 
E d'alte meraviglie era e di mostri 
Qor vive a se cara! Uom che le L* invì'olabil mare. Il navigante , 

[ ambasce Cui non molto partia dal patrio lido 
•rso, torcendo in se la vista, Pauroso camrain , fra le sonanti 

-à, questi per me non nasce. Tempeste il guardo palpitando spinse 
1 sol qualche ben nel vario acqui- Neil' alta notte. E vide emerger truci 

[ sta Dall'onde combattute immani aspetti, 
, perchè in lui strugge e disperde E vagolar fantasime, cui spesso 

Irradiava e di terror pingea 
Il fuggente baleno; e dalla poppa 
Lui diverso feria d' ignote belve 
Tale un tumulto e d'urli alto frastuono 
Che torse gli occhi esterrefatto e vinto. 
Poi come cesse la tempesta, a| tremulo 
d* uom non gli vien contro al- De le stelle cadenti ultimo raggio, 

[ cuna , A 11' attonito ciglio il mar dischiuse 

Meraviglie non viste: il mar cui lieve 
Aura careggia a la nascente luce. 
Vide gemmate conche ori-lucenti 
Di solido ametiste e di cora'io 
Lievi a fior d* onda sorgere, e sedersi 
Diresembianze in quellej eli marin carr» 


cenza di se stesso trista, 
lucido colle, o per la verde 
un bosco, co' pensieri insieme 
li dolci sogni, in cui si perde, 
già il mìo fedele; e duol non 

[ preme, 


è stesso ritrovar non teme; 
silenzio della notte bruna 
i fissar gode le ciglia 
ro!to soave, o argentea luna; 
*ampia degli astri aurea fami- 

[filia 


190 CRE$TOMAZIA POETICA 

Dell* ondivaga Tet», a cui fra il rauco Andromeda fu segno, e al ìnarin tnosfro 
Suon delPonde sbattute e ì raggi infranti (Cosi volle il destin, così Io sdegno 
Divin corteggio le tritoote schiere Puote in divini petti) in sullo scoglio 

Fean colle gravi buccine sonanti. Fu proferta, le belle membra igAuda, 

£ fama anco s* udia che nella qneta Dalle irate nereidi, il ciel veloce 

Notte, infauste al nocchier, voci soavi Sovr* alato destrier di Danae il figlio ' 
Via per 1* onde corressero di ninfe: Trascorrea d' Etiopia ; e in giù chinando 

Voci infauste al nocchier, cui la dolcezza 11 generoso sguardo, al disonesto 
Vinse del canto ingannatore, e il rapo Supplizio di magnanima pietade 
Grave dal sonno reclinando, cadde Si spinse: e stretto iu man l'atroce teschio 

Dairalta poppa, e tomba ebbe nell'acque. Della spirante gorgone immortale. 
Di portenti argomento e di delitto, £i nel rigor di sasso il fero strinse 

£ d'occulte paure, il mar sorgea Immane orrido mostro ; a la cui sozta 

Dinanzi all'uom, che dall* antico seggio Crudcl fame, dolente erano invito 
Cui lo strinse Natura il guardo e l'alma Le ignude membra della mesta offesa. 
Spingea ver (jncllo tuttavia tremando. E poiibè cesse il turpe assalto, in terra 
Ma come al terzo regno aditi aperse Po>ò 1' infausto capo, e le man volse 

Acre necessilade, e V uonif cui dotto A la donzella , cui di ceppi intanto 
Fé sperlenza nelle ardite imprese , Greve pc^do il bel corpo affaticava. 

Trovò, dono del ciel, come si vinca Bebbe la rena allor del serpentoso 

Del gran padre Occàu la procellosa Capo il sangue stillante; e dove tocche 

Ira temuta ,• vincitor le vele Del sopposto terreno ebbe le frondi. 

Alzò dinanzi ai venti, e trovò modo Per subito rigore ogni virgulto 

Di spiar giù ne' fondi umidi, albergo Fu vòlto iu pietra e nel color aanguìgao; 
Inviolato delle ninfe ; e tutte £ le dive del mar colse vaghezza 

Alle sue mani si recò dell'onde Del veduto prodigio; e agli arboscelli 

Le ricchissime spoglie un tempo ascose. Che sul fianco sedean de* scogli ignudi , 
Né te più lungamente, o di romita Quella imago appressando, e a le verd*ai- 

Stanza e di freddi spechi e di caverne Di non più viste proporine selve [gbc 
Parto gentil, purpureo corallo, 11 regno d' Anfitrite andò superbo. 

Obbliò dispregiando. Umile arbusto. Ma pr<ichè i duri stami acuto ferro 
Fra quante cresce il mar piante e virgulti Svolse dapprima, e la virtù si accrebbe 
£ lievi spugne e verdi alghe natanti. Per sopposto cristal de le papille , 
Ignoto ci nacque, e scolorando i rami Filosofia dal ver l' ombre rimosse 
Per soverchia vecchiezza, il roseo manto De' sogui ascrei. Naturala se l' industre 
Si fé rancio non visto; o dallo spesso Lavor, che di viventi alme fea nido, 
Picchiar dell' onde e de' squamosi dorsi Rivendicò ; che delle man sue dive 
Boso e infranto si giacque. Entro a' ma- Opra è il corallo e quanto l'universo 
Umid' antri u'avean cura e diletto [rlni Per ignota cagion pasce ed abbella. 
Sol le nereìdi, e ne ingemmar le avvolte £ poiché sovra saldo immobil trono 
Chiome e i riposti talami e la stanza Locò il sole, e alle sfere ordine impose 
Della bionda Anfitrite e del possente Dell'Olimpo sublime, e all'uom fé dono 
Scotitor della terra almo Nettuno. Di conoscenza, liberal si rese 

Di Cecrope la storia opra divina Natura a più .«cottili opre ammirande. 

£sser disse il corallo, e al favoloso Finse di fior la terra, e le beanti 

Nascimento plaudir del roman Pindo Fragranze, amor d' eteree nari, accolse 
L' alme sorelle, poiché in molle, ornato, Entro a bei fiori, e colorì le foglie 
Nitido verso s'awolgea, maestro De' raggi che in suo grembo Iri dipinge. 

D' amorosi precetti, i' infelice Indi a pe>ci di lucide rotelle 

£sul di Ponto % a cui del trasformato Fu cortese e di vago argenteo ammanto, 
Mondo gli aspetti primi, e le novelle £ die piumosi e colorati i vanni 
Forme diverse un dio cantando apprese. Agli augelli e di canto anima e voce f 
Poiché della superba ira di Giuno £ distinse di fregi e macchie d* oro 

^Ovidio. ' Perseoi 


SrXOLO DECIMONONO 


i97 


leggerissime farfalle, 
gii legae iafra le punte or meco 
i ardoc li affretta e fra le sirti : 
:iaai|K> al nocchier , che palpi- 

[taudo 
ì addita e le domanda infami. 
M* onda il mar, né sospir d*aure 
intorno comraove. Ecco a fior di 

[onda 
scoglio emerge. Or giù nel fondo 
1 negri fianchi delia rupe 
echio, che spesse e caporolte 
rcdrai le coralline piante, 
ludo macigno si riposa 
ente ciascheduna e impronta 
(nggel, né dal sopposto sasso, 
ise, nodrimento bee. 
» seme nascono, ne certa 
par di radici entro cui passi 
lor che le fecondi e cresca. 
»lo petroso il pici iol fusto 
da questo alterni e multiformi 
di foglia ignudi e di corteccia 
ni, cui di spessi nodi 
lura spiacente anco difforma. 
lio oltre si spinge, e noi disvia 
pusto umor, siccome punte 
barbaro Cacto arma il solcato 
lungo il ramoso ordine vedi 
ente partite e in fasci accolte 
lobili fila. Indarno estimi 
^0 difesa abile appresti 
arida man ; che, se di lieve 
iproviso abbia sentar, le aggua- 
glia 
) e le commette, e non t' è dato 

quelle scorgere né loco ; 
bianche gocciole minute , 
eder, si grandina e punteggia: 
otesimìl per V umid'erbe 
lita chiocciola, che il nodo 
icente muscolo protende 
guscio nativo e move lenta 
) delle stelle; a cui se intoppo 
accorre, la cornuta fronte 
1 nicchio rilira, e la patente 
Qiiida spuma occupa e chiude. 
Cesai'Cjiricifìì corallo, e. L 

serse generazioni di pecore. 

fecondo il dima e la natura 
Jie le ricetta, indole e forma 
le pecorelle: come in terra 


Non una è de* cavalli e de* segnaci 
Veltri la specie e de* volanti augelli, 
Se ben discerni , troverai diversa 
L* un' agnella dell* altra; e la fatica 
£ lo stadio a mal fin quagli conduce , 
Se non bada alla scelta allorché attende 
Di nuovi capi a ingenerar V armento. 
Premio invano ed onor spera dall' opra 
Chi mal vide da pria , cercando ali* ague 
Degenere marito ; e chi nel pieno 
Felice ovil ne trascegliea qoell' uno 
Che tutti avanza in vigoria d* etade, 
Ricco di vaga prole altrui prevalse. 
Come fan duo nocchier, che, d*un mede^mo 
Lido salpando, al mar danno le vele: 
L* un , cui la vista non falli tra l'ombre, 
Per diritto cammin tocca a la meta; 
L* altro, cui ^ima traviò la notte, 
L* oscuro nembo o la piegata antenna, 
Fa ritroso sentiere e in mar si perde: 
K sì raffiNTiò i remi e , tutte ali* aure 
Predatrici le vele in alto alzando , 
Rapidissimo solco aprì fra l* onde; 
Ma non però dal corso utile alcuno 
Gli vien, che in peggio il primo error lo ad- 

[duce. 

La bellicosa Cimo <, aspra d* inturno 
D* eccelse rupi, in sen cresce e nutrica 
Arieti , che forti e a spira avvolte 
Verso gli orecchi hanno le corna, e i cervi, 
Così veloci movono correndo, 
Lasciansì indietro e le silvestri fere. 
Tra i faretrati Persi e i Caramàni 
Coda enorme protende, al mover lenta. 
L'orientale agnella; e di più corna 
Sotto r adusto cielo orna la fronte, 
£ come cervo solitaria imbosca. 
Or, pari ali* asinel, dalla ramosa 
Testa lunghe nna spanna prone cadono 
In giù le orecchie; or di gran gobba il dorso 
Va distinta fra gli Indi; e dove Innga 
Sporge in altre la coda, una gran massa 
Di lento adipe solo alla numida 
Ed all' araba agnella i lombi aggreva. 
Ma, che intera una greggia a guardar 
Novellamente , o ricrear soltanto [prenda 
Ami la tua (che trascuranza , e a caso 
Male assortite nozze o clima avverso 
Invilir fra pochi anni], a te 1' altrice 
Non roen di mostri e di nocenti belve 
Che di (orti animali Africa mandi 
11 generoso ariete , e con qoello 
Bino velia la specie e il gregfe adevpi. 

^ L* isola di Cortica, 


i98 CRESTOMAZIA POETICA 

Se tardi prende accrescimento e forza Tra i fertili si vide immensi piani] 

Sua venturosa prole, a lei natura Della betica terra , ogni desio 

Un più largo confin di vita assente ; Del riveder la patria in Ini si tarqne; 

E dove altra si giace inutil* ossa Quivi pose Tovil, quivi ebbe regno 

Già preda della morte al terzo iastro , £ ferma stanza; e il ferro indi, che tutti 

Quella pur si feconda ed al travaglio Insanguinò que' campi, a le capanne 

Vale de* parti ed a lattarne i figli. Perdonò de' pastori ed agli armenti. 

Candida il roseo corpo e in ricci avvolta Guarda, ch^ un misto di selvaggio ancora 

Copre morbida lana, e al tatto agguaglia Dell' inospite suolo onde a noi venne 

Molle bambagio, che al niliaco Egitto Ti palesa il merin ! se non che il grave 

£ ne' campi maltesi appar del grembo Contegnoso andamento e 1* altereua , 

Dello squarciato calice diffuso. Dell' ispanica terra esser ti dice 

Quindi l' Ibero dai propinqui lidi Abitatore. Or chi n' acquista, al vdlo 

D'Africa lo raccolse; e il Tago e l'Ebro Badi, agli atti, alle forme, onde non erri 

Primamente pascean del fortunato Nella scelta il giudicio, e di non vera 

Gregge le torme ; e quindi oltre Pirene Ignobil razza adempia indi l'ovile. 

Varcaro nelle Galiie, e la divisa Tra le iberiche madri alto si estolle . . 

Alblon ne fé acquisto, e nll tno seno 11 maschio, e nell' andar libero e pronto 

Sotto cielo miglior tu l'accogliesti, Par che ad arte misuri e studii il passo. 

Italia mia, di quanto altrui comparte Scuro e vivace ha l' occhio, oltre misura 

L' alma Cerere e Bacco e Pale e Flora Largo il capo e compresso, irte le orecchie, 

Non manchevole madre e pronta altrice. £ giù ravvolte a spira ambo le corna. 

Ma chi dal natio seggio a più benigne Denso ha il ciuffo elevato e sime nari, 

Piagge, all' Ispano suol primo le trasse ? Grossa cervice e breve còllo, e largo 

Qoal più caso o fortuna a noi fé dono Frai rilevati muscoli si spande 

Del pellegrino ariete, che tutti Lanoso il petto; in molto adipe avvolta 

Abbandonando della patria terra Tonda è la groppa, e molle si riposa 

I ritrosi costumi, a miglior culto Sovra 1' anca piegata agile e pieno. 
S' arrese obbediente, e nuovo assunse Come suole apparir purpurea veste 
Abito e tempre e di merino il nome? Sotto candido vel che man gentile 
Tra le prische memorie e nell' incerto Suppone e di leggiadro abito adorna 
Volgerdegii anni il guardoalcun non pose; Alcuna delle Grazie, ove i condensi * 
Ne dell'esule armento ai nostri lidi Bioccoli mova, ti parrà la cute; 
Alcun notava i tempi, e sì beli' opra Ma se tanto è sottil che dell'errante 
Dalle muse convenne esser negletta. Sangue gli avvolgimenti appaion tutti » 
Forse rasa dal lito africo appena Sta però salda nei tenaci bulbi 

Era Carlago , e calda ancor la strage La contessuta lana oltre a duo remi. 

Della punica rabbia, allorché addotto Tal forse era il monton che di Lihetra 

Venne all'ultima Gade il primo armento: Sull'ara apparve ai giovinetti figli 

Se così piacque al vincitor Romano, . Del tebano Atamante; e tal si fece 

Fra l'altre opime spoglie e Tauro e l'armi II gran padre de'numi allorché, centra 

Della vinta città, nelle felici Tiféo gli sdegni differendo e i tuoni, 

Glebe recarlo dell' ausonia terra ; Stampò di bifid'orma il suol d' Egitto ; 

Onde il Calabro poscia e il tarentino E smarriti il seguian conversi in belve 

E il milesio pastor V itale schiatte Del combattuto Olimpo i fuggitivi 

Bigeneràr, siccome intorno è grido. £igliy esulando alle terrene sedi. 

E forse allor che tutt' Africa in armi C. .<^We/^ La PàstorUia, 1U>. Y. 

Con barbarica possa entro i confini 

Si versò delle Spagne, onde sì cruda 30. Il viaggio malinconico» 

Volse fortuna un dì con dubbio Marte , 

L'ire seguendo de'suoi re, l'insegne Com'nom che, ignaro della ▼ia,si mette 

II nomade pastor movea dall'arso Per ignoto cammino alla ventora. 
Terreno^ e affidò al mar coU'ampie greggi Mesto in core e pensoso, a le mie hdle 

/ vagabondi lari, E come giunto Colline io dissi ed alla patria addJO| 


SI- COLO DFCIMONONO i90 

è forte ancor mi preme e strugge Delle nozze festivi in ch'io la trassi 

pianto la memoria e il fato A diportarsi per le ville opime, 

he morte dispietata e fera E le amene isolette che la bella 

1 fiore de* begli anni suoi. Romana Lesbia e il tenero Catnllo 

ingiunti, ne d'amici il dolce Ebbero care. Ahimè! chi detto avria 

enne desio, né Pamor santo Che vedovo e solingo e abbandonato 

• figlio; e non la chiara e bella Per Torme istesse ancor, ninfe pietose, 

ia amistà che a te mi strinse, Destin mi fosse di tornar fra voi? 
donna, onor del mìo paese, Stretto d'amare rimembranze il passo 

le' tuoi: che, dove aspra ne incolga Recai vèr Baldo, che dal verno irsute 

iagura, anco la terra istessa Leva le fronti trarupate al cielo: 

die vita, e i teneri parenti Pur com'uom cui disvia cura profonda 

mi del pianlo, e i dolci amici Dal retto intender della mente. E vidi 

travaglio all'affannato core. La non pria vista ancor, ma riverita 

'austero di sofia precetto Dentro all'intimo petto, per le accolte 

ro che commiseri all'afflitto Arti felici e i liberali ingegni, 

; invan di ricordi e di parole Regal Verona. Infra quc' savi un seggio' 

conforto ove la doglia abbondi; 11 mìo buon genio apparecchiommi; ond'io 

samo rhe dolce a le ferite Fui degnalo del Circo o del Liceo, 

, e d'oblio le sparge e le rinserra, Cui già vide il cantor del molle Rijo 

itrio del tempo è conceduti). E il divin Fracastoro. Al cader primo 

rima, errante pellegrino, accolse Della tacita sera ecco per l'ampie 

erdi lauri e il margine fiorito Contrade e i calli obliqui in gran faccenda 

nulto dell'onde e i sacri ulivi Vociferando dileguarsi il popolo, 

padre Benàco. A' miei vcrd'anni, Ricuvrando al suo tetto, e al convenuto 

do il caro delle muse invito. Cenno avviarsi timida e sospesa 

qui m'ebbi; che fra queste rive, La verginella per udir parole 

e udisti, germinò la prima D'amore: ed io, cercando esca all'intenso 

ch'io cinsi poetando al crine. Dolor, mi volsi nel silenzio al loco 

n della speranza e dell'amore Infrequente; ai sepolcri, ove le mule 

qui venni allora, e lutto intorno Ceneri e l'armi stanno de' potenti 

li: e Itelo il cielo era, e la terra Scaligeri. Nessuno ancor mi occorse 

ma, e festivi i colli e l'acque, Monumento che parli airintelletto 

icata Pallade, i severi Più di questo. La storia ivi sta scritta 

n'aprendo del viril suo petto, Dei secoli feroci. Il brividio 

li porse per seguir la dolce Della morte mi prese; e tutte a tondo 

el canto e sue sante vestigia. Rigirando le sbarre onde si cinge, 

;non punte il tempo? E che non Dcntroa quell'arche mi parean commosse 

[cangia Fremer l'ossa, e sonar l' arme, e rizzarsi 

) in triste nostra mente afflitta Dalla cìntola in su le ferree facce 

vagli confusa? Oscuro il lago Dei sepolti vegliando alla difesa 

li, e mesto il cielo, e lagrimoso Del monumento. Ahi, che dormian l' c- 

) il colle, e nel siìcnzu) mula Ineccitabil sonno allor che ardito [terno 

a selva, e quando, le notturne Stranicr ruppe gli avelli, e razzolando 

visando, in flebile lamento Isella polve, monili e giaco e insegne 

squille ricordar la prece Tolse aglischeltri, e il manine le corone, 

voto mortai debbe agli estinti E al pugno chiuso ardì'nvolar la spada! 

orecchio,ahi lasso ! e per l'immenso E come l'un pensier dall'altro scoppia, 

dell'acque e por le valli e gli antri Qui mi soccorse ancor che nel ricinlo 

pechi romiti un miserabile Della città, devoto a la memoria 

levarsi da per tutto intesi. Di Giulietta e Romeo, funebre un sasiO 

le ninfe, del mio duol pietosa, Disventuralo amor pose, e la tarda 

[irrotto ira lor della perduta Pietà d'avversi genitori. Ond'io 

Ice sposa: ricordando i giorni Avidamente ne cercai ^ct V^\fi^t^ 


200 CRESTOMAZIA rOETICA 

Della notte, sostando ove d'antichi Qui anror di che dolerti abbia, o cortese; 

Tempi scorgea le venerande impronte: ^^hè il filtro, onde sopita ebbi la donni, 

Ma né più cippo alcun deirin felice Sciogliea già i s^nsi, e nel divincolarsi 

(coppia rammenta i nomi, ne delubro Quel misero, tra i freddi abbracciamenti, 

Più ne guarda le spof»lie, e sol fra poche ^'Jn raccapriccio fremere la vita 

Alme cortesi la memoria vive Sentì per quelle membra e tremar tutte 

Del fiero caso. Indarno ad ogni sasso ^ scaldarsi a*suoi baci... Amor di tanto 

Mi atterrai lacrimando, indarno a tanto ^^ lor benigno, e tanto ancor di vit» 

Amor compiansi; perocché Tarerba Bastò per abbracciarsi e saper come 

Istoria ancor mi ragionava in mente Amando aucora si moriano insieme, 

Di/quelTamico fraticel. — Cercato L'un di veleno e l'altra di dolore. 

A morte e a strania terra esule uscito Tardi iosorvennial monumento,ahi lasso! 

Bomeo, pur io promisi iu salvo addurgU Piangendo io il dico,e tupiangendoscrivi. 
Quando che fosse la sua donna e trarla Del cor Taugoscia alleviar cercando 

Dalle ingius!e del padre altere voglie: ^'}^^ J"» stringea, dall'ombra e dai ricinli 

Però che a' miei ginocchi amendue fórsi ^^^^'^ notturno al puro aperto cielo: 

Nel segreto gli amami, e benedetti A.1 gran ponte che l'Adige attraversa 

NelU sagramcntal pace gli strinsi. Sovra marmoree torri. Ivi il sereno 

Onde per mio consiglio ad ogni sguardo -^^""c spirando, mi parca che tutto 

Quella mesta si chiuse e, simulando Fo>se pace d'intorno: i campi e l'onde 

Fiere angosce, per la(?rime e digiuni ^^ ^^i città soggetta, a cui dal balzo 

Svenne, e a tutti fu chiaro il suo m >rirc; D'oriente splendea la bianca luna. 

Perch'io d'alta viitù nappo le porsi ^* novello di patria ira intervenne ' 

Che assonna, e tulli della vita i moli ^[^ quel silenzio allo argomento,e nuoto 

Sospende: uffici e sensi. A la mia fede l'ianlo, ch'ambo le rive, intra cui scende 

Creduta ella, sostenne esser condona Mormorando il sonante Adige altero, 

Nel sepolcro de'suoi: là d )vp, ahi lasso ! ^id'io scomposte e desolate. E quale 

Dileguata la turba e sciolto il piauto, Stupisce e geme, di lontan tornando, 

Scender dovrà per involarla, e meco ^^ monlanar sul campo o ne la valle, 

Bediviva condurre a serurtade. Se torrente im proviso impeto fece: 

Volò fidalo dell'esilio al loco ^^he trasportali i limiti e confusi ~ 

Tali avvisi recando indarno un messo; ^^c' podcr vede int«)rno. e dove all'aura 

Ma quello sventurato come seppe Bionde sorgean le messi, esser palude 

Per fama il caso e tenne per dolore E steril rena e sparse arbori e massi: 

Morta la donna, d'un letalsuo tosco A questa imago mi pungea la vista 

Fatto securo, disprezzò l'editto Di quc* lochi, cui lunga ha combattuto 
Che il persegufa, tornando alla sua terra Di servaggio vicenda aspra e di pugne. 

Non altro più che per vederla estinta Ne pur qui lieto è l'uom, né fortunata 

Ancora è in un con ella seppellirsi. I-a terra; che talor sorge e s'avvalla 

Cidi sventura I Ardilo e tutto chiuso Per cumuli e per fosse, orrendo a dirsi ! 

Nel suo dolor, venne furtivo all'arche Suona qui l'acre ancor di pianti e gri<l'5 

Abbandonate, e con ferrati ingegni Fuma ogni gleba ancor del sangue; e tratta 

Tolse la sbarra, e dentro si sommerse Dall'odio antico ond'arsero gli spirti 

L'infelice; avvisando a fioco lume. De' combattenti, per le gelid'ombre 
Cheavea con seco in testìmon dell'opra. Della notte ululando e lamentando 

La poverella, le man giunte al petto. Vanno le pugne a rinovar pei campi. 
¥. in bianco lino avvolta , in sulla polve P»ù lungo indugio non sostenni; e vòlt* 

De' padri suoi. La vide, e senza mente All' attica Vicenza, i digradanti 

Stette immoto sovr'clla singhiozzando Belici colli, e il bello ordine e i fregi 

E tremando; ma poi che venir meno Lodai del circo olìmpico, e i palagi 
Parve il ginocchio, e al cor stringersi il Onde il sovrano architettor die nome 

[sangue, Alla sua patria e splendido decoro. 
Bevve il tosco mortale, abbandonandosi Delbel tempio che al nome di Maria 

Sovr*airamàlo corpo. E non e tulio Sorge sul colle e i citladim affida 


SECOLO DKCMONONO 20 1 

pre$«; e con immenso affetto Quella appunto che, in bronzo effigiata , 

co sacrato sottentrando 'luni lari adorna, ottima Tosi, e il dolce 

, i riposi e gii umili perdoni, Offre tripudio del/a ?ita e il riso 

monte in vetta, e vie più lieve A^ scelti amici che ti fan corona, 

iiza mi rendea del loco E qui (siccome a pellegria cui duro 

ierio alla salita il passo. Fato cx>strlngc ad esular dal caro 

lor degli angeli, all'affitta Proprio paese alcun porge la destra, 

tta Madre, opre e pensieri £ ne storna il dolore, e nell'afflitta 

ì, anch'io di lagrime e di mirra Anima induce la speranza) un dolce 

profersi; e il cor, sepolto Amico ^, un chiaro delle muse alunno 

ato in pria, libero farsi E delle medic'arti a me fu incontro; 

l^er mollo e palpitar lo intesi. E mi raccolse e salutò, siccome 

'euganea terra infra gli illustri (Campato a marte o naufrago sbattuto 

:colse; e rome ognor più intenso ^^ gi"^" tempesta che raggiunga il lito 

rio mi pungea dell'alma Fuor d'ogni speme. A salutar' cnn^igU 

le correnti onde felici II labbro aperse il mio buon Redi; e l'arti 

l BreriU, mi recar nell'alto C le grazie e le mnse, a cui solenni 

i paludi e al mar sonante. In sua ricca maginn sacrò gli altari, 

igi apparir vidi fra Tacque M'adunò intorno; ma salute increbbe 

iltade, Oh salve, io dissi, altero All' egro spirto, ed a' conforti il cnore 

o forte dell'adriaca Teli Non s'aprì, che ferito e tutto chiuso 

>lia! Io di te molto udia £ suggellato me l'avea la morte, 

nell'infanzia: ed or le imprese Così forse del Iliaco ramingo 

he io guerra ei consolie i trionfi li ^u udito, cui Pallade condusse 

prata liberià col sangue Per lieri scogli e rischi e casi avversi 

figli; e lodarne udia le moli £ per litoti giardini e dilettose 

! gli edifici e le barriere Isole, di cui dolce un canto nscia 

ìll'iracond'i Adria, che infranto -^i naviganti di sirene e ninfe 

ato a' tui»i piedi e si ritira. Che legavano i sensi e de' più schivi 

aude maggior ti si convenne; lVIolce;*u l'alletto; ed <>gli immoto e chiuso 

vinte dal ferro arti divine, A la dolcezza che movca dal lito 

la Grecia, ospitai si'àe £d agli incanti, in gran pensier sepolto 

rembo porgesti ai prischi tempi, I^i Penelope sua, guardava indarno 

rbarie perseguia crudele Dell'alta poppa all' Itaca lontana, 
icendii» con gli odii e le rapine; J^e poscia il Brenta e l'antenorea terra 

!ggi e costumi e sensi e moti Rivide ancora, a satisfar la vista 

ICO apprendesti e liberiate Con la presenza degli illustri amici, 

lo l'amor quando per tutta Di cui la fama m'avea detto i nomi 

i ignoranza e furor cieco. £ la benevolenza e l'opre egregie, 

vinto abbia mortai fortuna £ qui '1 sulfureo gioco e le bollenti 

uto lion che sovra l'acque Acque sotterra e la vulcania fiamma 

i Teti riverito e grande, Maravigliando i' vidi, e più mi piacque 

^stigia ancor della tua prisca Quel sì caro ad amor queto ritiro 

iscernp e la possanza avita. Del niio Petrarca, che, l'error fuggendo 

'arti maestre a me fu schiuso Del seroi guasto e le sventure e i casi» 

;ran tempio, a cui veglia custode Per aver pace là si trasse, e pianse 

amico S ed ammirai la scola Di lei la morte che beata e bella 

ti pennelli e l'opre eterne £d amorosa lo si udia dal cielo, 

nte Prassitek: che quale L'aspra ferita del suo cuor piangendo, 

nistra il nettare ai celesti Pietà mi vinse di me stesso, e rotto 

ante, anco qui spira e parla Dalla fatica del cammin, la fresca 

co marmo £be seconda; Ora del vespro e il solitario loco 

e Leoi.oldo Gico^ara , presidente Di posar mi fé vago, e qui mi vinse 
rcademig di-belle i4rii> * Il coos. doU. Fraacsscp AgUeUi^ 


20-2 CRESTOMAZIA PORTCA 

Piacido SODDO. Fra que* verdi allori Parve si tosto, e su le gelid' ale 

Gode il sacro si cinge ospite asilo, Fuor da gli antri rifei borea fu nnosso. 

Vera e presente mi apjMiria del vate Tal su Taere un rigor corse che i fiumi 


vesti 

Kè fia morte per lagrime pietosa. Indurir su le membra, e sostar tosto 

Koa quadrilustre amor, non Tonorato Attoniti pel campo i corsier vinti. 
Versi) in ch'io vivo fra i gentili ancora Che vai , mìseri, allor voce, né sprone, 
Mi vabe, ahimè ! per ritornar fra* vivi ^^ l' instante flagello ? Entro i ior petti 
Quella che tanto sopr*ogn*altra amai, ^gni spirto guerrier dorme , che l* ossa 
E compiè sua giornata innanzi sera. Possiede un gel di morte, e irresoluto 

Ma ben, se contro morte inutil parve D'atra piaga depasce il sangue bruno 
Il furor sacro di Calliope e il canto, Li' umide nari , e d' un medesmo fato 

L'itale muse m'apprestar robuste Cadou le torme : sul funereo piano 

Ali per tnrmi alla nemica etade Stanno i vasti cadaveri , e repente 

E ai falsi ingegni, ond'io, quasi colomba, '^ confuso teuor lerve pedestre 
Uscii fra tristi augelli al ciel poggiando. ^^ facenda e '1 conflitto , e come sempre 
Cessa tu pur rinutit pianto e segui Più s' ad<iensan le morti, inerti e sparse 

Le mie vestigia che la gloria accenna: ^^^^ le salme di guerra e le gran ruote 
Se pur vera di te la rinomanza E le predate spoglie e i cavi bronzi 

Mi presagì da' tuoi verd'anni un dio. Di morte, e i derelitti egri guerrieri 
Svegliati ai grandi esempli ; e la viliade (^bi vista miserabile!) a' fuggenti 
Vinci e la turpe indifferenza, avversa Dai plaustri querelandosi ; .né intanto 
A le bell'opre; e la ruina e il lutto l>a bufera crudel resta e la neve 

Canta all'Italia di Sionne ' e il nuovo Combattuta ne l' aere, e per eYitro 
Ilio verace che l'antico ha vinto. — H tumulto e le grida e i feri scontri. 

Questo mi disse e sparve. E il generoso Dov' eri allor, qual su l'amato capo 
Conforto in cor mi posi, e nella mente Pendea turbin di guerra, ove più oprasti 
Vigor nuovo mi corse e nuova lena; La giovan destra, e quale era il tuo fato. 

Ma desto,ahi lasso! affisai gli occhi, e vidi Fratel mio, de la vita a me più caro? 
Sola dinansi a me starsi una tomba. Ahi ! che le senza te tornate schiere 

C. Arici, E > presaghi del ver sogni e un segreto 

Sentimento del cor troppo mi parla ! 
31. La ritirata dallaRussia, Vanto d' eletta schiera, amor de* forti 

Di mia patria speranza, onor de' tuoi. 
Non vedi tu com'anco ogni più lieve Come cadesti ahimè! qual duol, qual morbo 
Ferita al verno rincrudisce e imbruna Qual mìetea cruda man sì gentil stame ? 
Su le membra mortali, e come spesso Miser ! clii sa se 1* alterezza e l' onte 
L' infelice e l' estremo egro conduce ! l^d tuo superbo vincitof, cui forse 
Ahi ben più il verno ancor che le furenti lu pascevi i cavalli , e la perduta 
Scitiche lance e i disastrosi piani Speme di liberiate il non servile 

Kon pria tentati e i gran deserti e i fiumi, Per disdegnoso duolo animo vinse ? 
Tanti fi)rti.abbattea che non umano Chi sa se la nemica ira fuggendo 
Ivi ardimento a perigliar condusse, Di selva in selva e de le fere il morso 

E tra '1 ferro nemico e la vincente (Gelo in pensarlo) te solingo, errante, 

Commossa per sua man fiamma cadea Non soccorso , non visto alfin le lunghe 
La magnanima Mosca, e a lei fea plauso Fami domàro e le rigenli brume ? 
Da paventosa meraviglia presa Come cadesti , ahimè ! qual più de' tuoi 

La sorella regal, che quella luce Ne 1' ultimo sospir chiamasti a nome ? 

Vedea splender sul mare: allor che fiero i-asso! che invan la pia madre e l'amante 
Portento incomportabil di quel cielo Genitor sospirasti e il fratel tuo 

'Accentuai poernsi Za Gerusalemme di- D'amor fiùchedi sangue; e niuBO al seno 
^fruita, c6c ooa coodusse a lerAiae, Di noi ti strinse ; né il fuggente spirto 


SECOLO DtCIMONONO 


205 


Kaccolse , e niun ti disse il vale estremo. 
!Nè l' infelice tuo fato, né quella 
Che di tanto desir , di tanta speme 
Cara e trista memoria a noi sol resta , 
A me di carme generoso e quale 
A i' estinte si deble alme de* forti 
Lice onorar.; che nel turbato petto 
Tace ogni nobil estro, e da mia vena [td! 
I^on tragge assidua doglia altroché pian- 
Se non che forse, se avverrà che prive 
D'alcun favor non sieu queste ch*io spar- 
Come consiglia amor, pietose note [go, 
Da* cenomani colli, al mio lamento 
Itale madri sconsolate, e caste 
Vergini amanti, e vedovale spose 
Rbponderanno, equanltal pianto invoglia 
La congiunta pietade. Onor del prode 
£ il pubblico compianto , e si fa meno 
Il dolor ne le afflitte alme diviso. 

G. Nieolinij La Colliv. de'cedriy 1. I(« 

32. Anacreontiche* 

platano felice. 
Ch'io stesso un dì piantai, 
Bello fra quanti mai 
Levano il capo al ciel; 

Come sì presto, dimmi, 
Le folte braccia hai stese, 
Né l'ira mai ti offese 
Di turbine crudel ? 

Quel nome che t*i repressi 
Isella corteccia verde 
Lungi da te disperde 
11 nembo struggitor. 

Anch'io lo porto in seno 
Scritto per man d'Amore, 
Ma sento nel mio core 
Fremere il nembo ognor. 

Ascolta, infida, un sogno 
Della trascorsa notte: 
Parevami le grotte 
D'Alfesibeo mirar; 

D'Alfesibeo, che, quando 
Alza la verga bruna, 
Fa pallida la luna, 
Fa tempestoso il mar. 

Padre (io gridai), nel fianco 
Ho una puntura acerba; 
Con qualche magica erba 
Sanami per pietà. 

Rise il buon vecchio, € disse: 
Fuggi colei che adori. 


£rbe per te migliori 
Alfesibeo non ha. 

Guarda che bianca luna ! 
Guarda che notte azzurrai 
Un^aura non susurra, 
Non tremola uno stel. 

L'usiguolctto solo 
Va dalla siepe all'orno, 
£, sospirando intorno, 
Chiama la sua fedel. 

Ella, che il sente appena, 
Già vieti di fronda in fronda 
E par che gli risponda: 
Non piangere, son qui. 

Che dolci affetti, o Irene, 
Che gemiti son questi? 
Ah ! mai tu non sapesti 
Kispondermi così. 

Non t'accostare all'urna 
Che il cener mio rinserra: 
Questa pietosa terra 
E sacra al mio dolor. 

Odio gli affanni tuoi, 
Ricuso i tuoi giarinti: 
Che giovano agli estinti 
Due lagrime o due fior ? 

Empia ! dovevi allora 
Porgermi un fìl d'aita 
Quando traea la vita 
Nell'ansia e nel sospir. 

A che d'inutil pianto 
Assordi la foresta? 
Rispetta un'ombra mesta 
£ lasciala dormir. 

Jacopo Vittorellì, Rim^, 

33 Le comparazioni. 

Ma, musici, son cose da fratelli 
Il volerci veder quasi distrutti? 
Lo so che vo' sapete d' esser belli. 
Ma gli hanno da campare ancora i bratti. 
No' ci siamo nel mondo ancora noi, 
Esiam fatti di carne come voi. 

Ah pur troppo è così, sorte tiranni! 
Pei poveri poeti oggi è spiovuto, 
E pei musici sol casca la manna ; 
Voi stimanperle, enoi quanto ano spato; 
Voi vivete da veri gaudenti, 
E noi tenghiamo l' anima co' denti. 

Io mi sbattezzerei, corpo de'frati, 
Perchè color che hanno una bella Toce 


504 CRESTOMAZIA POETICA 

A tatti i desinar sono invitati ; Le dita vergognoso si rimpiatta. 

Ed il poeta fa segni di croce, L'un-^hie per non mostrar della granbestia, 

£ al sole in su e in giù h cento ^iri , £ sol le mette fuor auando si gratta : 

Allunga il colio e campa di sospiri. Del valore d* un soldo non fa acquisto, 

Sente un molle cantori' ambra e le rose, Ne gli darebber da baciare un Cristo: 
£ d' unguenti odorosi ha sparso il crine, Con quel bel pelliccion e il manicotto 

Dugeulo inverni sfidano i cantanti: 

Ha sempre in bocca e principi e rei ne, £ con quel paslran uccio mezzo rotto. 

Sempre aspetta una- lettera che porte Sgambettano i poeti tremolanti; 

L' invito d'andar tosto a una gran corte. E svoltano ed indietro tornan spesso, 

Sulle galanterie non sta il poeta , Che hanno veduto i creditori o il messo. 
£ fortunr.ttc a lui non gnene tocca , Un cantor con la paga e il benehcio 

Perchè non ci vuol versi, ma moneta. Ingrassa come un ortolano in stia , 

Prenci non ha, ma un rosicchiolo in bocca, £ se la gode e sta in barba di micio; 

£ aspetta un precettino in certi metri, Una mummia il poeta par che sia 

pagar la soffitta, « in domo Petri ^ £ un di quei stentarelli secchi secchi, 

Un cantantecoi grandi entra in vettura Non si sa come stia su que* due stecchi. 
£ coi magnati a tavola si pone Ha un viso lungo lungo, rifinito, 
E per dei mesi sta in vii legislatura; Che pare uscito fuor dello spedale; 
£ ver che ci è un pochìn d'indiscrezione, Ha una barbuccia che pare un romito, 
Che il fan tanto cantar eh* egli si sgola; Un cudin come quello del maiale: [glio 
Ma quella bella tavola consola. Un cappello che sembra un spicchiu d'a- 
li vale perle vie mesto cammina, E che ripara T acqua come un vaglio. 
Ed in faccia a palazzo d' un signore Ha un vecchio vestitoccio di stamina 
Sta il fumo ad odorar delia cucina; Con le maniche tutte rattoppate, 
E sopra un pasticcier proprio ci muore; Regge le tasche con una forcina , 
Ed un dcsinarin quando gli danno, £ son dentro di pelle foderate; 
A cantar durerebbe per un anno. E quando è a qualche buon desinarctto, 

A un trillo sta tutta la gente cheta, Vi fa sgusciare un* ala di galletto. 
A bocca aperta ed inarcate ciglia; Ha uu par di calzonucci corti corti, 

E quando canta un povero poeta Che un spauracchio si potrebbe farne; 

Chi chiacchiera, chi dorme, chi sbadiglia: Invece di botton, due spilli torti 

Un violìnacrio gli fa ziro ziro, C le sempre gli punzecchiano la carne, 

E poi per lui va col cappello in giro. E quandogli si attaccano alla pelle, 

il musico gentil molle adagiato 11 povero signor vede le stelle. 
Sta in sale ricche di cristalli e d'oro: Nere ha le calze, tutte bucherelli. 

Da un lato un clavicembalo accordato. Ma l'ingegno vien subito al riparo; 

Se le incinfrigna con due punteretli. 

Sul caminetto in vago ordine uniti E inzuppa un bel ditln nel calamito: 

£ bigliettini, e visite ed inviti. Ogni dì là le scarpe al ciabatìiuo, 

Sta il vate scamicialo e nudo il collo Ma le dita fan sempre capolino. 
A ima tavola che ha tre piedi soli, Pananti, Il poeta di teatro. 

Per somigliare al tripode d^Apollo; 

So pezzacci di carta i versirciuoli 34. £pigramtni'. 

Volano per la stanza e per la villa , 
Come le profezie della sibilla. Nel d'i della battaglia, 

D'oro ha un cantante la persona carca Togliendosi d& dosso 

E vaghi annelli in tutte le sue dita, 11 cimiero e la maglia , 

E per fargli veder la mano inarca ; Un Guascone fuggiva a più non posso. 

ÌA guardaroba è d'ogni ben fornita; Alcun gli disse: Sì vilmente cedi ? 

Ed a monti ha le scatole e i cammei E dov'è il tao coraggio ? Ed ei; Me'piedi. 
Che donati gli fur da* semidei. 

Il vate pien di tema e di modestia Lesse Tirsi a Dorilla aa suo sonetto. 

' Cioè: in prigione, Lesse ella; Oh bello ! cosa avete d^tto? 


SECOLO DECI MOVONO 


205 


Sosteneva un dottore 
Zht ha fatto tutto bene il Creatore. 
Jn gobbo ad esso -■ Guardami le rene* 
£ quei: Per gobbo tu se' fatto bene. 

Fece compra un villan d'un barbagian- 
Dicendo: Un dotto assicurato m'ha [ni 
[]he tali bestie vivono mille anni. 
Voglio veder se l'è la verità. 

FU. Pananti. 

35. Il zefiro f Vape e la rosa. 

Un dolce zefiro 
Con r ali d'oro 
Scorrea sa florido 
Colto terren, 

Uve odorifero 
Spandea tesoro 
Rosa piirpur^fa 
Dal molle Vn. 

Egli eoa avido 
Fiato e dimesso 
Del fiore amabile 
Bapia l'odor; 

VA aggirandosi 
Nel loco istesso, 
Volgeavi l'alilo 
Non sazio ancor. 

Quando pur giunsevi 
Ape dorala, 
Che in seno al tenero 
Fiur si posò, 

K dal suo calice 
La delicata 
Ambrosia a suggerc 
Incominciò. 

AUor d'invidia 
Uxefiretto 
L'acuto stimolo 
Nel cuor sentì, 

Forte sdegnandosi 
Che un vile insetto 
Del ben partecipe 
Fosse così . 

Onde su fragile 
Stelo le penne 
Baltea, credendosi 
L'ape fugar: 

Ma r »pe immobile 
Sempre si tenne, 
Né l'urto placido 
Parca curar. 

Alfin con impelo 


Mosso dall'ira 
La troppo amabile 
Rosa a^itò, 

E parve borea 
Che il turbo spira, 
Poiché le gelide 
Nubi adunò. 

Dall'urto fervido 
Sc:tccia la allora 
Vide fuggirsene 
Quell'ape, e ver; 

Ma, il fiore infrantone, 
Distrutta ancora 
Vide l'origine 
Del suo piacer. 

O folle invidia, 
Talor tu vuoi 
L'altrui distruggere 
elicita; 

Ma spesso adopriti 
Ai danni tuoi, 
E il mal che fabbrichi 
Tuo mal si fa. 

L. Clasiot 

36. // lupo e la volpe. 

Nel più tacito e cupo 
Orror d'oscura notte 
Una volpe ed un lupo 
Sbucaron fuor delle natie lor grolle: 
E prendendo il cammino 
Verso lo s lesso rustico abituro, 
S'incontrarou per via molto vicino 
Al destinalo loco, 
Ove credean trovar pasto sic aro. 
Pria sbirciaronsi un poco, 
Poi disse il lupo: E, dove vai, comare? 
Io, la volpe ri^pose, 
In un poliajo a questo bosco appresso, 
Signor, vado a rubare. 

— Son le solite cose, 

Il lupo replicò; pur ti confesso 
Che SI fatto pensicr non disapprovo. 
Anzi ancor io nel caso tuo mi trovo, 
E men vado all'ovile a far lo stesso. 
Vuo' tu che in quel che restaci di via 
Ci farciam compagnia? 

— Oh! volentieri, tosto 

Disse l'asluia volpe; onor mi fate 
Quando sì vi degnate 
Prendermi per compagna: il destro posto 
Prendete eandiam di coppia. Il lupo avea 
D'uni folle albagia colma la testai 


£08 CRESTOMAZIA rOETICA 

Dinanzi fa viltà del lor pKcato, Ai remigi sfgnitc e ai n.i1atori 

Canzoni e tresche e un battere di palme Venian le prode trionfanti, e lene 

Fremearonrorde ed un chiamai si incolpa, Fiato d*anra seconda empiea te vele 

Un chieder grazia, un mormorio di- Sul tremulo increspar della marina. 

[verso S* udia di cennamelle, di chitarre 

Di giubilo, d* affanno; avviluppato Xunghesso i monti un numeroso accordo 

Per cento guise il rondottier l'ampli'sso, Pien d'allegrezza, e un intonar festivo 

A cui lieto rivolge, a cui sorride Di natali canzoni:.... Olà cessate 

() parla affabilmente, e degli oltraggi 1 dolci suoni, ammainate, al fondo 

Vuol che intero perdon sia la vendetta. Lanciate le pesanti ancore: oh viva 

signor degli ardui giri, o tu l'heimbian- Il soccorso dt Dio! viva Ualiella, 

[chi Viva re Ferdinando ! è questo il porlo 

L* una faccia alla terra e Taltra avvolta E il termine segnato ai nostri errori, 

lasci nel manto di colei che fugge E sì dicendo frettoloso e primo , 
Quando movi a rincontro, e vien seguace 0>Iombo discendea, levate in asta 

Quando lungi ne vai scherzosa amica, le regali bandiere; e gli si versa 

Esci dairorìente e la gioconda Gran folla attorno; il barbaro terreno 

Vista deir avverato orbe palesa. Brulica , suona e polverio solleva 

Non impronto vapore e non maligna Sotto l' orme de* suoi che dissipati 

Nube ti copra invidiando i rai. Di su, di giù per la campagna in fretta 

Ma libero lampeggia e ornato a festa Vengono e van letiziando: un torvo 

Qual dopo la primiera alba del mondo : Pensier non guasta (|uelle gioje, un atto. 

Cosi 1' Eroe pregava e d* oriente, Una voce sinistra : il ben presente 

Suo talamo sereno , uscia lo sposo Fuga ogni affanno , e se partia lo sdegna 

Della vergiu natura. In pien cilestro Gii animi infesti, la cangiata sorte 

Azzurreggiava ancor l'ultima schiena Cangia pur essi e li ritorna amici. 

Delle montagne, e nebulose falde L. Costa, Crìsioforo Colombo, lib. Ili 
Agili al vento le mute con valli 

Circolavano e i boschi ; e già suU* erte 38. Le maremme toscane. 
Cime ihe il rubicondo astro colora 

Parca che fosse nevigato un nembo Tra le foci del Tevere e dell'Arno, 

D'amaranti e di rose. 11 dolce olezzo Al mezzodì, giace un paese guasto; 

De* balsami e de' fior salia disperso Gli antichi Etruschi un dì lo coltivarno , 

Per l'acr vaporato, e allegri augelli E tenne imperio glorioso e vasto: 

Pavoneggiando le dipinte piume Oggi di Chiusi e Populonia indarno 

Cantavano lor note al dì che nasce. Ricercheresti le ricchezze e il fasto, 

lueflabil veduta! Eran gli Ispani E dal mar , sovra cui curvo si stende 

Quasi fuor di se stessi, e dallo scuro Questo suol, di Maremma il nome prende. 

Centro d' inferno si credean traslati Da un lato i lontanissimi Appennini 

Ne' celesti giardini. Oh! come intento Veggionsi quasi immensi anfiteatri, 

Alle prossime piagge ognun riguarda £ dall'altro tra i nuvoli turchini 

E i profumi ne spira, e in quell'ambiente Di san Giulian le cime e di Velatri, 

Violato s'inebbria e par che voli! E dalla parte dei flutti marini, 

Con quanta impazienza altri di botto Sempre di nebbia incoronati ed atri, 

Giù dalle navi si periglia o solca Sembrano uscir dall'umido elemento 

li pelago natando, altri si caccia I due monti del Giglio e dell'Argento. 

Ne' palischermi, e dietro lui confusa^ Sentier non segna quelle lande incolte, 

Mente la piena de' compagni è volta ! E Io sguardo nei lor spazi! si perde: 

Allor vedesi 1' urto e lo sbaraglio Genti nonhanno,e sol mugfffaian per molte 

Di chi sottentra e spinge e di chi tonfa Mandre quando la terra si rinverde: 

Per subito riverso, e l'arrancato Aspre macchie vi son, foreste folte 

Guizzo de^ remi e io spingar veloce ^ Per gli anni altere e per l'eterud verde, 

E il menar delle braccia onde spumeggia E l'alto muro delle antiche piante 

Di coatiauo bollar l'argenteo guado. Di spavento comprende il viandante. 


SECOLO DECIMONONO 


209 


Dalla loro esce il lupo ombra malvagia Fuggan la valle di lor vita iagorda, 

Spiando occolto ove Tarmento pasca, K nelle fratte appiattansi gli a ugelli 

Il selvatico toro vi si adagia, Cioguettando con voce incerta e sorda; 

E col rumore del mare in burrasca Sol 1» cicala in vetta agli arboscelli 

L*irto cinghiale dagli occhi di bragia Collo stridulo metro i campi assorda. 

Lasciando il brago fa stormir la frasca, Né contro al sole di garrir si stanca 


E se la scure mai tronca gii sterpi. 
Suona la selva al sibilar dei serpi. 

Acqua stagnante in paludosi fossi. 
Erba nocente che ^cura cresce, 
Compressa fan la pigra aria di grossi 
"Vapor, d*onde virtù venefica esce, 
E qualor più dal sol vengon percossi, 
Tra gli animati rio morbo si mesce, 
11 cacciator fuggendo da lontano 


Finché V adamantin grido le manca. 

Non più scorron sonando i rivi alpestri 
Nei fonti fuor delle petrose conche, 
Né moto ha fronda nei gioghi silvestri, 
Né i venti osano uscir di lor spelonche .- 
Sol misto al leppo dei fuochi campestri 
Che ardon le paglie dalle falci tronche, 
Dalle roventi sabbie di Marocco, 
Qual vampo di vulcan soffia Scirocco. 


Monte contempla il periglioso piano. Né più la notte del suo gel con vive 

Ma il montagnolo agricoltor, s* invola Perle cadenti i 


Da poi che ha tronca la matura spica; 
Kitorna ai colli e con la famiglinola 
Spera il frutto goder di sua fatica: 
Ma gonfio e smorto, dall* asciutta gola 
Mentre esala l'accolta aria nemica, 
Muore, e piange la moglie sbigottita 
Sul pan che prezzo é di sì cara vita. 

Io stesso fidi in quella parte un lago 
Impaludar di chiusa valle in fondo. 
Del dì poche ore il sol vede, e Timago 

Di lui mai non riflette il flutto immondo. Ma col continuo aspro concento rompe 
E non s'increspa mai, né si fa vago II silenzio dell'aride campagne 

Allo spirar d' un venticel giocondo. Trillar di grilli, gracidar di rane, 

£ ancor quando sui colli il vento romba Ed ululato di ramingo cane. 
Morte stan ToijKie come in una tomba. Quel giovin toro che i lunati comi 

Se4tini, La Vìa, e. /. Baldanzoso ostentò re dell'armento, 

£ aguzzandoli ai cortice degli orni, 


campi arsi rintegra. 
Né al dolce nembo delle brine estive. 
Si rinfraoca l'erbetta e si rallegra: 
E se dall'abbronzate infette rive 
Di vapori erge il sol nuvola negra. 
Nella notte invbibile ricade 
Le morti a seminar, non le rugiade. 

Il notturno squallor non interrompe 
Zampogna, o canto che d* amor si lagoe , 
Del faggio sotto le appassite pompe 
Non più r usignolin soave piagne: 


39. V arsura nelle maremme 
e la Pia, 

Era nella stagion che il sole accende 
Del celeste Leon le giube bionde, 
E mostra il mondo che la faccia fende 
(.e viscere di pioggia sitibonde, 
E sul gambo ogni fior languido pende. 
Aride pendon le ingiallite fronde, 
E a stelle crudelissime in governo 


Muggì sfidando alla battaglia il vento, 
Fugge all'ombra ilfervor deicaldi giorni, 
Né più l' erba ricerca o il rio d'argento, 
£ giace e inchina il capo, e contro ai rari 
Aliti di ponente apre le nari. 

Il viator suli' uscio dell* ospizio 
Esce col sole, e, l'orizzonte visto 
Listato a strisce fiammeggianti , indizio 
Di giorno del passato anco più tristo, 
Non ha cor di fidarsi a certo esizio 


Parean quelle Maremme un.nuovo inferno. Nel cammin d'acque e d' alberi sprovvista. 


Signoreggiò tal anno.nelle calde 
Maremme nostre inusitata arsura , 
Ignee colonne fino a terra salde 
Parean piover dai sole alla pianura: 
Cadea il sol cinto d' infiammate falde 
Predicendo pcggior l'alba futura, 
Misera Pia ! l' istesso cielo infausto 
Parve voler tua vita in olocausto . 

Taccion l'opre de'rampi; i villanelli 

Leopardi, Crestomazia, II. 


E n^ll' albergo, ove restar gli spiace. 
Languente e a sé gravoso pondo giace. 
Fra i muri dei castel fatti di fuoco 
Geme 1* abbandonata prigioniera. 
Né conforto trovar, né trovar loco 
Può da sera al matlin, da mane a sera; 
L' intenso ardor le vieta il sonno , e poco 
E il refrigerio che dal sonno spera. 
Che qualche sogno torbido la sveglia, 


210 


CRESTOMAZIA POETICA 


K la ricacfU in odiosa Teglia. 
£ più sembra clieiu lei Tardor s^accresca, 
£ il nal dell' es&rr sola io tai disagi, 
Qaaodo le torna a mente l'onda fresca 
Di FonTtebranda e di sua patria gli agi, 
£ i colli che odorosa aura rinfresraf 
£ le mense e le ancelle e i bei palagi 
Ore dolce menò ? ita serena 
In temperato dina e in terra amena. 

Del maritale albergo avea trovata 
Una fanle YecGhissima e devota. 
Che, degli ari di Nello al tempo nata. 
Di quei storia narrava a molti ignota, 
£ più d' una lor colpa consumata 
In quel -palagio nell'età rimota, 
£ rhe però di quelle sedi impure 
Tolto possesso avean spettri e paure. 

£d aggiungea che v'erano i folletti » 
£ vi solean le brutte streghe andarne, 
£ succhiar dei rapili pargoletti 
11 fresco sangue, ed il cervel stillarne. 
£ con osceni riti i lor banchetti 
Gavasuodo imbandir d'umana carne, 
£d apprestarvi ì filtri e le malie 
Sotto le forme di rapaci arpie. 

Or soletta la Pia nelle riposte 
Sedi in mente voigea racconti tali; 
£ comeohè, per mantener nascoste 
Le stanze al sole e a'caldi venti australi, 
Dei balconi tenea chiuse le imposte, 
Cadea d'un mal fnggendo in altri mali, 
Dando largo alimento al suo timore 
Il bujo dei fantasmi genitore. , 

£ slesa stando sull'ingrato Ietto 
Nasconde sotto i lin gli occhi soavi; 
£ il solitario passero sul tetto 
Se ascolta, o.i tarii nelle vecchie travi, 
Parie veder con minaccioso aspetto 
Per la stanza trescar di Nello gli avi; 
Si rannicchia la trepida, e dimanda 
Piangendo ajulo e a Dio si raccomanda. 

Così Vestale neli' avello occulto 
Sotto le glebe d' infamato campo, 
Impaurita dal iìsillace culto. 
Che a vivere e ad amar l' era d'inciampo. 
Del fioco lume.seco lei sepolto 
Al moribondo scintillante lampo 
Tremava, e le parea d'aver presenti 
Le furie con le faci e coi serpenti. 

Nelle notti spiacevoli e no Jose, 
i^er l'aspra angoscia e per l'estivo ardore, 
A ila fenestra traea l'affannose 
Membra, onde respirar l'aura di fuore, 
£ mirara U iuoa^ che le cuu 


Di modesto tingea dolce colore, 

£ specchiando al pantan le sceme guance, 

Fea l'onde negre, scintillanti e ranre. — 

£d oh ! luna, dicea, consolatrice 
Della miseria altrui, tu confidente, 
£ compagna dell'esule infelice 
Dal cielo abbandonato e dalla gente. 
Deh! non calar si tosto alla pendice. 
Non affrettarti verso l'occidente, 
Non far che l'etra povero rimanga, 
£ del tuo lume anco il difetto io pianga. 

£ il chiaror blando, che tempra il desio 
Del cor gentile e di dolcezza inonda. 
Liberale a me volgi e in questo mio 
Nappo di duol stilla vitale infonda, 
£ il Teggenle tuo faggio assbta pio 
Al termin di mia vita moribonda j - 
£ m'accompagni ove all'avello io scenda 
£ al viator su quello indice splenda. 

£ se dal tempo, come avvieu talora. 
Scoperto il ver sarà, l' onor redento, 
Verrà il mio sposo in questa terra, allora 
Scorgilo ove il mio fral riposi spento: 
£i ben vorrà compagna avermi ancura, 
SAlisfarmi vorrà col pentimento, 
iMa una pietra ofirirassi ai di lui sguardi, 
£ dovrà pianger perchè venne tardi. — 

Per lenta febbre intanto attrita ed egra 
Tributava la vita al sozzo clima, [legra 
Com' uom dai mali oppresso, e che si al- 
Per morte e di campar non fa più stima, 
£d era scorsa omai l' estate integra, 
E d'autunno apparia la nube prima. 
Che in improvvisa pioggia si risolve, 
L'odor destando della spenta polve. 

Sorto un dì ^ ch'ella già sentia man- 
£ la salma restar di vita scema, [carsi, 
Vedendo dietro ai monti il sol calarsi 
Volle seguirlo con la vista estrema. 
Ai campi e a'colli ancor di luce sparsi, 
Che ogn'uom lasciando desioso trema, 
Un sospiro e un addio per dar pur anco. 
Al balcon trascinò l' infermo fianco. 

Sestini, La Pia, e. /• 

éO.J.* eremita. 

£ alla velata vista le si offerse 
Un pòvero eremita in riva al fosso, 
Che rieàea dalla questua con divèrse 
Vettovaglie nel zaino e un sacco indosso; 
Bianca a vea barba, e ciglia alsuolcouterK; 
£ dalla nuca ogni -capri rimosso. I 

£ »u scabro biston curvo per via J 


SECOLO DECIMONOIVO 2 \ 1 

Orava mormorando, Ave Maria. Pregherò Dio che mai non ti abbandoni. — 

Al chino tergo, all'abito, al ranuto Sì disse, e nel compir 1' estreme. note 

Mento, ella riconobbe il solitario , Con le palme asciugò V umide gote. 
E ricordossi che V avea veduto Tal se dal sommo d* altissimo masso 

Fuor della c«Ha innanzi al santuario La sima agnella, che vi è incauta ascesa, 

Starsi a chiedere a Dio graiia ed ajuto Nel lato ov'è il burrou sdrucciola al basso , 

Contro il nostro ingannevole avversario, E fra la terra e il ciel riman sospesa, 

Sopra un colle di là poco lontano Sul caprifico, o sul sporgente sasso 

Alquanto fuor di strada a destra mano. Bela, ne può salir, né far discesa ; 

E dair alto il chiamò con fievol voce L*ode il pastor dall' imo, ed a. mirarla 

Dicendo, — Miserere, o padre santo , Stassi e si duol di non poter salvarla. 
Per Io tuo Dio che morir volle in croce , Alzate l' eremita avea le ciglia 

A por mente al mio mal t'arresta alquanto: Quand' eli» pria la voce alzò chiamaodu , 

Caitiva in questo domicilio atroce E pien d' inaspettata meraviglia 

Tiemmi il crudo consorte,emuojo intanto, A manca mania già raffigi^ando. 

E qui non ho chi l' ultime rispetti Benché non fosse più fresca e vermiglia, 

Volontà sacre, e i miei ricordi accetti. Un non so che di dolce e venerando 

A te dunque ricorro, e se vedrai In lei scolpito avea la doglia, sema 

A sorte un dì passar dalla tua cella Involarne T antica conoscenza. 
L'nom con cui, son due mesi, ivi passai. Scadute ahi ! troppo le sembianze rare 

Della vittima sua dagli novella ; ^ Dall' esser primo, comparia^ qua! »uole 

Digli qual mi vedesti, e di' che i rai L'astro che opaco nel parelio appare , 

Chiusi sposa innocente e fida ancella , Pur mostra ancor l' imagine del sole : 

Che gli perdona i maleficti sui : O stella che scolorasi sul mare 

£ imploro anche da Dio perdono a lui. Se l' alba sparge i gigli e le viole, 

£ per dargli contezza che morendo Quando sembra restar vedovo il polo. 

Gli resi per mal far grata mercede , E ne piange nel bosco il rusignuolo. [se 
Dagli, e l' anel dall' anular traendo , ^ Raccolse il vecchio la gemma, e promes- 

Dagli, seguia, l' anel eh' ei già mi diede, A lei di-far quanto pregò il suo- dire, 

E di', che come questo integro rendo , Aggiungendo che in Dio fidanza avesse, 

Tale a lui rendo intatta la mia fede ; — Qual non fa eterno dei buoni il martire. 

Disse , e del crin reciso ad una ciocca E ancor seguia, ma 1* egra più non resse, 

Aggruppato il gittò fuor della rocca. ^ E venir meo sentendosi e morire , 

Èsoggiungea: — questa troncata treccia Vacillante ritrassesi: ed immoto 

Pur prendi, e se pastore, o peregrino , Ei restò contemplando il balcon vuoto. 
O qualche messaggera villereccia, ^ E veggendo che già siili' universo 

Che vèr Siena rivolga il suo cammino, Stendea la Qotte i maestosi vanni, 

Passa dalla tua casa boschereccia. Fé' ritorno al tugurio, al caso avverso 

Alla madre che ignora il mio destino Di lei pensando e ai non merlati afianiii. 

Inviala , e 1' abbia del mio corpo invece , L'altro di sorse, ed egli a Dio converso 

Sul qual spargere il pianto a lei non lece. PregoUo a ristorar del giusto i danni, 

£ sappia che morendo, al cielo io ginro Dandogli lume onde prestare aita 

Che al mio sposo giammai fede non ruppi, A lei pria che dovesse uscir di vita. 
E le caste virtudi che mi furo Sorgea su bel declivo in {Maggia molle 

Ispirate da lei mai non corrupppi ; Edificato l'abituro agreste, 

Onde \§i mia memoria dall' imputo ^ Eran di pietra i muri, erbose zolle 

Laccio in che giace avvolta disviluppi, Coprlano il tetto e tavole conteste, 

£ il carnefice mio sia fatto accorto Di retro ad esso rivestiano il colle 

D'aver dannata un' innocente a tarto. Intricate e densissime foreste, 

E, ond' io mepcè nell'altra vita ottenga, £ il bianco ostello su quel fondo nero 

Priega tu Dio che i fìiUi miei perdoni ; Chiaro apparia da lunge al passag{;iero. 
Di me che son la Pia ti risovvenga Un picciol orticello era alla destra 

Nelle quotidiane orazioni ; Distinto in bei riquadri a più filari, 

E quando fia che accolta io cielo io venga, £ in quello difcndca siepe sllvesicx 


212 CRESTOMAZIA POETICA 

1 frutti più alla vita necessari: Biograziò il frale la pietà celeste 

Qui l'eremita avea da tonte alpestra Come d'appresso in lui lo sguardo intese, 

Derivali gli umor nutrenti e chiari, Che al torvo sguardo, al viso ed alla veste 

K dell'ore del dì, fatto bifolco, Quei della Pia lo sposo esser comprese; 

Quel che alPaltar togliea donava al solco. Gli si fé* innanzi, e d'accoglienze oneste. 

Era a sinistra un prato, e piante folte Fattolo distnontar, gli fu cortese. 

Gli fean ombrella e circolar serrarne. il suo ronzin prima al coperto addusse; 

t/avea piantate ei stesso, e venti volte Poi nel rustico albergo lo introdusse; 
Le avea vedute rinnovar le rame. E mentre piùsifea la pioggia intensa, 

Era in mezzo un altare, e di sepolte E nero e spaventoso il ciel notturno, 

<>eature l'ornava il nudo ossame, L*ospite siede, e per la doglia immensa 

Kravi sopra un cranio, ed incrociati China sul petto il volto taciturno: 

Eran femori e stinrhi in tutti i iati. E il vecchio diessi ad apprestar la mensa 

Qui il fraticel, di quel che fare in forse, Coi cibi, frutto del lavor diarno, 

Bimase salmeggiando infìno a sera, K della cella nel più atto loco 

Quando nel piano un ca vallerò scorse Di preparate legna accese un fuoco. 
Che galoppando in riva alla riviera, Arde il giovine crin d'arbori cionchi, 

Dirittamente a quella volta corse E in sospeso le vette urla la vampa, 

Cercando asilo incontro alla bufera, E aperta sotto a quel coi corni adouchi 

Che parca minacciar piogge dirotte L'abbraccia mormorando, e in su divam- 

Già cominciando ad oscurar la notte, Stridon fra ilari i crepitanti tronchi, [pa: 

in quel tempo i villan spesso vediéno £ abbagliante splendor la cella stampa 

Quest'uom d'aspetto torbido e diverso , E fa scoprir sulle pareti umili, 

Dall'arcione al cavai lentando il freno Croci, figure e rustici utensili. 
Della boscaglia correre a traverso. Poi che il cotto legume e il cereale 

Anelante il cavallo ha il tergo e il seno Pasto venne sul desco e d'acqua il vase, 

Di larghe strisce di sudore asperso. Ognun le man vi stese; e il naturale 

E sempre che lo spron sente alla pancia D'esca e bevanda amor i>pento rimase. 

Come locusta celere si slancia.* Disse il vecchio: —Ancor notte alta non 

Mena le zampe impetuose inuant [sale, 

£ divorar le vie sembra nel corso; Ne il sonno ancor le nostre membra invase: 

Scherzan sulla cervice i crin volanti, Onde narrar ti vo', se alla memoria 

£ balzan flagellando il largo dorso; Ben mi ritorna, una leggiadra istoria. 
Fumo esalan le nari e le tremanti Su quella via che mena al mar dov'oggi 

Fibre, e di calde spume inondai! morso; Passasi qui venendo in piaggia aprica, 

S'alza la polve e in densa nube il serra, Che giace all'ombra di due verdi poggi» 

E sotto al calpestio trema la terra. Son le reliquie d'una torre antica; 

Giunto -.-..-. 

Scopri 
Frenava 

Detti gliuscian da' labri, asciutti e bian- Alloggiamento fu d'un uom selvaggio. 

[chi, Vivea di «accia, e sol prendea diletto, 

K tra i fremiti orrendi e tra i singhiozzi Mansuefatta l'anima proterva, 

Gli occhi aggrottati ; e già da pianger ^el posseder doppio tesoro eletto. 

Truci rotava, e sull'ostello tetro [stanchi Un cristallino fonte ed una certa: 

Teneagli fitti, e rifuggiasi a retro. Vinceiil primo in beltà qual mai più 
E giù correa precipitoso al chino [schietto 

in balia del dcstrier tra gorghi e massi; Fonie in porfidi scalti si conserva, 

Davano l'erbe a lui vitto ferino. Ne forse fu sì bella la fontana 

£ tetto erangli i rami e letto i sassi: Che finsero gli Achei sacra a Diana. 

Lo additava tremante il pellegrino . Dall'ampia vòlta d'incavata roccia 

Vèr l'abitato accelerando i passi, Scabra di spume, e gruppi cristallini 

J-, fu creduto in tal secol ferrigno Cadca l'onda sonante a goccia a goccia 

Di quei boschi lo spirilo maligno. Wei nativi ricetti alabastrini, 



SECOLO DKCmONONO 2i3 

E racrolU in profonda erbosa doccia Dà mano a un* asta , e va senza ritegno 

botto Inombra dei platani e dei pini, Sopra la imbelle lon ferocia estrema: 

Tacita e bruna susurrando giva Elia non fugge ed ali* amico indegno 

A nutrir l'erbe e ad infocar la riva. Volge supplici sguardi e geme e trema : 

N*era geloso e non soffria che armenti L* atterra , ed ella le sanguigne, gambe 

Vi appressasser le labbia, o viatori; Dell* ingrato uccisor morendo lambc. 
Kd or godea coi derivati argenti Al fonte che credea di velcn carco 

Del'giardino innaffiar gli arbusti e ifìofi, Sterpò col ferro le selvose scene , 

Or della calda estate ai di cocenti L'antro percosse e minar fé' i* arco , 

Ristorarsi , bevendo i freschi umori , £ fur sepolte le sorgenti amene , 

Or , dalla caccia reduce , 1* immonda Che trovando k\V uscir niegato il varcu 

Sudata polve deponea ntW onda. Tornar neglette alle nascoste vene : 

Domestica cotanto era la belva Cosi il bel rivo violato giacqae , 

Che dalia man di lui prendea pastura E fuor più mai non trapelar quell* acque. 
£ dove ogni altra timida s* inselva , Poiché solo trovossi , e irrigar 1* arse 

Seco ella stava ad abitar secura , Semente al fonte più non fu concesso, 

Scorrea nel dì per la vicina selva , Che mancar le ricolte , e ricovrarse 

Tornando al chiuso quando il ciel s*osca-> Non potè nelP ombrifero recesso , 

£ godea, colia fronte alla e superba [ra. Aperto il suo gran danno gli comparse : 

Di fiori adorna , carolar su 1* erba. Tardi s'avvide dell* error commesso, 

Di corallo parean due rami grossi E sì gli venne in odio quel soggiorno 

Non anco usciti dalla man dei mastro Ch*indi partissi e più non fé* ritorno. 
Del vigilante capo i lucidi ossi ; E ben fu saggio a non tornar dappoi. 

Ed- era bianco il pel come alabastro , Oh quanto affanno riserbato gli era 

Tranne gli snelli piedi alquanto rossi Se udito avesse, come udimnio noi, 

E il collo che cingea ceruleo nastro , Che a torto fé* morir l'innocua fera, 

Ov*era scritto negli estremi fiocchi: E il fonte ruppe, e ancise gli arhor suoi! 

Son sacro almiosigrior, nessun mi tocchi. Che il cacclator con libgua menzogner;i 

Un dì che, staiicq, a togliersi l'usbergo Avea tessuta Tinganno esecrando. 

D'aspro cuojo e depor 1* asta e la daga , Possesso sì gentil grinvidiando. — 
Biedea con molte prede appese al tergo, Con questo di parabole apparecchio. 

Vide la belva mansueta e vaga , Il frate tentò l'ospite e il compunse: 

Accosciata anelar fuor dell* albergo A capo basso.ei gli avea dato orecchio. 

Per sanguigna nel pie recente piaga , Ma quando deirislorìa al termin giunse, 

E vide a un tempo intorbidato e brutto < Levò la faccia e guardò fiso il vecchio^ 

Per lorda tabe del bel rivo il flutto. Che, commosso scorgendolo, soggiunse: 

Ed ecco un cacciaforchesovraggiungC; Questa gemma alla cerva ornava il collo. 

Mentre il suo danno addolorato guarda, £ Tanel della Pia tol.<ie e mostrollo. 
Un cacciator che albergo avea non lunge Nello il vide, il conobbe e si riscosse, 

D' invida mente e d* anima bugiarda : R, Dove e quando, volea dir, l'avesti? 

Gran serpe che se slunga e se raggiunge, £ come s*ei sognante egro si fosse 

Che fischia e par che i fior con Falitoarda, Cui fantasma letal si manifesti. 

Dice che visto avea sbucar dal bosco , Che a lui, qual per gridar fa tutte posse, 

Turbar la fonte e vomitarvi il tosco. Par che strìnga la gola, e il fiato arresti, 

E che veduto avea dalla montagna Rimase inerte , e la man che già stesa 

Scender correndo sull* arsiccia sabbia Avea per torlo, gli restò sospesa. 
Una bramosa attenuata cagna , Ma Taltro il tempocolse e a narrar prese 

Fatta tremenda per morbosa rabbia. Come egli vide a mal termine giunta 

£ fa cerva inseguir nella campagna, La relegata' donna, e fé* palese 

Giungerla e in essa insanguinarle labbia, L'ambasceria che da lei fugli ingiunta. 

Onde la belva per li morsi eh' ebbe , E che se pronto a riparar Toffese 

Còito il contagio , in rabbia ita sarebbe. Non accorrea, la troveria 4erunta, 

Crede l'incauto, e accendesi di sdegno, E aggiunse ch'ei presentimento avea 

£ che la fiera in rabbia monti ha tema; Quasi di via ch*clU aocv t^%^ \^'^> 


LM4 CRESTOMAZIA POETICA 

Chi*, oltre all'esser villania e bassa Visse alle donne ed a i sartori ignoto. 

Cosa rimprigionar bella consorte, I polverosi inonorati lari 

Era empietà ch*ogni misura passa Dò tempo immemorabile rovesci 

Sol per sospetti il darla a certa morte; Giacean sul freddo focolar. Conviva 

Che se Dio l'innocente perir lassa. Quotidiano agli amici misurava 

Gli dà compenso neircmpirea corte, Tanto di cibo al consapevol ventre 

Ma il di lui sangue, che vendetta grida, Che al dì venturo illamentoso stesse. 

Fa sempre ricader su l'omicida. Se il crudo verno nelle lunghe sere 

Ond'ei temesse deirJìterno l'ira, Gli feriva le spalle e Pugne immonde, 

Se airinnocente fea soffrir tal onta, Nella paterna variopinta avvolto 

K quel verme che Tanimo martira Rattoppata zimarra, del vicino 

Onde il commesso malefìcio sconta, Appoggiavasi al muro in cui sorgeva 
Contai dir, qual se l'austro estivospira [ta, L'incessante camin d*unta cucina. 

Laneve a scior che brumai vento ammon- ]!fon meno agli altri che a sé stesso parco, 

11 ghiaccio che cingea quel petto infranse, A nullo dava e non aveva donde; * 

K al fìnirdel scrmon l'ospite pianse. Che del maturo argento il pronto frutto 

B, Sestini, La Pisi^ e. II. Ideile infallibili arche dei magnati 

Mentre cresceva a lui securo e intatto t 

41 . Sulle pie disposizioni Dal domestico scrigno sempre esausto 

testamentarie. Al ladro in faccia e allVsattor ridea. 

Così visse Macronio, e agli 'ottant*aaRÌ 

Scrivi, notajo: poi cVè fisso in cielo Lasci6 le semisecolari vesti 

Ch'ogn* uom che nasce abbia ad andar Da molta goccia asperse e i rosi lini 

[ sotterra, Al vecchio servo; e al nosocomio erede 

Ne Pera è nota del fatai tragitto, Due volte diece cento mila scrisse. 
Me tuttor sano tesfator ricevi. Dimmi: dei due chi ti par più saggio? 

Allor che l'alma dal solubil corpo Né Tun né Taltro, se diritto estimi. 

Sarà disgiunta, abbiala Dio : il moto Oh! se di Stige la tarlata barca 

Indolente cadavere a cui nega Reggesse al pondo dol raccolto indarno 

Il novo rito un penitente sacco. Auro inseguace, inosservata imago 

Fra cento lumi e i cantici lugubri Del postumo dator forse più rara 

£ i negri ammanti e le mercate insegne, Penderebbe dai portici e dagli atrii 

Se emergeranno dalla imposta calce, Alla languente umanità concessi. 

Sia portato alla tomba. Ad ogni altare Chi non vorrebbe colla fida scorta 

Si moUiplichin Tostie; il mesto canto Del non ignoto al Tartaro metallo 

Ogn'anno si ripeta : al mio riposo Tentar di Piolo la placabil moglie 

Un ministro si sacri e il marmo inscritto Della selva cumana ai doni avvezza ; 

Sorga all'ara vicino e noti il nome O dividendo del frodato erario 

Di chi'l sottrasse all'utile telonio Un'altra volta i conservati lucri 

O alla marra pesante e fenne un prete. Render più miti Radamanto e Mìnos? 

Cosi vassi a salute; e così voglio. Ma laggiù la giustizia non è merce 

Me di lacci nimico il nuzial patto fna Né può cambiarsi col bandito nnmmo: 

Non lega a sempre egual moglie importu- £ o sia di Creta il regnatore, oppure 

Né a domestica prole. A Lidia scrivi Qual altro più ti fingi, v'è un severo 

Quarantamila d'amicizia in pegno, Inesorabil giudice che libra 

£ diecimila alla sorella Cloe: Su nuova lance i calcoli autorati 

Del resto erede il nosocomio sia, Dal venduto pretor, e che rimesce 

Onde perdono si conceda all'alma. I sepolti chirografi, ed il pianto 

Così testava KIbion, cui l'ampie usure Interroga del debole calcato 

£ i molti di pupilli assi ingojati £ del concusso popolo i susurri. 
£ la pubblica fame avean condotto Non se l'onda lustrai tutta si versi 

Dal nulla avito al milionario onore. Sulla tua tomba e all'indigente leghi 

Macronio in vece aell a vuota casa Quanto il doppio emisfero e miete escava, 

Più solitario che mlV Alto EgUlo Ès^v^Vi sarai: è inulil l» (^tia 


SECOLO DFXIMONONO SI 5 

Lorda deirallrai sangue, e \a rapina DMlacrimate ceneri custodi* 

Invano alTare si rii^vra e al tempio. Voi ch'illustrale le memorie antiche 

Tu doni, £lhion, poi che gli umani patti Pria che l'edace secolo le inghioUa, 

A sé induigentì pronunùaron sacra Scrivete pur sulle marmoree fronti 

Di natura e ragione oltre le leggi DeV.ulti (empii e ne' sonanti chiostri : 

Deiruom la volontà nel punto istesso « Questi del popol saccheggiato in pace 

In cui cessa il voler: Elhion, tu doni « E degli amici a tradimento oppressi 

Ciò che ad Elbiou di posseder non danno « Trofei superbi il fondatore eresse. • 
Né Bartaio né Giove, e allor cominci, Ma non così Macronio: egli non fu 

Quando non sei, ad essere pietoso. Ne rapace ne ÌDKiusto; ai vezzi astuti 

Ma a me che giova cui furasti iniquo E all*insaziabil lusso ed al mt^cello 

Col trafugato codicillo il dritto Sottrasse ciò che al nosocomio diede. 
Al leggittimo fondo o cui traesti Né v'era dunque a quell'età felice 

Stanco ed esangue alle corrotte scranne, Una vedova mesta o una languente 

Se dal cieco sepolcro appresti all' egro Desolata famiglia a cui partisse 

La non dovuta medicina mentre 11 destinato alle future (ebbri? 
Me spogliato con«lanoi a ingiusta fame ? Oh fortunati di Maeronio i giorni 

Sia però paceaEibion né per me grave £ l'inaudito suol che lo produsse! 

Su di lui pesi la sacrata terra ; Cosi il padre del ciel 1<» serbi illeso 

Già che d'immensa inestricabii frode D.ii filosofi sempre e dalle guerre. 

£ de' pubblici furti almen gli avanzi Nel nostro clima, è ver, s'alzan frequente- 

Liberale concesse agli intestini Dai scossi cenci gli improvisi Alianti , 

Del morboso plebeo: il nero sofo Alle aspettate imagini de'quali 

Dai senti^nziosi rubricati libri Se fuggiran dal pendere d'altronde. 

Quest'utile dettò farraaca all'alma. Nuovi archi connettiamo e nuove logge 
Ma il fàrmaco che vale all'uom sepolto ? In cui stanti e calzale al di solenne 
Fa il tempo allor di trangugiarlo quando Da curioso contadin sien viste: 

Fra Lidia astuta e la crescente Cloe Ma siccome tra noi ruota indefessa 

S'alternavano l'ore e i compri baci: Fortuna, al crescer loro anche s'accresce 

() quando al suon del popolar lamento De' meschini la calca, e a lor di sotto 

Le Provincie svenate e i non pasciuti Gemer sentiamo non intese innanzi 

Laceri battaglioni a Ini festoso Voci dolenti ed al pregare indotte. 

Imbandivano i lenti ebrii conviti A questi aggiungi una recente turba 

£ le lucide cene. Troppo bella Cui l'emula virtù de' tempi andari 

Fora la colpa ed il pentirsi dolce I nostri migliorando a inopia addusse. 

Se dopp un lungo ripo.«ar beato Poi che, grazia al destin che tutto volve , 

Sulle tranquille invendicate prede Noi lisci prima e inaonellati e rasi 

11 pio voler raccomandato a Clolo La guancia e il mento ricopiammo iBrut i; 

Potesse al fin del deliziosa stame £ le adocchiate da non regio amante 
Spegnere colla vita anche il delitto Nostre Lucrezie ritornar le chiome 

£ di pietoso procurar la fama. Ai prischi nodi e alle sincere trecce, 

Ma non'è.nuovoal mondo il reo costume Molto in addietro laborioso e cerco 
Che la pietà stuprata al latrocinio Pettine cadde dalla man costretta 

£ aircrgoglio potente sia compagna. A mendicar, e molta gente afflitta 
Spesso vedemmo 1' occidente stanco Vide alla mula ricondotta e al forno^ 
Dall' atroce pugnale e dal veleno \ La ripulsa dal crin candida Eleusi. 

£ spesso fra i pugnali ancora immersi Molti altresì che dai servili uffizi 
Ne' domestici seni, e i letti caldi All'uom indegni Libertà riscosse, • 

Da non cessate infamie , innalzar chiese Se non ebber la destra al ferro pronta 
A rimedio dell'alma, e fondar celle Ed al notturno assalto, la mostraro 

Coli' oro estorto alle città soggette Aperta ad implorar l'altrui soccorso, 

E a gli invadi vicini, ove abitasse E l' aprono tuttor. Fra tanto stuolo 

Da lontan bosco il monaco chiamato Che ci preme d'intorno ed a cui resta 
A salmeggiai* sugli effigiali avelli 11 dritto almen dteU'inUn&lbil vitav 


I 

'2\C, CRESTOMAZIA POFTICA I 

A che segnar nel vorticoso «os Al misero mortai, nascere al pianto» 

O nelPoTaje dell*etcrDa plebe £ di*!!* etereo lume assai più dolci 

11 possibii mendico a noi non noto? Sortir i'npaca tomba e il fito estremo. 

Tu mentre ammassi al nascituro erede Non la pietà, non la diritta iihpose 

Onde sani la scabbia o il tristo autunno. Legge dei cielo. £ se di vostro antieo 

A te virino e da sottil parete Error, che l'uman seme alla tiranna 

Forse diviso inconsolato giace Tossa de' morbi e di sciagura offerse, 

Fra i nudi figli ed alla patria nati. Grido antiro ragiona, altre più dire 

. Dalla miseria e dalPangitscia muto, Colpe de* figli e pervicace ingegno 

Un infelice genitore, oppure E demeoea maggior Toffeso Olimpo 

Sospira indarno al talamo matura N* armaro incontra e la negletta riuao 

Una indotata vergine pudica Dell* altrice natura; onde la Wva 

Forse cresciuta a non oscuro Imene. Fiamma n* increbbe, e detestato il parto 

Che se più Tegro a te pietate inspira Fu del grembo materno, e violento 

E M represso vagir deirinnocente Emerse il disperato Èrebo in terra. 
Frutto non sempre di furtivo amore, Tu primo il giorno e le purpnrre faci 

Hai molto ond'esser pio: ormai non basta Delle n>tanti sfere t la novella 

I/ospital tetto al condensato infermo Prole de* campi, o duce antico e padre 

E alla nutrice deiPignoto parto; Dell' umana famiglia, e tu l' errante 

Ne basterà fra poco il vallo intero Per li giovani prati aura contempli : 

A contenere i pubblici grabati, Quando le rupi e le deserte vaili 

Se rinclemente rid non volge altrove Precipite 1* alpina onda feria 

Il funesto girar d'astri maligni. D* inudito fragor; quando gli amem 

Dunque che tardi ed insen^bil siedi Futuri seggi di lodate genti 

Suirarca chiusa e il numerato argento E di cittadi romorose ignota 

Aspettando le esequie? o che maturi Pace regnava; e gì* inarati colli 

Tu ascoitator di Lnca e di Matteo Solo e muto ascendea i* aprico raggio 

Alle venture eia ciò ch'è dovuto Di Febo e l'aurea luna. On forlnaata. 

Al presente bisogno? al giorno estremo Di colpe ignara e di lugubri eventi. 

Tutto è preda di morte e non tuo dono. Erma terrena sede ! Oh quanto afiutno 

Sii pur Macronio o di Macronio sii Al gener tuo, padre infelice, e qnair 

Più parco e più digiuno alla tua mensa, D* amarissimi casi ordine immenio 

Né il fuggitivo topo abbia che roda Preparano i destini! Ecco di sangue 

Nell'aperta cucina, ne il giulivi» Gli avari colti e di fraterno scempio 

Amico il vin de*co1li tuoi conosca Furor novello incesta, e le nefande 

O dell' orto serrato il venal pomo: Ali di morte il divo etere itìipara. 

Bìtrova mille ordigni ed arti mille Trepido, errante il fratricida, e l'ombre 

Ali* onesto guadagno ed al risparmio; Solitarie fuggendo e la secreta 
Pur che da la tua mano e non dal tardo Nelle profonde selve ira de* vènti. 

Esecutore Tindigenle ottenga Primo i civili tetti, albergo e re^no 

Ciò che operoso a lui raduni: allora Alle macere cure, innalta; e primo 

Te sconosciuto ai portici ventosi 11 disperato pentimento i cieclii 

Collocherem su gì* incensati altari. Mortali egro, anelante, aduna e stringe 

G. Zanoia, Sermooì. Ne'consorti ricetti: onde negata 

V improba mano al curvo aratro e vili 
42./nno à'patHarchif o de*prineipii Fur gli agresti sudori; esio le soglie 

del genere umano. Scellerate occupò; ne* corpi inerti 

Domo il vigor natio, languide, ignave 

E voi de* figli dolorosi il canto, Giacquer le menti; e servitù le imbelli 

Voi dell* umana prole incliti padri, Umane vite,vltimo danno, aceolse. 
}x>dando appellerà ; molto ali eterno E tu dalPetra infesto e dal mngghiante 

Degli astri agìtator più cari, e molto Su i nubiferi gioghi equoreo flotto 
/i/ noi men lacrimahiìi nell* alma ScaTft\iv V *\ti\«\x»k ^«\s«., ^ v^ t.'w ^nmà 

Ittce prodotti, Jnaicdicati a£FaDBÌ 1>*VV *m tv^ci ^ ^iJ t«.\i|<%.\Ri^ 


si: COLO DKCIMOXONO 


217 


Segno arrecò d* instaurata si>ene 
La candita colomba, e deile antiche 
Nubi r occiduo sol naufrago uscendo, 
L* atro polo di vaga iri dipinse. 
Biede alla terra, e il cr ado effetto e gli empi 
Studi rinova e le seguaci ambasce 
La riparata gente. Agi' ipaccessi 
Kegni del mar vendicatore illude 
Profana destra, e la sciagura e il pianto 
A novi liti e nove stelle insegna. 

Or te, padre de* pii, te giusto e forte, 
£ di tuo seme i generosi alunni 
Medita il petto mio. Dirò siccome 
Sedente oscuro in sul meriggio alVombre 
Del riposato albergo appo le molli 
Rive dici gregge tuo nutrici e sedi, 
Te de' ci'lesli peregrini occulte 
Bear l* eteree menti; e quale, o figlio 
Della saggia Rebecca, ih su la sera. 
Presso al rustico pozso e nella dolce 
Di pastori e di lieti ozi frequente 
Aranilica valle amor ti punse 
Della vezzosa Labanide: invitto 
-'\mor, cfa*a lunghi esIgUe lunghi affanni 
£ di servaggio air odiata soma 
Volenteroso il prode animo addisse. 

Fu certo, fu(né d*error vano e d'ombra 
L' aonio canto e della fama il grido 
Pasce 1* avida plebe ) amica un tempo 
Al sangue nostro e dilettosa e cara 
Questa misera piaggia, ed aurea corse 
Nostra caduca età. Non che di latte 
Onda rigasse intemerata il fianco 
Delle balze materne, e qpn le greggi 
Mista la tigre ai consueti ovili 
£ guidasse per gioco i lupi al fonte 
Il pastorel; ma di suo fato ignara 
E degli affanni suoi, vota d' affanno 
Visse V umana stirpe ; alle .scerete 
I^gi del cielo e di natura indotto 
Valse r ameno error, le fraudi, il molle 
Pristino velo; e di sperar contenta 
Nostra placida nave in porto ascese. 

Tal fra le vaste californie selve 
Nasce beata prole, a cui non sugge 
Pallida cura il petto, a cui le membra 
Fera tabe non doma; e vitto il bosco. 
Nidi r intima rupe, onde ministra 
L* irrigua valle, inopinato il giorno 
Dell'atra morte incombe.Oh contra il no- 
Scellerato ardimento inermi regni [stro 
])ella saggia natura! I lidi e gli antri 
£ le quiete selve Apre V invitto 
Nostro faror; ie YÌohU genti 


Al peregrino affanno; agi' ignorati 
Desiri edùca; e la fugace ignuda 
Felicità per l'imo sole incalza. 

Giacomo Leopardi, Poesie. 

' 43. AW Italia. 

patria mia, vedo le mura egli archi 
E le colonne e i simulacri e V erme 
Torri degli avi nostri, 
Ma la gloria non vedo, [ chi 

Non vedo il lauro e il ferro ond'eran car- 
1 nostri padri antichi. Or fatta inerme. 
Nuda la fronte e nudo il petto mostri. 
Oimè quante ferite, 

Che lividor, che sangue! uh quatti veggio. 
Formosissima donna! Io chiedo al cielo 
£ al mondo: ditr, dite,* 
Chi la ridusse a tale? E questo è peggio. 
Che di catene ha carrhe ambe le braccia 
Sì che sparte le chiome e senza velo 
Siede in terra negletta e sconsolata, 
Nascondendo la faccia . 

Tra le ginocchia, e piange. 
Piangi, che ben hai donde, Italia mia. 
Le genti a vincer nata 
£ nella*fausta sorte e nella ria. 

Se fosser gli occhi tuoi due fonti vive. 
Mai non potrebbe il pianto 
Adeguarsi al tuo danno ed allo scorno 
Che fosti donna, or sei povera ancella. 
Chi di te parla o scrive. 
Che, rimembrando il tuo passato vanto. 
Non dica: già fu grande, or non è quella? 
Perchè, perchè? duv' è la forza antica. 
Dove l'armi e il valore e la costanza? 
Chi ti discinse il brando? 
Chi ti tradì? qual arte oqual fatica 
qual tanta possanza [ 'le? 

Valse a spogliarti il maulo e 1* auree ben- 
Come cadesti o quando 
Da tanta altezza in così basso loro? 
Nessun pugna p-r te? non ti difende 
Nessun de' tuoi? L'armi, qua l'armi : io 
(Combatterò, procomberò sol io. rsalo 
Dammi, o ciel, che sU foco 
Agl'italici petti il sangue mio. 

Dove sono i tuoi figli?odu suou d'armi 
E di carri e di voci e di timballi: 
In estranie contrade 
Pugnano i tuoi figliuoli. [mi. 

Attendi , Italia^ alVK.tA\.V^ -n^^^^tk^K^^^».' 


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CRESTOMAZIA POETICA 


Cosie tra nebbia lampi. 

Né ti conforti? e i tremebondi lumi 

Piegar non soiFri al dubitoso evento? 

A che pugna in quei campi 

Lutala gioventude? numi, o numi ! 

Pug nan per altra terra itali acciari. 

Oh misero colui che in guerra è spento, 

l^on per lì paftrii lidi e per la pia 

Consorte e figli cari, 

Ma da nemici altrui 

Per altra gente, e non può dir morendo: 

Alma terra natia, 

La vita che mi desti ecco ti rendo. 

Oh venturose e care e benedette 
L' antiche età, che a morte, 
Per la patria correan le genti a sqnadre; 
£ voi sempre onorate e gloriose, 
O tessaliche strette, 

Dove la Persia e il fato assai men forte 
Fu di }K)ch* alme franche e generose ! 
Io credo che le piante e i sassi e V onda 
E le montagne vostre al passeggiere 
Cou indistinta voce 
Itarrin siccome tutta quella sponda 
Coprir le invitte schiere 
De* corpi eh' alla Grecia eran devoti. 
Allor, vile e feroce, 
Serse per V Ellesponto si fuggta, 
Fatto ludibrio agli ultimi nepoii ; 
E sul colle d* Antela, ove morendo 
Si sottrasse da morte il santo stuolo , 
Simonide salia , 
Guardando V etra e la marina e il suolo. 

£ di lacrime sparso ambe le guance , 
£ il petto ansante, e vacillante il piede , 
Toglieasi in man la lira : 
Beatissimi voi, 

Ch' offriste il petto alle nemiche lance 
Per amor di costei eh' al sol vi diede; 
Voi che la Grecia cole, e il mondo^ammira. 
Neir armi e ne* perigli 
Qual tanto amor le giovanetto menti, 
Qiial nell' acerbo fato amor vi trasse ? 
Comesi lieta, o figli, 
L*ora estrema vi parve , onde ridenti 
Correste al passo lacrimoso e duro? 
Parca eh* a danza e non a morte andasse 
Ciascun de* vostri, o splendido convito : 
Ma V* attendea lo scuro 
Tartaro, e i* onda morta ; 
Né le spose vi foro o i figli accanto 
Quando su 1* aspro lito 
Senza baci moriste e senza pianto. 
Ma noQ senza de* Perii orcida ^tua 


Ed immortale angoscia. 
Come lion di tori entro una mandra 
Or salta a quello in tergo e si gli scava 
Con le zanne la schiena, 
Or questo fianco addenta or quella coscia; 
Tal fra le Perse torme infuriava 
L' ira de* greci petti e la virtntc. 
Ve* cavalli supini e cavalieri. 
Vedi intralciare ai vinti 
La fuga i carri e le tende cadute, 
E correr fra* primieri 
Pallido e scapigliato esso tiranno ; 
Ve* come infusi e tinti 
Del barbarico sangue i greci eroi , 
Cagione ai Persi d'infinito affanno, 
A poco a poro vinti dalle piaghe, 
L*un sopra l*altro cade. Oa viva, oh viva: 
Beatissimi voi 

Mentre nel mondo si favelli o scrìva. 
Prima divelle, in mar precipitando, 
Spente nell* imo strideran le stelle. 
Che la memoria e il vostro 
Amor trascorra o scemi. 
La vostra tomba e. un*ara; e qua ifiostrabdor 
Verran le madri ai parvoli le belle 
Orme del vostro sangue. Ecco io mi pro- 

benedetti, al suolo. [stro, 
E bacio questi sassi e queste zolle, 
Che fien lodate e chiare eternamente 
Dair uno alTaltro polo. 

Deh foss'io pur con voi qui sotto, e molle 
Fosse del sangue mio quest* alma terr* ; 
Che se il fato é diverso , e non consente 
Ch* io per la Grecia i moribondi lumi 
Chiuda prostrato in guerra, 
'Cosi la vereconda 
Fama del vostro vate appo i futuri 
Possa, volendo i numi, 
Tanto durar quanto la vostra duri. 

Giacomo Leopardi, Poesie. 

44. Ad Angelo Mai, quand'ebbe tro- 
vaio i libri di Cicerone Della Re- 
pubblica. 

Italo ardito, a che giammai non posi 
Di svegliar dalle tombe 

1 nostri padri? ed a parlar gli meni 

A questo secol morto , al quale incombe 
Tanta nebbia di tedio? E come or vieni 
Si forte a*nostri orecchi e sì frequente, 
Voce antica de* nostri. 
Muta sì lunga etade?e perché tanti 
Kisorgimenti ? In un balen feconde 


SECOLO DEC1M0N0N0 


219 


le carte ; alla stagion presente 

)si chiostri 

occulti i generosi e santi 

gli avi. E che valor t' infonde, 

egio, il fato ? U con V umano 

Tsc contrasta il ^to invano ? 

senza de* nami alto coasiglio 

C ove più lento 

è il nostro disperato obblio, 

er ne rieda ogni momento 

do de* padri. Ancora è pio 

all' Italia il cielo; anco si cura 

[ualcbe immortale ; 

ido questa o nessun* altra poi 

i ripor mano alla virtude 

sa dell* itala natura, 

i cbe tanto e tale 

nor de* sepolti, e cbe gli eroi 

catl il suol quasi dischiude, 

ar s* a questa età sì tarda 

giovi, o patria, esser codarda. 

i serbate, o gloriosi, ancora 

speranza ? in tutto 

n periti ? A voi forse il futuro 

r non si toglie. Io son distrutto 

mo alcuno ho dai dolor, chèscuro 

venire, e tutto quanto io scerno 

ì sogno e fola 

la speranza. Anime prodi, 
vostri inonorata , immonda 
ccesse; al vostro sangue è scherno 

e di parola 

or; di vostre eterne lodi' 
ir più ne invidia; ozio circonda 
[lenti vostri; e di viltade 
tti esempio alla futura etade. 
ilo ingegno, or quando altrui non 
ri alti parenti, [cale 

caglia , a te cui fato aspira 

SI, che per tua man presenti 
ie*giorni allor che dalia dira 
ine antica ergean la chioma, 
studi sepolti , 

divini, a cui natura 
oza svelarsi, onde i riposi 
ìtAì allegrar d' Atene e Roma, 
pi , oh tempi avvolti 

eterno ! Allora anco immatura 

1 d' Italia, anco sdegnosi 

d* ozio turpe, e l* aura a vob 
Ile rapia da questo suolo, 
calde le tue ceneri sante , 
nito nemico 
iftuna; al cui sdegno e dolore 


Fu più Taverno che la terra amico. 
L* averno : e qual non è parte migliore 
Di questa nostra? £ le tue dolci corde 
Susurravann ancora 
Dal tocco dì tua destra, o sfortnnato 
Amante. Ahi dal dolor comincia e nas4!e 
L* italo canto. £ pur men grava e morde 
Il mal. che n* addolora 
Dei tedio che n*affoga. Oh te beato, 
A cui fu vita il pianto ! A noi le fasce 
Cinse il fastidio ; a noi presso la culla 
Immoto siede, e.su la tomba, il nulla. 

Ma tua vita era allor con gli astri e il ma- 
Ligure ardita prole, [ [re, 
Quand*oltre alle colonne, ed oltre ailiti, 
Cui strider 1* nude all' atluffar del soie 
Parve i^dir su la sera, agi* infiniti 
Flutti commesso, ritrovasti il raggio 
Dei Sol caduto, e il giorno 
Che nasce allorch*ai nostri è giunto al fnn- 
£ rotto di natura ogni contrasto, [ dis 
Ignota immensa terra al tuo viaggio 
Fu gloria , e del ritorno 
Ai rischi. Ahi ahi , ma conosciuto il mondo 
Noncresce, anzisi scema, e assai. più vastu 
L' etra sonante e l*alma terra e il mare 
Al fauci ttllin, che non al saggio, appare. 

Nostri sogni leggiadri ove son giti 
Dell* ignoto ricetto 
D'ignoti abitatori, o del diurno 
Degli astri albergo, e del rimoto letto 
Della giovane Aurora, e del notturno 
Occulto sonno del maggior pianeta ? 
£gco svanirò a un punto, 
£ figurato è il mondo in breve carta; 
£cco tutto è simile, e discoprendo, 
Solo il nulla s* accresce. A noi ti vieta 
Il vero appena è giunto, 
O caro immaginar ; da te s* apparta 
Nostra mente in eterno ; allo stupendo 
Poter tuo primo ne sottraggon gli anni ; 
E il conforto perì de* nostri affanui. 

Nascevi ai dolci sogni intanto, e il primo 
Sole splendeati in vista, 
Cantor vago dell* arme e degli amori , 
Che in età della nostra assai mea trista 
Empier la vita di felici errori: 
Nova speme d' Italia. torri, o celle, 
donne, o cavalieri, 
O giardini, o palagi l a voi pensando, 
In mille vane amenità si perde 
La mente mia. Di vanità, di belle 
Fole e strani pensieri 
Si componea 1* umana vita: la hax\ds^. 


220 CRESTOMAZIA POFTCA 

Li cacciammo: or che resta? or poi che il Conviene agli alti ingegni. Or di riposo 

[venie Paghi viriamo , e scorti 

K spogliato alle cose? Il certo e solo Da mediocrità; sreso il sapiente 

Veder che tutto è vano altro che il duolo. E salita è la turba a nn sol confine, 

OTorquato,o Torquato, a noi l'eccelsa Che il mondo agguaglia- O scopritor fa- 

Ttia mente allora, il pianto Segui; risvegliai morii, Imoso, 

A te, non altro, preparava il cielo. Poi che dormono i vivi; arma le spente 

misero Torquato ! il dolce vanto. Lingue de* prischi eroi ; tanto che infine 

Non valse i consolarti o a sciorre il gelo Questo secol di fango o vita agogni 

Onde r alma t* avean, eh* era sì calda, E sorga ad atti illustri , o si vergogni. 
Cinta V odio e 1* immondo Giacomo Leopardi, Poesict 

Livor privato e de' tiranni. Amore, 

Amor, di nostra vita ultimo inganno, 45. Il Passero solitario, 

T* abbandonava. Ombra reale e salda 

Ti parve il nulla, e il mondo D* in sn la vetta della torre antica , 

Inabitata piaggia. Al lardo onore Passero solitario, alla campagna 

Nonsorsergliocchituoi;mercè, non danno Cantando vai finché non more il giorno ; 

L*ora estrema ti fu. Morte domanda Ed erra l'armonia per questa valle. 

Chi nostro mal conobbe, e non ghirlanda. Primavera dintorno 

Torna torna fra noi, sorgi dal muto Brilla nell'aria , e per li campi esnlta, 

K sconsolato avello, Sì che a mirarla intenerisce il core. 

Se d* angoscia sei vago, o miserando Odi greggi belar, muggire armenti; 

Esemplo di sciagura. Assai da quello Gli altri augelli con lenti, a gara insieme 

Che ti parve sì mesto e sì nefando, Per lo libero ciel fan mille giri, 

li peggiorato il viver nostro. O caro. Pur festeggiando il lor tempo migliore: 

Chi ti compiangerla, Tu pensoso in disparte il tutto miri; 

Se, fuor che di se stesso , altri non cura ? Non compagni, non voli, 

Chi stolto non direbbe il tuo mortale Non ti cai d'allegria, schivi g!i spassi: 

Aifanuo anrhe oggidì, se il grande e il raro Canti e così trapassi 

Ha nome di follia; Dell' anno e di tua vita il più bel fiore. 

Ne livor più, ma ben di lui più dura Oimè, quanto somiglia 

La noncuranza avTÌeneaisommi?oqnale, Al tuo costume il mio! Sollazzo e riso, 

Se più de'carmi, il computar s' ascolta. Della novella età dolce famiglia. 

Ti appresterebbe il lauro un'altra volta ? E te german di giovinezza, amore, 

Da te fino a quest'ora uom non è sorto, Sospiro acerbo de' provetti giorni, 

O sventurato ingegno. Non coro, io non so come; anzi da loro 

Pari air italo nome, altro eh' no solo. Quasi fuggo lontano; 

Solo di sua codarda etade indegno Quasi romita e strano 

Allohrogo feroce, a cui dal polo Al mio loco natio. 

Maschia virtù, non già da questa mia Passo del viver mio la primavera. 

Stanca ed arida terra, Questo giorno ch'ornai cede alla sera, 

Vcnne.uel petto; onde privilo , inerme, Festeggiar si costuma al nostro borgo. 

(Memorando ardimento) in su la scena Odi per lo sereno un suon di squilla. 

Mosse guerra a' tiranni: al men si dia Odi spesso un tonar di ferree canne. 

Questa mìsera guerra Che rimtmmba Ionia n di villa in villa. 

E questo vano rampo all' ire inferme Tutta vestita a festa 
Del mondo.Ei primo e sol dentro all'arena La gioventù del loco 
Scese, e nullo il seguì, che l'ozio e il brutto Lascia le case, e per le vie sì spande; 

Silenzio orpreme ai nostri innanzi a tutto. E mira ed è mirata, e in cor s'allegra. 

Disdegnando e fremendo, immacolata Io solitario in questa 

Trasse la vita intera, Rimofa parte alla campagna uscendo, 

E morte lo scampò dal veder peggio. Ogni diletto e gioco 

Vittorio mio, questa per te non era Indugio in altro tempo: e intanto il gnar^ 

Età aè saolo. Altri anni ed aUro se^^Vo Svt&o nell'aria aprica 


SECOLO DECIMONONO 


221 


Mi fere il Sol che tra lontani monli , 
Dupo il {giorno sereno, 
Cadendo si dilegua, e par che dica 
Che la beata gioventù vien meno. 

Tu solingo augellin, venuto a sera 
Del viver che daranno a te le stelle, 
Cerio del tuo costume 
Non ti dorrai; che di natura è frutto 
Ugni vostra vaghezza. 
■ A me, sé di vecchiezza 
La detestata soglia 

Kvitar non impetro, L re 

Quando muli questi occhi ali* altrui co- 
li lor fia vóto il mondo, e il dì futuro 
Del dì presente più nojoso e tetro, 
i^he parrà di tal voglia? 
Che diquest^'anni miei? che di me stesso? 
Ahi peotirommi, e spesso, 
>Ja sconsolato, volgerommi indietro. 

G. Leopardi j Pjesie. 

46. // Sabato delvillaggio, 

\jk donzelletta vien dalla campagna, 
]n sui calar del soie. 

Col suo fascio dell* erba; e reca in mano 
LJn mazzolin di rose e di viole, 
Onde, siccome suole, 
Ornare ella si appresta 
Dimani, al dì di festa, il petto e il crine. 
Siede con le vicine 
Su la scaU a filar la vecchierella. 
Incontro là dove si perde il giorno; 
£ novellaudo vien del suo buon tempo. 
Quando al dì della festa ella si ornava, 
Ed ancor sana e snella 
Solea danzar la sera intra di quei 
Ch*ebbe compagni dell'età più bella. 
Già tutta l' aria imbruna. 
Torna azzurro il sereuo, e tornan l'ombre 
Giù da' colli e da' tetti. 
Al biancheggiar della recente luna. 
Or la squilla dà segno 
Della festa che vi eoe; 
Ed a quel suou diresti 
Che il cor si riconforta. 
1 fanciulli gridando 
Sala piazzuola in frotta, 
E qaa e là saltando, 
Fanno un lieto romore; 
E iutanto riede alla sua parca mensa, 
Fischiandi), il zappatore, 
E seco pcu^a al dì del suo riposo. [ face 

Poi qu::ndu intorno è speata ogni al tra 


E tutto l'altro tace. 

Odi il martel picchiare, odi la sega 

Del legnajuol,chc veglia 

Nella chiusa bottega alla lucerna, 

E s'affretta, es'adopra 

Di foruir l' opra anzi il chiarir dell' alba. 
Questo di setteè il più gradito giorno, 

Pien di speme e di gioja: 

Di man tristezza e noja 

Recheran 1' ore, ed al trnvaj^lio osato 

Ciascun in suo pensier farà ritorno. 
Garzoncello scherzoso, 

Codesta età fiorita 

È come un giorno d' allegrezza pieno, ■ 

Giorno chiaro, sereno, 

Che precorre alla festa di tua vita. 

Godi, fanciullo mio; stalo soave, 

Stagion lieta è cotesta. 
Altro dirti non vo'; ma la tua festa 
Ch' anco tardi a venir non ti sia grave. 

G. Leopardi f Po«»ie. 

47. La ginestra , o il fior$ 
del deserto. 

£ gli uomlui vollero piuUoct* 
le teoebre che la luce. 

CiOTAMìft, III, 19. 

Qui sa l'arida schiena 
Del formidabil monte 
Sterminator Vesevo, 
La qual null'altro allegra arbor né fiore , 
Tuoi cespi solitari intorno spargi , 
Odorata ginestra. 
Contenta dei deserti. Anco ti vidi 
De' tuoi steli abbellir l'erme contrade 
Che cingon la cittade 
La qual fu donna de' mortali un tempo , 
E del perduto impero 
Par che col grave e taciturno aspetto 
Faccian fede e ricordo al pa>seggero. 
Or ti riveggo in questo suol, di tristi 
Lochi e dal mondo abbandonati amante, 
E d' afflitte fortune ognor compagni. 
Questi campi cosparsi 
Di ceneri infeconde, e ricoperti 
Dell' impietrata lava. 
Che sotto i passi al peregrio risona; 
Dove s'annida e si contorce al sole 
La serpe, e dove al noto 
Cavernoso cuvil torna il coniglio; 
Fur liete ville e colli, 
£ biondeggiar, di spiche e risonaro 


S22 CBBSTOMAZU POETICA 

Di muggilo d* armenti ; Guida i pubblici fati. 

Fur giardini e palagi, Così ti spiacque il vero 

Agli ozi de'poteBti DelKaspra sorte e del depresso loco 

Gradito ospizio; e fur città famose, Che natura ci die. Per questo il tergo 

Che coi torrenti suoi Patterò monte Vigliaccamente rivolgesti al lume 

Dall'ignea bocca fulminando oppresse Che il fé' palese; e, fuggitivo, appelli 

Con gli abitanti insiem. Or tutto intorno Vìi chi lui segue, e solo 

Una mina involve; Magnanimo colui [folle. 

Dove tu siedi, o fior gentil, e, quasi Che,sè schernendo o gli altri , astuto e 

] danni altrui commiserando, al cielo Fin sopra gli astri il mortai gradò estolle. 

Di dolcissimo odor mandi un profumo Uom di povero stato e membra infer- 

Che il deserto consola. A queste piagge Che sìa dell* alma generoso ed alto^ [me 

Venga colui che d* innalzar cou lode Non chiama se ne stima 

Il nostro stato ha in uso, e vegga quanto Ricco d* or né gagliardo, 

È il ce ner nostro in cura . £ di splendida vita o di valente 

Air amante natura. £ la possanza Persona infra la gente 

Qui con giusta misura Non fa risibil mostra; 

Anco estimar potrà deirnman seme, Ma se di forza e di tesor mendico 

Cui la dura nutrice, ov* ei non teme, Lascia parer senza vergogna, e noma 

Con lieve moto in un momento annulla Parlando, apertamente, e di sue cose 

In parte, e può con moti Fa stima al vero uguale. 

Poco men lievi ancor subitamente Magnanimo animale 

Annichilare in tutto. Non credo io già, ma stolto 

Dipinte in queste rive Quel che, nato a perir, nutrito in pene,. 

boli deir umana gente Dire, a goder son fatto. 

Le magnifiche sorti e progressive, £ di fetido orgoglio 

Qui mira e qui ti specchia , Empie le carte, eccelsi fati e nove 

Secol superbo e sciocco. Felicità, quali il ciel tutto ignora. 

Che il calle insino allora ^ ^ Non pur quest'orbe, promettendo in terra 

Dal risorto pensier segnalo incanti ^ A popoli che un* onda 
Abbandonasti, e, vòlti addietro i passi, Di mar commosso, un fiato 
Del ritornar ti vanti, D* aura maligna, un sotterraneo crollo 

£ procedere il chiami. Distrugge sì ch'avanza 

Al tuo pargoleggiar gì* ingegni tutti A gran pena di lor la rimembransa. 
Di cui lor sorte rea padre ti fece Nobil natura è quella 

Vanno adulando, ancora Ch' a sollevar s* ardisce 

Ch* a ludibrio talora Gli occhi mortali incontra 

T* abbian fra se. Non io Al cornun fato, e che con frane» lingua^ 

Con tal vergogna scenderò sotterra: Nulla al ver detraendo , 

£ ben facil mi fora Con€e.ssa il mal che «ri fu dato in sorte 

Imitar gli altri e, vaneggiando in prova, £ il basso stato e frale; 
Farmi agli orecchi tuoi cani andò accetto: Quella che grande e forte 
Ma il disprezzo piuttosto che si serra Mostra sé nel soffrir , né gli odii e l'ire 
Di te nel petto mio, Fraterne ancor più gravi 

Mostrato avrò quanto si possa aperto: D* ogni altro danno, accresce 
Bench*io sappia che obblio Alle miserie sue, 1* uomo- incolpando 

Preme chi troppo all'età propria inrreb- Del suo dolor, ma dà la colpa a quella 
Di questo mal, che teco [be. Che veramente é rea, che de' mortali 

Mi fia comune assai finor mi rido. £ madre in parto ed tn voler matrigna. 

Libertà vai sognando, e servo a un tempo Cjstei c£iama inimica^ie incontroaqaesi» 
Vuoi di novo il pensiero, CoYiginnta esser pensando,. 

Sol per cui risorgemmo Siccom'è il vero, ed ordinata in pria 

DaiJa barbarie in parte e per cui solo^ L' umana compagnia, 
^i (Te5ce in civiltà, che mU in meglio Tutti fra sé confederati estlsia 


SECOLO DECIMONOXO 223 

Gli uomini; e tutti abbraccia Dell* uomo? £ rimembrando 

Con vero amor, porgendo 11 tuo stato qu:tggiù;'di cui fa segno 

Valida e pronta ed aspettando aita II suol ch*io premo; e poidairaltra parte» 
Negli alterni perigli e nelle angosce Che te signora e fine 

Della guerra comune. Ed aile offese Credi tu data al Tutto, e quante Tolte 
Dell'uomo armar la destra,e laccio porre Favoleggiar ti piacque, in questo oscuro 
Al vicino ed inciampo, Granel di sabbia, il quai di terra ha Do- 

Stolto crede così, qual fora In campo , Per tua cagion, delPuniverse cose [me, 
Cinto d*oste contraria, in sul più tìvo Scender gli autori, e conversar sovente 
Incalzar degli assalti, Co* tuoi piacevolmente ; e che i derìsi 

or inimici obbliando, acerbe gare Sogni rinnovellando, ai saggi insulla 

Imprender con gii amici. Fin la presente età, che in conosceoxa 

£ sparger fuga e fulminar col brando Ed in civil costume 

Infra i propri guerrieri. Sembra tutte avanzar; qual moto allora. 

Cosi fatti pensieri Mortai prole iof^^lice, o qual pensiero 
Quando fien, come fnr, palesi al vólgo , Verso te finalmente il cor m* assale? 

E queir orror che primo Non so se il riso o la pietà prevale. 
Contra Tempia natura Come d'arbor cadendo unpicciol pomo. 

Strinse i mortali in social catena Cui là nel tardo autunno 

Fia ricondotto in parte Maturità scnz'altra forza atterra, 

Da verace saper, 1* onesto e il retto D' un popol di formiche i dolci alberghi 

Conversar cittadino, Cavati in molle gleba 

' £ giustizia e piefade altra radice Con grau lavoro, e V opre 

Avranno allor che non superbe fole, £ le ricchezze eh* adunate a prova 

Ove fondata probità del volgo Con lungo affaticar 1* assidua gente 

Cosi star suole in piede Area prò vida mente al tempo estivo, 

Qnalestar può quel ch*hainarrorIasede. Schiaccia, diserta e copre 

Sovente in queste piagge, In un punto; così d' alto piombando , 

Che, desolate, a bruno Dall' utero tonante 

Veste il flutto indurato,e par che ondeggi , Scagliata al ciel , profondo 

Seggo la notte; e su la mesta landa Di ceneri, di pomici e di sassi 

In purissimo azzurro Notte e ruina, infusa 

Veggo dair alto fiammeggiar le stelle, Di bollenti ruscelli , 

Cui di lontan fa specchio O pei montano fianco 

li mare, e tutto di scintille in giro Furiosa tra l*erba 

Per lo vóto seren brillare il mondo. Di liquefatti massi 
E poi che gli occhi a quelle luci appunto, E di metalli e d'infocala arena 

eh* a lor sembrano un punto. Scendendo immensa piena, 

E sono immense in guisa Le cittadi che il mar là sa Teslremo 

Che un punto a petto a lor son terra e Lido aspergca, confuse 

Veracemente; a cui [mare E infranse e ricoperse 

L' uomo non pur, ma questo In pochi istanti: onde so quelle or paKc- 

Globo ove l'uomo è nulla. La capra, e città nove 

Sconosciuto è del tutto: e quando miro Sorgon dall'altra banda, a cui sgabello 

Quegli ancor più senz' alcun fin remoti Son le sepolte, e le prostrate mura 

Nodi quasi di stelle, [l'uomo L'arduo monte al suo pie quasi calpesta. 

Ch' a noi pajon qual nebbia, a cui non Non ha natura al seme 

E non la terra sol, ma tutte in uno, Dell' uom più stima o cura 

Del numero infinite e della mole, Ch' alla formica: e se più rara in quello 

Con l' aureo sole insiem, le nostre stelle Che nell' altra è la strage , 

(> sono ignote, o così pajon come Non awien ciò d* altronde 

Essi alla terra, un puntò Fuor che l' uom sue prosapie lift meo fe- 
Di luce nebulosa; ai pensier mio Ben mille ed ottocento [conde. 

Che sembri allora, o prak Anni varcar poi che sparirò, oppressi 


Dair ignea forza, | popolati seggi, 

£ il vilianello inlenlo 

Ai vigneti rhc a stento in questi campi 

lontre la morta zolla e incenerita, 

Ancor leva lo sguardo 

Sospettoso alla vetta 

Fatai, che nulla mai fatta più mite 


CRESTOMAZIA IK)liTlCA 

Per sì lungo cammino [tanto, 

Che sembra star. Caggiono i regni iu- 
Passan genti e linguaggi: ella noi vede ; 
£ l'uom d' eternità s'arroga il vanto. 

£ tu, lenta ginestra, 
Che di selve odorate 
Queste campagne dispogliate adorni. 


Ancor siede tremenda, ancor minaccia Anche tu presto alla crudel possanza 


A lui strage ed ai figli ed agli averi 

Lor poverelli. £ spesso 

Il meschino in sul (etto 

Dell' ostel villereccio, alla vagante 

Aura giacendo tutta notte insonne , 

K balzando più volte, esplora il corso 

Del temuto bollor, che si riversa 

Dall' inesausto grembo 

Su ir arenoso dorso, a cui riluce 

Di Capri la marina 

£ di Napoli il porto e Mergellina. 

K se appressar lo vede, o se nel cupo 

Dfl domestico pozzo ode mai l'acqua 

Fervendo gorgogliar, desta i figliuoli , 


Soccomberai del sotterraneo foco. 

Che, ritornando al loco 

Già noto, stenderà l'avaro lembo 

Su tue molli foreste. £ piegherai 

Sotto il fascio mortai non renitente 

II tuo capo innocente: 

Ma non piegato insino allora indarno 

Codardamente supplicando innanzi 

Al futuro oppressor; ma non eretta 

Con forsennato orgoglio invér le stelle, 

Né sul deserto, dove 

£ la sede e i natali 

Non per voler ma per fortuna a^vesti ; 

Ma più saggia, ma tanto 


Desta lamogiie in fretta,e via con quanto Meno inferma dell'uom, quanto le frali 


Di lor cose rapir posson, fuggendo. 
Vede lontan l'usato 
Suo nido, e il picciol campo 
Che gli fu dalla fame unico schermo , 
Preda al flutto rovente. 
Che crepitando giunge, e inesorato 
Durabilmente sopra quei si spiega. 
Torna al celeste raggio, 
Dopo r antica oblivìon, l' estinta 
.Pompei, come sepolto 
Scheletro cui di terra 
Avarizia o pietà rende all'aperto; 
£ dal deserto fòro 
Diritto infra le file 
De' mozzi colonnati il peregrino 
LuDge contempla il bipartito giogo 
t^ la cresta fumante, 
Ch' alla sparsa mina ancor minaccia. 
£ nell'orror della secreta notte 
Per li vacui teatri, 
Per li templi deformi e per le rotte 


Tue stirpi non credesti 

dal fato o da te fatte immortali* 

Giacomo Leopardi, Poesie. 

48. Sul traffico dei JVegri. 

Nome di saggio, di gentil, d' umano, 
Secol novello, invano 
Speri per filolofici argomenti, 
Mentre a stampar di fiera 
Abbominosa crudeltà consenti 
Pel tuo lucido colio orma si nera. 

Al patrio suol dolce qoal sia, rapite 
Mille innocenti vite 
Dolorano colà sul mal concesso 
Lido ove corse il forte 
Ligure, e r alla cupidigia appresso 
Col delilto ridendo e con la morte. 

Ahi sventurati, a cui dal Sirio ardore 
Insolito calore 
Per le misere carni si diffonde; 


Ca:se, ove i parti il pipistrello asconde, Voi mercadante inferra 

Come sinistra face Barbaro, e tragge oltre vastìssìm'onde 

Che per vóti palagi atra s' aggiri, Lente glebe a sudar d'ignota terra. 
Corre il baglior della funerea lava, sbigottito mio pensier, tu vedi 

Che di lontan per l'ombre Mal su gì' infermi piedi 

Rosseggia e i lochi intorno intorno tinge. Reggersi quelle estenuate membra: 

Cosi, oeir uomo ignara e dell' etadi Tu vedi ad uno ad uno 

Ch' ei c*hiama antiche e del seguir che Cader que' volti .che discarna e smeml»ra 

Dopo gli avi i nei>oti, [fanno 11 dolor, la fatica ed il diginno. 

Su natura ognor verde, ani» \>toccdc Fise le.luci al suol, poggiando stanco 


SECOLO DKaMONONO 


335 


ra marra il fianco, 
muti il lor natio ricetto, 
i Tani lai 

figli, al cai soave aspetto 

ran gli orchi consolar più mai. 

etato flagello li respinge 

affanno e tinge 

erren dell'infelice sangue. 

iebbre percosso 

nza conforto a terra langue, 

a pelle maculata in rosso. 

anto dVgni lena altri in tenace 

[)ro fondo giace, 

più non sarà eh* arte il rìdesti; 
tue degne voglie, 


Che TÌvo e morto rip'^sar qui volle, 

Tu che vivo il vedesti 

(Quanto t* invidio!) e di bei lauri cinto 

Trar sua vecchiezza a lenti passi e gravi 

Per queste ombre soavi, 

Qaando del prisco italico valore 

Pensier gravosi e mesti 

Qui portava nel volto, ancor dipinto 

De là dolcezza che vi pose Amore ; 

Dl% qnal partedi quest'ombrosa chiostra 

Copre Tavanzo de la gloria nostra? 

Ecco, io 'ti veggio, o solo 
£ più che gemma prezioso sasso! 
Fortunata quest*aura e questo suolo 
A cui rivolge il passo 


Europa, a veder gli efletti onesti. Cupidamente ogni anima bennata 


di tua virtù frutto si coglie. 

ìri affetti e d* amorosi amplessi 

^ioja è per essi; 

sorge l'aurora, alcun la sera 

>enso non porta, 

le il ciel, non torna primavera, 

tizia di natura é morta. 

risti petti a poco a poco spento 

uman sentimento; 


Che qui gode inchinarsi e star pensosa ; 
£ ogni anima amorosa 
Che sospir più soavi unqua non spera: 
lo veggo Amor che lasso 
Si volge a 1' urna dolorosa e guata; 
La sacra Poesia, cinta di nera 
Benda, con mano a' tristi occhi fa-telo: 
Credo la guardi con pietade il cielo. 
E Amor così le dice : 
è quel germe che talvolta in rude Quivi seder con lagrime e con lutto 
3r di selve A me veracemente, a me s'addice, 

stesso è possente a dar virtude; Vedi a che m' han ridutto 
i furo ed or son fatti belve. Diversi tempi e tralignate ^enti, 

na, sdegno di Dio, vindice telo, Ch' io porto di lascivia abito e nome ; 
tira e del ciclo £ ben sa '1 mondo come 

la Tonta, i rei tiranni prostra, La più gentil fra le gentili cose 
le scellerate Questi mi fece, e tutto 

; e voi^ della grand' ombra vostra, Pudico innanzi a giovinette menti, 
lermo a tanta indignità, tremate. Col suo sì dolce lamentar, mi pose : 
drizza le vele ed il governo In lui, sommo intelletto e puro core, 

nave che a scherno [ vampa? 1 divini pcnsier spirava Amore, 

tlante che mugge, e il eie! che av- Ed ella a lui : Ben parmi 
l' ella appressa i lidi Che più a me si convegna il van disio 

lusta Guinea. Celati, scampa. Qui disfogare t piangere e lagnarmi ; 
le incauto al margine ti fidi. Amor, tu'l sai, com' io 

le r altiveggente aquila piomba Presi l'alme più schive e più selvagge 

Di mia beltate allor ch'ei mi die veste 
Eletta e sì celeste. 
Dolcezza che sonò 'per Isnga etade; 
Or donna vii che il mio 
Kome si toglie, e i oiùovi ingegni tragge 
Dietro sua vanità, chft par beltade, 
Vaga di strani fregi usd del faugo: 
a tomba del Petrarca inArquà. Ella gode onorata, ed io ^ui piango. 

cenei; beatdetlo, 
de e solingo colle Or ccaér innto che nna pietra guarda, 

mio vate gentil tantp piacesti £ già stanza d'altissimo Intel Icitu -, 

lEOPARDi, CrettomoMia, IL ^ « V^ 


nido colomba, 
empio naviglio a quella riva: 
! pezzo d'argento 
turba fa misera e capti va! 
iTC e grida se ne porta il vento. 
G. Marchetti, Poesie. 


2Ì6 CRESTOMAZIA POETICA 

Ben (Ttà* io rhe ancor arda, Tntla l'invade un gelato sudore^ - " y ^ 

Volta qiiaggià, la tua santìsbim* ombra £ n«ile fauci un brivido le serra '^ > 

Di queil* amor magnanimo e cortese II respiro ed i palpiti nel core: ' '. ' \^ 

Che ben d'altro 1* accese Più s* affrettando si confonde ed erra ' 

Che d'occhi rilucenti e di crìn biondo. Smarrita a lungo entro quel cupo orrorr/ 

O sol, ch'ogni più tarda Riscontra alfin per caso sotto ai passo ;'-' 

Reliquia hai vinto di barbarie' ombra Le scale e vien precipitosa al basso.' ' ' '' 
£ adorni ancor di gentilezza il mondo, Varca la corte e i portici, e discende ;' 

ih chi ti cela? or che saria mestiero Per un àndito ignoto^ barcollante 

Di te che apristi ai più superbi il vero. Fiuo all' orto e alla cava ove l' attettdé 

CanzoR, sovra quest* urna Fra tema e speme il combattuto amxdiéi^. 

Poni uq serto di lauro ed un di mirto; H qual con una man tosto la prende, '' 

£ la querela affeltuosa e il canto £ tentando con 1' altra a sé davante 

Leva umilmente a quel divino spirto, Con lei si mette per l'oscuro calle 

A quel sovrano italico decoro, Sempre temendo aver gente alle spalle. 
£ lui rinf;razia : intanto Quanto più ponno accelerando i passi 

lo bacio il snolo, e questa tomba adoro. £ran già a mezzodì qnel fosco loco, 

G. Marchetii, Poesie. Quando lontau lontan visibil fassi 

L' incerto tremolar d*^ un picciol foco, 

/•9. La fuga e la sorpresa. ^^ odono un fragor sordo che vassi 

Approssimando sempre a poco a poeo, 

Del clausf ro nel solingo orto s' apria £ raffiguran poi più da vicino 

Dagli sterpi impedita e dalle spine Molti armati venir per quel cammino. 
Una vetusta sotterranea via Indietro si rivoltan spaventati 

Che del Circo adduceva alle mine ; Tornando su la strada già fornita ; 

Quinci ei medesmo incontro le verria, Ma non sì tosto veggonsi arrivati 

£ lei vestita d' armi e ascoso il crine, Al pertugio che s' apre in sull' uscita. 

Scortar farebbe da un fidato messo, Ch'ivi pur trovan numerosi armati, 

Col qual r avria di pochi dì precesso. Onde la fuga vien loro impedita : 

£cco la notte della speme arriva Mettono questi un grido, e di lontano 

Agli amanti propizia, olire il costume Risponde il primo stuol dal sotterrano: 
Di densa nebbia intenebrata, e priva Rizzardo, sguainando allor la spada. 

Sotto ciel procelloso d* ogni lume: Dice all'amata che al suo fianco stia, 

Già la fanciulla tacita e furtiva E a correr dassi per l'incerta strada 

Abbandonò le travagliate piume : Verso lo stuol che addosso gli venia: 

Già si volge evilando ogni fragore Scontra fra i primi della ria masnada 

Verso le scale giù pel corridore. Un che gli altri scorgea per quella vii ; 

A se dinanzi nullo obbietfu vede. La man che il lume sofferia gli tronite, 

£, come i ciechi, vien per l'aria oscura £ torna buja a un tratto la spelonca. 
Movendo piena di sospetto il piede, Nella confusion che lo seconda 

E le man brancolanti per le mura : Rotando ei vien con una man l'acciaro, 

Fra un duplice di celle ordin procede £ con l' altra si trae dietro lldegonda 

Lieve lieve , tremando di paura Del suo petto facendole riparo: 

(Jhe ulcuna delle suore non si desti Quai diersi in fuga, quai dalla profonda 

Al fievol suonde'passi e delle vesti, [sa. Oscurità difesi s'appiattaro: 

Se a una porla la man tentando appres- Molli a que' colpi orribili, improvvisi 

La tragge indietro,ed oltrepassa incerta: Cadeau feriti d'ogni parte o uectsi» 
Spesso tende l'orecchio, e l'andar cessa, Suonan le basse sotterranee vòlta 

Che ad ogni moto parie esser scoverta; D' urla lu|;ubri e strida di terrore 

iNJa giunta ove s' alloggia la badéssa Delle genti che vanno ia fuga aciòUe, 
S 

j: 

Fu percàtict Mìo spavcntó'k^-im;^. xV v«c\à^ ì^xlt^tt liifczardo' itlMnladó, ' 


SECOLO DGCmONOm) 


sai 


lu^ì<>,sl TieU sempre avansaodo. 
i un ^tartooifigli tpparia dal fesso 
il la s^r»4a ^l Circo adito dava; 
'/{uelle alfrettando&i era presso 
Ria. giunto deilWreada cava, 
«cciogUaUe spalle un branco spesso 
a.'|[ente db^ loseguitava 
ci. accese ed armi d' ogni sorte, 
ido.e mkiacciandol deOa morte, 
«koandosi dietro la mal viva 
sv fuor di quel pertugio in fretta, 
U prima torma fuggitiva 
accolla la fuga gli è intercetta,* 
va schiera intanto ecco che arriva; 
Q felice coppia in mezzo è stretta : 
tt questo r indomito s'arrende, 
gratamente si difende, 
spessi colpi la calca dirada, 
a tanti assalitor pur basta, 
e sui cadaveri una strada 
^un de' nemici gli contrasta: 
legonda fra quegli avvien checada, 
1 ferita indietro era rimasta, 
che il giovin se ne fosse accorto 
ne] caldo della pugna assorto, 
dalla fiera mìschia ci si districa , 
Iva mento giungere pò tea; 
i si volge, e vede che Tamica * 
ei rischio seguito non V avea ; 
i gridi di lei, che s'affatica 
r Ài man di quella turba rea; 
ojto nomando, un' altra volta 
isi ardito in mezzo delia folta, 
olti pur nel nuovo scontro atterra, 
.suo valor miranda prova, 
ippo disuguale era la- guerra , 
sser forte. a lungo anco gli giova, 
ogni intorno sempre più lo terra 
a calca succedente e nova; 
spossato e in molte parti offeso, 
lungo contrasto al&n fu preso. 

Grossi, lldefonda, parte li» 

{JO. Morte d'ildegonda. 

poscia che rinvenne dal celeste 
ento a che s'era abbandonata, ' 
kose inchinò 1^ luci meste 
che a tanta s^ltez^ l'ha levata:- 
l:h! disse,; potrò 1^ mortai veste 
UT, dal ps^revmÀo sendo esecrata? 
porlaRdpi.ÌQ.fnèi)t0.ancpr scolpita 

maledi^pn 'Qe^ll af Ir^. vita? 

direbbe l»sailt» jDì^dfQ mia 


Allor che in deb iaG^dj^tn^rtnl v)hià$s«^ìÌ 
Vedendo che la figlia ;iwiic«i^f^nf4> (.)!•' ^ 
Morta ribelle al padfe come vissUi^up Hi 
Ella che sempre sofferente e .pia , ri f)i\'. ■ 
Stette soflimessaaquantAei le prei8ck$5«cv> 
E moglie e donna era per se veggente^ r 
Mentr*io fanciulla:, ed egli è; il iriiq.ipa^^ 

■ [retate. 

— Volgiti al padre, il confessor ]e'4$ce , 
!Nè possibil non è ch'ei non si pieghi,- 
Che alla morente sua figlia infelice^ . 
Supplicato, il perdono ultimo neghi : 
Avvalorati fian dalla vittrice 

Parola del Signor per me i tuoi preghi. 
Le membra inferme di vigor già prive 
Dal letto a stento ella solleva e scriver 

— « Padre: ricolma e la misura orrendai 
n Dell' ira un dì sul mio capo imprecata, 
(c Sapete voi, sapete qual tremenda 

V Prova sostenne qnesta sventurata? 
ff Deh! un'anima paterna nou l'intenda; 
« Troppo, ah! troppo ne fora esulcerata, 
ff Solo il cielo lo sappia , e il dolor mip 
« Gradito salga in olocausto a Dio. — 

a Ecco la mia giornata in sul mattino, 
« In sul primo roattiu manca e si more^ 
a Mi volgo addietro nel mortai cammino, 
a Più non veggio che l'orme del dolore: 
« Ma l'eterno avvenir, cui m' avvicinq, 
« Mi sU dinanzi e il giorno del Signore, 
ff 11 novissimo dì della vendetta , 
a £ del giudicio estremo che m'aspetta. 

— cr Perdonatemi, o padre, e benedite 
tf L'afflitta vostra ^glia moribonda ; 

« Deh per l' amor ai Dio, deh non patite 
tf Per pietà della povera Ildegonda , 
a Che v'amò tanto in questa vita, e mite 
a Vi pregherà il Signor nella seconda , 
« Deh non patite che sotterra io scenda, 
« Nella paterna vostra ira tremenda, — 

Finito che ebbe, alzata lentamente. 
La faccia, vista fu che lagrìmava; 
Prese il foglio, e baciollo con la mente 
Rivolta al genitor coi lo mandava; 
Quindi piegato, e chiuso finalmente, . 
Con un sospiro al confessor lo dava, 
Che lo riceve impietosito» e vola 
Fuor della stanza, uè può dir parola^. . 
Un lieve cenno allor fé con la tc^ta, 
Idelben richiamando presso al lètto,, . 

: £ tutta olla^pietosa mnaifesta 
Che 4i. l^i^z<ardo il x:onfe&sor le ha d£t|<^, : 
£ come a desiar più non le resta 

. Che la morte, ouii \wm ^\ vaji^'^w^x^ 


2-28 CRESTOMAZIA roF.TCA 

a ch'ella ben la invorheria di rorc Che Icrao troverà n, venendo al bas<o *. 

Se impetrasse il perdon dal genitore. Etu,allor che involandoti alla schieri 

Poi ledice:— Baco affrettasi il momento Delle infelici che non han mai pianto 
Che darà fine a questa lunga guerra : Verrai soletta, quando si fa sera. 
Già nelle membra travagliate sento Celatamente in quelì*asilo santo, 

Una voce rhe chiamami sotterra : Prostrati, o cara, nella tua preghiera, 

Forse mi cercherai domani, e spento ^ Sul sepolcro di lei che t*amò tanto; 
Quel raggio in me che tanlo amasti in Seuliran dal profondo della fossa 
Mi troverai, e non avrai presente [terra, La tua presenza e esulteran quest^ossa. 

Fuor che un freddo cadavere indolente; 

E tu, sorella, tu il cada ver mio 

Toccherai sola, tanto imploro, o cara; Meste squillan nel bujo le campane: 
Tu lo componi in atto umile e pio Un basso mormorar di molle genti, 

Con le tue man sulla funerea bara; Che di lontan procedon lente e piane, 

£ orando sopra lui prega da Dio Avvicinarsi a poco a poco senti; 

La pace che a'suoi giusti egli prepara. — Il mistico recando augusto pane 
L^altra a risponder si movea,ma intanto Fra lo splendor de' sacri ceri ardenti; 
Pietà la vinse e ruppe in un gran pianto. Ecco apparir devotamente il santo 

— Non pianger, proseguia la rassegnata. Ministro, e stargli le sorelle accanto. 
Non pianger me,chealfin arrivo in porto: La povera celletta d' improvviso 
Che fare'io deserta € travagliata Rifulger parve d' un celeste raggio; 
In tanto mare, senza alcun conforto, Una soavità di paradiso 

Or che tolta mi fu la madre amata, Confortò la morente al gran viaggio, 

Che il mio Riizardo, il mio Rizzardo , e E fu veduta sfavillar d' un riso 

^ [ morto? Di carità, di speme e di coraggio 
A tutti in odio , fuor che il pianto , in Qnando TOstia d*amor, le sacre note 

[ questa Proferendo, le porse il sacerdote. 
Misera valle, dimmi, or che mi resta ? . Poiché col ^^acram«tlto benedette 
E , in cosi dir, Tamica accarezzando, Egli ebbe alfin le congregate suore. 
Le asciuga gli occhi e bacia in fronte Quelle in due files^avviàr risti^ette, 

ttpeiso. Intonando le laudi del Signore: 
E — Mei conredi quel che ti domando ? Nessuna il pie fuor della soglia mette 
Lo farai? dunque lo prometti adesso? — Che non volga nno sguardo di dolore 
Cosi insistente supplicava; e quando [so, Alia morente, la qnal grave e mula 
Quella il capo inchinando ebbcl promes- Con gli occhi ad una ad una le saluta. 

— Mercè te n'abbia il ciel, sorella mia: 

Oh di che amor mi amasti ! — e prose- ....... 

[guia; Mentre con san li detti la rincora 

— Mi vestirai di quella veste bianca La voce di quel giusto al gran tragitto, 
Che mi trapunse la mia madre invano, Ecco che giunge rapida una suora 
Nei tristi giorni quando afHitta e stanca Alla badessa e recale uno scritto : 
L'aspettato piagnea sposo lontano : Del ver presaga, la morente allora 

li mio rosario ponmi nella manca. Parve rasserenasse il volto afflitto ; 

Il crocifisso nella destra mano. La madre incontanente a lei lo porse, 

E di quel nastro aunodanii le chiome Che, ogni vigor raccolto, alquanto sorse; 
hu che intreccialo il mio sta col tuo no- E baciò quello scritto e al corlostrin- 

[me. Che scosso le balzò sotto la mano; [st» 
Se fuor verrò portata dal convento. Poi desiosa a leggerlo s' accinse 
Siccome prego e supplico clic sia, Tre volte e quattro, e fu ogni scherzo va- 

Mi porran ncirantico monumento Che nebuloso al senso le si piuse [no» 

Della famiglia con la madre mia : Ed ondulante su mal fermo piano ; 

Che se dato non m'è tanto contento. Sicché forzata finalmente il cesse 
Mi 5P/)/)elIiscan qui presso la zia Al confessor, che lagrimando lesse: 

Nella cbìesa de' morii sotto a\ S3iSso « Amata figlia, il veggio, è troppo tario 


SCCOLO DECIMONONO 229 

inoìntutlo il pentimento mio: Col primo raggio incontra e la riveste 

so che m' ami , e 1' ultimo tuo D*una luce purissima celeste. 


[ sguardo 
sdegnerà lo scritto che t*invio. 
perdonami, e prega il tuo Rizza rdo 
non chiami vendetta innanzi aDiO' 
sa che il tuo fratello è mio nemico, 
:i m'ha tradito, e ch*io ti benedico, 
ktto di pietà la moribonda 
e luci al ciel senza far motto: 
i alla gioja che nel sen le abbonda 
lo, die in un piangere dirotto: 
ata del letto in sulla sponda, 
ti piange la sua fida, e sotto 
assati veli la badessa 
mente lagrima va anch' e5sa. 
>mmosso ministro sulla pia 
irenti le preci proferendo, 
imente ad or ad or la già 
me di Gesù bei^dicendo, 
i il4occo feral dall' agonia 
opor che l'aggrava ella sentendo, 
.'ommossa, girò gli occhi intorno, 
andò s'era spuntato il giorno, 
"u risposto esser la notte ancora ; 
e indugiar però più lungamente 
uote ad apparir nel ciel l'aurora, 
à svanian le stelle iu oriente, 
rivederla luce allora 
desio nel cor della morente 
schiuder le imposte, e fu veduta 
ar gran tempo il ciel cupida e muta, 
.osse finalmente, e vista accesa 
la face benedetta accanto , 
ghiere ascoltando della Chiesa, 
peteale quel ministro sanlo, 
mpana funerale intesa, 
squillar non desisteva intanto , 
alzò gli occhi ad Idelbene in viso, 
Ecco, le dicea con un sorriso, 
> l'istante che da lungo agogno. — 
i affanno improvviso qui l' oppres- 
sa a sedersi fu bisogno, [ se, 
iver l' anelilo potesse. [ gno — 
me contenta! questo non è un so- 
poichè il vigor glielo concesse , 
di de'morti rammentava, quando 
tranquilla si credea sognando, 
ron queste l'ultime parole: 
, a guisa di persona stanca, 
mt inchinò siccome suole 
) fior cui nutrimento manca. 
re a fronte luminoso il soie, 
la faccia più che neve biauca 


Grassiy Udegonda, parte IV. 

51. Canto di un Trovatore. 

Bello al pari d'una ro'sa 
Che sì schiude a sol di maggio 
È Folchetlo, un giovin paggio 
Di (lai mondo di Tolosa ; 
Prode in armi, ardito e destro 
Trovator di lai maestro. 

Chi lo vede al di di festa 
Su un leardo pomellato 
Fulminar per lo steccato 
Con la salda lancia in resta, 
A san Giorgio lo ragguaglia 
Che il dragon vince in battaglia: 

Se al tenor di meste note 
Sciorre il canto poi l' intende , 
Quando il biondo crin gli scende 
In anellaperlegote, 
Tocco il cor di maraviglia 
Ad un aogiol l' assomiglia. 

In sua corte lo desia 
Qual signor più in armi vale, 
^on è bella provenzale 
Che il sospiro ei non ne sia ; 
Ma il fedel paggio non ama 
Che il suo sire, e la sua dama. 

D'un baron di Salamanca 
Essa è figlia, e Nélda ha nome: 
Nero ciglio, nere chiome, 
Guancia al par d' averlo bianca; 
Non è vergine iu Tolosa 
Più leggiadra o più sdegnosa. 

All'amor del giovinetto 
La superba non s' inchina. 
« Sente ancor della fucina » 
Fra se ÒM't con dispetto : 
« No, SI basso il cor non pone 
La figliuola d'un barone, m 

Piange il paggio e si lamenta 
Notte e di sulla mandola; 
Di lei canta, di lei sola , 
La sua cobla e la sirventa; 
La quintana corre a prova, 
I.ance spezza: e nulla giova. 

Ond' ei langue come fiore 
In sul cespite appassito: 
Smunto il viso, n*è smarrito 
Delie fragole il colore; 
£ si spegne a poco a poco 
Ne* cerulei sguardi il foco. 


CBr.STÒMÀZIA tntTfcK 


'LelirghciM del suo se 
£i la àait ciValiert, 
- 'blKarbonalofkcoiilt; 
E iu u<i S'Oiao eK dife spoM 
, La Jugiaa^ disdegnosa. 
FoTle d arali apparecchio t'ailnlia 
Di Tolosa pel campi e pel vallo. 
Che far tristo na ribelle vaiiallo 
11 signor di Pcoienia giurò. 

Non tì manca bandiera nesiana 
Di baron, di ciltade soggetta: 
Vtrso Anlibo già il ompo a' affrelU, 
Kt' snoi piani Te lende pianti. 

A Folchrlto che a par gli cavalca 
Dolcemente Raimondo TaTella: 
" Perchè sempre sì meslaf la bella 
Che sospiri . fra poco Terrà, 

Di Narbona il cammiao già ulca 
Un cnrrierrhe a chiamarla ho spacciato; 
Troppo presto da lei t' ho strappalo, 
Del tuo duolo mi strinse pietà, o 
_ Ecco il giamo in che Nelda s'attende, 
Kcco nn altro, ed nn altro succede; 
Passa il qaarlo ed il messo non rìede, 
E la bella aipeltata non «ien. 

La cillì combattala i' arrende; 
Già cadnto i il ribelle stendardo: 
Vjen Folchetlo al suo lido leardo ; 
Che pili nullo rispetto lo tien. 
Alla volta del grato castella 
Tutto un giorno lìaggia solello, 
Poi, sviandosi verso un borghetlo 
Che di meno agli ulivi Iraspar, 

Lera ^li occhi al leron d'un ostello 
Al cui pie r onda irata si frange, 
E li scoim una donna che piange 
Inlendendo gli sguardi nel mar. 
Al portar delta bella persona, 
Al sembiante, al vestir gli par dessa. 
Palpitando al verone s' appressa: 
ElIaèNelda.piAdubblononv'è. 

Sulla strada il cavallo abbandona. 
Di sospetto tremante a lei vola: 
1 Tu, mia sposa, — le grida — qui sola? 
E piangente ?... di', come? perchè?« 
Sciolta le chiome, pallida, 
£ par secura in viso, 
Scniudendo dalle trepide 
Labbra un superbo riso, 
' La beliaa lui rivolta, 

" Scostali— disse— e ascolta. 

• In me un'antica, ingenua 

a Sebutùi mitxhiuti, o TÌk; 


. Chi ti levò dal tritio, 

■ Ma non li fea gentile 

• Quel III» signor villano 

■ Cbe mi ti diede in mano. 

» Nun io patir l'ingiuria 

■ Potei del sangue e il danno, 
' E concedelii, abì misera !, 

■ A un cavalicr britanno 

■ Freno di mia Tenj)e|)a 

■ Questa beltà negletta. 

* Ei m'ha tradilà: al subila ' 

■ Romoreggiar eh' io sento 

■ Balio fra il sonno, c.tacite 

• Veggio spiegaU al vento 

• Di quel felloii crudele 

■ Ratte fuRgir le vele. 

e Cader due volle, sorgere 
Due volle, il soie b vidi 

• Soletta errando in lagrime 

• Su questi ignoti lìdi; 

e Sprllacnl, mostra a dito 
D Dal volgo impielosilo. 

* (Ir che mi resta? supplice 

• L'unta de] tuo perdano 

» Implorerò spregiandoli ? 
D Si abbietta ancor non sono. 

• Quanto vedesti, al mio 

• Padre tu annuniia. Addio. 
Dice cai terraiio avventasi, 

E ratti) dalla sp'mda 
D'un salto si precipita 
Col capo in giù nell'onda; 
Sonar pel curvo lido 
S'intese un tonfo e un grido. 
Fra ì ciechi scogli infrantasi 
Il delicato fianco, 
Spari; ma tosto emer^terc 
Fu visto un velo bianco, 

Non die una lagrima 
li l'a valle re : 
Qual è di nere 
Armi vestita. 
Soletto e tacito 
Lunghesso il lito 
Si dilegui. 

I venti muggODo, 
Biancheggia l'onda; 
£i dalla spoqda , 
D'una barehella 
(ìiiarda la florida 
Terra diletta 
Cb t^handonfi^ 


E l'aeaue 
Farsi di s 


, SECOLO 

la fr^ le nordiche 
Nebb^evltagglay 

Già iùlla spiaggia 

Éd*Aibroàe: 

Ed ecco affrontasi 

Con quel barone 

Che io tradì. 
Le lance abbassano, 

Pi|[liari del cambio ; 

iRattL quài lampo^ 

I ^ue giannetti 

Con tanta furia 

S* urtar coi petti, 

Ch*un ne morì. 

A un punto snudano 

Entrambi il brando^ 

E fulminando, 

Di colpi crudi 

Con vece assidua 

Elmetti e scudi 

Fan risonar. 
Ma, il grave anelito 

Frenando in petto , 

Ecco Folchetto 

Al traditore 

Con fero giubilo 

In mezzo al core 

Pianta Tacciar. 
Pallida pallida 

Divien la laccia 

Che la minaccia 

Spira pur anco. 

La destra il misero 

Si preme al fianco. 

Vacilla e muor.. 
Allor nel fodero 

L* acciar ripone; 

Guarda il barone 

Che giace ucciso, 

Né rasserenaci 

Pertant«ril viso 

Delvincitor. 
AlPestremo confin della Spagna, 
Sulla vetta scoscesa d'un monte 
Che dal piede ncU'onde si bagna 
Alla verde Provenza di fronte, 
Sorge un chiostro che Bruno fondò. 

Pochi eletti lassuso raccolti 
Vivon d*erbe e di strane radici, 
Coi cappucci calati 3ui volti. 
Cinto ognun di penosi cilici 
Che ^por, finca ei vi[ye, non può. 
Sonar gli archi d'un portico acuti 
Fa usa spulila a riatocchi percossa: 


DECmONONO ^i 

L*aa con l'altro guardandosi^ muti 
Stanno i monaci intorno a un^ f^ssa 
Atteggiati di cupo dolor. r- 

Chi è quel vecchiochein terraji giace 
Colle braccia incrociate sul petto? — 
11 tremante chiaror d'una face : 
Gli erra incerto sul volto. ~£ Folchetto, 
Il baron di Narbooa che muor. , , r. 

Bianca bianca la barba fluente 
Della tunica il cinto gli passa; 
E all'alterno respir, mollemente 
Ondeggiando, or si leva or s'abbassa 
Come fanno le spume del mar. , 

Ma fra i casti pensieri di morte « 
Nella mente del vecchio sereoàf 
Di quell'ora solenne più forte 
Uu'imagin ribelle balena 
Cui non valser tant'auni a domar. 

Qual la vide neli'uttimo giorno 
^Col crin nero per gli omeri sciolto , 
Vagolarsi ancor vede d'intorno 
Tutta in lagrime, pallida il volto, 
E pur bella, la sposa infedel. — 

Santo vecchio! e ti spunta morendo 
Una stilla segreta di pianto ? 
Che t'affanna?— Ah t'intendo, t'intendo: 
Riveder lei che amasti già tanto 
Non potrai fra gli eletti nel cìel. 

'^2. La Rondinella» 

Rondinella pellegrina, 
Che ti posi in svi verone, 
Ricantando ogni mattina 
Quella flebile canzone. 
Che vuoi dirmi in tua favella. 
Pellegrina rondinella? .,. 

Solitaria nell'oblio. 
Dal tuo sposo abbandonata, 
Planai forse al pianto mio 
Vedove tla sconsolata ? 
Piangi, piangi in tua favella, 
Pellegrina rondinella. 

Pur di me manco infelice 
Tu alle penne aimcu t'affidi ,. 
Scorri il Iago e la pendice, 
Empi l'aria de' tuoi gridi, 
Tutto il giorno in tua favella 
Lui chiamando, o rondinella. 

Oh se anch'io!... Ma lo contende 
Questa bassa, angusta volta, 
Dove sole non risplende. 
Dove l'aria ancor m'è tolta, 


232 


CRESTOiMAZIA POETll?il 


Donde a te la mia favella 
Giunge appena, o rondinella. 

Il settembre innanzi viene 
£ a lasciarmi ti prepari ; 
Ta Yedrai lontane arene. 
Nuovi monti, naovi mari 
Salutando in tua favella, 
Pellegrina rondinella: 

Ed io tutte le mattine, 
Riaprendo gli occhi al pianto, 
¥rg le nevi e fra le brine 
Crederò d'udir quei canto 
Onde par che in tua favella 
Mi compianga, o rondinella. 

Una croce a primavera 
Troverai su questo suolo: 
Rondinella, in su la sera 
Sovra lei raccogli il volo : 
Dimmi pace in tua favella. 
Pellegrina rondinella. 

T. Grossi, Poesie. 

53. La giovinezza. 

Corri su fuggitiva ala veloce, 
O giovinezza : lieve 

Sfiori la terra, e di tuo viver breve [de: 
Già al fin se' giunta, e a te si spoglia il vcr- 
XJn bel raggio così spunta e si perde. 

giovinezza, o primo di natura 
Leggiadro fiore che di vcrgin pura 
Stai sulla guancia molle. 
Ah! perchè mai sì tosto ne abbandoni, 
Ne ti rinnovi come il fior del colle ? 

Per te i dumi si vestono di rose, 
E il mondo si colora 
In luce soavissima di cielo : 
Far che per te più roseo l'aurora 
£ argenteo più abbia la luna il velo. 

Teco vien quell'affetto che ragiona 
Nell'anime non morte a gentilezza ; 
Teco vien l'allegrezza, 
£ il sorriso e la speme e i dolci orgogli; 
Ma se tu manchi, tu di lor ci spogli. 

Allor eh' è mai la vita ? 
Ve' in autunno la foglia inaridita: 
Cade f e un giorno sì bella. 
Or stride sotto il pie del giovinetto. 
.Che la preme e di lei più non favella. 

/i, Cagnoti, Poesìe. 


54. Fer il primo congresso dei dodi* 
in Pisa Vanno 48S9. 

Di sì nobile congresso 
Si rallegra con àè stesso 

TuUól'umàn genere. 
Tra i potenti della ^na 

Non si tratta, còiiie a Vienna , 
D*attottare i popoli. 
E per questo «in'ti^annetto 
Da quattordici'al duetto 

Grida! — Oh che spropositi! 
Questo principe toscano, 
Per tedesco e per sovrano • 

Ciurla un po' nel manico. 
— Lasciar fare a chi fa bene? — 
Ma badate se conviene ! 

Via, non è da principe. 
Inter nos, la tolleranza 
È una vera sconcordanza; 

Cosa che dà scandalo. 
— Non siam re mica in Siberia ! — 
Dio '1 volesse ! Oh che miseria 
Cavalcar l'Italia! 
Qui nell'aria, nel terreno. 
Chi lo sa? c'è del veleno : 

Buscherato il genio ! 
Un'Altezza di talento 
Questo bel ragionamento 

Faccia a se medesimo: 
Se la stessa teoria 
Segue, salvo l'eresia , 

Il morale e il fisico; 
Anco il lame di ragione 
Per virtù di riflessione, 

Cresce e si moltiplica. 
E siccome a chi governa 
É nemica la lanterna 

Che portò Diogene; 
Dal mio Stato felicissimo 

( Che per grazia dell'Altissimo 
Serbo nelle tenebre ) 
Imporrò con un decreto, 
Che chi puzza d'alfabeto 

Torni indietro subito; 
E proseguano il viaggio. 
Purché paghino il pedaggio. 

Solamente gli asini. 
Ma quel matto di Granduca 
Di tener la gente duca 

Non conosce il bandolo. 
Qualche birba lo consiglia : 
ti mestare è di famiglia 


SECOLO decimonono 

Vizio ereditario. Viva i quattrini! 


233 


Viva le maschere 

D'ogni paese. 

Le imposizipnl, eP«lfiiAodei mese. 

Io nelle scosse • 

Delle sommosse 

Tenni, per àncora 

D'ogni burrasca. 

Da dieci o dodici 

Coccarde in tasca. 

Se cadde il prete 

Io feci l'ateo, 

Rubando lampade, 

Cristi e pianete, 

Case e poderi 

Di monasteri. 

Viva arlecchini 

E burattini 

£ Giacobini, 

Viva le maschere 
ato al signor Tallcjrand buoa*aoima D'ogni paese * 

Loreto e la Repubblica francese^ 
Se poi la coda 


i me, che so il mestiere, 
he faccio il mio dovere 

Propagando gli ebeti, 
ntidoto al progresso, 
mio popolo ho concesso 

Di non saper leggere, 
to all'ignoranza 
ira, e paghi, e me n'avanza; 

Regnerò con comodo, 
n Vandalo d'origioe, 
roteggo la caligine, 

E rinculo il secolo, 
letto l'Ateneo 
i festeggia Galileo! 

Benedetto l'Indice! 

(r. Giusti, Poesie 

55. Il brindisi di Girella, 


sua. 


Girella ( emerito 
Ilo merito ) 
iando a tavola 
»r faceto, 
la bussola 
fabeto; 
trincare 

ado un brindisi, 
sua cronaca 
ola re 

ci di bocca 
strocca: 
a arlecchini 
sttiui 
e piccini; 
e maschere 
paese 


Tornò di moda, 
Ligio al Pontefice 
E, al mio sovrano , 
Alzai patiboli 
Da buon cristiano. 
La roba presa 
Non fece ostacolo ; 
Che, col difendere 
Corone e Chiesa, 
Kon resi mai 
Quel che rubai. 

Viva arlecchini 
E burattini 
E birichini; 
Briganti e maschere 
D'ogni paese, 


nte, i club, i principi e le chiese. Chi processò,chi prese, e chi non rese* 


Da tutti qaesti 
lezzi onesti 
menandomi 
vecchio e il nuovo, 
i da vivere, 
' il covo. 
Ite ferma, 
dì scrupoli 
1 coll'anima • 
' di scherma^ 
a pietanza 
Finanza, 
a arlecchini 
ttini, 


Quando ho stampato, 
Ho celebrato 
£ troni e popoli, 
E paci e guerre : 
Luigi, l'albero, 
Pitt, Robespierre, 
Napoleone, 
Pio sesto e settimo ; 
Morat, Fra Diavolo, 
Il re Nasone, 
Mosca e Marengo: 
E me ne tengo. 

Viva arlecchini 
E burattini, 


£ Ghibeiliiii : 

E Gaelfi, e nusehfire . 

D'ogni paeaec i. • 

Evviva chi aalìy viv ajdù xeSft. 

Quando tornò 
Lo statu quo , 
Feci baldorie ; 
Staccai cavalli ^ 
Mutai le statue 
Sai piedistalli; 
£ adagio adagio 
Tra r onde e i vortici , 
^u queste tavole 
Del gran naufragio, 
Gri&ndo evviva » 
Chiappai la riva. 
Viva arlecchini 
E burattini ; 
Viva gì' inchini ; 
Viva le maschere 
D' ogni paese; • 
Viva il gergo d*alloray e chi l'intese. 

Quando volea 
(Che beli' idea!) 
Uscito il bccolo 
Fuor de' minori 
Levar l' incomodo 
A' suoi tutori ; 
Fruttò il carbone 
Caputo vendere 
Al cor di Cesare 
D'un mio padrone 
Titol di re, 
E il nastro a me. 
Viva arlecchini 
E burattini 
E pasticcini ; 
Viva le maschere 
D'ogni paese, 
La candela di sego e chi l'accese. 

Dal trenta in poi, 
A dirla a voi , 
Alzo alle nuvole 
liC tre giornate ; 
Lodo di Modena 
Le spacconate ; 
Leggo giornali 
Di tutti i generi ; 
Piango l' Italia 
Co' liberali; 
£ se mi torna, 
Ne dico corna. 

Viva arlecchini 
E bontlim 


.-i 


'l 


E il re Chiappini 4) f . - i . 
Viva le masdbere ,, ^ « 

D' ogni paese, . . : - . j< 

La Carta, i tr^ colori e il crtfiif n IcBsa. 

Ora sop. vecchio; 
Ma coU'orecchip , , 
Per abitudine' . 
E per trastullp^ , , 
Certi vocaboli ; r ;. 

Pigliando a frullo , ... , . , 
Placidamente < ,. 
Qua e là m* esercito ; 
E sotto 1* egida , 
Del Presidente 
Godo il papato 
Di pensionato. 

Viva arlecchini 
E burattini, 
E teste fini ; 
Viva le maschere 
D' ogni paese ; 
Viva chi sa tener l' orecchie tese. 

Quante cadute 
Si son vedute ! 
Chi perse il credito, 
Chi perse il fiato. 
Chi la collottola, 
E chi lo stato. 
Ma capofitti 
Cascaron gli asini : 
Noi valentuomini 
Siam sempre ritti. 
Mangiando i frutti 
Del mal di lutti. 

Viva arlecchini 
E burattini, 
E gPindovinl ,* 
Viva le maschere 
D' ogni paese ; 

Viva Brighella che ci fa le spese, 

G» Giustìj Poesie* 

»6. Il Re Travicello. 

Al Re Travicello 
Piovuto ai ranocchi 
Mi levo il cappello 
E piego i ginocchi ; . 
Lo predico anch' ia 
Cascato da Dìo : 
Oh comodo, oh bello 
Un Re Travicello l 

Calò nel suo regno 
Con molto fracasso^ 


Le teste di legno . ' '* 
Fan sempre grati c)iiaJso« 
Ma subito tacque, 
K al sommo dell'acque 
Rimase un coHbello 
Il Re Travicello. 

Da tutto il pantano 
Veduto quel coso : 
« È questo il sovrano 
Così rumoroso ? 
( S' udì gracidare ). 
Per farsi fischiare 
Far tanto bordello 
Un Re Travicello ? 

Un tronco piallato 
Avrà la corona ? 
O Giove ha sbagliato, 
Oppur ci minchiona. 
Sia dato lo sfratto 
AI Re mentecatto; 
Si mandi in appello 
Il Re Travicello, n 

Tacete, tacete, 
Lasciate il reame 
O bestie che siete, 
A un re di legname. 
Non tira a pelare, 
Vi lascia cantare. 
Non apre macello 
Un Re Travicello. 

Là là per la reggia 
Dal vento portato, 
Tentenna, galleggia, 
£ mai dello Stato 
Non pesca nel fondo. 
Che scienza di mondo ! 
Che re di cervello 
È un Re Travicello ! 

Se a caso s*adopra 
D' intingere il capo, 
Vedete ? di sopra 
Lo porta daccapo 
La sua leggerezza. 
Chiamatelo Altezza, 
Che torna a capello 
A un Re Travicello. 
* Volete il serpente 
Che il sonno vi scuota? 
Dormite contente 
Costì nella mota, 
O bestie impotenti: 
Per chi non ha denti, 
£ fatto a pennella 
Un Re Traidoello* 


,0 nficrMfO!«aiW) ^2*5 

Un popolo fìtm ; . ' • ! n » > . l 
Di tante fortwie . . » * 

Può farne di meo» t -..i^^.'O 
Dei senso comune. '■'• ■ 
Che popolo ammodo; 
Che principe sodo, . 

Che santo modella 
Un Re Travicello ! 

G. Giusti) Poesie* "^"^ 

57. Per reuma d*uneantant9» 

V'è tal che mentre canti e in bella guisa 
Lodi e monete accatastando vai, 
Rammenta i dolci che non torcia iati 

Tempi di Pisa, 
Quando di notte per la via maestra, 
Il Duo teco vociando e la romanza, 
Prendea diletto di chiamar la ganza 

Alla finestra. 
E a lui gli amici concedeano vanto 
Di ben temprato orecchio airannonia, 
E dalla gola giovinetta uscia 

Facile il canto. 
Pazzo che almanaccò per farsi nome 
Con un libraccio polveroso e vieto. 
Lasciando per il suon dell'alfabeto 

Crome e biscrome ! 
Or tu Mida diventi in una notte ; 
£ via portato da veloce ruota 
Sorridi a lui che lascia nella mrita 

Le scarpe rotte : 
Ed ei lieto risponde al tuo sorriso, 
£ l'antica amistà sente nel seno 
Che a te lo ravvicina, a te che almeno 

Lo guardi in viso. 
Vedi ? passa e calpesta il Galateo 
Lindoro, amor d' inverniciate dame, 
£ d'elegante anonimo bestiame 

Tisico Orfeo. [ ne 
^ Eccolo: ognun si scansa, ognun trattie- 
L'alito, e schianta ansando dalla tosse; 
E creste all'aria e seggiole commosse.... 

£1 viene, ei viene. 
Svenevole s'inoltra e sdolcinato; 
Gira, ciarla, s'inchina, e l'occhio pesto 
Languidamente volge, e fa il modesto 

£.^ svogliato. 
Pregato e ripregato ecco sorrìde, 
In atto di far grazia ai supplicanti; 
I baffi arriccia in su , si tira i guanti, 

E poi si asside. 
La giovinetta convulsa e sbiadita 
Très-bien gorgoglia con sqnarrata voce, 


^256 CRESTOMAZIA 

Mcntr'ei tartassa il cembalo, e veloce 

Mena le dita; 
£ nelle orecchie imbriacate muore 
Semifranrese lambiccato gergo 
Di frollo Adon che le improvvba a tergo 

Frizzi d'amore. 
Piange intanto il filosofo imbecille, 
E dietro l'arte tua chiama sprecato 
L'oro che può lo stomaco aggrinzato 

Spianare a mille. 
Piange di Roma gnosi, che coll'ale 
Dell' alto ingegno a tanti andò di sopra, 
£ i giorni estremi sostentò coli' opra 

D' un manovale. 
Pianto sgaa jato,che del mondo Tecchio 
In noi l'uggia trapianta e il malumore. 
Purché la pancia il cuoco, ed un tenore 

C empia 1* orecchio, 
Che imporla a. noi del nobile intelletto 
Che per Putilé nostro anela e stenta. 
Del poeta che bela e ci sgomenta 

Con un sonetto ? 
Dell'ugola il tesoro e dei registri 
Di noi stuccati gli sbadigli appaga: 
Torni Dante, tre paoli ; a te, la paga 

Di sei ministri. 
Signor ! tu ehe alla pecora tosata 
Volgi in aprile il mese di gennajo, 
£ secondo il mantel tarpi a rovajo 

L'ala gelata,. 
Salva l'educatrice arte del canto: 
A te gridano i palchi e la platea, 
Misererei signor, d'una trachea 

Che costa tanto. 
Anzi del cranio rattrappiti e monelli 
Gli organi lascia che non danno pane, 
£ la poca virtù che vi rimane 

Cali nei bronchi. 
S'usa educar, lo so; ma è pur corbello. 
Bimbi, chi spende per tenervi a scuola ! 
Gola e orecchi ci vuole, orécchi e gola; 

Péste al cervello. 
G, Giustij Poesie. 

58. la Chiocciola, 

Viva la Chiocciola, 
Viva ana bestia 
Che unisce il merito 
Alla modestia. 
Essa all'astronomo 
£ all'architetto 
Forse nell'animo 
Desiò a concetto 


POETICA 


Del cannocchiale 

E delle scale : 

Viva la Chiocciola y 
Caro animale^ 
Contenta ai comodi 

Che Dio le fece. 

Può dirsi il Diogene 

Della sua spece. 

Per prender aria 

Non passa l'uscio^ 

Nelle abitudini 

Del proprio guscio 

Sta persuasa 

£ non intasa .* 

Viva la Chiocciola, 
Bestia di casa. 
Di cibi estranei 

Acre prurito 

Svegli uno stomaco 

Senza appetito: 

Essa, sentendosi 

Bene in arnese, 

Ha gusto a rodere 

Del suo paese 

Tranquillamente 

V erba nascente : 

Viva la Chiocciola, 
Bestia astinente. 
Nessun procedere 

Sa colle buone, . 

E più d'un asino 

Fa da leone. 

Essa, al contrario. 

Bestia com' è , 

Tira a proposito 

Le corna a afe. 

Non fa l'audace 

Ma frigge e tace : 

Viva la Cliiocciola, 
Bestia di pace. 
Nat4»ra, varia 

Ne' suoi portenti, 

La privilegia 

Sopra i \iventi, 

Perchè (carnefici. 

Sentite questa) 

Le fa rinascere 

Perfin la testa, 

Cosa mirabile 

Ma indubitabile : 

Viva la Chiocciola, 
Bestia invidiabile. 
Gufi dottissimi 

Che predicate 


SECOLO DECMO^OrsO 


257 


E al Tostro simile 

Nulla insegnate; 

£ voi girovaghi y 

Gblatti, scapati y 

Pa<ironi idrofobi, 

Servi arrembati, 

Prego a cantare 

li* intercalare: 

Viva la Chiocciola, 
Bestia esemplare. 

G. Givsti, Poesie^ 

39. La guigliottina a vapore. 

Hanno fatto nella China 
Una macchina a vapore 
Per mandar ìsl guigliottina.. 
Questa macchina in tre ore 
Fa la testa a cento mila 
Messi in fila. 

LMstru mento ha fatto chiasso, 
£ quei preti -han presagito 
C,he il paese passo passo 
Sarà presto incivilito. 
Rimarrà come un babbeo 
V £uropeo. 

L'Impj^rante è un uomo onesto; 
Un po' duro, un pò* tijrato, 
Un po*ciuco, . ma d^l resto 
Ama i sudditi e lo stato, 
£ protegge i belPingegoi 

De*suoi regDÌ. 

V'era un popolo ribeile 
Che pagava a maliacqore 

I catasti e le gabelle; 

II benigno imperatore 
Ha provato in quel paese 

Quest'arnese. 
La.virtù deiristrumento 
Ha frullato una pensione 
A quel boja di talento 
Col brevetto d'invenzione, 
E rha fatto mandarino 

Di Pekino. 
Grida un frate: oh! bella cosa! 
Gli va daio anco il battesimo. 
Ah perchè ( dice al Canosa 
Un Tiberio in diciottesimo ) 
Questo genio non m'è nato 

Nel dacato! 

G. Giusti j Poesie* 


^0. La repubblica. 

A PIETRO Gì ANNONE. 

Non mi pare idea si strana 
la repubblica italiana 

Una e indivisibile. 
Da sentirmene sciupare 
Per un tuffo atrabiliare 

Il cervello , o il fegato. 
Fossi te, certo, confesso 
Che il vedermi intorno adesso 
Balenare i popoli, 
£ sapere affeddeddio! 
Che codesto balenio 

Significa — vattene, 
Io vedrei questa tendenza, 
A parlare in confidenza, 

Proprio contro stomaco. 
Pietro mio, siamo sinceri; 
La vedrei mal volentieri 

Anche, per esempio, 
Se ogni sedici del mese,. 
Alla barba del paese 

Irottassi a riscuotere. 
Non essendo coronato, 
Non essendo ^salariato, 

Ma pagando Testimo ; 
Che mi decimi il sacchetto 
O là clamide o il berretto, 

Mi par la medesima. 
A]|zt, a dirla tale e quale, 
Vagtegpiahdo l'ideale 

Per vena poetica, 
Nella cim.a del pensiero, 
Senza farten*^ mistero, 

Sento la repubblica. 
Ma se poi discendoj all' alto 
Dalla sfera deirastratto, 

Qui mi casca l'asino. 
E gl'inciampi che ci vedo 
Non mi svogliano del Credo; 

Temo degli Apostoli. 
Come! appena stuzzicato 
11 moderno apostolato, 

l'ietro, ti rannuvoli? 
Mi terrai sì scimunito, 
Che grettezza di partito 

Mi raggrinzi Tanima? 
Oh lo so: tu, poverello. 
Senza casa, senza tetto, 

Soiza rifrigerio , 
Ventott'anni hai tribolato, 
Ostinato nel ^»ecc5ilvi 


^M 


CRRST05IAZU POETICA 


Ddl'ainor di patria! 
All'amiro, al galantuomo, 
Che sbattalo, egro, e noa domo 
Sorge di martirio. 
Do la tfcrta nelle mani, 
E sul capo ai ciarlatani 

Trattengo le forbici. 
Dunque, via, raggranellate 
Queste genti sparpagliate 

Tornino in famiglia. 
Senza indugio, senza cbiasso, 
Ogni spalla il proprio sasso 

Porti alla gran fabbrica. 
E sia casa, curia, ospizio. 
Officina, sodalizio, 

Torre e tabernacolo, 
£ non sia nuova Babelle, 
Che t'arruffi le favelle 

Per toccar le nuvole. 
Perchè, vedi; avendo testa 
Di cercare a mente desta 

Popolo per popolo. 
Ogni cura in fondo in fondo 
Si rannicchia a farsi un mondo 
Del suo paesucoio: 
£ alla barba del vicino 
Tira l'acqua al suo molino 

Per amor del prossime* 
La concordia, l'eguaglianza. 
L'unità, la fratellanza, 

Eccetera, eccetera, . 
Son discorsi buoni e belli ; 
Tre fratelli, tre castelli, 

Eccoti ITtalia. 
O si svolge in largo amore 
Il gomitolo del cuore 

(Passa la metafora), 
E faremo in c(ftnpagnia 
Una tela, che non sia 

Quella dì Penelope; 
^ diviso e suddivìso 
Questo nostro paradiso 

Col sistema dllanneman. 
Ottocento San Marini 
Comporranno i govemini 

Dell'Italia in pillole. 
Se non credi all'apparenze, 
FaVepubbHca Firenze, 

E vedrai Peretola. 
E cosi spezzato il pane. 
Le ganj^sce oltramontane 

Mangeranno meglio. 
G. Giusti, y^zwi 


61. La fiducia in Dio. 


.•j 


Quasi obliando la corporea aalnu . 
Rapita in Quei che volentier perdoaa 
Sulle ginocchia il bel corpo abbasdotti • 
Soavemente e l' una e V altra palauu "■ 

Un dolor stanco, una celeste cairn* 
Le appar diffusa in tutta la persona) ' 
IVIa nella fronte che con Dio ragiona. - 
Balena P immortai raggio dell' alma: ! 

E par che dica: — Se ogni dolce fXoA- 
M'inganna, e al tempo che sperai sereio ' 
Fuggir mi sento la vita aifaunnsa. 

Signor, fidando, al tuo paterno seno 
L' anima mia ricorre, e si riposa 
In un affetto che non è terreno. 

G. Gtusti, Poesit» 

62. All' amica lontana. 

Te solitaria pellegrina iilido 
Tirreno e la salubre onda ritiene, 
E un doloroso grido 

Distinto a te per tanto aere non tiene y ' 
Né il largo amaro pianto 
Tergi pietosa a quei che t' ama tanto. 

E tu conosci amore, e sai per prova 
Che neir assenza dell' obbietto amato 
Al cor misero giova 
Interrogar di lui tutto il creato. 
Oh se gli affanni accheta 
Questa di cose simpatia segreta; 

Quando la luna in suo candido velo 
Ritorna a consolar la notte estiva, 
Se volgi gli occhi al cielo, 
E un' amorosa lacrima furtiva 
Bagna il viso pudico 
Per la memoria del lontanò amice: 

Queir occulta virtù che ti richiama 
Ai dolci e malinconici pensieri, 
È di colui che t' ama 
Un sospir che per taciti seutieri 
Giunge a te, donna mia, 
E dell'anima tua trova la via. 

Se il venticel con le ggerissioÉ'ala- : 
Increspa l'onda che lieve t' accoglie» 
E susurrando esala 

Intorno a te dei fiori e delle foglie • ' • 
Il balsamo, rapito 
Lunge ai pomarii dell' opposto lito; 

Dirai: Quest'onda che si lagna, e questa 
Aere commusso da soave fiato, 
\3 \JL ^tW^, >i\\ ^eosier mesto 


SECOLO DEOIilONONa 


239 


kl giovinetto innamorato, 
eserta e sgradita 
iivìsa con me fngge la TÌta. 
indo sali'onda il turbine imperversa 
pingendo al lido i flutti amari, 
irìtà si versa 

impia solitudiae dei mari; 
andò da lontano 
e i perigli del ceruleo piano, 
sa, o cara, che in me rogge sovente 
Ile e mille affetti egual procella; 
i' aere fremente 
> dirada di benigna stella, 
10 sereno aspetto 

!ca pace air agitato petto. [va, 
:h'io, mesto vagando all'Arno in ri- 
jarlo e deliro, e veder parmi 
persona viva 

lover dolcemente a consolarmi: 
so alia tua voce 
mo petto il cor balza veloce. ^ 
flebile mi sqona e par che dica 
•lenti sospiri: O mio diletto, 
(felice amica 

intero il peosier, serba l'affetto: 
i(» amor la guida, 
1 te si consola, in te s'affida, 
mi consiglia , e da bugiardi amici 
ane speranze a se mi chiama. 
;iorni infelici 

mi dice, ma d* intatta fama: 
perpetuo ragf>io 
irerà di tua vita il viaggio, 
scio a te stesso, la letizia, il duolo 
e l' amor di me nel tuo segreto; 
acilo e solo 

e dal core ardente irrequieto 
interna guerra 

-he sola amica hai sulla terra, 
la la cara immagine celeste 
jeta al pensicr chela saluta, 
a Angelo veste 

e ricde a sé stessa; e si trasmuta 
lereo portento, 
ana rosea nuvoletta al vento, 
da lunge ricambiar tu puoi 
e tue dolcezze e le tue pene: 
eti tra noi 

cose superne e le terrene: 
ensiero unita, 
•sì la tua colla mia vita. 
, d'uopo ho di le: sovente al vero 
sogni io ihi formava inganno: 
r occhio il pensiero 


Altre sembianze vagheggiar non sanno ; 

Ogni più dolce cosa 

Fugge l' animo stanco e in (a ^ posa. 
Ma così solo nel desio che m' arde 

Virtù vien mancò ai sensi e all'intelletto, 

£ sconsolate e tarde 

Si struggon V ore che sperando affretto: 

Ahimè, per mille afi&nni 

Già declina il sentier de'miei begli anni! 
Forse mentr'io ti chiamo, e tu noi sai, 

Giunge la vita afflitta all'ore estreme; 

Né ti vedrò più mai, 

Né i nostri petti s^4iniranno insieme: 

Tu dell' amico intanto 

Piangendo leggerai l' ultimo canto* 
Se lo spirito infermo e travagliato 

Compirà sua giornata innanzi sera. 

Non sia dimenticato 

II tuo misero amante: una preghiera 

Dal labbro mesto e pio 

Voli nel tuo dolore innanzi a Dio. 
Morremo: e sciolti diquaggiù n'aspetta 

Altro amore altra sorte ed altra stella. 

Allora, Q mia diletta, 

La nostra vita si farà più bella: 

Ivi le nostre brame 

Paghe saranno di miglior legame. 

Di mondo in mondo con sicuri voli 
Andran l' alme, di Dio candide figlie, 
Negli spazii e nei soli 
Numerando di lui le maraviglie ; 
£ la mente nell' onda 
Dell' eterna armonia sarà gioconda. 

G* Giusti, Voeùe» 

63. La mia gioventù. 

Cor muiidum crea in me. Deus* 

(P». 5o.) 

Lamento sui fuggiti anni primieri, 
Che fecondi di speme Iddio mi dava 
£ di ricchi d'amore alti pensieri ! 

Tra giubili ed affanni io m'agitava 
£d incessanti studi e bramosia 
Di sollevarmi dalla turba ignava ; 

£ spesso dentro al cor parola udia 
Che diceami dell'uom sublimi cose, 
Tali che d'esser uom iusuperbia. 

Pupille aver credca sì generose 
li mio intelletto che dovesser tutte 
Schiudersi a lui le verità na^icose; 

£ di ragion uelle più forlr lutte 
Io mi scagliava iiidomit), sognante 
Che sempre inda^lti Im\tv\ 't^>Lt\à\ Vtvì^^'^» 


"^AO CRESTOMAZIA rOETICA 

Quella vita arditissima ed amante Ed ii maggior mio gaudio era allori{oaa' 

Di scienza e di gloria e di giustizia In una chiesa io stava, 1 dì beati [ do 

Alzarmi impromelteva a gioje sante. Di mia credente infanzia rammentando: 

Né sol fremeva delPaltrui nequizia, Que* dì pieni di fede in che insegnati 

Ma quando reo me stesso io discopriva. Dal caro mi venian labbro materno 

L'ore mi s*avvo]gean d'onta e mestizia. I portenti onde al ciel siamo appellati! 

Poi dal perturbamento io risaliva Di nuovo fean di me poscia governo 

A proposti elevati ed a preghiere, La incostanza, gli esempi ed il timore 

Me concitando carità più viva. Dell'altrui vile e tracotante scherno, 

Perocché m'avvedea eh* uom possedere E Tira tua mertai per tanto errore : 

Stima non può di 0^ mcdcsmu e pace, ^^à gT indelebili anni che passaro 

S'ei non calca del bel le vie sincere. Kitesser non m' è dato, o mio Signore I 

Ma allur che fulger più parea la face Presentarti non posso altro riparo 

Di mia virtù, vi si niescea repente Che duolo e preci e fé nel divo sangue 

D' innato orgoglio il luccicar fiillace. Dì cui non fosli sulla terra avaro 

E allor Dio si scostava da mia mcntC; Per chiunque a'tuoi pie pentito langue. 

E a gravi rischi mi traea baldanza, S, Pellico^ Poesie. 
Ed infelice er'io novellamente. 

Se così vissi in lunga titubanza, 64. Giulia — Remanza, 
Ond'or vergogno, ahi tu pur sai, mio Dio, 

Che tremenda cingeami ostil possanza. . I-a legge è bandi tarla squilla s'è inlesa. 

Sfavillante d'ingegno il secol mio, È il dì de'coscritti. — Venuti alla chiesa 

Ma da irreligiose ire insanito, Fan cerchio; ed un'urna sta in mezzo di 

Parlava audace, ed ascolta vai io. [lor. 

E perocché tra' suoi sofismi ordito Son sette i garzoni richiesti al Ccunune; 

Pur tralucea qualche pregevol lampo, Son poste nell' urna le sette forlnne ; 

Spesso da quelli io mi sentìa irretito, [pò, Ciascun vi s'accosta col tremito in cor.— 

Egli, imprecando ogni maligno inciam- Ma tutti d' Italia non son cittadini ? 

Sciogliea della ragion laudi stupende, Perchè, se il nemico minaccia aiconBni, 

Mainsiem menava di bestemmie vampo. Non vanno bramosi la patria a salvar?— 

Ed io, come colui che intento pende Non è più la patria che all' armi gli ap- 

Da labbra eloquentissime e divine, Lpella : 
E ogni lor detto all'alma gli s'apprende ; Son servi a una gente di strania favella, 

Meditando del secol le dottrine. Sottesso le verghe chiamati a stentar. 

Inclinava i miei sensi alcuna volta Che vuol questa turba nel tempio sì 

Di servii riverenza entro il confine. [ spessa? 

Tardi vid'io ch'a indegne colpe avvolta Quest' altra che anela , che all' atrio fa 

Era sua sapienza, e vidi tardi [ pressa, 

Ch'ei debaccava per superbia stolta. Dolente che V occhio più lunge non va? 

Trasvolaron frattanto i dì gagliardi Vuol forse i fratelli strappar dal periglio? 

Della mia giovinezza, e sovra mille Aibrandi,aIleronche dar tutti di piglio? 

Splendide larve io posto avea gli sguardi; Scacciar lo stranièro? gridar libertà ? — 

E nulla oprai che d'alta luce brille ! Aravan sul monte ; sentito han la 

E si sprecar fra inani desidèri " [ squilla, 

Dell'alma mia bollente le faville ! Soh corsi alla strada, son scesi alla villa, 

Lamento sui fuggiti anni primieri Siccome fanciulli traenti al romor. 

Che d'eccelse speranze ebbi fecondi Che voglion ? Del giorno raccoglier gli 

E di ricchi d'amore alti pensieri ! « [ eventi , 

Masien grazie al Signor che, ne'profondi Attendere ai delti, spiare i lamenti , 

Delirii miei, pur non sorrisi io mai Parlarne il domani senz' ira dolor. 

Agl'inimici suoi più furibondi : Masangae,ma vita non è nellor petto? 

Sempre, attraverso tutte nebbie, i rai Del giogo tedesco non v'arde il dispetto? 

Del VajigeJ mi venian racconsolando; Noi punge vergogna del tanto patir 1 

tempre h croce occultamcnU ama\. ^\ida.ttti alfa gleba d^inetti signori, 


SECOLO DKCtMONONO 24 1 

N'han toUo rcsemplo, ne* trepidi cuori Ncsvia da se ilco1po,c.he al petto gli vien . 
Uan detto; Che giova ? siain nati a ser- Bestemmiali feriti. Che gesti! che voci ! 

[ vir. — La misera guarda, ravvisa i feroci : — 
Gli stolti !... Ma i padri ? S* accorau Sou quei che alla vita portò neisuosen 

[ pensosi, Ahi ratto dall'ansie del campo abborr 
S' inoltran cercando con guardi pietosi [ rilp 

Le nuore, le mogli piangenti all'aitar. S' arretra il materno pensiero atterrito. 
Su i figli ridesti coli* alba primiera Ricade più assiduo fra 1* ansie del dì. 

Si disser beati; chi sa se la sera Più rapido il sangue ne'polsi a leibatte: 

Su i sonni de* figli potranno esultar ! — Le schede fatali detrurna son tratte , 
E mentre che il volgo s' avvolta e hi- Qual mai sarà quella che Carlo sorti? 

[ sbiglia , Di man de* garzoni le tessere aduna , 
Chi fia quesl* immota che a uiun rasso- Ne scruta un severo la varia fortuna, 

[miglia, Determina i sette che l'urna dannò. 
Né sai se più sdegno la vinca o pietà? Snsurro più intorno , parola non s'ode ; 
Non bassa mai '1 volto , noi chiude nel Ch'ei sorga e li nomi la plebe già gode, 

[ velo. Già l'avido orecchio l'insulsa levò. 
Non parla, non piange, non guarda che £ Giulia reclina gli attoniti rai 

[in cielo, Sul figlio, e lo guarda d' un guardo che 
Non scerne,non cura chi intorno le sta.— [mai 

É Giulia, è una madre. Due figli ha Con tanto d' amore su lui non ristè. 

[ cresciuto Oh angoscia ! Ode un nome ; — non e 
Indarno! L' un d'essi già M chiama per- [ quel di Carlo ; — 

[duto : Un altro, ed un altro; — non sente chia- 
É 1* esul che sempre V è fitto nel cor. [ marlo ; — 

Penò trafugato per valli deserte; Rilevan già II quinto; — no, Carlo non e. 

Si tolse d'Italia nel dì che l' inerte Proclamano il sesto; — ma è il figlio 

Di sé, de'suoi figli fu vista minor. [d'altrui; 

Che addio lagrimoso per Giulia fu È un'altra la madre che piange per lui . 

[ quello ! Ah! forse fu invano che Giuliatremò. 
Ed or si tormenta dell'altro fratello, Com'aura che fresca l* infermo ravviva , 
Che un volger dell'urna rapire gliel può. Soave una voce dal cor le deriva 
E Carlo dei sgherri soccorrer le file ! Che grazia il suo prego su in cielo trovò. 
Vestirsi la bianca divisa del vile ! [ zò! Le cresce la fede: nel sen la pressura 
Fibbiarsi una spada che l' Austro aguz- Le allevia un sospiro; con mcn di paura 
Via via, cou l'iugegno delduol la ta- La settima sorte sta Giulia a'd udir. 

[ pina L' haji detta; — è il suo figlio : — doman 
Travalica il tempo, va incontro indovina [ vergognato , 

Ai raggi d'un giorno che nato non è : Al cenno insolente d' estranio soldato, 
Tien dietro a un clangore di trombe Con l'aquila in fronte vedralìo partir. 

[ guerriere ; g. Berchet, Poesie. 

Fon r orme su un campo ; si abbatte in 

i'ischxtTt ^^. Quando nel\%ZOModenaeBoloQna 
Che alacri dell'Alpi discendono al pie. levaronsi in armi. 

Ed ecco altre insegne con altri guerrieri, 
Che sboccano al piano per altri sentieri , Su, figli d'Italia! su in armi! coraggio! 
Che il varco ai vegnenti son corsi a tagliar; 11 suolo qui é nostro; del nostro retaggio 
Là gridano: Italia! Redimer 1' oppressa! ]1 turpe mercato finisce pei re. 
Qui giuran protervi serbarla sommessa : Un pupol diviso per sette destini, 
L'un'oste su l'altra sguaina Tacciar. In sette spezzato da sette confini. 

Da ritta spronando si slancia un fu- Si fonde in un solo, più servo non è. 

[ rente, Su, Italia! su in armi! venuto é iltuodì! 
Un sprona da manca ,lo assai col fendente, Dei re congiurati la tresca finì. 

Leopardi, Crestomazia» II. V^ 


242 


CRESTOMAZIA POETICA 


DalPAIpi allo Stretto fratelli siam 

[lutti! 
Sui limiti srhiusi, su i troni distrutti 
Piantiamo i comuni tre nostri color ! 
11 verde^ la speme, tanf anni pasciuta ; 
.11 rossOf la gioja d'averla compiuta ; 
Il bianco, la Ude fraterna d*amor. 
Su, Italia! su in armi! venuto è il tuo di! 
Dei re congiurati la tresca finì. 

Gli orgogli minuti via tutti «ll'obblio! 
La gloria è de'forti. — Su forti, per Dio, 
Dall* Alpi allo Stretto, da questo a quel 

[ n.ar! 
Deposte le gare d*un sccol disfatto , 
Confusi in un nome.legatiaunsolpatto, 
Sommessi a noi soli giuriam di restar. 
Su, Italia! su in armi! venuto è il tuo di! 
Dei re congiurati la tresca finì. 

Su, Italia novella! su libera ed una ! 
Mal abbia cbi a vasta, secura fortuna 
L'angustia prepone d'anguste città! 
Sien tutte le fide d*un solo stendardo! 
Su, tutti da tutte! Mal abbia il codardo , 
L'inetto che sogna parzial libertà! 
Sa, Italia, su in armi! venuto è il tuo dì! 
Dei re congiurati la tresca finì. [ villa. 

Voi chiusi nei borghi , voi sparsi alla 
Udite le trombe, udite la squilla 
Che all'armi vi chiama del vostro Comun! 
Fratelli, a' fratelli correte in ajuto! 
Gridate al Tedesco che guarda sparuto: 
L'Italia è concorde , non serve a 

[nessun. 
Su, Italia, su in armi! venuto è il tuo Hi! 
De' re congiurati la tresca fini. 

G, Berchet, Poesie. 

66. Unità e libertà. 

Minaccioso l'arcangel di guerra 
Già passeggia per l'itala terra : 
Lo precede la oellica tromba 
Che dal sonno l' Italia svegliò ; 
L'Appennino per lungo rimbomba 
£ dal Liri va l'eco sul Po. 

Tutta l'Italia pare 

Rimescolato mare : 

E voce va tonando 

Per campi e per città : 

— Giuriam giuriam sul brando 

morte o libertà ! — 
La Trinacria che all' ire s'è desta 
Mise grido di rauca tempesta ; 
le tre punte del Della fér eco ; 


Per Ire valli quell' eco muggì ; 
Tonò l'Ktiia dal concavo specu ; 
Latrò Scilla, Cariddi ruggì. 

AU'armn allarme!— è il grido 

(he va di lido in lido ; 

£ 1' eco replicando 

Di lido in lido va : 

— Giuriam giuriam sul brand» 
morte o libertà ! -* 

Qua dall'Alpe che serra Lamagna 
Sull'immensa lombarda campagna 
Simil grido que' delti ripete , 
Simil eco quell' ire destò : 
<) fratelli, sorgete sorgete ! 
Del riscatto già l'era suonò ! 

Se il centro ed ambo i lati 

Brulirheran d'armati, 

Chi affronterà pugnando 

V italira unità ? 

— Giuriam giuriam sul brando 

morte o libertà ! - 

Ma qual plauso si leva dal centro !. 
0}), qual plauso ! Ne resta là dentro: 
Come tuono cui tuono rincalza 
balen cui succede balen. 
Dai due Iati nel contro rimbalza 
E dal centro sui lati rivicn. 
Al plauso che più cresce 
Queta canzon si mesce, 

1 petti infervorando 
Di patria carità : 

— Giuriam giuriam sul brando 
morte o libertà ! — 

— Siam fratelli — nel centro risuona: 
— Siam fratelli — nei lati rintrona : 
£ già questi s' abbraccian con quelli. 
Dai tre lati godendo ridir 
~ Siam fratelli fratelli fratelli ; 
E i confini per tutto sparir ! 

Ardir, fratelli ! è giunto 

Il sospirato punto : 

S' ei passa, ah chi sa quando 

Di nuovo ei tornerà ? 

— Giuriam giuriam sul brando 
1> morte o libertà ! — 

Questo fuoco che all'alme s'apprf nde 
E le invade le scuote le accende^; 
Questo fuoco, fratelli, vi sveli 
Che terrestre di tempra non è : 
Ah, discese dall' ara de' cieli 
La scintilla che incendio si fé { 
Da queir aitar discese 
Che infiamma a sante imprese; 
E i cuori infervorando * 


SECOF.O 

Tutti sclamar ci fa ; 

— Giuriam ginriam sul brando 
O morte o libertà ! — 

Sette siri ci rolman di mali 
Pari ai sette peccati mortali ; 
Pari ai c?}n dell'idra lernea 
Cui d'Alcide la clava mietè, 
'l'risti capi d* un' idra più rea , 
Nuovo Alcide lontano non è ! 

Quanti la patria ha fi<ii 

Tanti saran gli Alcidi: 

Deh, un giorno memorando 

Cangi una lunga età ! 

— Giuriam giuriam sul brando 
O morte o libertà ! — 

Ci divise perfìdia e sciagura , 
Ma congiunti ci voile natura. 
Alma diva, cui l'Alpe corona 
Fra gli amplessi di duplice mar, 
Se una lingua sul labbro ti suona. 
Un sol culto ti sacri Tallar ! 

Chi in sette ti partio 

Tradì l* idea di Dio, 

E il mostro abbomioando 

Il fio ne pagherà: 

— Giuriam giuriam sul brando 
morte o libertà ! 

Mascherata malizia chercata 
T' ha divisa tradita venduta ; 
De*tnoi figli fé crudo governo 
Queir avara malizia crudel ; 
Turpe furia sbucata d*infernO| 
Che si disse discesa dal ciel. 
S' ella mantenne in vita 
Queir idra imbaldanzita, 
£ V una e T altra in bando 
Da questo suol n* andrà : 

— Giuriam giuriam sul brando 
O morte o libertà ! — 

Cada cada T anfibia potenza 
Ch' è di mali feconda semenza : 
E la legge del Verbo di Dio 
Ch' ella appanna di nebbia d' error, 
Radiante del lume natio 
Rimariti la mente col cor. 
Finche quel servo cullo 
Ch' air uom ch'a Dio fa insulto 
Dal $ozzo aitar nefando 
A Sierra non cadrà, 

— Giuriam giuriam sul brando 
O morte o libertà ! — 

Divo fonte del culto più bello 
Che quell'empia converte in flagello; 
Tu che inspiri si nobile impresa; 


DECIMONONO 2*5 

Snudo e spada d'Italia sii tu, 

Saldo scudo di giusta difesa, 

Forte spada di patria virtù ! 
Mira una madre oppressa, 
Ve' i figli intorno ad essa 
Che fremono gridando 
Di sdegno e di pietà : 
— - Giuriam giuriam sul brando 
O morte o libertà ! — 

G. Rossetti, Poesie. 

67 La battaglia di Navarrino. 

( 30 ottobre 1827. ) 

È caduta! ornai non sogna 
Chi servaggio non soiferse; 
Dell'Europa la vergogna 
È caduta; Iddio la sperse. 
Ei pesò del Trace il fato, 
E al trionfo inaspettato 

I potenti trascinò. 

Patteggiando lungo il lito 
Si sedean delPempia terra, 
E anzi pur che fosse udito 

II messaggio della guerra. 
Come fòlgor che si scaglia , 
Sospignendo alla battaglia 
L'angel suo precipitò. 

Ov'è l'oste, u'son le vele 
Dell'infido Musulmano? 
Ecco, il foco d' Israele 
Le divora, e l'oceÀno. 
Venga oh venga chi non crede ! 
Al trionfo della fede, 
Di rossor si coprirà. 

Tal vantossi, e tal cadeo 
Colle ruote e co' destrieri 
Faraon nell'Eritreo, 
Poi ch'uscirò i prigionieri ! 
Da quel giorno il ciel cortese 
Co'por lenti ognor difese 
La ragion di libertà. 

Caro al volgo e caro al saggia 
Viva il re che ha nosco un Nume , 
Un domestico linguaggio. 
Una legge ed un costume; 
Isella reggia, in mezzo ai valli 
Viva e regni! I suoi vassalli 
Non andran co' lacci al pie. 

Ma stranier che passa i mari 
Per recarti le ritorte, 
Che diserta i santuari, 
Che dissemina la morte, 
Fulminato aifia ritoiuv ^ 


'ÌU 


CRESTOMAZIA POETICI 


Ne* suoi barbari soggiorni; 
Con lui patto altro non è. 

Pace ai Greco! A lui ben ferfe 
La virtù |)ateroa in petto; 
Dalle indomite caterve 
Liberato e dal sospetto, 
l'ii risorga, e s' incammini 
Ai magnanimi destini, 
Onde ugual non ebbe un d'i . 

Giiià torreggia, e appar sicura 
I/alma croce trionfante 
Sili navigli e sulle mura. 
Scendi, o madre palpitante, 
DalPinospita montagna: 
li terror della campagna 
Come turbine sparì. 

Scendi scendi! L^armi e l'ossa 
Del figliuoi che amasti tanto 
Tu> componi nella fossa 
Con man ferma e senza pianto. 
Per lui sciolte dal tiranno 
Le donzelle ìnvidieranno 
Al solenne tuo dolor. 

Oh perchè dell*anglo Bardo, 
Perchè mai la lingua è muta? 
Ma lo spirto del gagliardo 
Erra intorno, e voi saluta , 
Voi beate anime caste, 
Che sull'ara v'immolaste 
Delia patria e dcll'onor. 

Allo sdegno inusitato, 
Al fragor delle percosse , 
Dai letargo sconsigliato 
Tutta Europa si riscosse. 
Dio fé il resto; i suoi voleri 
Forsennato l'uom che speri 
D'un istante ritardar! 

Più pietoso che guerriero 
Perdonare osò la vita 
D'Israello il Condottiero 
Al dannato Amalccita : 
La corona dalla fronte 
Dio strappògli, e sovra il monte 
Le giltò sul proprio acciar. 

G. Borghi, Pocijc. 

68. Il mio abito. 

Mio pover abito, 
Mio dolce amico, 
È ver, sei lacero, 
È viir, se' antico ; 

Ma t'ebbi al prospero 
'iVmpo, ed al rio, 


Indivisibile 
Compagno mio ; 

E, di te memore, 
T'amo, e non posso. 
Mio pover abito , 
Trarli di dosso. 

Quei che volubili 
Seguon l' usanza. 
Vengano, e ammirino 
La mia costanza. 

10 son per pratica 
Pur troppo ! istrutto 
Che in questo secolo 
L'abito è tutto. 

Vedi quel nobile 
Che tieu cucito 
Un nastro serico 
Sopra il vestito ? 

Se togli l' abito. 
Alle maniere 
Chi può distìnguerlo 
Per cavaliere ? 

Dov'è la grazia, 
La cortesia, 
Dove il magnanimo 
Tenor di pria ? . • . 

11 volgo ignobile, 
( Lo credereste ? ) 
S* umilia, inchinasi, 
A chi? a una veste. . 

mia carissima 
Veste, non mai 
Per fasto inutile 
Io ti portai , 

Ne mai per debiti 
Fosti tirata. 
Poiché, sci lacera, 
Ma t'ho pagata 

Col frutto lecito 
De* miei sudori ; 
Che un' alma nobile 
Non vende amori ; 

Però la solita 
Sorte non ha 
Di quei che trovano 
Chi glie ne fa. 

Qui dove l'abito 
Si sovrappone 
Presso allo stomaco , 
Manca un bottone ; 

Di dicci, ch'erano, 
Bimangon nove : 
É il vostro numero, 
Figlie di Giove l 


SE(X)LO 

D*argenlo cupida 
Spesso la mano 
Porto alle misere 
Tasche, ma invano ; . 

Pur questo deficit 
^on mi dà pena, 
Anzi più m* eccita 
L'attica vena . . . 

Dunque , mio lacero 
Abito antico. 
Mio fedelissimo 
Compagno e amico. . . 

Soave ed unica 
Cagif>n tu sei 
De*felicissimi 
Contenti miei. 

Per le m* è il vivere 
Giocondo e caro, 
Poiché a conoscere 
Gii uomini imparo. 

Quando eri celebre 
Per l'elegante 
Gusto, nel frivolo 
Mondo galante, 

£ avevi il merito 
Dell'esser bello. 
Tutti si tolsero 
A me il cappello ; 

Per le anticamere, 
Dovunque andassi, 
M' udia ripetere : 
« Oh passi ! passi ! « 

Meco parlarono 
I gran signori, 
Ebbi il lusirissimo 
Dai servitori ; 

Caro alle femmine 
Vissi, ma oimè 
Gli onor, le grazie 
Veniano a te ! 

\^. or che non ecciti 
Facil diletto 
Con quel tuo squallido 
Informe aspetto, 

Al bailo, al circolo 
M' odo intonare : 
« Con cotest' abito 
I^on può passare. » 

£ se a far visita 
Vado a taluno. 
Mi fa rispondere : 
« Non e' è nessuno. » 

Ciascuno evitami, 
Che teme, ah scaltro ! 


DECIMCNONO 


245 


eh' io chiegga imprestit 
Per farne un altro. 

Mio pover abito, 
Or vedi, se 
Gli onor, le grazie 
Veniano a te ! 

Pur leco il vivere 
M'è grato e caro, 
Poiché a conoscere 
Gli uomini imparo. 

Péra l'inutile 
Fasto, uè s'oda 
Più dai fanatici 
Vantar la moda. 

Funesta origine 
D'ozio e di noja. ' 
Fra spoglie misere 
Vive la gioja. 

ji, GuadagnoU, Poesie. 

69. Il tabacco. 

[bacco 
— Prende tabacco? — No: grazie. — Pcr- 
Pare impo<isibil con cotesto naso 
Non avvezzarsi a prudere il tabacco ; 
E fin vergogna! — Ne so» persuaso. 
Ma mi par porcheria; che ci vuol fare? 
Non mi ci son potuto abitu ire. 

— Pi)rf heria? ma che dice? e crede lei 
Che se fosse il tabaucco porcheria, 
Prenderlo io stesso, e offrirglielo vorrei 
In un secolo lutto pulizia ? 
E ne verrebber tante provvisioni, 
E sparirebber tanti francesconi?... 

Sicuro, qualche vecchio tabaccone 
E naso e vesti se ne imbratta spesso: 
Ma non ne vien da ciò la deduzione 
Che il tabacco sia sporro per sé stessO"; 
Si sa : quando si prende, non conviene 
Tirarlo su alla diavola, ma bene... 

Giunto il tabacco in Francia a Caterina, 
Erba della regina fu chiamato, 
Né chiamato l'avrian della regina, 
Se veramente egli nou fosse stato 
Un'erba preziosa, un'erba buona. 
Un'erba degna di real persona. 

Esso eccitando i tremuli starnuti. 
Forse non troverà chi non soggiunga; 
—Viva ! Una bella sposa ! Iddio l'ajuli! 
Salute, borsa piena e vita lunga! 
Felicità e zecchini! Un figliuol maschio!... 
A dispello di quelli che ci hann'aschio. — < 

Né contro il sonno credo che vi sia 
Brezzo più pronto^ autld<\Vi vsxx^^w^ 


246 CRESTOMAZIA POETICA 

Dormire a un accademia di poesia, Pel molto olio volali! che contiene ; 

Alla lezion di qualche profossore, Ma i benefui nostri appaltatori [ bene, 

Diavol ! sarebbe troppa inciviltà; Han pensato anche a questo, e han fatto 

Prenda tabacco, e il sonno se ne va... K per lilanlropia, non per guadagno, 

1 destinati al pubblico servizio Vi mischiano le foglie di castagno. 

Di dormir troppo ancor si diieitavano; Già, in quant*a me, mi pare idea fan- 

Andavan dopo l'undici air uffizio II dire che il tabacco sia nocivo: [tastica 

Facendo taroccar quei che aspettavano; O fra i Tedeschi dunque non si mastica ? 
Ma adesso cdH quest'utile ripiego, Pur, grazie al cielo,ogni Tedesco è vivo; 

Servono meglio al pubblico eall'impiego. K se fra noi qualcuno ha il petto fiacco, 

Dacché preoduu tabacco gli avvocati, Vedrà che non dipende dal tabacco... 
£ quei che assisi stan prò tribunali, Il sigaro è una dolce compagnia 

Si veggono in un attimo sbrigati Quando slam soli; esilara il cervello, 

£ gli affari civili e i criminali; Serve a far degli amici, a cacciar via 

Ma prima era un orror ! dormivan essi, H tristo umore... eh! se noi fosse quel- 
£ face van dormire anco i processi... Colla miseria in che ci ritroviamo, (lo, 

Dormiva Italia... —Per Pamordidio, ^ì ! si starebbe allegri come stiamo ! 
Non si faccia sentire in carità, Alto ! da bravo, via, signor dottore, 

Se no, siam rovinati lei ed io. — Si ripenta, mi creda in verità, 

£ come ho a dir ? — Dica il paese là Che nel mondo non c*c cosa migliore, 
Che Apeunin parte e il mar circonda e Cosa più salutare del labà... — 

[ l*Alpe: Ma qui un nodo di tosse gli fé intoppo: 
E allor che vuol che intendan quelle tal- ^osì succede a chi discorre troppo. 

Il fumo non decide del signore: [ pe? J. GuadagnoU, Poesie. 

L'altra età non pensava come questa; 

Allor « giadicava il professore 70. Manfredi Re. 

JUaUa parrucca che portava m testa; ' 

Adesso poi, parrucca o non parrucca, [ fore 

Chi nasce zucca, sarà sempre zucca. Quantunque volte con la mente e '1 

Ami il signor la patria e 1 suoifratelli; Torno a quella robusta e verde etade 
Segua virtù, né altrui si venda mai; Di cortesia fiorita e di valore 

Somministri lavoro ai poverelli, . Quando prime in onor s'avean le spade, 

Né la mercè ritardi agli operai; Sempre innanzi mi corre quel signore 

Abbia un legno di men, ma dotta prole , Che *1 freno ebbedi nostre alme contrade: 
Sia galani uomo j e fumi quanto vuole. De rincliti e real Manfredi io dico 

Si sa: cambian coi secoli i costumi. Prode ne Tarmi e de le muse amirO. ' 
Quell'altro tutto fuoco, lutto ardore; Biondo era e bello e di gentile aspetto 

Questo può dirsi il secolo dei fumi , Come *1 canta 1* altissimo poeta. 

Il secol delle macchine a vapore; Di cacce e d'armeggiar prendea diletto : 

E il mille novecento, chi lo sa Di suoni e versi avea corte ognor lieta. 

Che dlavol di secdo sarà !... Ma sue legcji di là 've in piccol letto 

Un sigaretto in bocca, a parer mio, Strependo Aufido al mar d' Adria s' ac- 
Dà una cercaria franca e disinvolta, Peano al di dentro i popoli felici, [queta 
Quell'aria di « Guardatemi son io ! » E spavento al di fuor Tarme a'nemici. 
Che annunzia sempre una persona sciolta; A qual gloria non sorge un popol che 
Come la pipa, viceversa, dà C c^"* 


Un'aria di pesata gravità. Da'cieli un re magnanimo e cortese, 



Di libri, stampe; ma d'avere ha smania 

nyi/*i.fk>n> J * «k irk I tir».» .. wii no ili t-L»ìfrìr\'%nt9 


Bocchini d'ambra e pipe di Germania. Strinse saldo lo scettro, e tenne impero 
^o cht il sigaro vietano l dolloù Btai^ao a'suoi ed a' uè mìci fiero ? 


SECOLO DEGIMONONO . 247 

Tal fu Manfredi: il qual render felice Un disio di fruir le cose belle, 
Volea, non che il suo regno, Italia tutta. E non visto Cupido avvien che scocchi 
Perchè spegner cercò ne la radice Dardi da un bianco sen, dadae begli oc> 

Do* Guelfi il seme che Taveaa ridutta [chi. 

In si torbido stato ed infelice Da la Daunia Manfredi era torAato 

Per la continua saii;;uiaosa lutta Ne la bella Peucezia a le marine: 

Contra i feroci de l'Aquila artigli, Poi ch'ebbe il fosco tempo ìyì passato 

Che serva ell'era omai de'proprii figli. Che cuopre *1 suol di nevi e di proine, 

Sonava il nome riverito e caro Or andando a falcon, com'era usato 

Del figliuol del secondo Federico: Co' suoi baroni, ed or cacciando. Al fine 

Che 'i ciel non fugli de'suoi doni avaro In Barletta il bel tempo si godea: 
Di quanti al padre ne conresse amico. ì^é men saggio a regnar quindi attendea. 
E simigliauii 'n tutto ambi provaro Siede Barletta de la Puglia amena 

Destino in pria secondo in bn nemico: Sul lito umil cui bagna Adria iracondo. 
Deslin che a lui vietò seguir l'ardita Fiorente allor città di merci piena. 
Impresa di far sua l'esperia unita. Signoreggiava ampio terren fecondo: 

Pur menlr'ei visse a' ceuui ubbidiente Con un castello che a nemica piena 
Kbbe Toscana tutta e Lombardia. Slette incontro e ad assalto furibondo: 

Che a quei dui ghibellin sangue valente De' tre famosi bello e forte arnese 
Ciitadi e rocche avea poste in balia. Posti a guardia de l'italo paese» 

Perché volesti, o buon pastor Clemente, Quivi '1 giovine re corte bandita 
Piantare in questo suol nuova genia Tenea di dame e cavalieri ornata. 
'Che non fosse de l'alta e sauta Chiesa £ di giochi e di cosa altra gradita 
Men sconoscente, e le arrecasse offesa ? Allegrava ogni dì quella brigata.' 
Sempre, il mal eh* or ci preme è '1 più Né la facea men nobile e fiorita 

L gravoso: L'eletta gente a festeggiar chiamata 
Il qual rimasso, tosto ci dogliamo Da' circostanti luoghi, e ancor la molta 

D'un altro: e questo insoffribil nojoso Che da longinque ville eravi accolta. 
Assai più che '1 passato giudichiamo. Amor che a voglia sua l'alte cervici 

Così la vita senz'altro riposo Sotto ad un giogo a le più amili aggua- 

Ma' che di vota speme trapassiamo. ( gin? 

£ '1 più sovente quereliamo il fato Amor contro a le cui saette altrici 

Di ciò che glierror nostri han cagionato. Non può forza di scudo o piastra o ma- 
Ma qui non giova ricantar le antiche Amor che poi ne'cor'gittò radici [ glia ; 
Nenie, e non richiamar d'infermo is)gni. Ferme, non è che a dibarbarle uom ra- 
Altri sia che le belliche fatiche [ glia; 

Di quest'eccelso re cantare agogni. Amor che pur sovente a lunga fede , 

Altri le stelle al suo ben far uimiche Pogniam che tarda sìa, dona mercede; 
£ a la salute italica rampogni. Là nel mezzo spiegata avea l'insegna 

Altri le sue di pace opre uon meno Vittoriosa, e gir non cura altrove. 

Memorande d'oblio trar voglia appieno. Che là del tutto consumar disegna 

Di queste una scegliendo io frale tante Alcuna de le sue leggiadre prore. 
Narrar qui divisai: la qual pur sola la quella corte generosa e degna 

Anche a far pre-^io a l'altre fìa bastante, Fra' primi avvien che un damigella e* 
Quantunque la sua fama poco vola. C trove 

}*erchè non vate né scrittor prestante, Chiaro per sangue e per viltà guerriera. 
Ma solo un magro autor ne fé parola. Figliuol del Conte di Molise egli era. 
Di giustizia uu esempio alto e pietoso Giovin bello del corpo ed ajutante 

Ella contiene, e forse a molti ascoso. Sopra ciascun de l'età sua splendea. 
Era già 'l tempo che zeffiro surge Ghinolfo era nomato: e lira le tante 

Didce ad aprir le frondi tenerelle. Rivolte di fortuna e buona e rea, 

Ogni cosa creata d'amor turge: Senza mutar pur d'animo un istaat e 

£ tutto '1 mondo par si riunovelle. Sempre il suo prenze seguitato a^ea, 

1 giovenili petti infiamma ed urge Che uel grado maggior tenealo la corle. . 


248 CRESTOMAZIA POETICA 

DrUto a l'opre sue più che a la sorte. Che di tutfàltra cosa abbia talen(<y^ 

Costui sul bel principio del mattino. Verso del loco avventuroso in cui 

Per Io paro piacer de la fresc'ora, Credea che si celasse il suo contento. 

Scendea soletto in un vago giardino Poscia intorno le man*movendo e'I canto, 

Che allato a la sua camera dimora, Furtivamente pur l'i guarda intanto. 
Ov'udia de gli uccelli il mattutino £ traeodosi pressoa quelle mura, 

Canto che le gentili alme innamora. Siccome spensierato e a caso errando, 

£ 'n qua in là sceglieva fior da fiore, Vennegli vista la gentil figura 

Sé dilettando, e cantava d*amore. Nel volgersi eh* e' fece il capo aliando: 

A quella voce spesso si destava La qual cheta di retro a l'apertura 

Dal sonno un^amorosa giovinetta De la finestra lui stava mirando. 

La cui magion su quel giardin guardava: £ già tutta sorpresa e stupefatta 

£ scinta e scalia ad una finestretta Non Ardì 'n dietro ritrarsi sì ratta, 
Che avea socchiusa pian pian sVcostava. Ch'e* non giuguesse a scorgerla nel tìso. 

Sì ad ascoltar poneasi semplicetta: [va: La vide, e fiamma subita gli corse 

Non sappiendo qual laccio amor le ordì- Per le midolle; e un tremito improviso 

Onde miracoltìa se campi viva, [attenta L'assalse. Il miser di sé stesso in forse 

Or mentre che un mattin sospesa e Altro suon non poteo formar preciso 

Accogliea quelle note la donzella, Che d'un rotto ohimè : lo qual sì morse 

Volle ancor la sua vista far contenta L'anima a la fanciulla sbigottita. 

De la persona ond'uscia la favella. Che non iiivan fu quella voce udita. 
Sì che con mano timidetta tenta Tripudiava l'arcier frodolente. 

Pur disiosa aprir la finestrella: Ma forse non saria da quella impresa 

Ma non sì che '1 romor non fosse udito Ben riescilo, se malignamente 

Dal cavalier, che incontanente ardito, Lei non facea pur del suo foco accesa. 

Levando il volto, e colà riguardando £ ben la colse sprovvedutamente, 

Onde gli parve il suono esser venuto, Che tempo non avea da far difesa. 

Disparir vide un raggio balenando Dopo lun{;o indugiar que* si partia 

Sì tosto che ne gli occhi ebbel feruto. Lasso: e 'ndietro si «olge tuttavia. 
£ '1 nuovo sol che percotea raggiando £ come giunto fu a le stanze, il frena 

P' incontro a quell'albergo sconosciuto Allenta al duolo: e in su *1 letto si poae 

Di lei scontrossi 'n le fuggenti ciglia , Gemebondo riverso: e del veneno 

£ a lui doppiò stupore e maraviglia. Si pasce che a suo cibo amor compone. 

Tal che sentiasi 'n petto un inquieto Poi furioso sorge in un baleno: 

Spiritello aggirarsi e torgli pace. £ di tentar la sorte alfin dispone. 

Né discerner potea bene il segreto A sé chiama un suo fante, e gli divisa 

Principio che da se diverso il face. U loro e ciò che far deggia e'n qual guisa. 
Spesso dicea: perchè non son più lieto Un omicciuol costui scaltro e fattivo 

Qual mi solia, ne più sì pronto e audace? £ra, e di lingua e di maniere scorto , 

Parmi che lo mio cor cerca e disia Di pel rossetto, e d'occhio tondo e vivo: 

Pur nuova cosa, e non sa dir qual sia. Ma fido al suo padron; segreto e accorto. 

£ la finestra tornavagli a mente Or veggendoi così di pace privo, 

£ 'l balen di quel raggio che disparve, Promise ritornargliela di corto: 
!Non men chiaro che 'l sol, subilamen- £lo conforta con dolce parola: 

C te, A spedir la bisogna indi sen vola. 

Onde vinto e abbagliato restar parve. 

Però deliberato ha di presente 

£splorar se veraci, ovver di larve. Ben lieve cosa è 'l parlar di virtute, 

Sien ie splendenti imnagini vedute Ma l'oprarla è dì potili eletti spitti. 

Da cui pender credea la sua salute. Quanti son che si metton di salute 

Continuando adunque il gTr costai Nel cammin? ma qual sia ciascun sa dirti. 

Nel bel giardin, faceasi lento lento Le giovinette forze eombattate 

SoU'occhìo ad osservar, come colui Intanto da pensier'feroci ed irti 


SECOLO DECMONONO 219 

Sfancbe cadcaoo alfine in tal languore Del vecchio padre e del fratello in cura 

Che agevol fu d'opprimerle ad amore: lUmasa da che i fati le fur presti 

Al manigoldo amor che le si mise A tor la genitrice, ed era in fasce, 

]^el petto poiché a contemplar dielleagio Non sazia, e del su* amor solo si pasce. 
G)lui che d* un sospiro la conquise ; Mutato era già *i Tolto de la terra. 

Onde da quel dì in poi sempre a disagio Già fuor de la sonante atra spelonca 

^'isse: né più donnescamente rise, ] tempestosi venti l£olo disserra: 

!Nè trastullossi; che quel dio malvagio ^è i rami sol, ma i vecchi arbori tronca. 

i>i sua misera vita in man s'avea Minaccioso e fremente il m^r fa guerra 

Tolto *1 governo, e a suo grado il reggea. A^miser' legni con la prora adonca. 

Né posa anco trovar può su le piume Sì che opportuna scusa al cavaliero 

Il garzon se le voglie non appaghe, Da ricoprir s'offerse il mal pensiero. 
Le voglie ond^è che tutto si consume, Succeduta al tepor gli era la noja: 

Fuggito il sonno da le luci vaghe. L'ore al giunger tardate emen frequenti. 

Però seguendo il giovenil co.«tume, Non più le usate feste, non la gioja: 

Lenir cantando le amorose piaghe ; Spesso silenzio o vaghi e rotti accenti. 

Nel fitto de la notte allor cne tace Ora il tempo incolpando che sì '1 noja, 

La terra e '1 cielo,egli animali han pace: Or del prenze il servigio e casi urgenti. 

Sotto mutale vesti, afflitto e stanco , Tutto licito insomma e buono e' tiene 

Nel suo cape portando un cappelletto Se fuor di quello 'mpaccio uscir gli av- 
i^ui nero sorge pennuncel da un fianco^ [ viene. 

( on bruno mantellin sopra farsetto Alfin deposta ogni vergogna, bada 

Bruno, e d'aurea catena al lato mauro Sol come adombri meglio il tradimento. 

Pendente un ben forbito pugnaletto. Finge che'! re gl'impouga altrove e'vada 

Venia a le mura ove l'amata stava, Ad eseguir un suo comandamento. 

£ s'un liuto così le cantava: £ '1 vegnente mattin si pone in strada 

Tu dormi, anima mia, sonni conlenti Con pochi fidi, e 'n vista par scontento. 

£d io grido a le stelle e a la fortuna. Ma quella notte a casa fa ritorno: 

Grido ad amor che fé miei dì ridenti £ celato si tien quivi alcun giorno. 
Più foschi assai di questa notte bruna. (he fa Hosella intanto? occulta geme, 

Deh! se ti svegli, o bella, a'miei lamenti, £ di lagrime bagua il viso e '1 petto: 

£ n'hai nel cor gentil pielate alcuna, Poiché vede co' dì fuggir la speme, 

Di'almen: pace sia teco, omio fedele: Pure aspettando indarno il suo diletto. 
Che '1 fato è contra, e non sun io crude- D'esser tradita e discoperta insieme 

£ come quella voce alta ed arguta [le. A\ cor le piomba gelido sospetto. 

Feria le stelle per Paer sereno. Scorso un mese era al termine prescrìtto, 

Sì gli amorosi strarcon punta acuta Né nuove ode, uè messo appar uè scritto. 
Pungeano a la fanciulla ildobil seno. Così la rodopea Fille da i mari 

Sitonii 'nvan chiamò Demofoonle, 
Dcmofoonte a'mal lasciati lari. 

£ppur lunga stagion durò quel gioco, Così di pianto avea perenne fonte 

Tanto che a intiepidir cominciò il foco. La Dauliade colpando i fati avari 

In Rosella non già, che vie più accesa Ch'ebbe in Itilo suo le man' sì pronte. 

Ne la fiamma faccasi d'amore. £ mentre in altra forma assisa a un ramo 

Siccome a verginella avvien che presa Lamenta. altrui fa mesto al suo richiamo. 
Sia semplicetta e 'ncauta al primo amore. E a chi gli aifauni disfogar segreti 

Ben a Gbinolfo omai quel!' arte pesa. La sconsolata giovine potria ? 

Che a lui non venne sconosciuto amore. Anzi i'e forza di continuo vieti 

Provatol non che visto più lìate A le spontanee lagrime la via\ 

Avea lo in mezzo a splendide brigate. £ riprema nel cor de gl'inquieti 

Ma colei che solinga vita oscura Spirti ta ribollente gagliardia. 

In privata magion vivea, d'onesti Simula intanto sé de la persona 

Parenti nata, cui fatai ventura Inferma, e la stagion rea ne accagiona. 
Volti ave' in basso a dì torbi ed infesti; . . . . « <> ^ '^ 


250 CRRSTOMAZrA POETICA 

Ed amorosamente li solIcTa. 
A*bianchi gigli a le vermiglie rose Poi cou augusto insieme e lieto piglio 
Del bel volto seren fea mesto velo Benigno sorridendo lor diceva: 

Pallideixa mortale,- e le amorose Di questo dolor vostro io maraviglio, 

Luci d'onde a vibrar l'ardente telo Ch'anzi festa e allegreua esser doveva. 

L'insidioso arcier cheto si posi*, Però che 'i ciel sì a la fanciulla arrì% , 

Spente parean due stelle in fosco cielo. Ch'oggi é fatta contessa di Molise. 
Magrezza avea le delicate membra . . ... 

G>nsunte, e tal che lana ignuda sembra. Itene lieti: e 'n pochi dì compiute 
Ne piange il miser padre e seco il frale: Fieno le spoosalizie e belle e spante. 
£ procacciarle invan cercan conforto, £ per farle di tutto provvedute 
Non pur di medicine, che tentate Vo' che sieu celebrate a me davante. 

L'avea '1 fisico tutte, e n'ha sconforto, Buon vecchio, le tue lagrime virtnte 
Ma quanto suggerir può la pielate Avicno d'ammollir pur l'adamante. 

S'adopra: e di condurla anche a diporto Ma non era mestier qui di cordoglio: 
A una villetta lor prendon consiglio: Già scritto il cielo avea questo ch'io vo- 
Niega ella: e non si turba al suo periglio. [ glio. 

Qual viator se d' improvviso il coglie 
A mezza via bufera atra e rubesta. 
Solo refugio , e quale il ciel ne addita Sotto uu abete o un frassino s'accoglie 
Che grinfelici mai non abbandona. Pudendo da la grandin eh '1 tempesta: 

iSolo refugio, anzi non dubbia aita Ma la strisciante folgor ne '1 distoglie 

Sperar lice in colui che di corona £ a terra il getta che ammortito e' resta: 

Porta la sacra fronte redimita Poi dopo lungo spazio rinvenulo 

£ 'n man lo scettro; non ch'ogni persona Non sa se vive, e guarda intorno muto: 
Da se allontani, ma per chiamar tutti Tal di se fuora e stupidi costoro 

A gustar di sue leggi i dolci frutti. Rimaser dopo tai parole udite. 

A lui dunque si vada , a lui si esponga Piuttosto crederian gli orecchi loro 
Il lagrimevoi caso, e certi siamo Falsi, e chele lor menti sbigottite 

Che per tornarne paghi non bisogna D'un tanto re de la presenzia foro; 

Con multo lamentar ne '1 supplichiamo. Che trasmutarsi in sì benigna e mite 
. ..... Fortuna che gli aveva a tal menali 

Le scale insieme l'uno l'altro scende: D'esser d'ogni conforto disperati. 
Ma pria 'n segno del duol che li marti ra E toltisi commiato reverenti, 
Mutar le vesti in luttuose ed adre. Non so dir se nel cor giojosi o mesti. 

Andava il figlio da sinistra al padre. Ma arcano i volti non del tutto spenti 
Con gli acchi afflitti e bassi e 'I capo D'allegrezza, tornarsi a casa presti. 

[ chino, Rosella non appar, che l'ire ardenti 
Con un largo cappello che la faccia Teme M su'aspetto nei fra tei non desti; 

Mezza ascondeva giù scendendo sino II padre pur che di vederla brama 

Sopra le ciglia, e con giunte le braccia, Con voce affettuosa la richiama. 
Pietosamente seguoa lor cammino Io non dirò ( che con asciutte ciglia 

Senza arrestarsi per parlar ch'uom faccia. Noi potrei ) quanto allor fra quelli av- 
Li guardan tutti, e cere-ansi ammirali [ venne. 

Qual cagion li fa gir sì umiliali. Certo è che U caso a nuU'altro somiglia- 

In questo strano e inusitato arnese Ma pur la calma al turbine sorvenae: 
Giunti a la reggia, supplici parlaro La qual d'aspettar tempo lor consiglia* 

Che al buon re piaccia d' ascollar cortese Non posa il re« né quivi si ritenne: 
D'una slrulta famiglia il caso amaro. P<^r Gliinolfo lontano e' manda inquella. 
Come il volto real fu lor palese, E poi fu giunto così gli favella: 

Con le ginocchia a terra si lasciaro Merla scusa un error se a quel succede 

Ambo cadere, e a lui mercè gridando Tosto spontanea e genero^ ammenda. 
Màoifestaro il fatto miserando. Tu tradisti una vergiae con fede 

Qufil magnanimo re die lor di i^V^ViO) S|er$iaca: è uopo X* L'oAoc U renda. 


SKCOLO DFjCIMONONO 251 

Da te farlo dovevi; or che procede Di corte, ed altri de*viciai lochi 

Altramente la cosa, e vuoi che splenda Fero i conviti sontuosi e interi. 

La mia giustizia, tu la sposerai, 1 vati dai cantar divenner fiochi, 

U che 'n perpetuo carcere morrai. Laudando or gli amorosi ora i guerrieri 

Brevi fur le parole: ma di forza Fatti: né ccssan di sonar che ognuno 

Tanta, che quei non osa ridir verho. Di que' fregi adunava in se solano. 
E per temenza di celar si sforza Questi era il liberal Tin vitto il saggio 

11 contrasto de Tanimo superbo^ 11 gentile il bellissimo Manfredi. 

Per prova e' conoscea ch'oltre la scorza Né mentiva il poetico linguaggio 

Ilo saria quel favellare acerbo: Come suol per timore o per mercedi. 

Ma Torgoglio e la boria del suo nome Schietto era il canto , e non coverto ot- 
Mal consenton piegarsi a quelle some. [ traggio 

Né il padre suo , fra quanti a quei di A chi non co gli orecchi anzi co'piedi 

Eran baroni il più potente e forte, [fieri L'ascolta, e pazzamente a sé dovuto 

Accomodato avria gli spirti alteri II crede <'d a' suoi meriti tributo» 
D'umiliarsi a così bassa sorte. Godean le damigelle rubiconde , 

I^'ebbe avviso da) figlio : e* suoi pensieri A gli altrui plausi, ancor che ritrosette, 

L'arsero si che minacciando forte 1 lor mescendo: e si n'avean ben onde. 

Vuol ch'ogni avere a rìschio pria si pogna leggendo di sé far belle vendette. 

E vita, che soffrir tanta vergogna. La città tutta di grida gioconde 

Onde scrive al figliuolo e gli comanda Sonava d'ogni canto: e benedette 

Che al padre non al re deggia ubbidire: Erano le virtù d'un re sì grande [de. 

Che rifiuti quel patto: a una dimanda Che forte e giusto ovunque il nomespan- 
D'oltraggio è da vigliacco acconsentire. Sola Rosella ancor modesta e queia 

Se può con arte e con oro che spanda In tanto gaudio stava: e le sue chiare 

Ad altre nozze far colei venire, Luci abbassa e le volge mansueta, 

Gli apre i tesori suoi; ma se fìa vano Se confortando de l'altrui parlare. 

Pur ciò, se la vedria con l'arme in mano. E già ricominciato avea la lieta 

Ma il re che tardar vedevC con pretesti Guancia di fresche rose a rinfiorare. 

Quasi 'n non cale 1 suoi precetti porre, E fratutlesplendea l'altre donzelle 

Come quelli cui nulla è che l'arresti , Qual luna in mezzo a le minori stelle. 
Fa rinchiuder (ìhinolfo entro una torre: Di persona era grande e ben formata , 

E inflessibile impon tanto vi resti Gli occhi amorosi avea, volto gentile, 

Che si voglia del suo debito sciorre. i^a bocca soavissima rosata, 

Al padre poi fa intender che vcdrallo Lunghe e distese braccia e non sottile. 

Tosto venir del suo stato a spoglialo. Terse le spalle, e l'anca rilevata. 

Al suon de la minacciala l'apparecchio Con grato portamento e signorile: 

De gli armati che già mettonsi 'n via , E tutta bella sì che 'n quel paese 
Al ricordar più d'uno ancnr non vecchio Hù vaga altra non fu né più cortese. 
Esempio di chi 'n van sua gagliardia II caro padre ed il fratel piangea 

Provato avea, mirò come a uno specchio Non più d'affanno ma di gioja onesta. 

L'ostinazion feroce ove il trarria. In mezzo de'due sposi '1 re sedoa. 

Teme mentre persiste: e lascia solo Crescendo il pregio de la bella festa. 

Tacendo che da sé faccia il figliuolo. Ghinolfo in vista contento parca 

11 qual già con la mente impaurita Quivi obbliando o^ni cura molesta. 

De la fiera immancabile ruina E 'n mirar le bellezze di Rosella 

Di suacasa ed assai più de la vita. Pur s'accendeva di fiamma novella. 
(;on umil prece il suo monarca inchina O quante volte fra sé stesso disse: 

A creder che con l'anima pentita Sciocco er'io di lasciar questo tesoro 

Sia apparecchiato a ciò che gli destina. Perchè altri ne godesse: e pur s'afilUsse 
T^on più 'l prenze egli allora, ma l'amico Pensando che a lei die tanto martoro. 

Rivide, e rionovossi il nodo antico. Sempre costante amolla in fin che visse. 

Furon le nozze orrevolmente in pochi E a t^trda età fur noti gli araor'loco. 

Dì celebrate : e dame e caTalieci Ma più del saggio re fu ceUhcaSaL . 


252 CRESTOMAZIA POETCA 

La giustizin, la qual non fia obbliata, Unico veglia infaticato Amore, 

Se queste rozze e mal composte rime Onde procede il tuo lume romito' 

Virtute avran di fare al tempo fronte, £ la rota de l'ordine infinito. 
Al tempo che di buja notte opprime Al dì che gli occhi apersi 

Spesso l'opre ancor degne d'esser conte. E conobbi la terra e disdegnai, 

Pur se alcun de'gentili che a le cime Da voi, limpide stelle, amor mi rise ; 

Poggian di Pindo e beono al sacro fonte, Vostri i primi sospiri, i primi versi. 

Discendendo talor di quell'altezza, £ in pensier tristi e gai 

Di legger quest'istoria avrà vaghezza; A voi l'anima tutta si commise ; 


Ed infiammato di nobil disio 
Perchè torni 'n onor la gloria e '1 nome 
Di quel re che le forze de l'oblio 
Da più secoli pugna e l'ha già dome; 
In lui solo guardando e non al mio 
Disadorno parlar, farà siccome 
(.hi la farcia d' un grosso marmo inerte 
In un leggiadro Apolliue converte. 

Senzachc di Manfredi esser le geste 
Ponno arj^omfnfo d'altissimo canto. 
E forse non lontano è chi s'appreste 
Con chiara tuba a risonarne il vanto. 
Non e che ne la pace indietro e' reste 
A' miglior' che vestirò il regal n anto. 
Mutrito ne la ruggine del ferro 
Folgorò in campo con robusto cerro. 


£ i nembi de la terra in mille guise 
Mi mosser contra, e dier continuo assalto: 
Talor levata in alto 
Bia procella d'affetti il cor conquise ; 
Ma un raggio di pietà fra le supreme 
Tempeste apparve, e m'avvivò di speme. 

In quella età che stampa 
D'incerte e pargolette orme la terra, 
£ la mente vogliosa ignora ed ama, 
Al tramontar de la diurna lampa, 
Che il eie] più si disserra 
E su gli orchi mortali il sonno chiama, 
In cor mi sorse una possente brama 
Che allentar uor> lasciava ogni altro affet- 
£ il trepido intelletto [to, 

Da le sfere apprendea splendida fama ; 


Con quel pugnando sui suo capo mise E, al ciel conversa, e ascosa a tutta gente, 
Del padre il serto, e gli mantenne gloria. Snodai le rime abbandonatamente. 
Con quel pugnando, i disleal' conquise, Un di l'Arabo errante 
E de' superbi conculcò la boria. [trise Per le deserte lande spaziose 
Con quel pugnando, d' ostil sangue in- Ove spesso mutò guerra e dimora, 
Le man', cadde: e un morir hello e vitto- Poscia che incontro al Incido levante 
Senza il favor di Roma, a l'alpi Cario [ria. 1 a capanna compose. 


hifuggia. se '1 destin volea camparlo. 

Esempio memorabile e tremendo 
De^ludibrii d'instabile fortuna. 
Li quai se con la mente discorrendo 
Andrem, non si parrà forse nessuna 
Vita umana che al termine scendendo. 
Se iu serena, non diventi bruna. 
Sola virtù rimane immota, e'suoi 
Fasti, fortuna, cancellar non puoi. 

Matxhese di Montrone. 

71 . Alle Stelle. 


Salve, schiera immortale, 
Che per gì' interminati firmamenti 
Misuri gli anni roteando e l'ore ! 
Npira oh ispirami lena, alzami l'ale, 
Prestami i tuoi concenti, 

Sì che a parole agguagli il tuo splendore. Intorniava la sperata messe. 
. Già confonde la notte ogni colore, E a te fu colpa, o Tosco, 

Ed ogni cosa del suo manto copre; Quando animoso interrogasti il sole 

Taccion le voci e l' opre \ Comt i rotanti mondi irradiasse ? 


Alzò la mente e gli occhi anzi l'aurora ; 
Così maravigliando ad or' ad ora 
E di nomi distinse e di cammino 
Ogni aspetto divino 
Onde l'eterno padiglion s'infiora. 
Ed a l'armata sua tribù predisse 
De la pugna le sorti a ciascun fisse. 

E ben l'antico Egitto 
Al ciel fu vòlto, e del fecondo fiume 
Le vicine battaglie antivenia ; 
E il furiar de l'onde circoscritto 
Vfdea per dolce lume 
Che la terra di molli erbe vestia ; 
Ivi il solerte agritoltor tra via 
Prendea dal ciel paura od ardimento, 
E al pargoletto intento 
Il mover ne insegnava e l'armonia, 
E di mille difese accorta e spesse 


SECOLO DECIMOXONO 


555 


F tu dal career tuo povero e fosco 
'i i levasti qual suole 
Aquila che più alto aria solcasse. 
Però le umane fantasie fur basse 
A tant* altezza, ed cran pur sospese 
Quando V Angle palese 
Fc come tutto 1' universo amasse : 
Che padre è amor di tutte cose belle, 
Perchè discende da l'eterne stelle. 
Ed il fedele Arturo 


R a qual loco t' adiri 
Fai tutte a valle minar le cose : 
Tanto che i regi stessi umili e pronti 
Piegano a te le coronate fronti. 

Te r universo adori. 
E vilipesa e misera e dispetta 
Sia la nuda virtù cacciata iu bando ; 
A teTaras'intidri, 
Ove in atto servii, com' ostia eletta, 
Ciascun la mente e il c^r venga immolan- 


E il fiammeggiar de le instancabili Orse, A te consacri il brando 


K d' Orion le luminose rote, 

£ quale stella in ciel >ilenle e puro 

hiiiamorata sorse 

Compagna a Sirio ardente od a Boote, 

Benché dal pianto di qua giù remote, 

Schiaran la via che a verità conduce, 

Anzi ogni viva luce 

Quasi acerba rampogna i rei percote, 

E al ciel concorde, amor come la sprona, 

Arcanamente l'anima ragiona. 

Oh salve, alte, serene , 
Intelligenze, che de Torbe immenso 
Irradiate il nitido zaffiro t 
Oh, se benigna luce a le tirrene 
Sponde, ov' io piango e penso. 
Largiste mai nel vostro eterno giro. 
Ponete mente al mio caldo desiro 
(.he voi tien muse omai, quasi vergogni 


do; 


Guerrier vittorioso in ogni lido, 

Ne de' vinti pietà gli stringa il core; 

Te vii poeta onore 

Di lauro e mirto e di votivo grido; 

E il sesso, ove l'amore 

Più breve p »ne e più soave nido. 

Da la santa onestà ritorca il visu, 

Sol che tu gì i apra il lampeggiar d'un ris». 

E faccia al mondo fede 
Di tua sfrenata formidabil'ira 
Italia un dì reìna, or serva e doma ; 
Chiami indarno mercede. 
Sotto il flagel che la tua destra gira. 
L'antica donna di proviucie, Roma ; 
Il latino idioma 

Di barbarico error suoni commisto ; 
E l'alma Astrea pe' nostri dolci campii 
Fuggitiva orma stampi 
( Colpa uno sguardo tuo livido e tristo }; 
£ più d'onore a% vampi 


Di quei leggiadri sogni 
Onde le greche fantasie fiorirò ; 

E il poco verso mio, chi ben l' intenda, Altri sotto la gelida Calisto, 
Per voi di eterna verità risplenda. [zo Che noi d'Italia figli, ove più suole 
Canzou,se il vulgo a compre noleavvez- Diffonder larga luce il chiaro sole. 


Il nascer tuo spiasse o il tuo pensiere, 
Rispondi : lo da le sfere 
Origin traggo, e nulla in terra preizo : 
E r amor che governa ogni rreato 
Dì se medesmo è guiderdon beato. 

M. Giuseppa Guacci-Nobile , Poesie 

72. Alla Fortuna, 

Cieca e volubil diva. 


Pur, se ministra e donna 
De gli umani splendori ognun te chiama, 
E a la tua rota, o dea, drizza l'intento, 
Io sola in treccia e in gonna 
Spregio l'alto favor che il mondo brama, 
Ed i fulmini tuoi nulla pavento. 
Crucciati pur : già spento 
Hai tu stessa la tema entro il cor mio, 
E spento la dolcissima speranzai 
Forse uno spirto avanza 


Che a tuo senno dal ciel volgi e governi Qua giù che non t'adori, e son quell'io, 

Quanto vive qua giù sotto la luna; Che già bieca in sembianza 

Tu imperiosa e schiva | Ti vidi quando aprile a me fiorio, 

Aggirando ti vai co' cerchi eterni, E l'occhio acuto de la mente intesi 

Onde scopri tua vista or chiara or bruna, ^e la tua lucf, ed a sfidarti appresi. 


A te ligie. Fortuna, 

Son r armi invitte e le città famose ; 

£ dove tu favoreggiante miri 

Par quasi un'aura spiri 

Clic fa liete le genti e gloriose j 


E, dove alto disdegno 
Or t'infiammasse a l' ultima vendetta, 
Per me, possente diva, inerme sei: 
Ogni tuo ricco pegno 
Presto m' hai tolto, ogni cosa diletta 


-S« CRESTOMAZIA POETICA 

Hai dipartita già de gli nccbi miei, Oh, di luce meBdÌN>, 

Si eh' io pur non potei Erri pallido spirto iUarrimatO 

Vestir le piume a* miei poveri carmi QuaIonc[ae mai volse in oscuro stai^ 

Onde affannosa cura anror mi grava, Del men provvido sesso il lame amico: 

Per cui, lassa !, sperava £ circondò d' un vel santo e pudico 

A la futura età chiara mostrarmi ; La squallida ignoranza, e i dolci petti 

Ma tu rapida e prava Insterili col gel de la paura ; 

Contra il miovol tutte impugnasti Tarmi. E noi triste, ne l'uom fatto nemico. 

Ora ogni varco a l' ira tua disserra : A spirar voglie astriase e non a£fetti. 

Che per uso è men aspra antica guerra. £ fé sembianti ad ogni vii pastura. 

Così sperto nocchiero A noi non gli alti studii e non la pura 

Da* suoi verdi anni a sostenere avvezzo Face che schiara i nobili intelletti, 

II minaccioso tempestar de Tonde,' IVIa sol fu dato ornar la fronte e il viso. 

Benché nemico e fiero E allettargli occhi al parche unfragilfio- 

Contra gT insorga il vento,fdaldassezz(> Che, da lo stel reciso, [re, 

Lungi lo sbalzi da le amate sponde, Langue, e calpesto muore. 
td or sua nave affonde, Un mutabile ingegno 

iir la rilevi in sino al ciel superno. L'eterno ciel ne' petti nostri accoglie, 

£ in proda e in poppa e d'ogni via Tassa- Che di quercia talor colse le foglie, 

Tal che Tarte non vaglia, [g^i^) £ del virile ardir trascorse il segno; 

Del rotto legno ancor siede al governo, E vincer di natura ogni ritegno 

£ il mar che lo travaglia [scherno; L'aspre Menadi sue vide Corinto 

Quasi per vecchia usanza ei prende a Di fei ina sembianza ricoperte; 

Che la tempesta ond'è battuto e afflitto E spesso in caccia ebbe i perigli a sdegno 

l^on gli offende giammai Tanimo invitto. Qualche vergine ardita, e col bel ciato 

Benché sia nata umile, Legò le belve, e ne fé sacre offerte. 

Ed oscura ten vada e non vestita Né T ira taccio e le saette certe. 

D'un abito leggiadro e pellegrino, Onde maravigliava il guerrier vinto, 

Canzon, prendi cammino Quando di Temiscira prorompea 

Quanto ccmcede la tua poca vita. D'indomate fanciulle ampia coorte, 

£ a qualunque Latino £ il campo orror porgea, 

Vedrai per via selvaggia o per fiorita, Sparso di varia morte. 
DT che Fortuna instabile e proterva Né voi, severe ignude, 

Regna sol fango, e a T intelletto è serva. Cui virgineo splendor vestia le membra, 

M. G. Guacei-Nobile, Poesie. Né voi quest'egra etade aloien rimembra 

Che a* gloriosi fatti adito chiude ; 

73. Le donne italiane. Quando leggiadre di schietta virtude, 

Gagliarde in lotta, impetuose al corso, 

Chi me, cui ne la mente Al cittadin foste consiglio e specchio. 

Arde una fiamma di santissim' ira. Però venne di sangue atra palude 

Entro squallido tetto a prigion dira Quel loco ov' a* trecento eran soccorso 

Chi me condanna irrevocabilmente ? Carirà de la patria e furor vecchio; 

Forse perché la vaga età fiorente Che le madri intendean l'alma e Torec- 

Ancor mi ride, e in mezzo al sesso molle A fatica traendo il curvo dorso, [chic, 

Inacqui de T infelice numer una, £ a Tantico marito e a rimmaturo 

Roderà sempre il freno, impaziente, Nepote adattar Tarmi e spir&r guerra, 

QuelT ardito pensier ch'entro mi bolle Onde i petti eran moro 

Sempre in governo a la viril fortuna ? A la spartana terra. 
Me mai, di speme e di timor digiuna, Qual celeste Camena 

Cui tributano incensi il vile e il folle. Mi canterà di voi, Romane acerbe, 

Me mai per questo suol eh' io amo tanto, Che, d'invitta onestà chiare e superbe, 

Seguir potrò la sciolta fantasia, Due fiate infrangeste empia catena? 

E d' un libero canto Oh ! riposate in pace, e la serena 

Allegrar l'ira mia ? Fronte celate negli infranti avelli, 


I 


SECOLO DKCIMONONO 5Si& 

1 vi tardi mai cura del Tehro ! Cosi, più d'aureo «erto o di fiorita 

e quella virtù clie di sé piena Lode, un riso d'amor Tanima prezsa^ 

a la terra, e nel servir fratelli Cosi volge le cose a suo talento 

lubio ghiacciato, il Reno e TEUro; Queiramor che comaiKla opre immortali, 

fra il popol clamoroso e crebro, £d ogni st^nnolcnto 

sol di venture e di flagelli, Spirto fa bello d'ali. 
Liesti campi ov'è più lieto aprile, Ardisci, o canzon mia sola ed incolta, 

he alla donna verdeggiala ungior> Che verità disdegna biasmo e loda, 

'ombra gentile [no, £ per lei questo cor le forze accampa; 

la terra intorno. Ardisci, e l'aspra usanza fia disciulta 

d'Italia regina Che la virtù del dolce sesso annoda, 

sacre e feconde ! oh vivo sole £ scalda il forte di non pura vampa : 

i gigli inghirlandi e di viole Tal di timide schiave a grado avvampa 

la e l'altra splendida marina! Il vigil Moro, e vien che mai non goda, 

mpo fu che aitera pellegrina ^ Vola, o canzon, dove il desio t' è duce; 

teingrembo a l'erbe e a' tior vivaci Sveglia oh sveglia per noi qualche merre- 

fanciullo Evandro inni apprendea: £ annunzicrai la luce [de, 

'inestinguibile dottrina Che tutta Italia chiede. 
: la terra, e incontro a gli anni edaci M» G, Guacei^Nobile, Poesie. 

le rime ed incarnò l' idea : 

colpa non era, o fama rea, 74. Unanave turcaincontro Venezia 
>r le guerre o rallegrar le paci. tiei 48S6, 

1 investigando Italia torse, 

uprrier seguitò l'aurata chioma ; Perchè, lunata vela, 

idi Arcadia sorse, Come candida nube ti dilegui 

azio ed Alba e Roma. Dinanzi a l'adriatica laguna? 

e d'amore e d'armi, Forse varia vicenda oggi consegui, 

$tro mondo un secolo saliva Né d' ira apportatrice o di querela 

avea lauri ogni selvaggia riva, £ la chiarezza de la odrisia luna ? 

dì reggia melodia di carmi ; O del vivo leon per l'onda bruna 

:rìon& i sepolcrali marmi Ti giunse il mortalissimo ruggito ? 

ti di lagrime amorose, O tremi un cieco ardito 

i sole il fìammeggiar d' un ciglio ; Bello d'alma vecchiezza e di santa ira ; 

scun petto vien che si disarmi llqualnou prima il brando a cerchiogira, 

li valor, tra donne paurose. Che ti respinge dal suo dolce lito, 

on cape altezza di periglio ; £ stende aspra minaccia 

1 spada è fra noi, ma fiero artiglio. Fin dove il negro mar Bizanzio abbraccia? 
;me più di combattute rose, [va Ferve Lepanto ancora 

allorché il chiomato elmo allaccia- l'i vivo sangue ; un italico vento 

errier baldanzoso una donzella, L'ottomana tempesta ivi disperse ; 

onte prestava £ prima di magnanimo ardimeuto, 

ìmcnte bella. Vinegia mia, tu sfavillasti allora 

poter sempiterno Novella Atene incontro a nuovo Serse ; 

universo tutto si diffonde, Assai splendidi giorni il sol l'aperse ! 

catena il ciel, la terra e l'onde, Assai pianto ne segue a' figli tuoi ! 

;ni alma qua giù prende governo, beatissimi voi 

i una voce, un desidèrio interno Che il lampeggiar de la vittoria ardente 

a la soavissima dolcezza Salutaste con l'anima fuggente 

ighirlanda i fantasmi de la vita, 1 vessilli affidando ad altri eroi, 

luce ne l'alme un ben superno. Onde mordea le arene 

sio d'eccellenza, una vaghezza, L' empio grave di scorno e di catene ! 

il giro de' secoli, infinita. Ove qnegU ardui petti, 

tstreta madre di Evandro diccsi avesse Ove ne andar le pellegrine spade ^ [ro? 

io Iislia la iuveDci«tt« dello scrivere. Che il commosso Ellesponto in ver migliai- 


£50 CRESTOMAZIA PO:.TIC\ n 

Muvean tonando per le azzurre strade Fé dì pianti sonar Taura celeste. 

Le barbariche moli, atroci aspetti Poi eh* è l'agna e la tigre in una gabbia! 

Agitavau sovr*esse il curvo acciaro ; ^on più t* insulti con livide labbia 

Ma in poco d* ora esperto ebher Tamaro La bieca invidia e gli onorati marmi ; 

Corso di fuga, e qual distrutta in parie Ove i tuoi stemmi e l'armi [zo; 

Arbori antenne e sarte Splendono ancor, nou sien mercati a prez- 

Uomini ed arme su per l' onda versta, Né il goodoher sotto il notturno rezzo 

Qual paurosa al vincilor conversa Presso a Taule già vote 

Di proprie spoglie incarco Sciolga d* Erminia le dogliose note ! 

Keca a la vincitrice ara di Marco. Per duro strazio è morto 

Di torri inghirlandata, De le vergini tue 1* ingenuo riso, 

Ricca sposa del mar, ti stavi un giorno, E divina pietà sì ti governa ; 

K lucente di porpora sovrana ; Per duro strazio il rittadin conquìso. 

Mille isolftte t'obbediano iutorno, Orba la donna sua d*ogni conforto, 

E invan, di gelosia Liguria armata, Ed in ogni sentier morte s* interna ; 

Per te died'esca a T avarizia ispana ; Ma fulminato da giustizia eterna 

¥. in queir eterno d», che sovrumana Riiina 1' oppressor giunto a l' oppresso. 

Virtù di fratellanza Italia accese, Forse len)po e dappresso 

Nel grembo tuo discese Che vendetta di Dio chiara discenda 

Con l'ali vinte Taquiia grifagna ! Come tuon che le nuvole scoscenda^ 

tir chi d'ogni salute or ti scompagna ? E il popol tuo mendico 
Chi ghermisce i tuoi figli, aureo paese ? Pera come nemico in sul nemico ! 
1 figli tuoi, che in guerra t*ur queir altera nave, 

.Ahi non morran per la nativa terra! Che da te si dilunga impaurita 

Me tanto mai l'acerbo Sol perchè sì maligno aer ti fascia, 

Barbarossa sperò d' Italia mia Incolorarsi di novella vita 

Quando contra la Chiesa alzò le corna ! Mirò l'uccisa Atene, e di quel grave 

Né la romana maestà che pia Giogo spogliarsi ch'or te stessa accascia. 

Del perdono la man porse al superbo. Così l'età ^i rota, e quegli or lascia 

Avria temuto il dì ch'ora s' aggiorna ! E questi or leva con perpetua vece ; 

Oh di lacrime oneste il viso adorna ! Così mansuefece 

Oh sotterra non por le tue memorie ! L'Ìndo,e a l'Arabo tolse arme e costume. 

T' educaro a le glorie, Or tutta quanta d'ogni vago lume 

Vedova mia, le antiche ombre sdegnose L'itala Donna è priva 

Da poco scoglio ad Attila nascose ; Fin che il fato la svegli e torni viva. 
Però l'arbor di Roma M. G. Guacci-Nobile, Poe*Ie» 

Te custodì sotto la sacra chioma. 

Procedea trionfale 1^. Aslrea (pianeta'. 

Vèr te nuova letizia, a l'aura in grembo 
Penetrar le tue mura i franchi squilli ; Novella pellegrina, 

Ma il popol tuo, come al venir d'un nembo Che per le immense vie de' firmamenti 

Pastor s'accoglie a l'arbore ospitale, Ardendo stampi le amorose rote, 

b' accolse a' consapevoli vessilli. Tu bellezze remole 

Poi libertà mentita infra tranquilli Inaspettata sveli a gli occhi intenti, 

Palagi fé sonar legge tiranna.] Nuovo porto a l'aerea marina ; 

£ ainbizìou, che assanna Chi sei tu ? qual divina 

Quantunque può, tutta cortese in atto, Forza t'informa ? Intorno 

Sorridendo fermò l'infame patto ; A la fonte del giorno 

Quindi miserie estreme Lo stesso amor ti mena 

Ti disfioraro. o nostra «Itima speme! Che la su,perba terra arde e raffrena ? 

Oh ben l'indica peste Se d' Urania pensosa 

Corre le tue lagune abbandonate Abbraccia il ver lo splendido concetto 

Togliendo prede a la nemica rabbia ! Era nel cielo un altro mondo amante 

Forse giunta lassù viva pielate Che dal sol fìammeggiunte 


SECOLO DKrjMONONO 

Prendea gentile irradiato aspetto Ma, come stella a stella 

Giove offuscando o Venere gioiosa. 


257 


Ma quel che non ha posa 

Potente amor celeste 

A lui fa' manifeste 

1^. sue bellezze e l'arse, 

K qua e là fur le faville sparse ; 

£ rotanti ed accese 
Ancor di puro spirto innamoralo 
Rapide seguitar T impresa via, 
Finche dolce armonia 
Le ricondusse a più tranquillo stato. 
Si che il loro esser de la terra prese ; 
Ne forse a lor cjntesé 
Son l'erbe vive e Tacque, 
£ come ad amor piacque. 
Piccioli mondi, il sole 
Cerchiar con le perpetue carole. 

Così l'imperio antico 
Che Roma slese a l'Africano, al Siro, 
Quando su l'orbe si levò gigante, 
Rotto, da le sue frante 
Parli, vergini popoli fiorirò, 
E «cmpo fulse a libertate amico, 
ieratico in atto e pudica 
Sorse armato l' ingegno, 
K ad altissimo segno 
Driziossi in pace e in guerra , 
E l'jilalica luce empi la terra. • 

E quindi il casto^erso. 
Che rinverde le cose ovunque suona, 
Ghirlandata di palma Erato sciolse. 
Dal corpo onde s* avvolse 
I fulminei concetti ecco sprigiona 
Lui che die fondo a tutto l'universo. 
£d altri al ciel converso 
' Snoda le rime oneste , 
E Venere celeste 
Chiama, di sol vestita, 
A risvegliar la terra inaridita. 

Indi regina e diva 
Sofia levò la luminosa fronte 
E spaziò pe' non tentati cieli ; 
Ivi squarciando i veli 
Maraviglie infinite a noi fé' conte 
E diede il volo a la speranza vìva : 
Pur non vide la riva 
■ Che l'essere circonda , 
Che la Mente profonda 
Ad uome al corpo affisso 


Misterioso amor lega e congiunge 

E le condure con soave morso, 

Così l'alto discorso 

De l' umano pensiero 

Lega a l' eterno Vero, 

Ed il cor non volente 

De le future cose un raggio sente. 

E a te, picciol pianeta. 
Che tra' seni del ciel sorgi improwi.^o. 
Porse nome di Astrea concorde grido : 
Che sul terreno lido 
Già V aere inalba di giustizia il riso, 
Ch'or fin la predatrice Africa asseta ! 
Certo , luce sì lieta 
E presso al mondo stanco. 
Che il popol liero e il bianco* 
D' un pensier fa colonna 
E unanime ad un'alba sì dissonna! 

Ruoli Fortuna, ruoti 

I magnanimi spirti a l'imo fondo, 
E la forza crudel cinga d' alloro ! 

II miserabil oro 

Spie diventi a questo cieco mondo !... 
Tu, folgore di Dio, stridi e percuoti ! 
Sieno a morte devoti 
Gli alteri pini, in questa 
Disfrenata tempesta; 
Ma sotto nube fiera 

I tuoi lampi conosco, o primavera ! 

Entro la terra freme 
E dentro i petti una virtù te attrice 
Che già prenunzia l' immortai chiarezza, 
E l'oceàn che spezza 

II nuovo mondo e l'antica pendice 
Non pone inciampo a l'ale de la speme. 
Tu, Astrea, da le supreme 

Vette discenderai, 

Coronata di rai, 

E be' virginei cori 

Le nostre tombe spargeran di fiori. 

M, G. Guacci Nobile, Poesie. 

76. Cristoforo Colombo. 

In grembo a 1* oceano. 
Onde il nostro. pianeta s'inghirlanda, 
Il sol già volge le infiammate rote; 
Ritto sul lido ispano 
Un uom sospira a le marine ignote, 


I 


Nega di ficcar gli occhi entro il suo abisso. Ove che l'alba viva ora si spanda ; 
Tale al fin del suo corso Ed il confili di quest'azzurra landa 

Questa pellegrinante anima giunge Già con la mente abbraccia , 

De' suoi veri destini ancor novella ! VtJe l' op[K)sla faccia 

Leopardi, Crestomazia, II. V\ 


2S8 CRESTOMAZIA pop:tica 

Di qiiesla lerra, come volle Amore, E il puro ciel ne Talternato gira 
Primo risveglialore ; Si cli|iingea d'orientai zaffiro. 

Ed anela a quel ver «he in mille guise Ma la turba tremante, 

L* armonia del crealo a lui promise. Che su Tampio oceano era sospesa, 

Allor pe' vasti mari Da* perenni euri s'attendea la morte ; 

L'agilissima speme s* avvolgea, E la paura errante, 

lieta d* oro e d'onor prometlitrìce ; Contra ragion fatta rubelFa e forte, 
Ma i desideri! avari, Maladicea la disperata impresa: 

Che pingeanoal nocchier nuova pendice. Si che a mezzo la vi^ t'era contesa. 
Sovente l'omicida onda spegnea. Ligure mio. Ma, sorlo 

Tu di fraterne gare avida e rea, ' Come face nel porto, 

Sposa d'Adria iracondo, A l'empia gente d' intelletto priva 

Ove il sole apre il mondo Promettesti la riva. 

Portavi, navigando, i chiari fasti, E (juella apparve; allora ogni restio 

E pur costui spregiasti ! ^ S' atterrava al tuo pie si rome a Dio. 

Genova, e lu, che a lei turbavi il regno. Ahi quando, anima eiella, 
Negasti al tuo Colombo un picciol legno! Baciasti aliìn la presagita piaggia, 

Ed ei, scuro e mendico, L* Ispana insegna dispiegata al vento, 

Lunghi anni travagliò di terra in terra, Quesl' Italia diletta, 
E sempre irriso un nuovo mondo offria, Sempre a* suoi figli inospita e selvaggia. 
Fin che il Leone antico ^ Ti lampeggiò nel glorioso intento : 

Che r orbata Casliglia anror desia Che, s'ella al tuo magnanimo ardimenta 

Il sospiralo varco gli disserra. Porgea la man materna, 

La sua possanza eterna. 
Stesa fra il sole e fra l* opposta Iona, 
Vinta avria la fortuna. 


Sì come duce a cui ride la guerra, 

E ad onorato squillo 

Spieghi il patrio vessillo, 

Così t' ardca. Colombo, entro al pensiero E leverebbe ancor l' armata destra 

L'incognito emisfero; Domatrice di popoli e maestra 1 

Però segnasti in mezzo ad onde nuove A pie di verdi campi 

Un seutier s^nza quando e senza dove. Colorati per vaga primavera 


Ecco, vers' occidente 
Già si dilunga T infinito calle. 
Ed ogni lido fugge a la veduta ; 
La tua speme potente^ 
Già da contrarii venti combattuta. 
Ad ogni amata cosa or dà le spalle ; 
Ecco tra il cielo e tra l'equorea valle 
Trovi condegno loco, 
Che t' era angusto e poco 


Sostò la temeraria navicella ; 

Sotto i diurni lampi 

Qui saltellava allegra fera e snella. 

Là concordi augelletti ivano a schiera', 

Quindi una b;-una quercia ed va' altera 

Palma porgeano i rami, 

E con dolci richiami 

Un fresco rio dal colle ove pria nacque 

Spandea le limpid' acqufe, 


Il vecchio mondo ; ecco, sul mar levato, E guerrier nudi e vergini gioconde 
Dalor di regui, il fato, Ragionavan d'amore in su le spende. 

Che di due mondi, ambo a fiorir condut ti. Che rechi, Italo ardito, 
Ti commette le sorti, e spiana i flutti ! A quella stirpe semplice e tranquilla, 


Or tu, diva compagna, 
Che seco affronti Torride procelle. 
De r intatto sentier movi parole ! 
Lasciava addietro Ispagna 
La navicella, e discorrea col sole 
Che incoronato uscìa di nuove stelle ; 
E parea vagheggiar nuove fiammelle 
11 vivo ago amoroso, 
E stuolo armonioso, 
Di salutanti augelli apria le penne 
5u k aspettate anteaae, 


Che non s'aspetta ala stagioneacerha?..* 

Sul pacifico lito 

Tra sasso e sasso l'oro disfavilU!... 

Ahi quanto sangue tingerà ((uest' erba! 

Ispagna formidabile e superba 

Cinge doppio diadema. 

Pensa l' Europa e trema, 

A' trionfi non suoi spiega \t tele 

Ambizion crudele, 

Fnman le Antille in lotte le mtriiie 

i^vcQ^erte di stragi e di mine. 


I 


SECOLO DECIMCNO^O 


259 


E tu^ se manifesta 
Suona ancora per noi l'antica voce, 
Kiedevi su le ispane ingrate arene 
Con la fronte funesta 
£ i polsi stretti pur d' aspre catene, 
Che ti die in premio il CastìgUan feroce. 
Sapevi tu che non fu mai la croce 
Di schiavitude insegna, 
E ad ogni voglia indegna, [gnudo, 

Che il selvaggio inseguìa di schermo i- 
Sorgcsti unico scudo ! 
Oh la pi età che ti commosse il petto 
Brilla più che l'altissimo concetto! 

Con ansiosa gara 
L* Europa tutta omai drizza il cammino 
A la terra ad acquisto d'oro usata; 
Ma luce non rischiara 
La tua stanca vecchiezza sconsolata, 

primo generoso pellegrino ! 
Obblfato sei tu, mira destino! 
Fino il nome ti vieta 
Fortuna immansueta ! 

Sotio umil tetto da le inferme spoglie 
L' alma schiva si scioglie ; 
Ne detto è pur : Costui, che spento cade, 
Fra gli estremi del mondo aprì le strade! 

Questa perpetua fiamma. 
Che tanto amore e tanta luce versa, 
Forse è di luminoso aer vestita, 
Ma in se non serba dramma 
De la bellezza che a la terra evita. 
Anzi è terra di tenebre cospersal 
Così fuor di se stessa si rinversa 
Qualche rara virtute, 
£ vivace salute 

Diffonde intorno, e schiude! mari e cieli; 
Ma in se tenebre e geli 
£ pianti accoglie, e i mortali occhi offende, 
Come il fulgido sol quando più splende. 

Ogni cosa si volve 
Entro r abisso del primo Consiglio 
Che r universo al suo perfetto mena ; 
Vittima sia la polve, 
Ma spunti vita libera e serena 
A r intelletto che del cielo è figlio ! 
Or levati, o Colombo, e gira il ciglio 
Su per Tacque d'Haiti; 

1 popoli fioriti 

Ivi sotto la croce trionfale 
Levan inno immortale ; 
£ la vergine America, disciolta, 
Scuote TEuropa ancor nel sonuo avvolta. 
If. G. Guacei Nobile, "Poesie. 


\ 


77. // Pianto. , 

Piangevi !... Invan le lacrime 
Col vel nascondi e premi... 
Qual spettro innanzi all'anima 
Passtf ! Ricordi , o temi ? 

Ahi ! come a farlo misero 
Non basti il mal presente. 
Rapito V uom nel vortice 
Del tempo onnipossente. 

Avanti dietro volgesi 
Or timido, or pentito, 
Dal punto indivisibile 
Che parte T infinito. 

Fuggir vedevi i rapidi 
Giorni, e V età fiorila. 
Le più soavi immagini 
Nel sogno della vita ? 

L' ore in ammanto fulgido, 
Col crin di rose ornato. 
Dell' avvenir dischiudono 
Il regno interminato ; 

In mille guise alternano 
Vaga ed aerea danza: 
Ma còlti inaridiscono 
I fior della speranza. 

Alle promesse credula 
Fosti di un lungo amore? 
Se quella rosa cogliesi , 
Punge, languisce, e muore. 

Piangi, e fiavintoil perfido 
Degli occhi al nuovo incanto: 
Oh ! voluttà di un bacio , 
Quando si asciuga il pianto ! 

Ma non è dato ai gemiti 
Por fine in questo esigilo, 
Le venerande lacrime 
Inaridir sul ciglio. 

Ora che, madre vigile. 
Giaci al tuo figlio accanto. 
Da te la prima ascoltasi 
Lingua dell' uomo — il pianto. 

Scesa nel mar dell' essere 
Queir anima fanciulla. 
Se sparge un pianto provido 
Dirai che non sa nulla ? 

A navicella è simile 
La dolorosa cuna : 
Nati appena ci assalgono 
L' onde della fortuna. 

Piange il pentito, il misero, 
Chi serve, e quei che impera : 
Tulli Siam id \ \t W.t\.vafc 


i>GO CRESTOMAZIA rOET|GA 

Son la inigKor preghiera. Uii lume menzognero 

Dolci parole e tenere 


Tu sai che insegna amore ; 
Ma solo l* uom sublimano 
I detti dei dolore. 

lo nei miei carmi esprimere 
Quei detti un dì tentai^ 
E d' animar la statua, 
PigmalTon, sperai. 

E ancor la stringo e palpito 
No X sente, e su me piomba 
Marmo crudel, che gelido 
Mi rammentò la tomba. 

Piangi: i mìei dì perseguita 
Grave ed assidua cura , 
£ mi circonda 1' ultimo 
Flutto della sventura. 

Già come breve imaginc 
Pinta sul muro avverso, 
Sparisco dalla mobile 
Scena dell' universo. 

Gloria sognai ; dell' aquila 
Io mi credei figliuolo : 
Presso la rupe or giacciomi 
Onde io tentava il volo. 

Ma pria che morte stendami 
Sugli occhi eterno velo, 
Essi dal pianto hrillino 
Cui fu promesso il cielo. . 

G, B, Niccolini, Poesie, 

78. La Vecchiezza. 

Già dello spirto 11 memore 
Moto veloce langnc, 
E lento scorre e gelido 
In ogni vena il sangue. 

Già fatte peso all' anima 
Sono le membra inferme ; 
Cresce il cibo difficile 
Dentro la bocca inerme. 

Dove le care immagini 
Son dell' età primiera ? 
D' un separalo ostacolo 
Dove la gioia altera ? 

Qual trema in sulla foglia 
Stella a cader vicina 
Nel vasto inlerminabilc 
Grembo della marina; 

Tal tra i fluiti e k tenebre 
D'un mar rh« non ha lito 
Sente smarrita 1' anima 
L'orror dell' inlimlo. 

CJic fu r ambita {gloria ? 


79. 


Che dai sepolcri sorgere 
Ignora il passeggero ; 

Ei della luce tremula 
Segue V infida traccia : 
La crede alfin raggiungere, 
E sol tenebre abbraccia. 

E mentre manda un gemito. 
Che dell* error s' avvede, 
S' apre la tomba gelida 
Sotto lo stanco piede. 

■ G. B, Niccolini, Poecie. 

Coro di Roman i dopo V incorona' 
zione di Federico. 


All'armi, Romani! fra queste ruine 
Udite la voce dell'alme latine , 
Che: » Sorgi, ti grida, o popolo Re! » 

L'eterna cittade non muore alla gloria: 
Mirate quel tempio che avea la Vittoria; 
Jll cener dei forti vii polve non e.* 

I nostri sepolcri son pieni di fati: 
Vi fremono l'ombre degli avi sdegnati 
Di lungo servaggio col vile dolor. 

Un barbaro usurpa di Cesare il nome, 
E mano straniera gli pon sulle chiome 
La nostra corona, del mondo terror. 

Qui grida il Tedesco ch'è spento il co- 

[ raggio : 
La spada romana risponda all'oltraggio; 
E contra il furore combatta virtù. 

Ritorni al suo nido, ritorni alla prole; 
Dal dì che non segue la strada del sole , 
Ha r aquila appresa la vii servitù. 

II ferro divori i lurchi Alemanni, [oi; 
Voiramoa quell'Alpi che mandan tiran- 
Si chiuda col petto l'infausto senticr. 

Il nobile esempio ci diede Milano; 
Ognuno, fratelli, si chiami italiano, 
Uguale sia il nome, concorde il voler. 

Ma luiij^e il Britanno Pastor senw 

Che i lupi chiamava sul misero gregge ; 
Per gire sul trono calpesta l'aitar. 

Vi sacra il crudele la spada omicida 
Aspersa di sangue, di sangue che grida: 
O nave di Pietro, e questo il tuo mar? 

Ed ìiai sul vessillo il nome di pare ! 
Il mondo ingantiasli, parola mpndace, 
E il sinto nel cielo per gli empii arrossì. 

tu chv! soffristi pi'r lutti i mortali» 
Che liberi hii faito, fratelli ed uguali 
V.o\ %vcv^M«i t\v^ l ct^pi dell'uomo abolì ; 


SECOI.O DECIMONONO 

Pereoti l'errante che il mondo ha diviso. E liberi e fratelli, eil or ci grida: 

Col nome di Ucge tu fosti derisa, « Non vai forza dì schiere 

Ed ci questo nome dimanda per se. Ad ingiusto potere; 

Lo chiede al tiranno che uccise i tuoi lo le catene infrango, 

[ figli. E il tiranno crudel cade nel fango. 
Al mostro tedesco consacra gli artigli.. Non fra le nubi il trono 

L'Italia nel cielo sol abbia il suo re. Dei monarchi si cela: 


261 


G. B. Niccolinij Arnaldo da ]^ rescia. 

80. La Nazionalità. 

Non più la forza è dritto: 
Fugge dall'alma ogni pensier superbo; 
Nati non siamo all'odio ed al delitto. 
Figlie del primo Amante 
Sono le genti fra di lor sorelle; 
Non hanno un sol sembiante, 
Ne diverse cos'i che non sian belle. 

Tempo verrà che le discordie antiche Né si parton fra i re come le zebe. 
Saranno un sogno,e mal dall'uom si creda Or più non miri di fraterno sangue 
Che a luìreco^siun dì cotanto oltraggio, Tinta la mano di venal soldato 
Che fatto ci preda divenia retaggio , A far la colpa dei tiranni impune; 
Come fosse un terren che si possieda. Ma cittadin si sente, e a lui comune 

Non più saranno le parole un velo È della patria il fato. 
Ad incliti misfatti; Solo l'infamia avanza 

Né avverrà che col sangue alcun riscatti Alla cieca possrinza, 


Havvi un sol che rivela 

Or l'opre loro, e delle colpe astute 

L'orme non son più mute: 

Ma dall'impresso scritto 

Vola per mille bocche ogni delitto. 

Di popoli che forza abbia commessi, 
Qual gregge vii , non si componga un 
Né degli uomini oppressi [trono, 

Faccia spregiato un dono 
Un concilio regal, che più non sono 
Ora addetti alle glebe, 


La santa libertà che vien dal cielo. 

Il dolce suon della natia favella 

I popoli affratella; 

E fa concordi i petti, 

Questa comune interprete d'aifetti. 

E diverse favelle e stirpi e monti 
E l'immenso Oceàn fra noi ci parte: 
Fra i popoli soltanto 
Cambio di merci, e di gentil costume 
inaridisca la cagion del pianto: 
Né sian discordi i cori 
Per turpe gara di poter fugace, 
£ tutto alfin si ricomponga a pace. 

Dell' alber che ci vide 


Che mai non ebbe, o più non vuol confine , 
E sparì fra la polve e le ruine. 

Fugge con tronchi vanni 
L'aquila ingorda dall'ausonio lito: 
L'infame augel per lunghe colpe attrito 
Sente il poter degli anni; 
E povero di forze e di consiglio, 
Di fulmini derisi arma l'artiglio; 
E fatto al cielo in ira 
Per quel sangue che bevve alfin delira. 

Assai dell'ali vaste 
Stette all'ombra l'Italia afflitta e mesta, 
E in muto orror perduta 
Udì grido d'impero e di minaccia, 


Fanciullie vecchi allinsediamoall'ombra, Vane promesse di parola astuta, 


Colla m nle disgombra 

D'ogni dolor: s'inalzi un inno a Dio, 

Che le genti assicura. 

Che già l'odio divise e la paura. 

Del popolo la fi onte 
Per superbia di re più non si adima; 
E s'avvalla ogni monte. 
Che verso il cielo sollevò la cima. 

Arbitri della terra 
Sian giustizia ed amore, 
^é più per lunga iniquità di guerra 
Moltiplichi il dolore^ 
Iddio ci fece eguali; 


Suon di barbare voci e di catene. 

Confuso a quel dell'oro, 

Che fugge i vinti e l'opprcssor mantiene. 

Un sogno era la spene. 

Ed il servaggio una crudel certezza 

Sotto colui che t'odia e ti disprezza. 

Se il sol rispleuda intanto 
Sovra le stragi, e vi è di pianti un velo, 
Da quel sangue che é santo 
Può dell'Italia il voto aUarsi al Cielo. 
Son vittime svenate in santa guerra 
Sovra l'aliar della paterna terra. 

E si raccolgan tosta 


262 CRESTOMAZIA POETICA 

I fatti lor: sarìa l*ltalia ingiusta, , S'apre Utalia, e tutta alfin si manfCy 

Se uoto solo delie madri al pianto Deii'aatica viltà deposto il peso. 

Ne fosse il nome Ma sia questo iiiipres - Non più ciltade a una città nemica; 
Nella pagina augusta, [so Ma si sente sorella, 


Cui narrar l'alte imprese e già commesso. 

Di felici ladroni 
Assai parlò la fama: ornai conviene 
Che dei prodi ragioni, 
Che spezzate alla patria han le catene. 
È il suo destin beato, 
Se per antico fato 
La vincitrice non si fa discorde; 
Ne a nuovo pianto il secolo condanna 
Cieca licenza, o l'unità tiranna. 

G. B, Niccolini, Poesie nazionali. 

81. V Italia risorta, 

Italia alfin da lunghe prove apprese 
Quanto le sia fatale esser divisa; 
£ la sua prole uccisa 
Cresce la gloria del gentil paese. 
Ecco il valore antico 
Ritorna in ogni petto: 
Vinci, e sul vinto incrudelir non sai, 
Benché belva non sia di lui più cruda, 
£ tenga un'alma di pietade ignuda, 
£d un feroce istinto, 

Che pur gli esempii d'Ezzelino ha vinto. Oh quanta etade è volta 
Su quei delitti un velo. Che per la patria non si mnor fra noi! 

Musa, distendi; assai per lor fu piantn, Ed ai servi si die titol d' eroi! 


E nel cor le favella 

Santo il dolor della vergogna antica. 

La vaga donna del gentil paese, 
Che frange ì lacci e ricompon le chiome , 
Di quelle guerre onde fra se contese , 
Tra barbariche genti 
Ben sa che nacque la ragione e il nome. 
Solo una patria è a tulti,epiù non siamo 
Guelfi o Ghibellini, 
Ed all'Alpi ha l'Italia i suoi confini . 

Nel dritto suo confida, 
E nella sua virtù risorge, e grida 
Tutta infiammata di concordi affetti : 
Son l'Alpi aperte, e noi pugniam coi petti! 

Con un passo misura 
Tanto spazio l'Italia, e dei codardi 
II senno vii confonde; 
E dei secoli molti alla rampogna 
In pochi dì risponde. 
Mirammo il ver celato a gente ignava, 
E qui soltanto l'oppressor sognava. 

Or sta libera in campo 
L'Italia, e la sua spada 
Manda sul ciglio dei tiranni un lampo. 


E dalle colpe, ond'ebbe orrore il cielo , 
Bi fugga adesso il canto. 
.S'apre all'Italia un nuovo 
Ordin di fati: ecco che alfin si adempie 
Sovra i tardi nepoti 
La speranza dei secoli remoti! 
Di magnanime donne 


Oh vergogna! oh dolore! 
Correa sulle catene il nostro pianto 
A raggravarci nel servaggio antico, 
E l'Italia pugnò pel suo nemico. 
Scorrea non visto il sangue 


Dei proprìi figli; era cosi perduta 
* La fama del coraggio, 
Maggior ìa gloria in ogni età risplenda , Ch'esser figlio d'Italia parve oltraggio. 
Ne più s'osi chiamarle un debil sesso; Oh se dai lor sepolcri 

Non v'ha virtù che possa stargli appresso. Quei che tra gli avi eran feroci o molli 


Mutò la nostra sorte, 

E l'opra più della parola è forte. 

Ora ad un grande incendio 
La tacita favella è ornai cresciuta, 
E cessò dell'Italia il vilipendio. 
Convieu coU'armi definir le liti, 
Far di nostra virtù lo sforzo estremo. 
D'amor, di leggi e di favella uniti, 
Solo una patria avremo: 
Già diversi noisiam dal padre eTavo; 
Se consorte ne fa lieti di un figlio, 


Alzassero la fronte, 

Rossor la ingombrerebbe o maraviglia! 

E il cittadino sangue, e gli ozii vili 

Vergognando, diriano: voi serbati 

A sì propizii fati, 

Abbiate in giusto orrore 

Secoli di mollezza e di furore. 

Foste pur col nemico 
Generosi ed umani! 

Non avvenga che un dì strage fraterna 
La sacra man profani . 


Or più dirsi non può: nasce uno schiavo. Stringetela ad un patto , e questo sia: 
Già òtrade audaci e nuove La libertà d'Italia: e quai giganti 


SECOLO DECIMONONO 26-5 

Movete in qjicsta via AH* antica viltà del tuo destino. 

Pieni d'affetti ognor suLlimi e santi. Ur r£uropa saluta il tuo mattino : 

Lltalia alfin s'inalzi Giunse il dì della gloria anche per noi, 

A grandezza di regno, e la sua spada ]^è alle rampogne del fatai vicino 
Sulla lance d- Europa ottenga un pesp :. l^ tombe additi degli antichi eroi. 
Il suo vabr npn langue, O barbaro feroce, alfin 'ti mostri 

E chiede un dritto che acquistò col san- i\ nostrobrando,chciltuo sangue ha tinto, 

Non di dominii o d'oro [gue. Quanta menzogna è nei superbi inchiostri 

Può sete aver; solo dimanda il fine £ Italia, appena cheil suo ferrohacinto. 

Ad antiche rapine, Puù dir : Nuovi trionfi abbiamo, e nostri, 

Ed è la Uberts^de il, sqo tesofo. Qiè un popolo non puote esser mai vinto, 

Qual vaghezza d'alloro G. B. NiccoUni, Poesie nazionali. 

Che bagna il pianto delle genti oppresse! 

Cessi alfiu tant'oltraggio, ^ Sk. Su la dominazione austriaca. 

Né le catene antiche abbia a retaggio. in Italia. 

Dalle belve straniere 

Divisa preda, un Cesare alemanno Molti fuggian la patria, e gli diyise; 

Cercar dovea sul Reno: ahi vitupero I Dai dolci campi il doloroso esiglio : 
E ciò nomar si osò Komano Impero! Arse le case, e con asciutto ciglio 

Ma risorta è Tltalia, e non si dica 11 tedesco mirò le genti uccise. 
Terra delle mine; Nei vóti alberghi a dominar si mise 

Più non invidia le virtù latine, Su noi vedovi d'armi e di consiglio; 

Vince sé stessa antica: £ più che belva insanguinò l'artiglio, 

Bella ad un tempo e forte £ non havvi dolor eh' ei non derise. 

Cinta del proprio ferro^ Che dalle nostre terre alfin respinta 

Donna della sua sorte, Sia la barbara gente : sol coll'oro 

Dal libro delle genti Fra noi prevalse; ne l* Italia è vinta: 

Cancellata non è: libera vive, Non sia quella virtù ch'io tanto onoro, 

£ col sangue il suo nome alfin riscrive. Dalle calunnie dei tedeschi estinta, 
G. B, JStccolini, Poesie nazionali. £ a lor sia tolto l'usurpato alloro. 

G.B. NiccoUni, Poesie nazionali. 

82. Sul risorgimento d' Italia, 

85. L'Austriaco. 

Colei che sovra il mondo ebbe l' impero , 
Poi stanza di venia d' ogni dolore, Ha l' orgoglio sul volto e la minaee ia 

Or fa ritorno nell' antico onore, £d il tumido labbro uso all' impero, 

Ratto cosi, che sembra un sogno il vero: £d inalza sui vinti il ciglio austero,. 

Ed oltre l'Alpi l'oppressor straniero E nella gioventù senti la faccia. 
Fugge pieno d' infamia e di terrore. Gravi di verga esercitar le braccia. 

Coperto il volto di servii pallore ; Ed aver nella fuga il pie leggero; 

E smarrì della fuga anche il sentiero. Oguor cogli infelici esser severo. 

Sei grande, Italia, e ad ogni gente esem- Esser sempre crudele all'uom che giaccia: 
Il barbaro livor più non ti morde : [pio! Son dell'Austriaco la superba dote, 

Tu sola osasti esser pietosa all'empio. Ed ha immobile il viso, e da lunghi anni 

Ma in ogni etade avrai lode concorde. Il pudore fuggì dalle sue gote: 
Dopo tante ruine, e sì gran scempio. Sempre gioia gli vien dagli altrui danni, 

Se vincitrice non sarai discorde. £ ninno aspetto di dolor non scote 

G, B. NiccoUni, Poesie nazioo9li. La patria degli schiavi e dei tiranni. 
• G. B. NiccoUni, Poesie nazionaU» 


83. Sul medttsimo argomentò. 


86.1 tre colori della handiera^italiana. 


Sei grande , Italia ! Ora nei figli tuoi 
Tanto risorge di valor latino, . Il bianco mostra ch'ella è santa e pura, 

Che tu per certo ritornar non puoi II rosso che col sangue è a pugnar presta, 


264 CRESTOMAZIA 

E queirallro color che vi s' innesta . E vedrai prove ài valore antico. 
Che mai mancò la speme alla sventura. Perch'egli del pugnar sa tutte l'arti : 

Però dei forti, a cui fu data in cura, Edor che un Grande è a questo grande 
Ferve nel seno una baldanza onesta, Da tutti i lati ascolterai gridarti: [amico, 
Che lor gridando va: «Mai non s'arresta Fu vinto, Italia, il tuo fatai nemico, 
lìelle vie dell'onore alma secura: G. B. Niccolini, Poesie nazìanab. 

Non la vince il terror, ne delle stesse 
Ferite sente nel suo petto il duolo, 89. V Italia risorta. 

Chèallapatriamantienlesuepromessee.» 

E se presumi d'arrestarne il volo E nell'Italia sotto un ciel sereno 

CoU'armi infami che ti fur commesse, Più non saran le genti oppresse e mute ; 
Ella tinta sarà d' un color solo. Nella dolcezza del natio terreno 

G. B, Niccolini f Poesie nazionali. Sarà ricca di gioia e di salute. 

Ride in essa ogni piaggia ed ogni seno, 
87. A re Vittorio Emanuele, Scosse il rio giogo, che cos'i le pute ; 

Ed ogni pianta, onde quel suolo e pieno, 

Dell'aquila fatai frenasti il volo, Tutta riprenderà la sua virtute. 

Figlioli' Italia, e la tua fama è tale, Dolce della natura il vario aspetto. 

Che si stende dall' uno all'altro polo, E sovra il volto che non è più mesto 
£ durerà nei secoli immortale. Cara possanza d'un gentile affetto : 

Tratta hai la patria da servaggio e duolo, . Non urlo crudo d'un parlar molesto, 
E non v' ha premio al beuf iicio uguale ; Ma sol voci d'amore e di diletto: 
Vendichi Italia e il Padre, e fosti solo, O bella Italia, il tuo destino è questo. 
E nella gloria tu non hai rivale. G. B. Niccolini, VoesiemzianiXu 

All'altezza levar del tuo concetto 
Chi si potrà? Maggior furor che suole 90. Sul medesimo argomento. 

Convien che adesso mi riscaldi il petto. 

Ma non è dato ritrovar parole, Torna la vita dilettosa e bella. 

Che sien pari all'altissimo subbietto, E tanti beni che son sparsi aduna : 
£ non può tanto la virtù che vuole! Ciascun s'appaga della sua fortuna; 

G. B. Niccolini, Poesie nazionali. Qgni gente d' Europa ora è sorella. 

Non è l'una tiranna e l'altra ancella ; 
88. AW Italia, Ci è caro il loco ove sortiam la cuna: 

Qualunque ha spirto di pietade alcuna 

Ritoma alfine a gioventù novella; più da saggio poter non si ribella. 

E col valor del corpo e della mente i\egni una dolce e placida quiete. 

Alla virtude che ti fea possente E fra le varie genti un fido amore; 

Sorgi, e si possa dir: Sei forte e bella. Corran sempre per noi Pore più liete. 

Fidainquel He,chedel tuo cielo e stella ^on è albergo di sdegno e di dolore 
E fa di se maravigliar la gente ; Questa terra felice ove nascete. 

Sia questo al tuo pensiero ognor presente: j^^ ^i piedi d' ognun qui sorge un fiore, 
a In lui conforme all'alma è la favella.» ^ ^ Niccolini, Poeiie nazionale 

£i s aliretta colrarmi a liberarti ; 


FIN £. 


INDICE 

DELLE MA TERIE 


SECOLO XIII. C li V. ' SECOÌ.O DECIAIOSESTO. 

1 . A Maria Vergine. Fra Guittone. ÌX. Canto funebre pastorale. ^SannaZ" 

2. Esilio ed Amore. J//Vint. zaro. 

3 . Manifestazioni di amore. G. Cavai- X. L'età dell'oro. Sannazzaro. 

canti. X.I. Una sposa mor ibonda parla allo spo- 

^». Affanni ambrosi. G. Cavalcanti. so. Tebaldeo, 

5. In morte della sua donna G.Cavalcan" XII. Del sito che conviene alle api. Ru' 

6. Atti e parole di Beatrice. Dante, iti. celiai, 

7. Effetti di veder Beatrice*. Dante, Xlll. Invito a Gala tea. Castiglione. 

8. Morte di Beatrice. Dante, XIV. Giuliano de* Medici , duca di Ne- 

9. Alla sua donna. Dante. mours, defunto, alla moglie Filìberta 

10. In morte di Beatrice. Dante. di Savoja. Ariosto. 

11. A Firenze. Dante. XV. Ritratto dell'amata. Berni. 

12. Giudizio tra'! Poeta ed Amore. Cin 9 XVI. 11 Berni racconta gli accidenti della 
da Pistojn. sua vita, e descrivela sua natura. jBerm. 

13. In morte di Selvaggia. Cino da XVII. Contro gl'ipocriti. Berni. 
Pistoja. XVIIl. L' uomo descritto come piccolo 

14. A Maria Vergine. Boccaccio* mondo. Berni. 

XIX. Sopra l'effetto che fa negli uomini 
SECOLO DECIMOQCINTO. ben nati il racconto delle azioni nobi- 

li e virtuose. Berni. 

I. A una fanciulla. Scherzo. Brunelle- XX. Alla città di Roma. Guidiccioni. 
schi. XXI. Velocità del tempo; caducità uma- 

II. Sopra Amore. Leonello. d^Bste. na. Vittoria Colonna. 

III. La volpe ed il gallo. Favola. Pulci. XXU. Vittoria Colonna al marito mor- 
l5.Lodi della vita mercantesca.Xoren-zo io. Vittoria Colonna. 

de^ Medici. XX)II. Lodi della bellezza. Ludovico 

IV. Spettacoli della campagna. Poli- Martelli. 

ziano. XXIV. Esortazione ali* agricoltore per- 

V. Caccia di fiere. Poliziano. che s*induslrii di migliorare tostato 

VI. Favole effigiate da Vulcano sulle por- del suo terreno. Alamanni, 

te della reggia di Venere. Poliziano. XXV. La vita dell'agricoltore. Lo stato 

VII. Alla sua donna, Ippolita Leoncina. del popolo italiano nel secolo decimo- 
Poliziano. sesto. Lodi,deIla Francia. J/amannt. 

16. Amante disperato. Poliziano. XXVI InvocazioneaCerere.ul/amannt. 
VI II. La fortuna. 5era/ìno dall'Aquila, XXVII. Il cavallo. Alamanni. 

17. Morgan te e Margutte in un'osteria. XX Vili. Lodi di Bacco e del vino. Ala- 
Pulci, mnnni. 

18. Bellezze della sua donna. Bojardo» XXIX. Segn